ATTO QUARTO

                       Atto quarto
      
                         .incubus.

Sono passati un po' di giorni dal accaduto, e di quel mostro nessuna traccia.

Ultimamente non dormo molto bene, sento una leggera pressione al collo come se non riuscissi a respirare.

Le mie giornate sono accompagnate da una scorta, tre agenti vestiti in modo blindato mi accompagnano dappertutto, mi sento repressa, come se non potessi vivere più la mia vita.

Questa mattina sento il bisogno di uscire a prendere una boccata d'aria, ma purtroppo il mio desiderio viene bloccato da quelle persone ferme davanti a tutte le entrate.

Non sanno del mio risveglio, guardo l'orologio appeso sulla parete giallastra della mia camera da letto, è abbastanza presto, mi alzo silenziosamente a causa delle tavole di legno del parquette che scricchiolano, riesco ad arrivare al armadio e prendere un paio di cuscini e delle coperte, le metto sotto il piumone in modo da far sembrare che sia io ancora addormentata.

Apro la finestra, dove trovo il ramo del albero di noci del mio giardino, è arrivato l'autunno, le foglie sono arancioni e gialle, il vento leggero autunnale spazia tra esse in modo elegante e soave.

Mi arrampico sul ramo e scendo lentamente sul vialetto, questo è il punto ceco delle guardie, il cervello decide da solo, corro.

A ogni falcata che faccio la ghiaia che è sul suolo scivola via, sento solo il vento che viene scagliato sulla mia faccia in modo violento, l'aria nei miei polmoni si è fatta gelida, non so neanche io bene dove sto andando, ma mi accorgo troppo tardi di essere arrivata nel bosco, mi guardo in torno il verde sovrasta la mia visuale, alberi immensi sorgono sopra la mia testa.

Finalmente sono sola, silenzio, non sono sicura che sia un posto sicuro, ma finalmente la mia testa non è più affollata da quel vociare, è questo quello che farò per il resto della mia vita? Scappare? No non è da me, di solito affronto le cose di petto, non ho paura di niente.

Cerco l'uscita della foresta facendo la strada al contrario.

«Dove pensi di andare?sei impazzita?»

Mi giro di scatto verso la direzione della voce, era il capo della polizia.

«Potrei esserlo, non vedo perché nascondermi»

Dico tutto d'un fiato senza badarci troppo.

«Potrebbe ucciderti» mi disse

«Lasciamoglielo credere, non mi ucciderà» dissi andando verso la macchina della polizia.

I giorni passarono velocemente, la mia vita lentamente è tornata alla normalità, nessun uomo in nero mi sorveglia più mentre dormo, l'ansia comincia a logorarmi dentro ma è stata una mia scelta affrontare la paura.

Chiudo gli occhi aspettando che il sonno prenda il sopravvento non tardando ad arrivare.

Il mattino non vuole arrivare, mi si forma un groppo alla gola, non riesco più a ingoiare, il respiro si fa corto, l'aria manca dai miei polmoni.

Mi sveglio di scatto, una figura raccapricciante era sopra di me tenendomi le mani alla gola facendo pressione.

Gli occhi escono dalle mie orbite, sto per morire davvero? Avevo promesso di rimanere viva... D'un tratto il buio.

Mi sveglio di scatto sul mio letto, l'affanno mi prende di colpo, il sudore scorreva dalla mia forte arrivando alle sopracciglia, era solo un sogno.

Mi guardo intorno, mi accorgo che tutto era come lo avevo lasciato, a parte la porta del mio bagno appannata.

Vengo presa dal panico, mi alzo senza fare rumore e afferro la mazza da baseball che avevo sotto il letto.

Apro la porta del bagno con il piede, non c'è nessuno, ma una strana sensazione mi percorre la schiena, guardo lo specchio, c'era qualcosa che non andava in me, nel immagine allo specchio gocce di sangue colavano dai miei occhi.

«Che diavolo sei»

L'immagine di me stessa allo specchio stava cambiando, gli occhi erano diventati di un nero intenso, il rosso continuava a colare per tutto il viso.

«Sono te»rispondo inclinando la testa verso sinistra.

«Cosa vuoi?» chiedo tenendo la mazza stretta tra le mani.

«Voglio quello che c'è dentro di te» la me riflessa cominciò a ridere e io senza perdere tempo copro lo specchio con una delle asciugamano di lino che erano poggiate sul lavandino.

Questo diventò il giorno del mio incubo terreno.

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