Mancanza (CAPITOLO EXTRA)
- Comprare le medicine di Luke: fatto
- Farmi un panino al salame: fatto
- Comprare gli assorbenti: fatto
- Insegnare a Stoccafisso come cucinare un piatto di pasta senza dar fuoco alla cucina: fatto
- Cercare su internet "come fare il miglior pompino dell'universo": fatto (anche se temo di aver traumatizzato a vita Sophia, ah, povera cucciola)
- Fare i gavettoni con i profilattici di Stoccafisso: fatto
- Irritare Stoccafisso: fatto
- Prendere a calci nel sedere Bill per aver deciso di andare alla Columbia University senza parlare prima con Pamela: fatto
- Prendere a calci nelle ovaie Pamela per non aver parlato con Bill prima che partisse alla Columbia University: fatto
- Aiutare Luke con i compiti: fatto
- Tentare di allacciare i rapporti con mio zio: fatto
- Tentare di allacciare i rapporti con i miei cugini: fatto (anche se Craige fa dei panini illegali, non so se lo voglio per davvero come amico)
- Prendere il diploma: fatto
- Scegliere l'università: fatto (mamma sarebbe così orgogliosa di me ehehehhe)
- Illuminare Stoccafisso con il risultato delle mie ricerche su internet: fatto
- Incontrare i genitori di Stoccafisso...
Ugh.
Ugh.
Uuuuuugh.
No, non posso.
Non posso proprio.
Piuttosto la morte.
<<Non ci provare>> mi ammonisce Stoccafisso, seduto sulla sedia della scrivania, con ancora gli occhiali da lettura addosso. Io mi sdraio di pancia sull'enorme materasso del suo letto a baldacchino e lancio un altro verso disumano. <<Non puoi evitarlo, Sasha.>>
<<Posso, invece, se prima muoio>> ribatto, posando la testa sul cuscino. <<Ho già incontrato tuo padre quando sono arrivata a scuola. Solo quella volta. Ed è stato davvero, davvero orribile. Preferisco evitare di ripetere una simile esperienza e limitarmi a fingermi morta cerebralmente.>>
Aaron abbozza un leggero sorriso e richiude il suo quaderno di fisica. <<Per quello non hai bisogno di fingere, ci riesci già benissimo normalmente.>>
Non posso negare la realtà dei fatti, per quanto sia tentata. Sbuffo e mi limito a grugnire come un maiale. Aaron scoppia in una fragorosa risata. <<Sai, di solito è il contrario. L'uomo non vuole conoscere i genitori della sua fidanzata e la fidanzata sprona il suo ragazzo affinché, invece, lo faccia.>>
<<Non per ribadire l'ovvio, ma penso che tu sappia più che bene che nella nostra relazione la maggior parte delle volte sono io l'uomo>> mi metto a sedere sul letto e sospiro, grattandomi i capelli nel disperato tentativo di scacciare via l'irritazione. <<Tranne quando siamo a letto, in quel caso non posso negare di essere nata senza l'ausilio del cromosoma y, ma solo in quel limitato contesto.>>
Le labbra di Aaron si sollevano leggermente, ma non abbastanza da modificare la sua espressione impassibile. Si toglie gli occhiali e li posa sulla scrivania, per poi alzarsi con la sua solita eleganza dalla sedia e scrutarmi come il papà burbero e impertinente che è sempre stato. Il maglione azzurro di cotone che Luke gli ha regalato a Natale gli sta divinamente, dannazione, fascia i suoi muscoli come una seconda pelle, e quei maledetti jeans sembrano essergli stati cuciti addosso. Non vale, è crudele. Se fosse brutto per lo meno avrei dalla mia la scusa di non volermi presentare in giro con lui. Sono abbastanza crudele da fare cose simili. E invece no, lui doveva essere un dannatissimo figo.
Con i capelli rasati ai lati, poi?
Maledetta Madre Natura.
La luce filtra attraverso la finestra e mi illumina, accecandomi. Chiudo gli occhi e poggio la testa sul materasso. <<Perché vogliono conoscermi?>> mi lamento. <<Stiamo insieme da un anno e li avrò visti in questa casa sì e no tre volte, e sempre di sfuggita. Quindi come diavolo è venuto in mente loro di chiederti di presentarci? Finirò per ucciderli.>>
<<Non esagerare, ora.>>
<<Sì, invece. Dico, hai visto tua madre? E' talmente rifatta che se le danno un altro po' di aria nelle guance inizierà a volare.>>
Aaron scoppia a ridere ancora, impossibilitato a negare la verità dei fatti.
<<Hai ragione>> ammette, sedendosi al mio fianco con le gambe incrociate <<ma non per questo la cosa ti deve spaventare.>>
<<Tu pensi che io sia spaventata?>> sgrano gli occhi e lo guardo con orrore. <<Aaron King, ancora non hai capito come sono fatta! Quello che temo è di rischiare di prenderli a botte non appena mi diranno che devo convincerti a cambiare idea sull'università da frequentare.>>
Lui inarca un sopracciglio. <<Pensi che sia per questo che vogliano conoscerti?>>
<<Sono stupida, ma non fino a questo punto.>> Sospiro di nuovo. <<E finire di nuovo in galera per colpa di esseri come loro non mi sembra un bel modo per iniziare la mia carriera universitaria.>>
<<Hai ragione>> ammette lui con una risatina. <<Ma per lo meno sarebbe divertente.>>
<<Molto, molto, molto simpatico, Stoccafisso. Vuoi che ti faccia una statua?>> gli domando sardonica.
<<Hmm, no, grazie.>> Ride ancora e posa una mano sul mio capo, per impedirmi di muoverlo sul materasso come se fossi posseduta da un demone malvagio e assatanato. <<Dico davvero, non c'è bisogno che ti alteri. Faranno i soliti commenti alla "Aaron dovrebbe fare football, non studiare fisica, aiutaci a convincerlo" e poi se ne andranno. Fanno sempre così.>>
Non riesco ancora a concepire come possa ammettere una simile realtà dei fatti con così tanta scioltezza, come se stesse parlando del tempo, come se la cosa non lo tangesse minimamente. E' talmente abituato a questa situazione tutt'altro che sana, a questo contesto tutt'altro che familiare, da non sentirsi minimamente turbato dalla richiesta inaudita dei suoi genitori di proseguire nel percorso che loro hanno designato per lui e che lui, invece, si rifiuta di intraprendere. <<La tua tranquillità mi spaventa>> ammetto alla fine <<così come la tua sicurezza. Non riesco ancora a credere che tu riesca veramente a stare con una come me.>> Striscio lungo il materasso fino a raggiungere la testata del letto. <<Come fai a parlare con loro senza insultarli nemmeno un po'?>>
<<Carattere, immagino. E, soprattutto, sanità mentale>> risponde lui, per nulla turbato. Inarco un sopracciglio, Stoccafisso sorride di nuovo. <<Quando ero piccolo, nonno Richard mi disse una cosa.>>
Lo guardo, sorpresa. <<Davvero, che cosa?>> torno a sedermi al suo fianco e incrocio le braccia, in attesa.
Aaron sghignazza ancora. <<Mi disse che la persona giusta per noi è quella che dispone della nostra più grande mancanza.>>
Fischio con ammirazione, sinceramente colpita. <<Uno degli insegnamenti alla "nonno figo">> commento divertita.
<<Una cosa simile, ma aveva ragione.>> Quando si china, le sue labbra sfiorano le mie, mandando in cortocircuito il mio cervello per qualche istante.
<<Quindi io possiedo ciò che a te manca e tu possiedi ciò che a me manca?>>
<<Esatto. Tu sei frenetica, vivace, pessimista e facilmente irritabile.>>
<<E tu invece sei calmo, mite, tranquillo e terribilmente stoccafisso.>>
<<Esatto. La mancanza.>> Annuisce di nuovo.
<<Sai che cosa manca veramente, Stoccafisso?>>
<<Un panino al salame?>>
<<Anche. Ma non è urgente, non ancora, per lo meno.>>
<<E allora cosa?>>
<<Il pacco di profilattici. Non ce l'hai ancora in mano. Muoviti a prenderli.>>
N.A.
Ehilà, ragazzi, grazie per aver letto anche questo capitolo extra! Sì, lo so, è molto corto, ma doveva esserlo, perché, come già detto, non avrebbe senso proseguire una storia ormai già conclusa.
Ho pubblicato questo capitolo per festeggiare! Festeggiare cosa? Il mio compleanno. Sì, lo so, molto egocentrico da parte mia. Ma io sono un po' egocentrica (eheheheh). E poi in realtà era solo un pretesto per rivedere Sasha un'ultima volta. Mi sono divertita a scriverlo, è stato piacevole, quasi nostalgico.
E, inoltre, sono un po' entusiasta in questo periodo. Non solo per il mio compleanno, che è sempre una scusa per festeggiare (mi interessa più il festeggiamento che il compleanno in sé u.u), ma anche perché la scorsa settimana ho avuto un'illuminazione per un futuro romanzo che inizierò a pubblicare non appena avrò finito MAI PIU' CENERENTOLA. Perciò, forse, questo è più un regalo per me che per voi. Ahhh, non sto nella pelle. Mi sto emozionando al solo pensiero. I personaggi sono già pronti, la storia pure, e persino gli eventi che la caratterizzeranno! Lo so, lo so, non vi preoccupate, non la pubblicherò adesso. Ora le mie attenzioni sono unicamente rivolte a Sophia, al suo finale e alla sua favola. Ma volevo comunque condividere con voi la mia gioia, visto che mi avete sostenuta per tutto questo tempo.
E poi, come già detto, sono un po' egocentrica, quindi... è.é
PROSSIMAMENTE SU WATTPAD
Susan Graham è morta. Si è suicidata il sette Gennaio nella vasca del suo bagno, tagliandosi le vene. Nessuno se n'è accorto. Nessuno ha celebrato il suo funerale. Perché tutti quanti pensano che Susan sia sopravvissuta grazie all'intervento tempestivo dei genitori, che l'hanno portata d'emergenza in ospedale. L'unica ad essersene resa conto è Diana.
Diana è dentro il corpo di Susan, ed è parte di Susan, ma non è Susan. Susan è morta, e ora Diana sta cercando invano di riportarla indietro. Ma il dolore è troppo perché possa sopportarlo, e l'unica forma di conforto che può ottenere è attraverso i tagli che si provoca su tutto il suo corpo. Diana si sente morta, proprio come Susan. Diana è invisibile, Diana non può esser vista, Diana non dovrebbe esistere.
Tre volte alla settimana, Diana prende il pullman per andare in un centro realizzato per ragazzi autolesionisti come lei. Tre volte a settimana, Diana si siede davanti al ragazzo col cane. E questo ragazzo, per quanto cieco, sembra l'unica persona in grado di vederla veramente, di percepirla veramente, di amarla veramente. Ma Retth Woods è cieco, e Diana è un fantasma, come possono due persone simili entrare in sintonia? Come possono salvarsi, se l'uno non vede l'altra?
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