Capitolo 14 - questo devi dirmelo tu
8.11.2007
Ore 22,30
- "Perché non so quanto riesco a resistere ancora, senza strapparti i vestiti di dosso."
La sua voce scivola sulle pietre.
Mi trafigge lo stomaco.
Mi blocca il fiato.
Perché so che per lui sarò solo una nuova scopata.
Una delle tante.
So che non potrò avere nulla di più.
Non da lui.
Non da Severus Piton.
L'uomo solitario, avvolto in un mistero eterno.
Come d'altronde lui non potrà avere nient'altro da me.
Perché non posso concedermene il lusso.
E non me ne importa nulla.
Vorrei solo le sue mani sul mio corpo.
Ancora.
- "E cosa ci troveresti di sbagliato in questo?"
Glielo domando.
E tremo.
Perché ho paura della risposta.
Ma brano di averla.
Qui.
Adesso.
Voglio solo che si alzi da quella fottuta poltrona.
E che mi prenda su questo divano malconcio.
- "Questo devi dirmelo tu, Hermione..."
Lo dice piano.
Mi guarda negli occhi.
- "L'altra sera dovevi sentire che c'era qualcuno capace di tenerti testa.
Qualcuno capace di liberarti da un ruolo che ti teneva imbrigliata.
Ma adesso?
Hai davvero bisogno di uno come me?"
La sua voce è diversa.
Sembra che parli senza una finzione di plastica costruita negli anni.
Ho l'impressione di averlo davanti.
Per la prima volta.
Lui.
E i suoi occhi che mi accartocciano una risolutezza conquistata col tempo.
Chiudo le palpebre.
Mi abbandono all'oscurità per un attimo.
Cercando il coraggio di dirglielo.
Faccio un respiro profondo.
Dischiudo le labbra.
- "Io non ho bisogno di uno come te, Severus.
Io voglio te."
Riapro gli occhi.
Lui mi guarda. Sempre immobile. Sempre imprigionato nella sua casacca perfetta.
Fa un sorriso obliquo.
Si alza.
Fa due passi incerti verso il divano.
Poi si blocca. Le sue iridi lampeggiano.
- "Non posso darti niente, Hermione.
Io sono tutto qui.
Quello che vedi.
Un mare di libri, un vestito nero come l'anima, un carattere di merda e una solitudine durata troppo a lungo."
Non cambia espressione. Non sorride.
Non solleva il suo maledetto sopracciglio.
Mi guarda e basta.
Faccio un passo verso di lui. Mi avvicino.
Gli accarezzo una guancia.
- "...e se non avessi nient'altro da chiederti?
Pensi che abbia bisogno di te?
Io non ho bisogno di nessuno.
Io non voglio essere amata.
Né protetta.
Voglio solo una scopata.
Un'altra dannatissima scopata."
Glielo sussurro sulle labbra.
E vorrei solo che fosse vero.
Che mi bastasse questo.
Sento il suo cuore accelerare i battiti.
Poi riprende il controllo.
Con la maestria e l'abitudine all'inganno di cui è padrone.
Io lo bacio.
Lui si ritrae.
- "Adesso sei tu ad avere paura, Severus!"
Mi punta negli occhi uno sguardo glaciale.
Immobile ed infinito.
Pieno di fiamme pericolose.
- "E adesso dimmelo tu, professore.
Vorresti uccidermi o scoparmi?"
Solleva un sopracciglio.
Non ama sentirsi con le spalle al muro.
Non sa farlo.
È abituato a terrorizzare il mondo.
E non a provare terrore.
Vedo le sue iridi accendersi di luce per un istante.
Poi avverto la sua mano afferrami delicatamente i capelli stretti nello chignon.
Mi tira la testa all'indietro.
Mi sovrasta con il suo viso.
- "Scoparti..."
Lo sussurra piano.
Sento il suo fiato accarezzarmi il viso.
Faccio per baciarlo.
Allungando il collo per raggiungere le sue labbra.
Lui mi precede.
Intuisco la sua lingua invadermi la bocca.
Le sue mani scivolano sul mio corpo.
E a me sembra che l'ossigeno torni ad invadermi i polmoni.
Le sue carezze si fanno più profonde.
Raggiungono il mio seno.
Mi lascio scappare un sospiro.
Lui corre a smorzarlo con le labbra.
Mi slaccia la gonna.
La sento scivolare sul pavimento.
Allungo le mani.
Afferro i bottoni della sua casacca.
Li aggredisco piano.
Uno per volta.
Mentre lo guardo negli occhi.
Lui mi lascia fare.
Non si muove.
Continua a puntarmi quel suo sguardo gelato addosso.
Uno sguardo che sento quasi bruciare sulla pelle.
La camicia bianca fa capolino dalla stoffa nera.
È immacolata.
Sottile.
Così diversa da tutto quello a cui mi ha abituata.
Insinuo le dita nell'allacciatura.
Accarezzo la pelle del suo petto.
Lui sospira.
E io mi lascio invadere dal suono sublime del suo piacere.
Dal suo respiro.
Così vicino da sentirne l'odore.
Gli faccio cadere a terra la casacca.
Gli sfilo la camicia.
Lui mi afferra per i fianchi.
Mi trascina verso il divano.
Mi bacia.
La bocca.
Il collo.
Il seno.
Slaccia i bottoni che tengono ancora chiusi i due lembi di seta sottile.
Mi scosta il reggiseno.
Mi bacia ancora.
Scende con la lingua sulla pancia.
Raggiunge l'ombelico.
Si ferma.
Mi guarda negli occhi.
Io socchiudo le gambe.
Voglio che scenda ancora.
E lui lo sa.
Come ha sempre saputo tutto il resto.
Insinua le dita sotto le mie mutandine di pizzo.
Le scosta leggermente.
Sento la sua lingua accarezzarmi le cosce.
Sospiro.
Lui continua. Raggiunge il mio piacere, affondando la lingua dentro di me.
E io grido. Per un attimo.
Prima di riprendere il controllo. Di lasciargli scivolare le dita tra i capelli.
Inarco la schiena.
Lui continua a farmi godere di un'estasi quasi sconosciuta.
Poi solleva lo sguardo.
Ho il viso arrossato. Lo so.
Lui sorride.
Corre a baciarmi le labbra.
Mentre sento le sue dita entrarmi dentro, lentamente.
Gli mordo una spalla, cercando di trattenere un nuovo urlo di piacere.
Si allontana. Mi sorride. Ancora.
Un sorriso obliquo. Carico di desiderio.
E io gli afferro le natiche.
Voglio che mi faccia sua. Ancora una volta.
Voglio sentirmi posseduta dal suo corpo, in balia delle sue mani.
Lo fa. Senza aspettare.
Perché mi capisce. Perché mi legge l'anima. Senza mai dover dire una sola parola.
Con una spinta decisa mi blocca il respiro.
Mi guarda. Mi afferra le mani. Me le porta sopra alla testa. Mi bacia le braccia continuando a possedermi piano, con un ritmo lento che mi lascia sentire ogni più impercettibile movimento dei suoi muscoli tesi.
È un amplesso lungo. Lento.
Così diverso da quello che ci siamo rubati sulla sua scrivania qualche giorno fa.
Lasciamo che il tempo scorra.
Mentre i nostri corpi si fondono. Si studiano. E si scoprono.
Mentre i miei sospiri saturano la stanza deserta. Mentre il sudore lacca di una patina lucida la nostra pelle e il fuoco brucia nel camino, accendendo i suoi occhi di scintille arancioni che sembrano squarciare il buio della stanza.
I suoi occhi che vogliono scoprire i miei.
Ad ogni sospiro. Ad ogni orgasmo che mi concede con il suo corpo.
Di colpo si ferma. Mi bacia.
Un bacio lungo. Profondo, ma delicato.
Si solleva sulle braccia.
Con una nuova spinta affonda ancora una volta nella mia carne.
Vedo i suoi occhi chiudersi.
Il suo viso lasciarsi travolgere dal piacere.
Quel piacere di cui sento il calore riempirmi le membra, per poi scivolare sulle cosce, inondando la pelle lisa del divano.
Resto immobile.
Pregando perché non si alzi. Perché non corra a nascondersi dietro il personaggio che lo costringe. Quel personaggio freddo a cui ha abituato il mondo. E che io mi sono scoperta a desiderare.
Prego perché resti qui. Nudo su di me. A farmi respirare ancora il suo odore.
Anche se non vorrei farlo.
Anche se vorrei scacciare con ogni briciolo di forza questo fottuto sentimento.
Sento il suo cuore rallentare i battiti.
Poi le sue braccia stringermi.
È un abbraccio muto, appena accennato. Ma è un abbraccio. Un suo abbraccio.
E a me sembra di essere stata catapultata sulla cima del mondo. Quella vera. Quella piena di felicità insensata. Non quella garantita da un ruolo ambito.
Dannazione!
La felicità di Hermione.
La ragazza timida, innamorata della vita.
Quella che mi sono costretta ad abortire con tanta ferocia.
Si solleva dal mio corpo. Scivola al mio fianco.
Nello spazio angusto di un divano.
Appoggio il viso sul suo petto. Respiro ancora una volta l'odore della sua pelle.
Lui resta in silenzio. Come fa sempre.
Forse davvero questa volta non sa cosa dire.
Forse cerca solo una scusa per scappare lontano da me.
E io voglio dargliela.
Perché lui non mi serve. Non deve servirmi.
E non gli permetterò di farmi innamorare.
Non l'ho mai permesso a nessuno.
Anche se sento la sua mancanza.
Quando mi ritrovo affogata nella mia vita sintetica.
La mancanza di un uomo arcigno. Fatto di ombra. Che sa mettermi in un angolo. Che sa sfidare la donna di vetro. Vincerla. E far riemergere Hermione.
A suon di schiaffi.
Con sorrisi accennati appena. Con frasi taglienti e sguardi glaciali.
E questo mi piace.
Anche se non so farmene una ragione.
- "Non sei costretto a restare..."
Lo dico piano, rimanendo immobile.
Lui fa altrettanto.
E io chiudo gli occhi. Faccio un respiro profondo.
- "Vai a dormire. Io resto qui. Il divano per me andrà benissimo."
Lascio riemergere il ministro strizzato in un tailleur strapagato.
Quello arrampicato su un paio di tacchi, con il mondo inchinato sotto.
La donna che mi ha posseduto il petto negli ultimi cinque anni.
E che, ogni tanto, ho bisogno di uccidere.
Facendo uscire la ragazzina che brama il suo corpo.
- "Vattene Severus, non serve che resti a leggermi la favola della buonanotte."
Lo dico risoluta.
Mentre una lacrima mi scappa dagli occhi.
Perché forse avrei bisogno di restare Hermione ancora un po'.
Ma non posso permettermelo.
Perché non si resta sulla vetta, farciti di sentimenti inutili.
Si resta sulla vetta con un obiettivo negli occhi.
E con il gelo nel cuore.
E io voglio restarci, su questa dannata vetta.
Io sono la dottoressa Granger.
Quella che temono tutti.
Quella che non ha bisogno di nessuno.
Nemmeno di lui.
Lo avverto alzarsi.
Si siede sul divano.
Osservo la sua schiena nuda, mentre si mette in piedi lentamente.
Lo vedo raccogliere i suoi vestiti dal pavimento.
Si infila i pantaloni. La camicia. La giacca.
La abbottona con un'attenzione che sembra costruita per sfuggirmi.
Poi mi guarda.
Mi sorride freddo.
Si volta.
Fa per andarsene.
Improvvisamente arresta i suoi passi.
Intuisco la presenza di un brivido a percorrergli la schiena.
Si gira di scatto. Ha gli occhi spalancati.
- "Che cosa hai detto?"
Me lo chiede di getto, con le sopracciglia corrucciate.
Lo sguardo duro.
Non capisco.
Mi tiro a sedere sul divano.
- "Ho detto che non mi serve una balia, Severus. Posso starmene tranquillamente da sol..."
- "No! Che cos'hai detto sulla storia della buonanotte..."
Lo dice a me, ma sta parlando con se stesso.
Ha lo sguardo perso nel vuoto.
Lo vedo girarsi di scatto.
Ancora una volta.
Correre verso la sua libreria. Cercare qualcosa velocemente.
Analizzare con l'indice le coste della miriade di libri che invadono il suo studio.
- "Severus... Dimmi che diavolo succede!"
Mi fa un segno sgarbato con la mano.
Continua la sua ricerca.
Mi alzo dal divano di fretta.
Recupero la camicia.
La infilo.
La abbottono grossolanamente.
Lo raggiungo.
Con i piedi nudi sul pavimento di pietra.
Mentre il gelo dell'inverno si impossessa di ogni centimetro del mio corpo.
Lui trova il libro che stava cercando.
Lo sfila dal suo alloggiamento secolare.
Lo porta sulla scrivania. Lo apre di scatto.
Gira convulsamente le pagine.
Poi si blocca.
Sembra aver trovato quello che cerca.
Sgrana gli occhi ancora una volta. Li punta nei miei.
- "Ho capito cosa sta succedendo!
Ho capito perché quelle tre città..."
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