4. Ma anche no.

«Muoviti, Harper, tocca a te!», Miguel mi spintona un po’ lungo il corridoio e barcollo sui miei tacchi mentre mando giù in fretta uno shot di tequila.
Ho bisogno di alcool prima di riuscire a salire sul palco.
Lascio il piccolo bicchiere tra le mani del mio capo e mi fermo dietro il sipario, cercando di placare i battiti del mio cuore.
Butto fuori dalle labbra un po’ di aria e sistemo la gonna che indosso sopra un body di pelle nero.

Sento la musica farsi sempre più forte, poi la voce squillante del presentatore che annuncia il mio ingresso.
Ecco.
Il sipario si apre, le luci si puntano su di me e oscurano il resto del locale colmo di uomini e donne.
Più uomini, in realtà.
Mi chiamano la spogliarellista timida.
Perché?

Beh, punto primo: sono davvero una ragazza timida.
Le mie guance si colorano di rosso per molto poco e in genere non riesco a guardare negli occhi una persona per più di trenta secondi.
A meno che io non m’incanti, quella è un’altra storia.
Punto secondo: odio fare la spogliarellista ed è evidente.
Mia madre lo era e ho sempre trovato affascinante il suo mestiere.

I riflettori, gli abiti di scena e la sensualità sembravano scorrere nel suo sangue.
Ma non nel mio.
Piuttosto figure di merda e una buona dose di sfiga sembrano scorrere nelle mie vene.
E vabbè.
Non si può avere tutto dalla vita.
Dopo la morte di mia madre Miguel mi ha offerto un posto di lavoro ed io ho accettato a seguito di qualche ripensamento.

Avevo bisogno di un lavoro e in un paesino come il mio l’alternativa era fare da badante al vecchio John, un adorabile signore di ottant’anni con la passione di lanciare la dentiera come se fosse un frisbee.
E pretende che sia tu a portarla indietro.
Ehw.
Non voglio pensarci.

Sbatto le palpebre e mi muovo piano verso il pubblico, cercando di assumere un’espressione seria e professionale.
Ma so già che la mia faccia è rossa come un pomodoro.
Mi concedo un respiro profondo e comincio con il mio show, ricevendo dei fischi di approvazione quando mi libero della gonna e rimango con solo il body addosso.

Avrei dovuto bere più tequila.
Dannazione.
Mi sento ancora troppo in imbarazzo.
Perché non ho preso da mia madre?
Lei sì che ci sapeva fare.

Sospiro ancora e sbottono piano anche il body, muovendo i miei fianchi lentamente e puntando lo sguardo su Miguel che è dietro le quinte.
Il mio capo solleva i pollici e gli rivolgo un sorriso, quindi continuo con il mio spettacolo fino a quando la musica non finisce e posso andare via.
Scendo in fretta le scale e raggiungo i camerini, quindi chiudo la porta alle mie spalle e cerco di placare l’agitazione che sento nello stomaco.

«Dovevi bere più tequila», Amelia mi lancia una veloce occhiata prima di concentrarsi sul suo riflesso nello specchio per mettere un po’ di mascara sulle sue ciglia lunghe.
Annuisco con convinzione e prendo posto su una sedia, «Lo so. Mi abituerò mai a tutto questo? Sono mesi che lavoro in questo posto e non ci sono ancora riuscita»
«Devi prendere confidenza con il tuo corpo, tesoro», Nora, una delle spogliarelliste più anziane, poggia le mani sulle mie spalle e sorride gentilmente, «Anche tua madre era timida quando è arrivata qui»
«Davvero?», punto i miei occhi nei suoi azzurri e mordo l’interno della mia guancia.

«Davvero», conferma, quindi rigira una ciocca dei miei capelli tra le sue dita, «Ma con il tempo ci ha stracciate tutte. Era la più richiesta, sai?».
E mentre parla ripenso al modo in cui mia madre riusciva ad incatenare lo sguardo di tutti anche con un semplice sorriso.
Mi si forma un brutto nodo alla gola e mi limito ad annuire, incapace di aggiungere altro.

Mi manca.
Mi manca davvero tanto.
E mi chiedo se mi abituerò mai alla sua assenza o se continuerò per sempre ad immaginare di averla ancora accanto.

🍰🍰🍰

«Cristo Santo, fa freddo», strofino le mani sulle maniche della mia giacca di pelle color cuoio e mi siedo accanto ad Owen, uno spogliarellista che lavora per Miguel.
Dopo lo spettacolo di solito ci fermiamo a bere qualcosa in un bar che rimane aperto ventiquattr’ore su ventiquattro.
Amelia si siede di fronte a noi mentre un altro nostro collega, Ian, poggia sul tavolo quattro birre e comincia a stapparle con un accendino, «Il vecchio Bob non ha voglia di lavorare stanotte, quindi sono io il vostro cameriere», borbotta, «Però ci offre le birre».

Owen ride e solleva in fretta una bottiglia in direzione del barista che ci sorride da lontano prima di tornare a dormire sulla sua vecchia sedia di legno.
«Non possiamo metterci dentro? Qui sto congelando»
«Andiamo, Harper, siamo ancora a fine settembre. Cosa farai quando in pieno inverno ci verrà voglia di bere sotto il cielo stellato di gennaio?», Owen punta i suoi occhi scuri nei miei e sorride diabolico.

«Vi lascerò congelare da soli»
«Che stronza», Ian scuote la testa ed io scrollo le spalle.
Alzo gli occhi in direzione del cielo e mi godo per qualche istante il silenzio e la tranquillità di questo posto.
È Amelia ad interrompere la quiete: «Siamo state alla casa della famiglia Moore questo pomeriggio», parla in fretta ed io deglutisco; il volto di Nathan si fa subito spazio nella mia mente.

«Davvero?», Owen sistema una sigaretta tra le labbra e Ian gli passa l’accendino, «Perché siete finite lì dentro?»
«Volevamo vendere le marmellate», sistema una ciocca dei suoi capelli castani dietro l’orecchio e si lascia sfuggire un sorrisetto divertito, «Quel posto è davvero terrificante»
«Avete conosciuto Nathan Moore?», Ian parla come se avesse appena pronunciato il nome di un temuto fantasma.

«Anche lui è terrificante», dice in fretta la mia amica, «Ha due occhi blu davvero enormi che ti fanno venire i brividi»
«Non è poi così terrificante», farfuglio con poca convinzione e porto la bottiglia alle mie labbra per concedermi un lungo sorso, «È stato a casa mia».
Silenzio.
Owen smette di fumare, Amelia spalanca la bocca e Ian lascia cadere un po’ di birra sul tavolo.
Che esagerazione.

«Che ho detto?», corrugo la fronte, «Ho dimenticato la borsa e me l’ha riportata. Ha mangiato anche due miei cupcakes. Sapevate che è un medico?».
Ancora silenzio.
Si sono pietrificati o cosa?
Owen scuote la testa, «Stai parlando di Nathan Moore, Harper?»
«Sì?»
«Lo hai fatto entrare in casa tua?», Amelia sembra sconvolta.

«Anche lui ti ha fatto entrare in casa sua e gli hai sfondato la finestra»
«Gli hai sfondato la finestra?», Ian scoppia a ridere e la mia amica gesticola con una mano.
«È una lunga storia», borbotta e poi torna a puntare i suoi occhi scuri nei miei, «Quel tipo è stato a casa tua?»
«Sì», confermo, «E non ha cercato di uccidermi»
«Ma tu sai chi è quell’uomo?», Owen avvicina di più la sua sedia alla mia ed inspira il fumo prima di soffiarlo fuori dalle labbra.

«Nathan Moore?»
«Nathan Moore ha ucciso sua moglie», mi dice ed io rabbrividisco.
Ehw.
Ancora una volta nella mia mente si fanno spazio i suoi grandi occhioni blu.
«La moglie?», Ian corruga la fronte, «Credevo avesse ammazzato il fratello»
«Io credevo entrambi», continua Amelia, «Ma non penso abbia ucciso davvero qualcuno. Uhm, almeno lo spero»
«Perché non vi assicurate che un’informazione sia vera prima di parlare male della gente?», una strana rabbia si fa spazio dentro di me e mordo le mie labbra, «Insomma, lo accusate di un omicidio e non conoscete nemmeno la vittima»
«Perché lo stai difendendo?», Owen poggia la schiena sullo schienale della sedia e mi lancia una veloce occhiata, «Se girano tante voci orribili sul suo conto ci sarà sicuramente qualcosa di vero. Per sicurezza non farlo più entrare, non si sa mai».
Non si sa mai.

🍰🍰🍰

Okay, Harper, ci siamo.
Entri in quella casa, consegni la giacca e sparisci.
Via.
Più veloce della luce.
Deglutisco e mordo le mie labbra mentre osservo il grande edificio dalle mura grigie.
Mio Dio.
Perché deve essere tutto così cupo e terrificante?

Mi concedo un respiro profondo e supero il grande cancello aperto prima di percorrere il vasto giardino desolato.
Sulla piscina galleggia qualche foglia gialla e sussulto quando sento quel dannato corvo cominciare a gracchiare.
Ma lo fa apposta?
Aspettava me per cominciare?

Ignoro il formicolio all’altezza dello stomaco e sospiro, quindi stringo la giacca con una mano mentre con l’altra busso alla porta.
Sono solo dicerie.
Sono solo dicerie.
Sono solo dicerie.
Me la sto facendo sotto, dannazione.
La porta si apre e strozzo un urlo quando mi ritrovo davanti un vecchio signore vestito di nero.
Sembra scappato dalla tomba.

Lascia scorrere i suoi occhi grigi lungo tutto il mio corpo e fa una smorfia mentre osserva i miei jeans neri strappati sulle ginocchia.
Senti, nonno, si chiama moda.
Non mi guardare con quella faccia schifata.
«Bu-buon pomeriggio», mi schiarisco la voce e sollevo la giacca di Nathan, «Sono qui per-»
«Il suo nome, signorina»
«Eh?»
«Devo conoscere il suo nome per annunciare il suo arrivo»
«Ah», mi lascio sfuggire una risata e smetto subito nel momento in cui mi fulmina con lo sguardo.
Scusa.

«Sono Harper Brown, ma non c’è bisogno di annunciare il mio arrivo. Sto già andando via».
Il vecchio sistema il nodo della sua cravatta e si sposta per farmi passare, «Mi segua»
«Non posso lasciare questa a-»
«Mi segua», ringhia e sorrido nervosamente.
«Mi scusi», bisbiglio e chiudo la porta alle mie spalle.
Il silenzio torna ad essere assordante.

Attraversiamo il grande atrio buio e si sente solo il rumore dei miei passi.
Il vecchio galleggia nell'aria, praticamente.
Come fa ad essere così silenzioso?
Oddio, forse è un fantasma.
Allungo la mano e tocco la sua schiena per assicurarmi di non essere in grado di passargli attraverso.
Il signore si gira a guardarmi e non nasconde la sua espressione sconvolta, «Ma cosa fa?»
«Niente. Scusi ancora».
Okay.
È vivo.

Borbotta qualcosa sottovoce e apre una porta di legno, quindi raggiungiamo un lungo corridoio ed il mio corpo viene invaso dai brividi nel sentire il suono di un violino.
Sta per venirmi un infarto.
E tutti questi candelabri mi fanno impressione.
«Il signor Moore suona il violino?», bisbiglio.
«No»
«Le gemelline?»
«No»
«Okay».
Che ansia.

Stringo la giacca tra le mie mani e l’uomo apre un’altra porta che mostra un’ampia ed elegante sala da pranzo.
Io sbatto le palpebre e sporgo la testa per riuscire a vedere oltre il corpo del signore.
E ciò che vedo mi fa schiudere le labbra.
Una ragazza è in piedi vicino al tavolo e sta suonando il suo violino, il viso assorto e concentrato.
Non sembra accorgersi della nostra presenza o semplicemente ci sta ignorando.
Forse la seconda.

Deglutisco e osservo il resto dei presenti, quindi la mia gola si secca nel trovare gli occhi di Nathan Moore su di me.
È seduto all’estremità del tavolo, proprio come un principe o un capofamiglia.
Non sembra stupito di vedermi, anzi.

Mi rivolge un sorriso agghiacciante e inarca la testa da un lato, «Signorina Brown», parla e la musica cessa immediatamente.
Tutti i commensali si girano a guardarmi e rabbrividisco per l’ennesima volta.
«Sono qui pe-per»
«La giacca», finisce lui per me ed io annuisco freneticamente.

«La ringrazio», il suo pomo d’Adamo va su e giù e il suo sguardo indugia per qualche istante sui miei jeans, «È caduta un’altra volta?».
Ma che diavolo avete contro gli strappi sulle ginocchia?
«No», mormoro, «Sono alla moda»
«Alla moda», ripete, il tono di voce divertito e beffardo.
Mi sta prendendo in giro, praticamente.
La ragazza osserva il suo tubino elegante blu e poi lancia un’occhiata ai miei vestiti.
Lei non sembra molto disgustata, anzi.
Forse capisce.

«Ehm, io comunque adesso me ne andrei», avanzo verso il tavolo e poggio la giacca sullo schienale di una sedia vuota.
Tutti i presenti continuano a fissarmi come se fossi un alieno.
E comincio a sentirmi un insetto in mezzo a tutta questa eleganza e sobrietà.
Un giovane uomo, seduto accanto a Nathan, mi osserva con i suoi occhi scuri mentre si avvicina al viso del signor Moore per sussurrare qualcosa al suo orecchio.
E non ci vuole un genio per capire che gli sta parlando di me.

Il medico annuisce lentamente, le iridi blu ferme sul mio viso, «Si accomodi, signorina Brown», indica una sedia e drizzo la schiena.
Ma anche no.
«Ho un impegno molto importante e ho già mangiato», indietreggio verso la porta e strozzo un urlo quando il vecchio di prima mi ferma.
Oddio.
Vogliono sequestrarmi.
«Non le ruberemo molto tempo», afferra un tovagliolo bianco e passa la lingua sulle sue labbra rosse, «Si accomodi», ripete, «Voglio presentarle la famiglia Moore».

Buona sera! ❤️🌹
Eccomi con un nuovo capitolo!
Ho passato una domenica noiosa da morire, voi invece? Cosa avete fatto oggi?
Sappiate che wattpad continua a cancellare le mie risposte.
Cioè, io rispondo e lui mi elimina i messaggi un secondo dopo.
Quindi boh, io spero che questa situazione si risolva presto.
Cosa ne pensate di ciò che si dice su Nathan? E siete curiose di conoscere la famiglia Moore?
Fatemi sapere.
Un bacio.❤️

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