Un finale vero
La prima cosa che bisogna sapere di Aaron King è che un uomo dai molti talenti. Oltre ad essere uno Stoccafisso incallito e ad avere la capacità di mostrare una sola espressione al giorno, il gemello burbero di questa famiglia ha ricevuto in dono da Madre Natura l'abilità di trasformare Sasha Porter - custode di cuori di giorno e ragazza fredda e priva di libido di notte - in una specie di polipo che si aggroviglia al suo corpo.
Patetico, veramente patetico.
Ma, non posso negarlo, anche eccitante.
Se non fosse per il fatto che io faccio pena in queste cose, e non lo dico solo per sembrare la timida ragazza vergine indifesa che non ha mai sperimentato le gioie del sesso. Tutto nella mia vita sono stata tranne che timida, è più che altro un dato di fatto. Non avendo mai avuto a che fare con esseri umani dotati del cromosoma XY se non per questioni più particolare, la mia conoscenza in campo amoroso si limita ai libri che ho letto e i film che ho visto. Che, per la cronaca, non mi sono piaciuti neanche. Non sono una di quelle che si mette a piangere quando sente "Jack, insegnami a volare!". A dire il vero quelle scene mi hanno più che altro fatta ridere.
E credo che da ciò si possano dedurre parecchie cose sul mio conto. Perciò non c'è da sorprendersi se, quando io e Aaron piombiamo sul morbido e accogliente materasso del letto a baldacchino, io scoppi in una fragorosa risata. Che Dio abbia pietà di me, non sono per niente brava in simili contesti! <<Sasha Porter>> mi avverte lui, sdraiato sopra di me <<non credo ci sia nulla da ridere al momento.>>
<<Hai ragione, hai ragione>> ammetto, ma mi sfugge un'altra risatina nasale. <<Ti prego, dimmi almeno che dalla tua bocca non usciranno frasi come "tesoro, sei così stretta" o "oh piccola, tu sì che sai come farmi eccitare".>>
Le sue sopracciglia si aggrottano. <<Che razza di uomo direbbe frasi simili?>>
Mi stringo nelle spalle. <<Non lo so, le leggo sempre nei libri, e mi fanno morire dalle risate. Anche se, non lo nego, non credo si adattino a uno stoccafisso come te>> aggiungo, giocherellando col colletto della sua felpa. <<Ti immagino più uno di quelli che inizia a grugnire come un maiale.>>
<<Sasha, ti prego>> mi supplica lui, nonostante le sue spalle stiano trattenendo a sua volta le risate. <<Dovrebbe essere un momento romantico, non trovi? Sottolineare la mia somiglianza con un maiale rende tutto decisamente più squallido.>>
<<Lo so, lo so>> annuisco. <<Cosa dovrei dire, in questi casi? Fammi pensare.>> Ci rifletto su un attimo, e poi, prendendo un grosso respiro, cerco di usare la mia voce più sensuale: <<"Forza, dolcezza, cavalcami come se tu fossi un surfista e io fossi la tua onda".>>
Le guance di Aaron si gonfiano per trattenere una risata che, ahimè, è impossibile da contenere. La sua testa ricade sul soffice cuscino sopra cui sono poggiata, al lato destro del mio volto, mentre tutto il suo corpo trema scosso da questo momento di ilarità. <<Che ne dici se nessuno dei due dice nulla?>> propone alla fine.
<<Ma sarebbe noioso>> mi lamento. <<E che fine farebbero i commenti come "oh, piccolo, così, proprio lì" o come "ah, bambina, mi stai facendo volare in Paradiso".>>
<<Ti scongiuro, Sasha...>>
<<Okay, okay>> mi fermo un secondo. <<Un'ultima cosa, tu sei uno di quelli che finge di avercelo troppo grosso per indossare i preservativi solo perché vuole fare sesso non protetto? No, perché sia chiaro, in quel caso te lo strapperei a morsi.>>
<<Sasha...>>
<<Ehi, è tutta colpa di un preservativo bucato se ora io sono qui, e anche un po' dell'alcool>> ammetto, rammentando quel giorno quando mamma mi raccontò di come fosse rimasta incinta di me <<e forse anche delle droghe>> aggiungo poi, ricordando quanti spinelli fumasse il donatore di seme <<voglio solo essere previdente. Dare alla luce un'altra me solo perché tu ti consideri troppo superdotato per indossare un banale profilattico sarebbe oltraggioso.>>
<<Sasha.>> Il suo volto ora è di nuovo sopra il mio, i suoi occhi verdi sono così intensi da superare la bellezza di qualsiasi posto mai esistito al mondo. <<Sai, mi verrebbe da pensare che stai usando la tua parlantina per evitare il momento clou solo perché sei imbarazzata.>> Quando scorge l'assoluta mancanza di rossore sul mio volto, scoppia a ridere di nuovo. <<Ma d'altro canto non sarebbe da te.>>
<<Non sono imbarazzata>> lo rassicuro. <<Avere un rapporto sessuale è all'ordine del giorno. Non è questo a preoccuparmi. E' solo che... sai, mah!>> Mi stringo nelle spalle e arriccio il naso. <<Mi sembra un po' strana come situazione.>>
<<Perché non hai mai avuto un ragazzo?>> domanda lui.
<<No, non sono il tipo da preoccuparsi per cose simili. Credo che tu lo abbia già notato, ma tendo ad essere una persona particolarmente diretta.>>
Il suo sopracciglio sinistro si solleva. <<Ma non mi dire.>>
<<Esatto, quindi non ho problemi a baciare il mio ragazzo o a fare sesso con lui. Immagino solo debba abituarmi all'idea di averne uno>> sollevo lo sguardo così da scrutare di nuovo i suoi occhi verdi. <<"Montami come un cavallo, dolcezza">> aggiungo poi, stiracchiando la voce fino a renderla acuta.
Aaron ride di nuovo. <<Facciamo così>> suggerisce alla fine <<Non parliamo, e se c'è qualcosa che non va me lo dici, okay?>>
<<Tipo che hai sbagliato buco?>>
Alza gli occhi al cielo.
<<Ehi, che c'è? Può capitare a tutti!>>
<<Ora, silenzio>> dichiara alla fine lui, posando le sue labbra sulle mie.
E silenzio fu. La sua bocca è calda, la sua lingua è dolce, le sue mani toccano e sfiorano il mio viso, lo sigillano a sé con una delicatezza inaspettata da parte di Stoccafisso, che, tuttavia, rimane pur sempre un romanticone. Chiudo gli occhi a mia volta, riesco a sentire il respiro caldo sulla pelle, il peso del suo corpo sul mio, le mani che scivolano, la bocca che ama, il cuore che pulsa.
Le mie dita si infilano fra i suoi capelli mentre le sue scorrono lente lungo il mio collo, accarezzano minuziosamente la curva che collega il capo alle spalle, la sfiora lenta con queste labbra che dovrebbero esser baciate di più, molto di più. Percepisco il momento in cui si ferma perché ha trovato un piccolo livido, alla base della spalla, e il momento in cui il suo corpo si irrigidisce per ricordare tutto il nervosismo di poco prima, ma non gli permetto di rifletterci su molto, e gli mordo delicatamente l'orecchio coi denti. Sento il sapore salato della sua pelle, quando scendo a mia volta lungo il collo, in maniera ovviamente impacciata e tutt'altro che elegante, ma sembra non dispiacergli poi così molto. Per lo meno questo è quello che dice il cavallo dei suoi pantaloni.
Mi sfugge un sorrisetto.
Mi domando quand'è successo. Mi domando come siamo arrivati fino a questo punto. Quand'è stato? Non al primo incontro, questo è certo, perché al primo incontro tentavo di odiarlo e lui tentava di odiare me, e entrambi abbiamo fallito miseramente. Quindi, quando? Quando ha colpito Jensen al posto mio non appena saputo quello che aveva fatto a Luke? Quando mi ha riportata a casa e costretta ad andare con lui a quella tavola calda? O forse è stato tutto quanto? Ogni singolo evento è stato determinante per farci arrivare a questo letto? O è solo il frutto di una coincidenza?
E' la coincidenza che lo porta a baciarmi di nuovo? La coincidenza che lo porta a sfiorare la pelle sotto la mia maglia, dove non ci sono morbide curve ad attenderlo, ma solo muscoli prodotti da anni e anni di palestra? E' la coincidenza che mi porta a pensare che questi occhi, questi occhi verdi così magnetici, sono due piccoli smeraldi? Non ne ho idea, ma se fosse così, ne sarebbe valsa la pena. Ogni insulto, ogni grido, ogni momento di rabbia, ogni singolo istante passato a biasimare il mondo e a biasimare me stessa. Ogni bolletta da pagare, ogni operazione di Luke, ogni lacrima, ogni risata, ogni urlo. Quanto ne sono grata, quanto sono grata di tutto questo.
Ne è valsa la pena.
Ne è valsa veramente la pena.
Ora posso riposarmi, non è così?
Ora posso rilassarmi, non è così?
Ora posso piangere, e ridere, e scherzare, senza pentirmi di ogni singolo istante in cui avrei potuto far qualcosa per cambiare il passato, per cambiare il destino della mamma. Il destino che ci attendeva. Aaron mi bacia di nuovo, io lo bacio di nuovo, le mie dita scivolano sotto il tessuto della sua maglia e accarezzano lentamente la pelle della sua schiena, riesco a sentire i muscoli che si contraggono sotto i miei palmi, il velo di sudore che lo sta coprendo. Riesco a sentire il suo respiro, il battito del suo cuore che si confonde col mio, il calore della sua presenza. Chiudo di nuovo gli occhi, le sue dita sono come piccole ventate di calore in un freddo gelido e torbido.
Quando la sua lingua sfiora la curva del mio collo, sento un pizzicore, quando la mia scivola nella sua bocca, sento furore. E quando si sdraia completamente sopra di me, sento fuoco caldo bruciare nei polmoni. E' un fuoco che non conosco, un fuoco che non mi era mai appartenuto, prima d'ora. Non sono le fiamme di rabbia, ira, che vorrebbero bruciare il mondo, le persone, me stessa, i miei rimpianti, sono piccole fiaccole tiepide che si accendono una dopo l'altra all'interno del mio corpo. La sua maglia scompare, la mia pure, il tocco della sua pelle contro la mia è gentile e delicato, e quando mi guarda, quando mi guarda per davvero, con quella luce dolce che mi scioglie, mi ritrovo a pensare alle parole della mamma, a quelle parole che ci ripeteva ogni giorno, che Luke ha ripetuto ogni giorno da quando lei se n'è andata per sempre.
Un giorno tutto finirà.
Eccolo, deve esser questo. Non sento più quel peso, non sento più quel masso allo stomaco che mi fa continuamente pensare a tutto quello che ho fatto, a tutto quello che non ho fatto, ai miei errori, alle mie azioni, al costante pensiero di difendere me stessa e la mia famiglia. Alla rabbia di sentire quegli sguardi carichi di disprezzo posarsi sulla mia persona, al rancore per esser venuta al mondo nel modo sbagliato al momento sbagliato. A quella volta quando mi insultarono perché ero la sorella di un mongoloide e la figlia di una prostituta, a quella volta quando buttarono i miei quaderni nella spazzatura e la spazzatura nel mio armadietto.
Un giorno tutto finirà.
E oggi è quel giorno.
Non riesco a trattenermi, l'emozione sale, sale e sale ancora, e riscende sulle mie guance come lacrime fresche che rigano la mia pelle.
Ehi, mamma, puoi perdonarmi?
Ehi, mamma, va bene se finalmente non ripenso più a te? Se finalmente smetto di pensare a quanto mi mancherai per sempre?
Ehi, mamma, va bene se vado avanti, anche senza di te?
Le labbra di Aaron sfiorano la punta del mio naso. La baciano, mi bacia le labbra, mi bacia le guance, raccoglie le mie lacrime con la sua bocca. E poi mi sussurra "va tutto bene" e io sorrido e piango, e piango e sorrido.
Ehi, mamma, ti voglio tanto bene, lo sai?
Saresti fiera di me?
Saresti orgogliosa di me?
Saresti felice, ora, se mi vedessi?
Ehi, mamma, mi manchi tanto. Mi manchi così tanto... Dio, quanto mi manchi. Ma ora non ci sei più, e di fronte a me c'è un ragazzo che mi desidera.
Ehi, mamma, posso esser felice, anche se ora non sei più qui?
Lo bacio, o lui bacia me, e la frenesia sostituisce il dolore e l'emozione, le mani si muovono, si distendono, le sue dita sembrano magiche, e per un istante, uno solo, tutto è perfetto. Riesco a sentire il preciso momento in cui i suoi indici scivolano sotto l'elastico dei pantaloni.
E poi...
Crack.
Il suono di vetri che cadono ci strappa da questo mondo di passione e frenesia dentro cui ci eravamo volontariamente intrappolati. E' un suono lontano, indistinto, che proviene dal piano di sotto, ed è un suono tragico, che spezza questo momento. Vedo gli occhi di Aaron rimpicciolirsi per la consapevolezza di cosa significhi un simile suono, per la consapevolezza di quell'unica persona al piano terra che possa averlo provocato.
<<Sophia?>>
Il suo volto diventa pallido, una goccia di sudore solca la sua mascella, mentre ogni bollore si acquieta per il terrore che, velocemente, si è affacciato alle porte della nostra campana di vetro.
<<Cazzo!>>
Questa è la voce di Bill, la riconoscerei ovunque, queste sono le grida di Sophia, e questi sono le imprecazioni del fratello pervertito che le sta dicendo di calmarsi, di non piangere, di respirare.
Schizziamo via dal letto alla velocità della luce, acchiappando i vestiti caduti per terra come se fossero saponette scivolose. Aaron sta impallidendo sempre di più, corre a torso nudo fuori dalla stanza mentre io infilo zoppicando la mia maglia e lo seguo il più in fretta possibile. <<Sophia?>> la chiama ad alta voce, la chiama disperato, la chiama spaventato all'idea di dover riaffrontare di nuovo qualcosa che non vuole mai più provare, un sentimento che non vuole mai più conoscere.
Quando arriviamo a metà scalinata, la scena che mi si presenta è più tragica di quanto temessi. Sophia, in salone, sdraiata a pancia in giù sul grosso tappeto persiano, il cui bianco immacolato sta venendo man mano macchiato dallo scuro rosso del sangue che si sta diffondendo a macchia d'olio come un artiglio che si aggrappa alla tua anima. Quel sangue è vivo, quel sangue è orribile, quel sangue proviene da quella gamba nuda, e quella è la sua gamba, la gamba di Sophia, infilata fra i rimasugli del nuovo tavolino in vetro del salotto, il sostituto di quello che avevo distrutto io quando spinsi Bill dopo che aveva chiamato mia madre "puttana".
Ridarella è proprio al suo fianco, sta gridando, la sta chiamando, ma lei non sembra minimamente sentirlo, continua a piangere, e a gridare, e tiene il telefono che le ho consigliato come se lo odiasse e amasse al tempo stesso. Sia io che Aaron scendiamo velocemente gli scalini, rischiando di scivolare fra un gradino e l'altro. <<Soph!>> continua a richiamarla Bill, afferrandola per le spalle. <<Sophie, tesoro, che sta succedendo?>>
<<Bugiardo!>> strilla lei. <<Bugiardo! Sei un bugiardo! Sei un bugiardo! Hai mentito! Bugiardo! Hai mentito! Non hai mantenuto la parola!>> Un verso disumano fuoriesce dalla sua gola mentre continua a piangere disumana, il verso di qualcuno che sta disperatamente provando a salvarsi pur consapevole di star affondando nella disperazione più profonda. <<Bugiardo! Bugiardo! Hai mentito!>> continua a ripetere. Lo ripete a tutti, lo ripete a nessuno, lo ripete a qualcuno che non potrà mai sentirla. Aaron si avvicina a lei velocemente, i suoi piedi scavalcano quel che rimane del tavolino che lei ha spaccato col suo piede, e io faccio altrettanto, mi inginocchio di fronte al suo volto deturpato dalla delusione, dal dolore, dalla consapevolezza che niente e nessuno potrà mai riavvolgere il tempo. Le sue labbra tremano, del muco sta colando dalle sue narici, i suoi occhi, un tempo così dolci, ora luccicano di rabbia, rimpianto e lacrime.
<<Sophia, maledizione!>> impreca Bill. <<Aaron, aiutami a sollevarla!>>
<<Sorellina>> Aaron le accarezza la schiena. <<Va tutto bene...>>
<<NO!>> singhiozza lei. <<NON E' VERO! BUGIARDO! SIETE DEI BUGIARDI! NON VA TUTTO BENE!>>
Osservo la sua gamba, avvolta nel suo stesso sangue, e deglutisco il groppo che si è formato nella mia gola e ha spezzato il mio respiro. Lei continua a gridare, a dire "bugiardo", lo dice ad Andrew, lo dice a un Andrew che io non ho mai conosciuto e mai potrò conoscere. Ed è arrabbiata, è incazzata, è furiosa. Con se stessa, con il mondo, con questo destino crudele che sembra divertirsi a strapparci ogni cosa, famiglia, amore, vita. <<NON VOLEVO QUESTO FINALE!>> strilla ancora. <<NON VOLEVO QUESTO FINALE! VOLEVO UN FINALE VERO! NON QUESTO! MAI QUESTO!>>
Non ho la più pallida idea a cosa si stia referendo, ma è molto probabile che il crollo sia dovuto alla lettera che mi ha mandato Pamela e che io, incosciente che non sono altro, le ho fatto leggere da sola. Bill la bacia sulla fronte, cerca di stringerla a sé, ma lei si rifiuta di esser toccata, si rifiuta di esser vista, di esser ascoltata. Vuole solo gridare, vuole solo piangere, vuole solo morire.
<<Voi due>> dichiaro alla fine, dopo aver preso un grosso respiro, e alzo lo sguardo verso i due maschi King <<ora fate esattamente quello che vi sto per chiedere. Bill, corri in cucina e portami una bottiglia d'acqua che non è stata mai aperta insieme a un panno pulito e dei guanti in lattice, Aaron, corri in bagno a prendere delle garze e se ce l'avete una pomata antibiotica, dopodiché tira fuori le chiavi della macchina e preparati a partire. Dobbiamo andare in ospedale.>>
<<Che cosa?>> il volto di Bill sbianca. <<In ospedale?>>
<<Hai visto le ferite? Sono troppo profonde, ci sono ancora dei pezzi di vetri dentro, non è qualcosa di cui possiamo occuparci senza gli adeguati strumenti, rischieremmo solo di infettare ancor di più i tagli. Per ora possiamo solo cercare di arginare il danno ed evitare che perda troppo sangue. Muovetevi!>>
Entrambi svaniscono non appena ricevono l'ordine, lasciandomi da sola con Sophia, che ancora trema fra le mie braccia, che ancora muore fra le mie braccia. <<Ehi, tesoro>> la richiamo, asciugandole il volto bagnato con le mie dita <<ora devi ascoltarmi molto attentamente, okay?>>
<<Lasciami... in... pace...>>
<<Non posso>> dichiaro con solennità <<prima di tutto perché sono tua amica, secondo perché questo tuo gesto masochistico ha risvegliato la crocerossina che c'è in me.>>
Lei piange, e piange, e piange. E mi stringe a sé e chiama Andrew, e dice qualcosa a proposito della lettera, ma singhiozza talmente tanto che non riesco a distinguere parola da parole, ferita da ferita. E mi abbraccia come se volesse soffocarmi, e io l'abbraccio come se volessi curarla. Se solo potessi farlo. E poi sussurra: <<La mia favola non doveva finire così.>>
<<Ehi, sta' calma, okay?>> tento di rassicurarla. <<Tesoro, ascoltami bene, stai perdendo troppo sangue, ora devi rilassarti e ascoltare le mie parole. Non pensare a niente, devi solo ascoltarmi. Devi prendere un grosso respiro dal naso e ed espirare tutta l'aria dalla bocca. Brava, proprio così>> mi complimento, non appena la vedo eseguire i miei suggerimenti. <<Piano, così... respira piano, respira come se stessi galleggiando nell'aria, libera da tutto e da tutti...>>
<<Non doveva andare così...>> singhiozza fra un respiro e l'altro, mi allontano leggermente dal suo volto per controllare la situazione della gamba. Diavolo, è più grave di quello che pensavo. Le rimarranno almeno un paio di cicatrici. <<Non doveva andare così...>>
<<Ehi, shhh, mi hai sentito, shhh....>> le accarezzo la testa, come ho fatto centinaia di volte con Luke prima che dovesse farsi operare o dovesse affrontare qualche tortura medica in generale, e il suo respiro inizia a farsi regolare. <<Brava, shhh, resta in silenzio... così, perfetto, tesoro, stai andando alla grande...>>
Il suono dei passi dei due fratelli mi distrae per un secondo, afferro tutti gli oggetti che mi stanno porgendo entrambi e infilo velocemente i guanti in lattice, per poi aprire la bottiglietta d'acqua e versarla sopra le ferite. Bill sibila, anche Sophia lo fa, Aaron sta in silenzio e basta, pallido, rigido, spaventato. <<Non possiamo fare qualcosa? Ci sono ancora frammenti di vetro incastrati!>> esclama Bill disperato. <<Non possiamo levarli?>>
<<Rischieremmo solo di peggiorare la situazione, per ora possiamo solo premere sulle ferite e aiutarla ad alzarsi.>>
Dopo aver fasciato i tagli che potevano esser fasciati senza rischiare di peggiorare la situazione e aver impedito la fuoriuscita di altro sangue, Aaron corre sul viale d'ingresso per prendere la macchina mentre io e Bill solleviamo il corpo tremante di Sophia per farla uscire di casa.
Per tutto il tempo, lei non fa altro che dire:
<<Non volevo questo finale.>>
***
Con sommo sollievo di tutti, il medico che ha visitato Sophia e le ha disinfettato e cucito le ferite ci ha assicurato che la perdita di sangue è stata ridotta, e che quindi non dovrebbe correre rischi gravi, ma che, per sicurezza, vorrebbero farle passare la notte in ospedale. Una precauzione a cui nessuno dei due fratelli King ha obiettato. Ora l'hanno sedata per poterla calmare, e tutto ciò che noi tre possiamo fare è semplicemente vagare per la sala d'aspetto nell'attesa che lei si risvegli.
Aaron ritorna da noi dopo dieci minuti di scomparsa con tre beveroni giganti di caffè, che deve sicuramente aver preso al bar di fronte all'ospedale. Il suo volto è smagrito, sia lui che Bill sembrano aver perso vent'anni in queste tre ore, e quando si siede accanto a me si massaggia gli occhi chiusi nel disperato tentativo di razionalizzare quello che è appena successo. Il suo gemello, invece, sta litigando con il distributore automatico che gli ha appena fregato un dollaro, e continua a battere il pugno contro l'oggetto. <<Sei stata brava>> mormora Aaron alla fine, la voce rauca. <<Il medico ha detto che il tuo intervento è stato tempestivo.>>
<<Per fortuna non era nulla di grave>> gli rispondo, ma ancora lui non ha aperto gli occhi, ancora non è riuscito ad alzare lo sguardo da terra. Gli poso una mano sul capo, mentre il suo corpo trema scosso da fremiti di rabbia alternati a fremiti di disperazione.
<<'Fanculo>> impreca Bill, dando un ultimo calcio al distributore, vittima della sua ira repressa. E' un bene che questa sala ora sia vuota, nessuno si lamenterà del casino che sta provocando in questo momento. Si passa disperato una mano fra i capelli, spettinandoseli. <<Non avremmo dovuto lasciarla da sola...>>
<<Bill>> lo richiama Aaron.
<<No, cazzo, A, non ci casco di nuovo. Risparmiami la morale alla "nostra sorella è forte" perché l'unica forza che ha avuto in quel momento è stata quella di spaccare il tavolino con un calcio del piede nudo!>>
Aaron sigilla le labbra in un muto consenso che vale più di mille parole. <<Perché le hai dato quella cazzo di lettera e l'hai lasciata sola?>> mi domanda poi Bill, aggressivo, gli occhi iniettati di sangue.
<<E' stata lei a chiedermelo.>>
<<Non avresti dovuto...>>
<<Come diavolo facevo a sapere quel che avrebbe fatto?>> mi difendo. <<Hai ragione, non avrei dovuto lasciarla da sola, ma era stata lei a chiedermelo, si trattava di un fatto personale, fra lei ed Andrew, non me la sentivo di...>>
<<Così te ne sei semplicemente andata e hai deciso di farti una bella seduta di sesso con mio fratello, non è così?>> Aaron alza la testa, la rabbia attraversa il suo sguardo, e Bill ride amaramente. <<Avanti, era abbastanza palese!>>
<<Bill, sei arrabbiato, smettila di dare colpe che sai non puoi attribuire a nessuno>> Aaron si alza a sua volta dalla sedia e affronta di petto il fratello. <<Non sei più un bambino. Sophia sta male, e questo è il risultato. Non puoi attribuire la colpa a nessuno, perché la colpa è di tutti.>>
Bill si ferma, inspira a fondo, è nervoso, non sa come comportarsi e vorrebbe tanto poter cambiare qualcosa pur non avendone le possibilità. Alla fine, sospira. <<Hai ragione, fratello, lasciamo perdere.>> E per qualche secondo, il suo volto sembra tornare quello di prima.
Per qualche secondo.
Per un piccolo, infinitesimale secondo.
Fino a quando i suoi occhi non si spostano sulla persona che è ferma alla soglia d'ingresso della sala d'attesa, una persona che conosco bene, e che sta piangendo, e che sta soffrendo, e che ci guarda con la coscienza di essere a sua volta colpevole di qualcosa. Di esistere, di aver fatto, di non aver fatto.
<<Che cazzo ci fai qua, Pamela?>>
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