Capitolo 16 - Severus...
9.11.2007
Ore 10,40
La notte è stata un inferno.
Non sono riuscita a chiudere occhio.
Nemmeno quando hai smesso di sfogliare convulsamente ogni libro in tuo possesso.
Nemmeno quando hai finito di catalogare ogni formula possibile, ogni soluzione plausibile, ogni ipotesi percorribile, che potesse portarti a capire come il signore oscuro possa aver fatto ad incapsulare quel maledetto veleno.
Nemmeno quando hai inforcato la porta della tua stanza, lasciandotela chiudere alle spalle, ed abbandonandomi sui cuscini che portavano impressa ogni sfaccettatura del tuo odore.
Mi sono rigirata sul divano del tuo studio come un'anguilla in un secchio d'acqua, senza riuscire a trovare una soluzione.
A questo fottuto mistero.
E a noi.
Perché, per quanto io provi ad oppormi con tutta me stessa, un noi esiste.
È fatto di sesso, di sguardi carichi di distacco, di sudore e di una finzione mantenuta a fatica.
Ma c'è.
E questo mi fa paura.
Più di un mostro che minaccia di tornare.
Più di una nuova guerra da dover affrontare.
Perché non sono pronta a perdere la mia freddezza.
Non con te.
Anche se vorrei poterla seppellire sotto il tuo mantello nero, e lasciarmi avvolgere dalla tua voce gelata.
Dai tuoi modi così elegantemente sgarbati.
Dalle tue mani piene di segreti.
La pioggia non ha smesso di riversarsi su una Londra ormai grigia, di disegnare linee effimere sul mio vetro affacciato sul mondo.
Sono scappata alle prime luci dell'alba.
Per rifugiarmi qui, nell'unico posto che riesce ancora a rendermi palese il perché devo oppormi a questo sentimento.
Perché devo oppormi a te, e alle sensazioni così meravigliose che sai regalarmi.
E adesso me ne resto quassù, con un caffè ormai freddo stretto in una mano e con il mio cuore arido impugnato malamente nell'altra.
Ad osservare la vita inconsapevole degli uomini, che si affannano sotto la mia finestra, impegnati con ogni briciolo di forza a non accorgersi di nulla.
L'interfono gracchia stancamente sulla scrivania.
Mi riporta ad una realtà che comincia a stringermi i polmoni.
Ad impedirmi di respirare.
- "Dottoressa Granger, il signor Potter è arrivato.
Posso farlo entrare?"
La voce di Kimberly attraversa la stanza in tutta la sua reverenza forzata.
Mentre avverto Harry parlare al di là della porta.
- "Fallo entrare!"
Lo dico con poca grazia.
Come faccio sempre.
Perché mi da fastidio tutto.
Lei prima di altro.
Così come mi da fastidio questa scrivania dietro la quale mi costringo, imprigionata nel mio personaggio asettico.
Così come mi da fastidio il sapore di un caffè che qualche giorno fa hai definito scadente.
Riuscendo, con la forza intangibile di un tuo pensiero lasciato uscire per caso, a farmi cambiare persino il modo di avvertire i sapori.
Stravolgendo abitudini che mi permettevano di sentirmi al sicuro.
E mi detesto.
Per essere vittima dei tuoi occhi.
Delle tue parole.
E del tuo mondo scuro che mi sembra diventato necessario come l'ossigeno.
Perché io non ho bisogno di te.
Non devo avere bisogno di te.
- "Hai novità, Herm?"
La porta si spalanca.
Harry irrompe nella stanza con tutta la sua allegria disordinata.
Con tutta la sua normalità e con la sua vita diventata perfetta.
Mi strappa alle immagini di una notte che continua a rimbombarmi in ogni angolo della mente.
Gli indico distrattamente una delle sedie davanti alla scrivania.
Gli lancio il pacchetto di sigarette, dopo averne estratta frettolosamente una io stessa, ed averla accesa lasciando al tabacco il compito di portarsi via l'amaro di un caffè schifoso.
So che di qui a poco me ne chiederà una.
Non appena avrà sentito la mia storia.
Mi abbandono con la schiena sulla poltrona.
Lascio passare qualche secondo, mentre lo guardo dritto in quegli occhi verde smeraldo che trasudano un'intelligenza innata e una forza conquistata negli anni.
- "Ho scoperto cosa sta succedendo...o meglio, Severus lo ha scoperto!"
- "Severus..."
Abbassa gli occhiali sul naso, mentre mi prende per il culo senza troppe riserve.
E mi guarda immobile.
Con un sorriso fastidioso ad arricciargli la bocca.
Mentre non si astiene dal farmi notare quanto una confidenza temuta sia diventata normale.
Quanto il tuo nome lasciato uscire dalle mie labbra tradisca un contatto diventato più profondo.
Lo ignoro.
Come provo ad ignorare la fitta sorda che mi colpisce lo stomaco nel sentirlo pronunciare, il tuo maledetto nome.
Do una nuova boccata alla sigaretta.
Lunga, profonda.
Il fumo mi invade la bocca, mi fa bruciare la gola, poi affonda nei polmoni, ed infine si libra nell'aria ormai stantia della stanza.
Dieci minuti dopo gli ho raccontato per intero la storia di un mostro.
E di una leggenda.
Gli ho raccontato di una stella, e della morte.
Gli ho raccontato ogni particolare di questa notte, tralasciando a fatica quelli che mi vedono nuda, su un divano a ridosso del fuoco, in balia delle tue mani di ghiaccio che mi hanno fatta bruciare.
E mi rendo conto che vorrei solo urlargli in faccia che sì, per me tu sei Severus.
Sei l'uomo che mi toglie il fiato.
Che non mi fa dormire.
Che fracassa con una noncuranza immobile ogni maschera che provo con forza a tenermi aggrappata al volto.
Ma non lo faccio.
Perché non posso permetterlo.
Non posso permetterti di diventare reale.
Di farmi perdere la lucidità che mi mantiene ancorata a questa poltrona.
Ad un potere desiderato per tutta la vita.
Ricaccio a gomitate in fondo al petto il ricordo dei tuoi occhi, mentre mi possedevi lentamente.
Mentre mi guardavi come avrei voluto essere guardata da tutta la vita.
Bevo un sorso di caffè.
Fa sempre più schifo.
Harry non parla.
Sembra che stia valutando quello che gli ho lasciato scivolare addosso senza tanti convenevoli.
Che stia saggiando la possibilità dell'esistenza di un pericolo tanto spaventoso.
Di colpo si riscuote.
Mi guarda negli occhi per un istante.
- "Piton sta cercando di capire cosa può essere ad aver trattenuto il veleno per tutto questo tempo, immagino..."
Faccio un cenno di assenso frettoloso.
Lui annuisce in silenzio.
- "Quindi dobbiamo solo aspettare che il genio di ghiaccio trovi la soluzione..."
Sollevo lo sguardo.
Do una nuova boccata alla sigaretta.
- "Esattanente..."
L'interfono gracchia ancora.
Faccio per poggiare il dito sul solito pulsante verde.
Quello che mi permetterà di farmi importunare nuovamente dalle ansie infinite di Kimberly.
La porta si apre.
Sento il cuore salirmi nella gola, mentre la tua figura nera conquista interamente la luce che proviene dal corridoio.
- "Hai ancora contatti con Paciock?"
Me lo chiedi senza preamboli.
Nella tua capacità sgarbata di catalizzare la mia attenzione, senza chiedere il permesso.
Ti guardo torva per un istante.
Poi mi arrendo.
Ti lascio conquistare il centro della stanza, senza importi l'ennesima ramanzina che so per certo essere inutile.
- "Pochi. Ma posso trovarlo con facilità."
Lo dico stancamente.
Con una finta noncuranza che temo tu possa smascherare.
- "È in Irlanda. A Nord da quello che so..."
Harry interrompe i nostri sguardi che si sfidano in un'immobilità apparente.
Poi si volta verso di me.
Prosegue.
- "È andato a studiare una qualche pianta curativa. L'ho sentito la settimana scorsa."
Mi sorride.
Poi guarda te.
Si lascia scappare un minuscolo accenno di vittoria sul volto.
Tu sollevi un sopracciglio, con l'aria schifata che riservi ad ogni essere umano che abbia l'ardire di frapporsi tra te e il silenzio.
Punti gli occhi nei miei.
E io provo a restare impassibile.
Ad inghiottire i battiti di un cuore che sento risalirmi la gola.
- "È un'alga, Hermione."
Me lo dici freddo.
Senza degnare Harry di un solo sguardo.
Corruccio la fronte.
Faccio per parlare.
- "Posso trovarla, ma mi serve tempo.
E non ne abbiamo..."
Ti interrompi.
Rivolgi ad Harry un'occhiata schifata.
- "Immagino tu abbia già messo a parte del problema il tuo leggendario amichetto..."
Lo sibili quasi con fastidio.
Prima di tornare ad affondare il tuo sguardo nero nel mio.
Che non aspetta altro.
Anche se mi prenderei a schiaffi.
Mi impongo di rimanere immobile.
Di lasciarmi sfuggire solo un impercettibile segno di assenso.
- "Allora chiamalo. Fallo rientrare immediatamente.
Ho bisogno dei suoi studi per velocizzare il lavoro."
Lo dici frettolosamente.
Poi ti volti.
Inforchi la porta.
Fai per andartene, con la stessa irruenza con cui sei entrato.
- "Sai dove trovarmi..."
Sibili .
Prima di sparire.
Prima di lasciarmi con un altro ricordo della tua voce da dover metabolizzare.
E con una nuova immagine dei tuoi occhi da cui provare a difendermi.
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