Niente boxer?

Il campo da football della scuola è così grande da intimorire, e se fossi in me, in questo momento, mi fermerei un attimo a pensare a tutti i soldi sperperati solo per costruirlo e mantenerlo. Ma la rabbia dilaga e il mio cervello non recepisce le informazioni come al solito.

Nella testa c'è solo black out, un suono indistinto e confuso ronza nelle mie orecchie, come il rumore di un televisore rotto o di una frequenza sbagliata sulla radio.

Ho cercato in largo e in lungo, trovarli sembrava praticamente impossibile, fino a quando non ho scoperto che sia Stoccafisso che Ridarella sono i campioni dei Tigers - la squadra di football della scuola - e che dopo le lezioni tutti quanti i membri di club sportivi si fermano a scuola fino alle sei di sera per allenarsi. 

Onestamente non mi interessa, ho solo voglia di ucciderli, che siano stanchi o meno non avranno pietà da parte mia. Non sono così compassionevole e clemente.  

Ho faticato un mondo, ma alla fine sono riuscita a convincere Luke a parlare, a dirmi quello che era successo, a pronunciare il nome del gran figlio di puttana che ora è prossimo alla morte.

<<Kyle Jensen!>> Il frastuono della porta che sbatte contro il muro dopo il mio calcio non basta per coprire il suono della mia voce adirata. Adirata? Molto più che adirata. Se solo esistesse un termine per descrivere la mia ira, lo userei.

Lo spogliatoio è grande, bianco, puzza di sudore e disinfettante, una decina di ragazzi mi fissa a occhi sbarrati, alcuni nudi, alcuni semi vestiti, altri ancora con addosso solo un asciugamano che copre i loro gioielli. Sento l'umidità nell'aria provocata dall'uso ripetuto delle docce, il profumo di shampoo e balsami. Molti ridono divertiti, fra cui Ridarella, e altri ancora mi guardano e basta, incluso Stoccafisso. <<Chi cazzo è Kyle Jensen!>>

Se solo potessi concedermelo, riderei, riderei di questa situazione di merda, così tipica nella mia vita passata, così orrida. Ma non posso, non ce la faccio, fa talmente schifo che nemmeno l'ironia sembra sufficiente per concedermi un momento di calma, di quiete e silenzio. <<Che diavolo ci fai qui?>> Aaron troneggia su di me, i suoi pettorali scolpiti e i suoi addominali gonfi sono coperti dai lividi dell'allenamento. Sarei tentata di togliergli quel ridicolo asciugamano che gli copre le parti basse per colpirlo dove fa più male, ma adesso non posso. Non ancora. Non ancora, Sasha. <<Devi andartene, subito!>>

Troneggia su di me, non in modo così imponente come sperava, perché a differenza delle altre ragazze, sarò solo di cinque o sette centimetri più bassa del suo metro e novanta. <<Levati dal cazzo>> lo scanso raggirandolo, la sua mano corre sulla mia per bloccarmi, e la furia divampa in me: <<Non toccarmi, stronzo, dopo mi occuperò anche di te e del tuo schifoso fratello.>>

<<Ehi, dolcezza, tutto bene? Credo che tu abbia sbagliato posto.>> Mi prende in giro uno dei ragazzi, uno dei pochi semi vestito. Lo supero, Ridarella mi assale, le sue mani sono sulle mie spalle, mi toccano, mi violano. Stammi lontano. Non ti voglio. Non voglio nessun tocco delicato come questo. <<Sono nel posto giusto.>>

<<Perché non ci fai divertire, allora, bambola?>> domanda un'altra voce.

<<Perché io non succhio i cazzi piccoli>> spingo Ridarella, che sbatte contro la panchina accanto agli armadietti. <<Sto cercando Kyle Jensen. So che è qui, chi cazzo è?>>

<<Devi andartene via da qui subito, Porter>> Aaron torna da me, ma non mi tocca, non sembra arrabbiato, sembra... irritato, nervoso. Non lo capisco, non riesco a tradurre l'espressione sul suo volto. Forse non ne sono in grado, l'ira mi acceca, blocca le sinapsi dei miei neuroni. <<Immediatamente.>>

<<Solo dopo aver parlato con Jensen>> ringhio. Mi guardo attorno, nessuno di loro parlerà, lealtà, fedeltà. Sarebbe ammirevole, ma è un sentimento che non conosco, nel mio mondo è un'emozione che porta alla morte. <<Chi cazzo è Jensen? Ha paura che gli possa vedere il suo cazzo troppo piccolo?>>

<<Modera i termini, ragazzina.>>

<<E allora voi moderate i vostri modi per vendicarvi>> sibilo rivolta a Ridarella, i suoi occhi si sgranano, sembra non comprenda, ma non ho tempo per riflettere. Agire. È l'unica cosa che possa fare, l'unica che posso permettermi. <<Jensen?>>

Silenzio, ma il silenzio non sempre è un alleato, perché permette agli occhi di muoversi, distrarsi. E gli sguardi di molti cadono su un'unica persona, un ragazzo in asciugamano accanto al suo armadietto, ha lo sguardo duro e rigido, la mascella volitiva, i capelli rasati a zero, ed è alto poco meno di me. Non ha paura, glielo leggo in faccia. È la sfacciataggine fatta persona, non si è nemmeno preoccupato di chiudere lo sportello del suo armadietto. <<Tu, incredibile figlio di puttana!>>

<<Aleksandra!>> la voce di Aaron non mi raggiunge, nemmeno le sue braccia, sono su Jensen prima che lui e i suoi amici possano impedirmelo. Ma non lo tocco. Oh no, non lo faccio. Nemmeno io sono così stupida da credere di potermela cavare in mezzo a un gruppo di quindici ragazzi addestrati per scontrarsi e fare del male. Perciò non lo tocco, non mi muovo, sono solo su di lui, addosso a lui, gli occhi attaccati, le labbra serrate. <<Ti eccita prenderti gioco dei portatori di handicap?>>

<<Come, prego?>> la sua voce è roca, la risata falsa. Sbatto il pugno contro il suo armadietto e sussulta. Lo fanno in molti. Vedo Aaron aggrottare la fronte e Ridarella guardarsi attorno confuso.

<<Ti eccita, non è così? Devi avere proprio una vita schifosa, per pensare di avere il diritto di prendere in giro e umiliare pubblicamente un ragazzino down.>>

<<Ehi, amica, calmati>> alza le mani in gesto di pace fraterna, un gesto che fa ribollire il sangue. Una palla di fuoco si accresce nei miei polmoni a ogni parola che questo cretino sputa, a ogni scusa che trova. <<Non ho toccato tuo fratello.

<<Ah no? E allora che cazzo ci fa il suo bracciale nel tuo armadietto?>> lo tiro fuori. Il bracciale portafortuna di Luke. Quello che gli ho regalato al suo decimo compleanno. Ci misi una vita per intesserlo, spesi tutti i soldi risparmiati solo per quello, per realizzarlo con le finte perle giuste e per aggiungerci il ciondolo che conteneva la nostra foto, quella con la mamma, quando eravamo tutti e tre felici, quando ancora c'era speranza. <<Glielo hai strappato di mano contro la sua volontà, e lo hai sfottuto chiamandolo mongoloide. E se pensi di cavartela solo perché mio fratello non è forte quanto te sbagli grosso.>>

<<Ehi, ehi, dolcezza, calmati, io non...>>

<<Che cazzo hai fatto, Kyle?>>

Mi blocco. Tutti lo fanno. Il mondo intero si ferma, si blocca temporaneamente. Aaron torreggia dietro di me, ma il suo sguardo magmatico non è diretto alla sottoscritta, non mi guarda neppure, non mi nota neanche. Non esisto più. Sta guardando solo Jensen, con una furia che non gli avevo mai visto prima d'ora. <<Ehi, amico, sei stati voi a dirlo, no? Di farla irritare>> si giustifica Jensen. <<Ho solo sfottuto un po' il fratello.>>

<<Cazzo, Kyle, a volte sei così stupido che non me ne capacito>> Bill scuote la testa, il suo corpo è rigido nonostante il sorriso sulle labbra, e capisco dallo sguardo degli altri presenti che non ci sono vie di fuga. Anche loro sono spaventati, si stanno allontanando da Jensen, da me, e da Aaron. <<Mi dispiace, Principessa, non era previsto.>>

<<Siete stati voi a dirgli di prendere per il culo la mia famiglia!>> strillo, fuori di me.

<<Non di sfottere tuo fratello, cazzo!>> esclama Aaron, la vena sul suo collo pulsa visibilmente. Jensen sbianca, la mia presa sul bracciale si fa più forte. <<Figlio di puttana, ma che cazzo hai nel cervello?>>

<<Si può sapere che avete?>> scoppia a ridere lui. <<Siete voi che vi lamentate sempre di questa qui! Be', lei è attaccata al culo di suo fratello praticamente tutto il tempo. Non vedo dove io abbia sbagliato.>>

<<Prendere per il culo una tizia come lei è un conto, approfittare del fratello un altro>> la voce di Aaron è piatta e crudele come al solito, ma trapela l'ira divampante ora che gli sono così vicina. La sua mano si ferma sulla mia spalla, e vorrei scappare, vorrei poterlo odiare, ma il tocco è dolce, delicato, completamente in contrasto con la rabbia che percepisco nei suoi muscoli contratti. <<Non ti abbiamo mai detto di maltrattare Luke Porter, brutto imbecille.>>

<<Ehi, Kyle, amico, io mi scuserei se fossi in te>> il suggerimento del ragazzo semivestito è lecito, ma non apprezzato. Lo fulmino con un'occhiataccia.

<<Al posto tuo lo farei, Kyle>> aggiunge Bill, le braccia incrociate serrate al petto nudo.

<<Dio, non vi capisco proprio>> Kyle scuote la testa, esasperato. <<È da settimane che vi lamentate di quanto questa qui>> mi indica incredulo <<vi sta prendendo per il culo. E io ho fatto quello che ritenevo opportuno per farvi un favore. Suo fratello è un cretino, non vedo perché...>>

Vorrei poter dire di averlo colpito. Vorrei poter dire che il mio pugno lo abbia scaraventato a terra come è appena successo, ma non posso. Perché il pugno non è mio, quella mano non mi appartiene, non potrei mai avere una mano così grande, dita così rozze, unghie così tagliate e curate. La mano che ha colpito Jensen in pieno volto non è mia, è di Aaron King. E la gamba che colpisce Jensen sullo stomaco non è ancora mia, bensì di Bill King. E sono sorpresa, e sono arrabbiata, e confusa, e sconvolta. L'ira scema lentamente, sostituita dall'incredulità. Il resto del mondo guarda, guada soltanto.

<<A volte mi chiedo perché non esista un premio per la stupidità, Kyle, perché saresti il primo a ottenerlo>> sospira Bill, allontanandosi. Si passa una mano fra i lunghi capelli biondi, spettinandoli, e lancia un altro sospiro. <<E non ti lamentare, ti abbiamo appena salvato la vita, la tizia che hai appena indicato era pronta a strapparti il cuore.>>

Ha ragione, e mi chiedo come faccia ad essersene accorto. Forse la mia faccia non è poi così da poker. Mi avvicino lentamente alla vittima di questo atto di bullismo, e in un gesto liberatorio gli do un calcio sulle palle. Dritto, mirato e preciso. Una soddisfazione pura. Bill chiude gli occhi per non guardare tale sofferenza, mentre lo stronzo si piega per il dolore appena infertogli e gli altri ragazzi lanciano versi di compresione per tale sofferenza che devono aver patito almeno una volta nella vita.

<<Quando ti sarai ripreso e avrai raccolto un po' della tua dignità>> interviene Aaron <<voglio che tu vada dritto da Luke Porter e chieda scusa, in ginocchio, se serve. E tu>> la presa sulla mia spalla ritorna e si fa più forte <<vieni con me.>>

<<Come, prego?>> lo stupore e la rabbia mi confondono, non riesco a seguire il filo della situazione, sempre che tutto questo casino abbia un senso.

<<Ho detto: vieni con me>> il suo è un ordine, non si aspetta altro che obbedienza, e poiché sa che non la otterrà mai da me, scuote la testa e afferra un paio di jeans dalla panchina. <<Voi altri, Bill, fate riprendere Jensen. A lei ci penso io.>>

<<Non ammazzare il mio fratellone, Principessa>> mi prende in giro Ridarella, ora tornato in modalità figo senza cervello. <<E' un bravo ragazzo, non merita una morte atroce.>>

Vorrei potergli rispondere con una battuta, ma il braccio di Aaron scivola attorno il mio, lo imprigiona, e mi trascina fuori. Non mi ribello, non sono così stupida da farlo. Ma la sua stretta non fa male, e il suo corpo non è più rigido. È...confortante.

Una volta aver raggiunto l'ingresso degli spogliatoi, mi libera, sa che non scapperò, perché non ho alcun motivo per farlo, ma mi lancia comunque un'occhiata di sicurezza. I suoi occhi verdi come una foresta sono freddi come sempre, ma non mostrano la solita diffidenza quotidiana. Lentamente, attentamente, infila i suoi jeans sotto l'asciugamano, per poi slacciare quest'ultimo. <<Niente boxer? Che schifo>> gracchio. Il mio commento è più che lecito.

L'asciugamano bianco ricade a terra, e lui rimane fermo di fronte a me. Ora che il cervello ha ripreso a funzionare correttamente grazie a quel calcio sulle palle dello stronzo, posso tornare ad archiviare informazioni. I miei occhi scivolano sul suo corpo scolpito, sicuramente frutto di allenamenti pesanti e torture a cui, ahimè, a mia volta mi sottopongo per poter proteggere Luke con ore e ore di dolore in palestra. Mi sta sul cazzo, ma non posso negare che ha un fisico a dir poco... scultoreo. Lungo il suo fianco sinistro scorgo il disegno di un tatuaggio... un disegno tribale, maori, antico e misterioso. Proprio come lui. Proprio come tutta la sua famiglia. <<Bel fisico>> commento <<scommetto che ti ha aiutato parecchie volte quando volevi portarti una a letto.>>

Non parla, si muove e basta. Le sue dita callose scivolano lentamente nell'aria, piano, silenziose, raggiungono il mio collo, risalgono seguendo la piccola curva per raggiungere il mento per inclinare la mia testa e costringermi a guardarlo negli occhi. Nero pece contro verde foresta. Distruzione contro creazione, e silenzio contro rumore. È freddo qua, fa freddo dentro di me, è così ogni volta dopo che la rabbia sbollisce.

<<Che stai facendo?>> domando, l'ironia è ormai completamente scomparsa dalla mia voce.

<<Sto controllando come stai>> risponde, le sue labbra carnose si muovono lentamente, scandendo ogni singola parola. Le sopracciglia folte si aggrottano leggermente.

<<Non credevo ti importasse.>>

<<E' colpa mia se è successo.>>

<<Stai dicendo che ti importa?>>

<<Sto dicendo che se stai male è una mia colpa, e che perciò voglio prendermene le responsabilità.>>

È così serio, così determinato... non riesco a trattenermi, una risatina sfugge dalla mia gola mentre mi allontano. <<Ti hanno mai detto che sei una persona estremamente pesante, a volte?>>

<<Non è la prima volta che mi capita di sentirlo>> incrocia le braccia al petto. <<Mi dispiace. Per quello che è successo. È colpa mia.>>

Fisso il bracciale che ancora stringo convulsivamente fra le dita. Luke sarà felice di rivederlo. Smetterà di piangere. Vederlo così disperato e umiliato è stato... sconfortante, odioso. Ancora una volta, mi sono resa conto di quanto sono stata impotente. Sempre, di nuovo, ancora. Impotente di fronte alle crudeltà del mondo, alle ingiustizie della vita. Perché le persone sono crudeli, e io non posso farci nulla. <<Se volete farmi del male, fatelo. Se volete picchiarmi a sangue per farmi cambiare idea, provateci. Se volete umiliarmi, deridermi, bullizzarmi fino a costringermi a supplicarvi pietà in ginocchio, fatelo. Ma non toccate Luke. Nessuno tocca mia fratello, capito?>>

Aaron annuisce, piano, in silenzio. Lo guardo esterrefatta, le braccia mi cadono lungo i fianchi. <<Stai facendo l'accondiscendente apposta?>>

<<No>> scuote la testa. <<Hai ragione tu.>>

Era l'ultima cosa che mi aspettavo di sentirmi dire. È piacevole, non lo nego, ma è talmente sconvolgente da lasciarmi completamente impreparata. Non mi aspettavo di poter bere lo champagne della vittoria così presto. <<Mi assicurerò che sia tu che Luke riceviate le dovute scuse>> aggiunge. <<Mi dispiace, Kyle è un bravo ragazzo, ma a volte non sa riconoscere certi limiti. Vedrai che verrà a chiedere perdono di sua spontanea volontà.>>

<<Mi stai prendendo per il culo?>>

<<Io non scherzo mai su queste cose, Porter. Non sopporto coloro che non hanno rispetto e maltrattano i più deboli.>

<<Non noti una certa ipocrisia?>> gli faccio notare.

<<Tu non sei debole e io non ti maltratto.>>

<<E Pamela?>>

<<Pamela non sono affari tuoi.>>

<<Sono pienamente d'accordo, di fatto siete voi che fate in modo che sia così, cercando di farmi incazzare. Nel cercare di farvi gli affari vostri, mi costringete a scoprirli.>>

<<Tu hai una lingua lunga e il pugno facile. Farai una brutta fine.>>

<<Non voglio sentirmi dire questo da un tizio che ha appena colpito il suo stesso compagno di squadra in piena faccia quando era nudo come un verme.>>

<<Disse colei che ha appena reso temporaneamente sterile questa persona.>>

Sorrido, non riesco a trattenermi. Ha vinto lui, non posso negarlo. Uno a zero per Aaron King. Il re degli sport, del mondo e anche delle discussioni. <<Se dovete farmi del male, prima imponete un veto su Luke>> sibilo. <<Così che nessuno lo tocchi.>>

<<Se lo facessi tuo fratello non avrebbe alcun tipo di rapporto con gli altri studenti.>>

<<Meglio così, meno rischi che lo prendano in giro.>>

<<So che non ci crederai mai, ma non sono tutti così stupidi come Jensen in questa scuola.>>

<<Certo.>>

Aaron socchiude gli occhi, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Lo fa spesso, anche quando non parliamo. Mi scruta, mi analizza, osserva tutto quello che può osservare per archiviare informazioni. Sarebbe un'ottima spia federale. 

<<L'ho notato parecchio tempo fa: sei iperprotettiva nei confronti di tuo fratello. Non gli stacchi mai gli occhi di dosso e sembri considerare qualsiasi persona gli si avvicini una minaccia.>>

<<Perché è così.>>

<<Non è così, sei l'unica a pensarlo.>>

<<Non hai vissuto quello che ho vissuto io. Pensi che sia la prima volta che mi capiti di incontrare uno come Kyle Jensen?>> indico la porta da cui siamo appena usciti. <<Be', non era la prima volta. Ce ne sono state decine, centinaia, forse migliaia. Da persone che conoscevo, da amici, da sconosciuti, da gente che incontravamo anche per strada. Dicevano a Luke che era stupido, a me che ero brutta, a mia madre che era una puttana.>> Il mio volto si deforma al ricordo di quei tempi, e lui se ne accorge. Cerco di riprendere un contegno, di tornare a prima, a quando era tutto okay, a quando la mamma era ancora a casa e stava con noi, ci cantava, ci amava. <<Non è il primo, e non sarà neanche l'ultimo. E ti ringrazio per quello che hai fatto, ma non ne avevo bisogno. So proteggere mio fratello da sola.>>

<<Non l'ho fatto per te, l'ho fatto per Luke.>>

<<Tu neanche lo conosci.>>

<<Perché per difendere legittimamente una persona devi per forza conoscerla, giusto? Proprio come stai facendo tu con Pamela.>>

<<Io non sto difendendo Pamela>> replico. <<Non so quello che fatto a voi, e non so cosa voi avete fatto a lei. Francamente, me ne sbatto. Non mi interessa, okay? Notizia dell'ultima ora, Aaron King, il mondo non gira sempre attorno a voi. Pamela è stata gentile con me, mi ha parlato, mi ha fatto ridere e mi ha aiutata a studiare matematica, e si è guadagnata parecchi punti amicizia per quest'ultimo motivo. Ma non so cosa vi ha fatto, perciò non la difendo. Per quel che mi riguarda potrebbe pure aver travestito il vostro maggiordomo da principessa Cenerentola. Semplicemente, non mi interessa.>> Sto per aggiungere altro, ma l'incredulità mi blocca prima che possa proseguire.

L'angolo sinistro delle labbra di Aaron sta tremando. Trema forte, vigorosamente, per trattenersi, per trattenere il sorriso che non riesce a contenere. Si volta leggeremente, ma la mano alla bocca non basta per nascondere la risatina che sfugge dalla sua bocca, il divertimento che attraversa i suoi occhi, le sopracciglia aggrottate e il tremolio del suo corpo che ridono insieme al suo sguardo. Ed è... incredibile. Aaron King, signore e signori, è una visione quando ride. Sembra così... umano. Non me lo sarei mai aspettata. <<Allora persino tu hai un cuore>> mormoro sconvolta.

<<Mi sono immaginato Wilson vestito da Cenerentola e... non ce l'ho fatta.>> Dopo qualche secondo di esitazione, si lascia andare a una vera e propria risata. Profonda, roca, virile. Ha un suono straordinario, e rimbalza fra le pareti in un eco piacevole e rilassante. Non so se esser più sconvolta per il fatto che sappia ridere o che abbiano veramente un maggiordomo. <<Tu hai una fantasia deviata>> conclude alla fine, dopo essersi ripreso da quel minuto di ilarità. <<Devo dirlo a Sophia, morirà dalle risate.>>

<<Non pensavo sapessi ridere, ti credevo un robot.>>

Scrolla le spalle, ora è tornato al solito se stesso di sempre. Inavvicinabile, intoccabile e minaccioso. <<Ti porgo le mie scuse per quel che è successo da parte di tutta la mia famiglia.>>

<<Non voglio che vi scusiate con me, fatelo con Luke. Tutti e tre.>>

<<Non ti preoccupare, principessa>> la porta si apre di nuovo e Ridarella ci raggiunge con il suo solito sorriso idiota stampato sulle labbra <<lo faremo, anzi, probabilmente Sophia ci ucciderà per quello che è successo. Ci trascinerà da tuo fratello con la forza.>>

<<Vi fate comandare a bacchetta in questo modo dalla vostra sorellina? Interessante.>>

<<Ehi, principessa, persino tu ti spaventeresti se si incazzasse con te. È una piccola furia. In confronto, te in modalità berserk sembri un cucciolo di labrador.>>

<<Non mi hai ancora vista in modalità berserk>> lo avverto, e lui sorride di nuovo. <<E ti auguro di non vedermici mai. Soprattutto se sei tu ad avermi fatto incazzare.>>

<<Be', eri piuttosto sexy quando hai sfondato la porta e hai minacciato Kyle in quel modo, ho registrato tutto nella mia testa, così sapro con cosa divertirmi nei momenti di solitudine.>>

<<Da piccolo ha sbattuto la testa da qualche parte?>> domando, rivolta a Stoccafisso. <<Perché non riesco a spiegarmi in nessun altro modo come sia uscito così stupido.>>

<<Fidati, è da una vita che mi pongo la stessa domanda>> risponde Stoccafisso.

<<Ehi!>>

<<Il nostro amico come sta?>>

<<Kyle si riprenderà, anche se quel calcio sulle palle che gli hai dato...>> Ridarella scuote la testa, stupefatto <<... credo ci impiegherà un po' di mesi prima che possa tornare a scopare di nuovo.>>

<<Bene, spero che gli faccia male.>>

<<Sei troppo vendicativa, sai?>> nota Aaron. <<Finirai in un mare di guai se continui così, questa scuola non è fatta per le vendette personali.>>

<<Quale scuola lo è?>> lo sfotto, Ridarella sorride. <<Vi ho avvertiti, se toccate di nuovo mio fratello vi taglierò il pene e ve lo farò mangiare.>>

Aaron inarca un sopracciglio, Ridarella si sbellica dalle risate. Non prendono la mia minaccia sul serio, o fingono di non farlo. È estremamente difficile riuscire a inquadrare questi fratelli. <<Sai, ci stai provocando un bel po' di problemi, Porter>> stavolta, quando parla, Stoccafisso non sembra arrabbiato, solo... leggermente divertito. <<Di solito nessuno ha il coraggio di parlarci in questo modo.>>

<<Perché siete i figli del preside e se vi faccio piangere correte da Paparino con i lacrimoni? Buu, mi ha fatto male, quella ragazza è cattiva, papà! Buu>> singhiozzo, imitando i versi di un bambino. <<Mammina, voglio il latte! Mi ha minacciato! È cattivaaaa!>>

Bill copre la bocca per nascondere la sua risatina, il sopracciglio di Aaron sale ancora su, fino a raggiungere l'attaccatura dei capelli alla testa. <<Tu devi avere avuto una vita molto triste.>>

Scoppio a ridere, ed è una sorpresa. On mi ero resa conto di questo, ma con loro ho riso molto più spesso del solito. È strano sentirla, questa risata che a fatica riconosco. È strano, incredibile, spaventoso. Mi pizzico la guancia, fa male, non è un sogno. <<Chiedete scusa a mio fratello, non a me. Lo avete fatto piangere, e mio fratello non lo merita. È vero, anche Luke parla con Pamela, ma voi non avete idea di quanto incredibile e importante sia per lui riuscire a chiacchierare con qualcuno, farsi degli amici.>>

Aaron e Bill si scambiano un'occhiata, da bravi fratelli quali sono riescono a comunicare con gli sguardi. L'invidia mi divora, non ho mai potuto provare un simile senso di complicità con qualcuno, nemmeno con Luke. Lui è... be', è un bambino intrappolato in un corpo troppo grande, e a volte gli riesce difficile capire alcune emozioni. <<Domani diamo una festa>> Bill si muove verso di me, ma non mi tocca, non si avvicina, mi guarda e basta <<, a casa nostra, vieni. Tu ci reputi degli stronzi, perché non provi a conoscerci meglio?>>

<<Perché dovrei?>> incrocio le braccia. <<Non mi pare di starvi molto simpatica.>>

<<Al contrario>> sghignazza lui. <<Quel calcio sulle palle? Spettacolare. Meriti tutto il mio rispetto. E anche qualcos'altro, ma se te lo dicessi mi crederesti un ninfomane.>>

<<Non ti preoccupare, lo credo già.>>

Le labbra di Aaron tremano leggermente per trattenere il sorriso. <<Ovviamente, non dovrai portare Pamela con te.>>

<<E' una sfida?>>

Lui si limita a fissarmi, e io faccio altrettanto. L'aria sembra esser diventata rovente. <<Scommetto che non sei mai stata a una festa, non è così, Principessa?>> mi sfotte Ridarella.

<<No, è vero.>> La maggior parte delle volte ero sulla lista nera degli invitati, e in quelle rare occasioni dove ero invitata sul serio era sempre dovuto a un gesto di compassione, per cui rifiutavo sempre. <<E non credo che verrò, non sono il tipo, mi spiace.>>

<<Già, effettivamente ti troveresti male, ora che ci penso non è il posto adatto a quelle come te.>>

La provocazione di Stoccafisso funziona. Un punto per lui, maledizione. Ha vinto, mi ha fregata, mi ha punta sul vivo perché sa che sono orgogliosa, sa cospargere sale sulla ferita, e quanto vorrei avere abbastanza fegato da ignorarlo, ma non posso. Non ce la faccio proprio. Sono una cretina. <<Prego? Quelle come me?>>

Ridarella sorride, Aaron rimane impassibile, ma dalla luce nei suoi occhi intuisco che è fiero di se stesso. Grandissimo bastardo. <<Hai capito, no? Quelle come te. Non ti ci vedo proprio in mezzo a centinaia di persone che hanno decisamente più gusto a vestire e sanno come pettinarsi i capelli.>>

Il riferimento alla mia chioma scomposta è più che evidente, e non posso negarlo. La maggior parte delle volte è Luke che si preoccupa di pettinarli, ma lui... be', a lui piace più giocare con le mie ciocche piuttosto che aggiustarle, col risultato di trasformare ogni capello in un cavo elettrico ad alta tensione. <<Aaron ha ragione, ti sentiresti a disagio, visto come ti comporti e atteggi si direbbe che non hai la più pallida idea di come truccarti.>>

Colpita e affondata.

<<E di come vestirti.>>

Centro in rete.

<<Perciò forse hai ragione, non dovresti venire. Non sia mai che tu faccia una figuraccia.>>

<<Se pensate di potermi convincere con queste provocazioni siete in alta marea, mia cari. Mi state solo invogliando ancor più a rifiutare questo invito. A domani.>>

<<La festa inizia alle undici>> mi informa Bill, mentre esco dallo spogliatoio. <<Ci saranno alcool e cibo, invitante, non credi?>>

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