Capitolo 19 - guarda l'ora...
11.11.2007
Ore 8,40
Ti aggiri per questo parco in silenzio.
La testa bassa.
Gli occhi spenti.
E la paura di incrociare il mio sguardo.
Forse non sei davvero l'uomo senz'anima che ti imponi di essere.
Forse c'è qualcosa di più.
Qualcosa che ti brucia dentro fino ad impedirti di vivere.
Ed io vorrei trovare la forza di dirtelo.
Così, come al tempo stesso, prego di non trovarla.
Perché se te lo dicessi, allora ci crederei anche io.
E difendermi da te diventerebbe impossibile.
Da questo maledetto calore che mi sale nello stomaco quando ti osservo da lontano.
Questo stramaledetto bruciore che mi squarcia la gola quando mi sei accanto.
Quando vorrei solo allungare le dita.
E sfiorarti i pensieri.
Lasciando a te il compito di sfiorarmi la pelle.
E di farmi tremare.
Quanta paura mi fai, Severus.
Quanta paura mi faccio io stessa.
Quando sei al mio fianco.
Ho il terrore che il castello di carte su cui ho edificato la mia vita, possa crollare sotto il peso insostenibile di un tuo sguardo gelato.
E io non sono così.
Non lo sono mai stata.
Ho avuto un amore sterile, perché dovevo averlo.
Perché era quello che tutti si sarebbero aspettati da me.
Ho sospirato di passioni sintetiche.
Ho allargato la bocca, lasciando uscire sentimenti laconici.
Mi sono finta quello che dovevo essere.
Per essere perfetta.
E adesso?
Cosa sono adesso?
Una donna dal potere quasi infinito.
Dal passato rinchiuso in una scatola.
Dall'anima asettica.
E arrivi tu.
Con la tua voce strascicata.
Con i tuoi atteggiamenti sempre sul limite del insopportabile.
Con la tua intelligenza sottile.
Con il tuo sarcasmo senza riserve.
E con le tue mani sapienti.
Che mi fanno mettere in discussione ogni mia certezza.
E vorrei solo tornare ad essere il ministro senza sentimenti.
Quella che guarda il mondo dall'alto in basso.
Senza avere paura di niente.
E di nessuno.
E non ci riesco.
Anche adesso che ti vedo camminare davanti a me.
Nascosto nella tua eleganza nera.
E vorrei solo prenderti la mano.
Stringerla nella mia.
E farmi portare in posti lontani.
Nel tuo mondo fatto di tenebra.
Di libri.
E di notti infinite.
Di colpo ti fermi.
Ti vedo chinarti ai piedi della grande quercia che ha protetto la mia paura, solo pochi minuti fa.
Ti osservo analizzarla con i tuoi occhi attenti, ai quali quasi nulla riesce a sfuggire.
Il sole è ormai alto nel cielo.
E la vita ha ricominciato a vorticare in questa cittadina sonnolenta, a pochi chilometri da un mare ghiacciato.
Ci passa intorno con noncuranza.
Abituata a vedere scorrere gli uomini tra le sue spire.
A sbeffeggiarli con la sua imprevedibilità tagliente.
Le persone passeggiano nel parco.
Una scolaresca di bambini passa in lontananza.
I più intrepidi si avventurano nel freddo pungente, armati solo di maglietta e pantaloncini dai colori sgargianti.
Corrono nella nebbia appena scomparsa del mattino.
Alcuni ci guardano.
Con i loro vestiti palesemente normali.
Così scontati nel loro cercare di passare inosservati in mezzo ad un mondo che ignora la nostra esistenza.
Mi riconoscono.
Maghi e streghe che bivaccano lontano dal cuore pulsante di Londra.
Lontano dalla vita frenetica a cui ci siamo costretti.
Si avvicinano.
E io sorrido.
Con quell'arte imparata negli anni.
Quella che mi permette di mantenere saldo il potere.
Per farmi amare.
Per farmi temere.
Per farmi restare lassù, dove posso comandare anche il tempo.
Il tuo sguardo li intercetta per un instante.
Indugia sul mio.
Poi torna al suo lavoro.
Ti avvicini alla corteccia.
Con le dita sembri tastare il vestito secolare del vecchio tronco ritorto.
Mi avvicino piano.
Con la paura di non sostenere il calore della tua pelle.
E di lasciarmi assorbire ancora una volta dal tuo profumo.
Le persone mi accerchiano.
Mi hanno quasi raggiunta.
Di colpo un odore pungente si sprigiona tutto intorno.
Ti giri di scatto.
Mi corri incontro.
Hai gli occhi pieni di fiamme.
Io sento il fiato mancare.
Improvvisamente sembra che l'aria fatichi ad entrarmi nei polmoni.
Sento la testa scoppiare.
Le gambe cedere.
Mi guardo intorno spaventata.
E ritrovo la mia paura negli occhi della gente.
Alcuni sono accasciati a terra.
Altri si tengono le mani sul collo.
Cercando di inalare un ossigeno che sembra non voler passare nelle narici.
I loro occhi sono iniettati di sangue.
Mi gira la testa.
Di colpo il buio mi inghiotte.
Con gli ultimi barlumi di lucidità avverto le tue mani sostenermi.
Un liquido amaro mi scivola nella bocca.
Sento l'impulso di vomitare.
E poi...
Poi più niente.
La luce del sole mi abbaglia le palpebre.
Un dolore sordo mi martella nelle tempie.
Apro gli occhi lentamente.
Mentre riconosco i contorni sfocati del mio studio.
Della grande finestra sui tetti.
Mi porto una mano alla testa.
Sembra che mi sia passato addosso uno schiacciasassi.
- "Bevi questa!"
Un bicchiere, colmo di acqua fino all'orlo, entra nel mio campo visivo.
Insieme alla manica della tua casacca.
Dove piccoli bottoncini rivestiti di stoffa nera sfilano sotto il mio sguardo incerto.
Cerco di mettermi a sedere.
Una fitta spaventosa mi fa venire nuovamente voglia di vomitare.
- "È normale... Bevi questa ti ho detto!"
Obbedisco stancamente.
Svuoto il bicchiere con poca eleganza.
Mi sembra di avere la gola ricoperta di sabbia.
Mi stropiccio gli occhi.
Riacquisto lentamente la facoltà di restare seduta.
Lo faccio a fatica.
Mentre intuisco i tuoi passi allontanarsi.
Lascio scivolare le gambe giù dal divano.
Vedo i miei piedi nudi.
Devi avermi sfilato le scarpe col tacco.
Le intercetto a poca distanza, ordinatamente riposte accanto alla mia scrivania.
- "Cosa è succes..."
Improvvisamente mi ricordo tutto.
E il fiato mi manca.
Spalanco la bocca.
Mi giro velocemente.
Ti cerco con lo sguardo.
Ti trovo.
Sei seduto sulla mia poltrona, a ridosso della scrivania.
Un gomito appoggiato su un bracciolo.
Una mano abbandonata sull'altro.
Hai gli occhi spenti.
Intenti a perdersi al di là del vetro ancora appannato della finestra.
- "Non ho fatto in tempo..."
Lo sussurri piano.
Con un filo di voce.
Senza distogliere lo sguardo dall'infinito.
- "Quelle persone, al parco...?"
Mi stiletti con lo sguardo.
Resti immobile un istante.
- "Sono tutti morti..."
Torni ad osservare il nulla.
Per un attimo in cui sembra che anche il tempo si sia fermato.
Infine ti alzi.
Afferri la caraffa dell'acqua sulla mia scrivania.
Ne versi un nuovo bicchiere.
Dai una lunga sorsata.
Poi me lo porgi.
- "Non avevo abbastanza antidoto...
E comunque non avrei fatto in tempo.
Ho dovuto decidere chi salvare... E ho scelto te."
Lo dici atono.
Tornando ad importunare i miei occhi con il tuo sguardo nero.
- "E tu?"
Lo chiedo senza riflettere.
Non so nemmeno il perché.
La risposta è così ovvia.
E la domanda così stupida.
Ma devo interrompere il silenzio.
Devo farti parlare.
Per non riuscire a scorgere fino in fondo la tua tristezza.
Quella che vorresti nascondermi.
Senza riuscirci.
Sollevi un sopracciglio.
In quel modo arrogante.
Di un'eleganza sconfinata.
Che riesce a farmi esplodere il petto in mezzo all'orrore.
- "Io non vado alla ricerca di un veleno senza avere prima ingurgitato un antidoto, ragazzina!"
Sorrido un istante.
Sei sempre sprezzante.
Sempre tagliente.
Eppure sei così diverso, adesso.
Hai così tanti fantasmi stretti negli occhi.
Bevo l'acqua che mi hai infilato in mano con poco grazia.
Solo alcuni istanti fa.
- "Quando sei pronta rimettiti le scarpe.
Andiamo ad Hogwarts!"
Ti rivolgo uno sguardo sorpreso.
- "Perché?"
- "Perché sei appena stata avvelenata da un pazzo assassino.
E non è il caso che tu resti sola, né adesso, né questa notte!"
Mi alzo dal divano.
I piedi nudi affondano nella moquette color corda che ho scelto con cura, solo qualche anno fa.
Rintraccio le scarpe.
Le inforco.
Barcollo per un attimo.
Le tue braccia mi sorreggono.
Mi stringono.
Mi rapiscono il cuore.
Facendolo battere ad un ritmo insostenibile.
Mi allontano di scatto.
Non voglio concederti il lusso di fare di me quello che vuoi.
Come riesci a fare sempre.
- "Non ho bisogno di una balia. Sto bene!"
Ti volti.
Mi fulmini con lo sguardo.
- "La mia non era una richiesta, ragazzina!"
Mi fai ribollire il sangue nelle vene.
Come fai sempre.
E scateni gli istinti più bassi del mio essere donna.
Contemporaneamente.
E ti odio per questo.
E ti desidero fino alla pazzia.
Maledizione Severus!
Ma possibile che tu non lo capisca?
Non posso passare la notte con te.
Non posso passare più un solo minuto con te.
Perché mi ritroverei ad amarti.
Mi ritroverei a dipendere da te.
Ad avere bisogno di te.
E io non voglio.
Non voglio te.
E non voglio questo noi così assurdo.
- "Forse ti sei dimenticato che c'è ancora un veleno a Leeds pronto ad esplodere!
E rifugiarci in un castello arroccato in mezzo al nulla non mi sembra una grande idea, professore!"
Sollevi il sopracciglio, ancora.
Poi mi rivolgi uno sguardo schifato.
- "Guarda l'ora..."
Lo sibili con noncuranza.
Io non capisco.
Tiro su la manica del tailleur frettolosamente.
L'orologio di mio padre fa capolino dalla seta della camicia.
Spalanco la bocca.
- "Maledizione! Quanto tempo sono rimasta addormentata?"
Ti lasci scappare un ghigno beffardo.
- "Otto ore..."
Ti volti di scatto.
Mi prendi sgarbatamente il bicchiere dalle mani.
Lo riempi ancora.
Me lo porgi.
- "Otto ore nelle quali io sono andato a Leeds, ho rintracciato le capsule, le ho tolte dal loro fottuto alloggiamento, e le ho riportate qui."
Lo dici cercando qualcosa nel mantello.
La trovi.
Con due dita mi mostri il frutto della tua ricerca.
Nascondi a stento un sorriso beffardo.
- "Quelle sono...
E se scoppiano adesso?!"
Lo chiedo con un misto di terrore e ansia celato nella voce.
- "Se scoppia adesso, abbiamo tanto di quell'antidoto in corpo, che probabilmente non riuscirebbe nemmeno a farci venire voglia di starnutire!"
Spalanco la bocca.
- "Quindi abbiamo vinto, Severus?"
Lo chiedo trattenendo un sorriso.
Sentendo le lacrime premere agli angoli degli occhi.
Tu mi rivolgi uno sguardo gelido.
- "Se consideri altre nove persone morte questa mattina una vittoria, allora sì, abbiamo vinto..."
Lo dici senza calore.
Quanto è logora la tua anima Severus?
Quanto hai dovuto sopportare per ridurti ad essere incapace di assaporare la felicità?
E io non sono abituata a vederti così.
Tu sei l'uomo senza cuore.
Tu sei l'uomo avvolto da un ghiaccio mai sciolto.
Devi essere questo!
Perché questa tua umanità appena nascosta sotto un'armatura inespugnabile, mi fa a pezzi quel poco che resta della ragione.
Ti rivolgo un sorriso.
È così maledettamente libero da ogni finzione.
Così maledettamente vero.
E mi fa paura.
- "Sì, abbiamo vinto, Severus!"
Sfido con la mia voce il tuo sguardo di tenebra.
E tu increspi appena le labbra.
Poi guardi oltre la finestra.
I tuoi occhi si perdono di nuovo.
Li seguo distrattamente.
Due aquiloni volteggiano nell'aria, sfidando nuvole barocche cariche di pioggia.
Sembrano così liberi.
Si alzano sopra il dolore, sopra alla paura, sopra il mondo degli uomini che si affannano in una vita da continuare a vivere.
Sopra alla mia vita.
Alla tua vita.
Alle nostre finzioni, alle nostre maschere.
E io vorrei solo essere capace di volare lassù.
E tornare ad essere vera.
Tornare ad assaporare la sensazione bellissima del non sapere dove mi porterà il vento.
E di lasciarmi andare.
Così al di sopra di tutto.
Così al di sopra di noi.
Osservo il tuo viso perdersi per un attimo nei disegni del vento.
Poi ti volti.
Riafferri il gelo a cui ti costringi, lasci che ti violenti gli occhi.
Ancora una volta.
E io ti ringrazio per non farmi vedere di nuovo l'uomo che nascondi.
Perché potrei soccombergli.
Potrei desiderare di afferrargli la mano e di farmi portare in alto, in mezzo al volo degli aquiloni.
Tu inforchi il mantello.
Ritrovi la tua voce di ghiaccio.
- "Se vuoi restare, resta!
Fai cosa quello che credi..."
Ti dirigi verso la porta.
Abbassi la maniglia.
Fai per uscire.
Poi ti volti.
Mi guardi.
- "Domani convoca il tuo amichetto con gli occhiali.
Ci sono nuovi mangiamorte in giro da dover rintracciare, catturare e rinchiudere..."
Lo sibili appena.
Inforchi l'uscita.
Sparisci dalla stanza.
E io mi ritrovo da sola.
Con il tuo odore ancora sui vestiti.
E con una solitudine che, per la prima volta, mi schiaccia in una tristezza irreale.
Forse non tornerai mai più.
Forse ti rinchiuderai ancora una volta nel tuo regno silenzioso di alambicchi e boccette.
E a me resterà il ricordo delle tue mani da provare a dimenticare.
Il ricordo dei tuoi occhi da spingere in un baule, gettando via la chiave.
Insieme ad una felicità contorta a cui non ho saputo dare un nome.
Sento una lacrima colarmi sulla guancia.
Libertà e dolore si mischiano.
Il petto si squarcia.
L'Hermione ancora nascosta dentro di me vorrebbe strapparsi questo tailleur di dosso, infilarsi un paio di jeans sgualciti, e correrti dietro.
Vorrebbe fermarti.
Implorarti di tirare fuori ancora una volta la ragazzina timida.
Desiderosa di un sentimento tanto scomodo quanto necessario.
Mentre il Ministro senz'anima, quello no.
Quello si sente libero.
Da te.
Dal tuo maledetto incantesimo.
Da questo qualcosa di assurdo che mi tiene incatenata ai tuoi occhi.
Senza darmi possibilità di scelta.
È giusto così.
Vattene Severus.
Vattene e non tornare mai più.
Fammi ritrovare la donna di vetro.
Lascia che mi ripossieda il corpo, che mi imprigioni nuovamente l'anima.
Mi porto una mano alla fronte.
Stringo le tempie.
Mi faccio male.
Osservo il bicchiere su cui hai poggiato le labbra solo pochi istanti fa.
E piango.
Perché, per quanto io mi ostini a non volerlo ammettere, mi manchi tanto da impedirmi di respirare.
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