Capitolo 12 - un posto in cui andare

8.11.2007
Ore 8,20

- "Aspetti!
Non può ancora entrare!
La dottoressa si sta facendo medi..."

La voce di Kimberly mi raggiunge, superando la barriera di legno tra me e la segreteria.
La porta si apre di scatto.
La figura nera di Severus invade il mio campo visivo.

- "Hai finalmente deciso di fidarti di..."

Le parole gli muoiono sulle labbra.
Osserva il medimago che mi sta tamponando le ferite sul labbro.
Che mi sta chiudendo il taglio sulla fronte.
Poi osserva me.
Si avvicina velocemente.
Mi raggiunge.

- "Togliti ragazzino... Ci penso io!"

Glielo sibila in modo sgarbato.
Come fa sempre.
Come fa con tutti.
Il giovane medico lo guarda.

- "Professore, la ferita è ancora aperta, devo..."

- "Ritieni di essere più esperto di me nel curare una ferita?"

Il ragazzo abbassa lo sguardo.
Mi rivolge un'occhiata con cui mi chiede se eseguire l'ordine che gli è stato impartito bruscamente.
Gli faccio un cenno del capo.
Gli accordo il permesso di andarsene.
Severus si avvicina.
Mi accarezza velocemente la fronte.
Vedo i suoi occhi studiarmi il labbro tumefatto.
Osservare il rivolo di sangue che mi cola sulla tempia.

- "Che cosa è successo?"

Lo chiede freddo, quasi senza espressione.

- "Sono caduta..."

Lui punta gli occhi nei miei.
Con quello sguardo immobile che sa farmi tremare.
Solleva un sopracciglio.

- "Non dirmi stronzate, ragazzina!
Se volevi un imbecille, potevi tenerti il medimago che hai mandato via un attimo fa..."

Me lo dice risoluto.
Ma senza rabbia.
Io resto immobile.
Sento il pizzicore della vergogna salirmi negli occhi.

- "Perché hai chiamato me?"

Me lo sussurra a pochi centimetri dalla bocca.
Fruga per un attimo nella borsa del medimago, ne estrae una garza.
La impugna.
Si muove piano, con una mano asciuga il sangue che mi cola dal labbro.
Lo guardo.

- "Non lo so..."

Glielo dico perché è vero.
Io non lo so.
So solo che mi sento vulnerabile.
Spaventata.
Offesa.
E distrutta.
So solo che sentivo il bisogno di averlo accanto.
Ma non lo so il fottuto perché.
Io non lo so.
Lui si ferma.
Allontana il tessuto morbido con cui mi sta disinfettando delicatamente la ferita.

- "Ti ha fatto qualcos'altro?"

Me lo sputa in faccia.
Con l'arguzia e l'intelligenza che lo caratterizzano.
Con lui non devo parlare.
Con lui non devo raccontare nulla.
È come se mi leggesse dentro.
Se sapesse ascoltare i miei pensieri.

- "No..."

Abbasso lo sguardo.
Poi lo rialzo.
Lo punto nel suo.

- "Era ubriaco..."

Lui riprende a tamponarmi la ferita.

- "È per quello che è successo l'altra sera, nel mio laboratorio?"

Me lo chiede senza guardarmi negli occhi.
E io tremo.
Perché sentirlo parlare di noi mi fa vibrare in ogni vertebra.
Mi fa mancare il fiato.
Lui si arresta di colpo.
Punta le sue iridi nere nelle mie.

- "Allora...?"

Lo chiede brusco, con la sua famosa penuria di pazienza, non ricevendo alcuna risposta.
Faccio un respiro profondo, cerco di far uscire le parole.

- "Non sa nulla di cosa è successo nel tuo laboratorio...
L'ho lasciato qualche giorno prima."

Glielo sussurro piano.
Mentre sento il profumo delle sue mani.
Così vicine al mio viso.
Così desiderate.
Così afferrabili.

- "Weasley è sempre stato un imbecille!
Non ho mai capito come avesse fatto una come te a sposarlo."

Me lo dice di fretta.
Poi fissa gli occhi nei miei per un istante.
Con un altro di quei suoi sguardi carichi di fiamme che sanno mandarmi in estasi.
E farmi perdere la ragione.
Sorrido.
Accenna qualcosa di simile anche lui.
Prima di tornare a medicarmi la ferita.

- "Adesso sentirai bruciare.
Cerca di non muoverti."

Faccio un impercettibile cenno di assenso con il capo.
Lui estrae una boccetta dalla tasca del mantello.
Ci imbeve una garza pulita.
Me la poggia sul labbro.
Un bruciore lancinante mi invade la bocca.
Sento gli occhi riempirsi di lacrime.
Mi impongo di rimanere immobile.
Lui mi guarda.
Scorge i miei occhi umidi.

- "È l'unico modo per essere sicuri che non resti la cicatrice..."

Tenta di scusarsi.
Con i suoi modi sgarbati.
Con la sua voce glaciale.
E io mi scopro a sorridergli.
Di un sorriso senza maschere.
Perché quest'uomo sa farmi sentire in pace con me stessa.

- "Giri sempre con una pozione per cicatrizzare le ferite?"

Glielo chiedo, accennando un nuovo sorriso.
Lui indugia nei miei occhi un momento.
Poi solleva un angolo delle labbra.

- "Vecchie abitudini..."

Lo dice piano, prima di tornare a tamponarmi la ferita sul labbro.
Rivolge le sue attenzioni a quella sulla fronte.
La cicatrizza con lo stesso bruciore che mi ha regalato solo alcuni istanti fa.
Poi osserva il suo operato con sguardo attento.
Si alza.
Si allontana.
Io mi dirigo verso la scrivania.
Prendo una sigaretta.
La accendo.
Lui afferra la tazza di caffè che Kimberly ha abbandonato a ridosso dell'uscita.
Torna verso di me.
Me la porge.

- "Hai un posto dove andare questa notte?"

Me lo domanda atono.
Io resto ferma.
Con il bicchiere di caffè appoggiato sulle labbra.

- "A casa mia, come sempre."

Tiro fuori il tono più risoluto che riesco a trovare.
Lui mi trafigge con lo sguardo.
Inarca il sopracciglio, ancora una volta.

- "Casa tua e il posto più sbagliato possibile, Hermione.
E lo sai anche tu.
Se quel deficiente di tuo marito decidesse di tornare, è lì che ti cercherebbe.
E io non ho nessuna intenzione di correre a medicarti di nuovo nel cuore della notte."

Sibila.
Poi incrocia le braccia

- "Mi basta fare qualche incantesimo di difesa..."

Lo dico con noncuranza.
Cercando di tornare ad essere la donna di ghiaccio.
Il comandante in capo.

- "No, ti basta non andarci!
Vieni a Hogwarts.
Neanche Weasley sarebbe così stupido da venirti a cercare sotto il mio naso..."

Resto immobile per un attimo.
L'idea di passare la notte con lui mi fa salire un fuoco denso nello stomaco.
L'idea di condividere i suoi spazi.
Una minuscola parte della sua vita solitaria.
Vorrei corrergli incontro e farmi portare via.
E invece lascio riemergere la maschera della donna senza paura.

- "No, preferisco stare a casa m..."

- "La mia non era una domanda, Granger!"

Si volta di scatto.
Mi guarda negli occhi.
Io spengo la sigaretta nel portacenere immacolato sulla mia scrivania.
Faccio per sedermi sulla poltrona.

- "Hai deciso di farmi aspettare tutto il giorno?"

Lo ruggisce con stizza.
Non capisco.

- "Mettiti sulle spalle il tuo costosissimo mantello di cachemire e prendimi il braccio.
Per oggi le sorti del mondo possono aspettare!"

Riesco a stento a trattenere un'ondata di euforia.
Gli rivolgo uno sguardo freddo.
Poi raggiungo l'attacapanni nella nicchia.
Mi avvolgo nella stoffa morbida e profumata.
Afferro la sua mano.
Uno strattone all'ombellico, un senso di nausea appena intuibile, un vorticare di luci.
E infine i piedi che si poggiano a terra.
L'aria umida dei sotterranei mi entra nelle narici.
Apro gli occhi di scatto.
Le arcate del laboratorio di pozioni mi ammiccano stancamente, mentre fiaccole eterne bruciano sulle pareti di pietra.
Osservo la scrivania, quella su cui abbiamo fatto sesso, solo qualche sera fa.
Sento le guance colorarsi improvvisamente.
Le sento scottare.
Abbasso gli occhi, cercando nel pavimento un diversivo al mio imbarazzo.
Riacquisto un minimo di lucidità, la poca che mi possa permettere di scrutarlo senza avvampare.
Lui si sfila in mantello.
Lo getta con noncuranza sullo schienale di una sedia.
In un gesto che tradisce un'abitudine sedimentata.
Si volta.
Mi guarda.

- "Devo lavorare.
Ho delle pozioni da preparare."

Lo dice dirigendosi verso il suo tavolo ingombro di carte, rimboccandosi le maniche della giacca.

- "Tu puoi farti un giro per il castello...Minerva sarà felice di vederti."

Come sempre la sua voce non tradisce alcuna inflessione.
Sempre atona.
Sempre fredda.
Gli rispondo con cenno di assenso.
Faccio alcuni passi verso l'uscita.
Inforco la porta dell'aula.

- "Dopo penseremo a come far passare la voglia di alzare le mani a quell'imbecille di tuo marito!"

Lo sussurra risoluto.
Con un velo di rammarico ad increspargli lo sguardo.
Accenno una risata amara.

- "Penso che la mia citazione in giudizio davanti al Wizengamot gliela farà passare, Severus..."

Sorride obliquo.
Un sorriso appena accennato.
Mi fa un impercettibile accenno del capo.
Lascia i suoi occhi a vagare nei miei per qualche secondo, prima di tornare a nasconderli nella pergamena ingiallita che sonnecchia stancamente sulla sua scrivania.
Abbasso lo sguardo sul pavimento.
Perché non so come è possibile.
Mi sentivo così impotente, così umiliata, così fragile.
Poi lui mi ha preso la mano.
Mi ha schiaffeggiata con il suo sguardo immobile.
E la paura è volata via.
Come se non fosse mai esistita.
Come se mi avesse infilato una mano nell'anima e avesse tirato fuori un coraggio che non riuscivo più ad afferrare.
Nascondo un sorriso carico di determinazione.
Poi mi volto.
Supero la porta ancora spalancata, conquistando un corridoio deserto.
E mi ritrovo qui.
In un castello che per anni ho chiamato casa.
Lontana dalle responsabilità.
Dal dovere.
E da un mistero che mi riempie di incertezza.
E sono solo Hermione.
Ancora spaventata.
Ancora incredula.
Ma non più sola.
Vicina a lui.
Alla sua ombra eccitante.
E alle sue mani che sanno fammi tremare.
Ad aspettare con impazienza la sera.
Per varcare quella porta ancora una volta.
E farmi dissetare dal suono della sua voce.
Dalla magia sinistra dei suoi occhi di ghiaccio.
A farmi tramortire il respiro da un uomo che ho smesso di odiare.
Malgrado ogni mio sforzo.
E che ho cominciato a sentire necessario.

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