Legami da recidere (parte uno)
<<Perché continui a pedinarmi come uno stalker?>> mi lamento, mentre scalcio un ciottolo che si trova per terra. <<E se dovessi fare la pipì?>>
Aaron è, come sempre, impassibile. <<Mi volterò>> risponde semplicemente.
<<E se dovessi cambiarmi l'assorbente?>>
<<Va bene.>>
<<Te lo lancerò addosso.>>
<<Santo cielo, che schifo.>>
<<Dritto in faccia>> continuo.
<<Per favore, smettila.>>
<<Anzi, te lo ficcherò in...>>
<<Sasha, sei stata eloquente>> mi blocca lui, posando una mano sulla mia bocca per fermarmi.
<<Non abbastanza, sei ancora qui, no?>>
<<Perché è pericoloso lasciarti scorrazzare da sola.>>
<<So difendermi molto bene.>>
<<E' proprio questo il problema, mi preoccupo per le persone che potresti aggredire.>>
<<Sei una persona saggia.>>
<<Lo so.>>
<<E un presuntuoso.>>
<<Non credo proprio.>>
<<Pieno di sé>> aggiungo.
<<Nemmeno questo.>>
<<Uno stalker.>>
<<Hai molto tempo da perdere se ti piace insultarmi in questo modo. Non dovevi fare la pipì?>>
Sbuffo e infilo le mani dentro la tasca gigante della mia felpa. <<Sei una palla.>>
<<Detto da te è un complimento.>>
Scalcio un altro ciottolo, che precipita giù per la pendenza della collina. <<Affinchè tu lo sappia, non ho bisogno che ti trasformi nel padre apprensivo che non ho mai avuto. Me la cavo da sola, te l'ho già detto, e questa invasione della privacy da parte tua mi sta portando a considerare seriamente l'opzione di strapparti le palle e mettertele sul piatto per colazione.>>
Aaron non risponde, la sua faccia di pietra permane. Maledizione, è davvero invincibile. Scalcio un ramoscello, il mio respiro congela non appena fuoriesce dalla gola, trasformandosi in una piccola nuvoletta bianca che svanisce in pochi istanti. <<Di cosa volevi parlarmi?>> domando alla fine. <<Andiamo, non sono certo così stupida da credere che mi hai accompagnata solo perché ti piace la mia compagnia. Avanti, spara.>>
Continua a ignorarmi, mi segue mentre cammino lenta lungo il percorso di ciottoli, la felpa azzurra si tende a ogni suo respiro, mostrando un accenno di pettorali e addominali che farebbero sbavare qualsiasi donna con un minimo di libido. È un bene che la mia mancanza di interesse nei confronti dell'altro sesso mi impedisca di soffermarmi su questi particolari. <<Ora non ridere, ma la tua compagnia è il motivo per cui ora sono qui.>>
<<Non prendermi in giro>> rispondo drastica.
<<Non lo sto facendo.>> La sua voce è, come al solito, più seria che mai, ma i suoi occhi sono abbagliati da una luce che non riesco a interpretare né riconoscere. <<Tu non hai la più pallida idea di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che io o i miei fratelli abbiamo potuto parlare con una persona in questo modo.>>
<<Insultandola?>> domando.
<<No, parlarci per davvero. Senza falsi complimenti e senza doppi fini>> mi corregge, chinando la testa per guardare il terreno sotto di noi.
<<Non è più che altro perché odiate quelli della vostra scuola?>> chiedo stringendomi nelle spalle. <<Per... quello che hanno fatto a Andrew.>>
Il suo corpo si irrigidisce più del solito all'udire quel nome, e le sue labbra si serrano in una linea dura e sottile che mi provoca un brivido. Ma non è rabbia, quella che il suo corpo sta trasmettendo, e nemmeno irritazione. Un moto di comprensione mi travolge quando mi rendo conto che questo ragazzo così imponente, allenato e scultoreo ha, proprio come me, difficoltà ad esprimere il dolore che prova, la sofferenza che lo sta dilaniando dentro. Ma mentre io mi sfogo attraverso l'ira e la rabbia, Aaron alleggerisce la pesantezza di questi pensieri così turbolenti affogando in un mondo razionale e logico dove tutto è al proprio posto e sotto controllo. E di colpo, ai miei occhi non è più Stoccafisso, Mr Maschera, Mr Duro e Puro, è solo un ragazzo di diciassette anni, proprio come me, che ha subito una perdita, proprio come me, che soffre ogni giorno per questo dolore, proprio come me, e che sarebbe disposto a tutto pur di mettergli fine. Proprio. Come. Me.
<<Andrew era speciale>> mormora alla fine. <<I suoi genitori e i nostri erano amici d'infanzia, e quando ci siamo trasferiti qui dal Texas è stato il primo con cui abbiamo legato. Era timido, sincero e non gli interessavano i nostri soldi o la fama dei nostri genitori. Stava con noi per il semplice piacere della nostra compagnia. Perciò sì, Sasha, ho davvero molte difficoltà a stare insieme alle persone che l'hanno portato ad ammazzarsi. Ogni giorno, quando parlo con loro, quando chiacchiarano e fingono l'innocenza, vorrei solo buttarle dalla stessa finestra da cui lui si è lanciato.>>
<<Potresti farlo>> gli faccio presente. <<Potresti farlo. Potresti andare da loro, spaccargli il culo e distruggergli la vita.>>
Una risata amara fuoriesce dalla sua gola. <<E a che scopo, Sasha? Lui non c'è più. Se n'è andato per sempre. E non tornerà indietro, non importa quanto faccia male ai suoi assassini. Tu ti sei sentita meglio quando hai quasi ammazzato quello studente?>>
Vorrei mentire. Vorrei poter dire che sì, è stato così, che colpirlo mi ha liberato da quel demone che mi stava provocando e distruggendo, ma i suoi occhi sono su di me, il loro sguardo mi impedisce di dire una bugia, e io non riesco a distogliere il mio. <<No>> ammetto alla fine. <<Ma lo sapevo sin dall'inizio, ne ero consapevole.>>
<<E allora perché l'hai fatto?>>
<<Perché lo volevo fare>> rispondo a bassa voce. <<Cos'altro avrei dovuto fare, Aaron? Mia madre era morta, e mio fratello era stato picchiato a sangue perché aveva avuto il coraggio di piangere mentre lo stavano prendendo in giro. Avrei dovuto stringergli la mano? Dirgli "ehi, guarda, mia madre è appena stata ammazzata da un tossico, potresti cortesemente comprendere il mio dolore e smetterla di trattarci di merda?".>> Mi schiarisco la gola. <<Non potevo più tollerarlo. La gente sta sempre lì a giudicarti, a dire "fai questo, non fare questo" e quando stai male, viene da te per consolarti e quantificare il tuo dolore, come se fosse la cosa più giusta da fare, per poi rimanerci male non appena si accorge che la loro presenza non ti aiuta affatto. Sono sempre lì, a ripeterti costantemente chi sei, cosa fare, quando farla, e tu resti immobile perché vorresti almeno una volta nella vita capire cosa cazzo frulla in testa alle altre persone. Perché agiscono in questo modo, perché fanno male agli altri in questo modo. Io non ho mai trovato la risposta, perciò ho semplicemente deciso di comportarmi come loro. Ho smesso di chiedermi il perché e quando venivo ferita ferivo, quando venivo uccisa uccidevo. E nonostante ciò, sono stata ammazzata un sacco di volte, ma mentre ora io sono qui a deprimermi e a domandarmi perché cazzo sono dovuta nascere in questo posto di merda, loro se la stanno spassando allegramente facendo sesso, ubriacandosi e vivendo le loro merdose vite come se se le meritassero per davvero. Perciò sì, non mi sono sentita meglio quando ho spaccato la mazza da baseball in testa a quel figlio di puttana, ma non me ne sono pentita. Lo rifarei. Continuerei a farlo. Se tanto sono nata per strisciare per terra, almeno voglio strisciare per bene. Se devo vivere nella merda e affogarvici, allora imparo a nuotarci e a sguazzarci dentro.>> Mi gratto la punta del naso e sospiro.
<<Tu non sei come loro>> dichiara lui con solennità, una volta terminato il mio discorso tutt'altro che filosofico.
<<E cosa te lo fa credere?>>
<<Perché sei qui, con Luke.>> Mi dà una pacca sulla testa, come se fossi una bambina di due anni. <<E direi che questo è sufficiente per dimostrare che tu, Aleksandra Porter, sei diversa da chiunque abbia mai conosciuto.>>
<<Su questo non avevo dubbi. Quante persone hai conosciuto che hanno avuto il coraggio di chiamarti Stoccafisso, buttarti in un lago ghiacciato, accudirti come infermiere e baciarti a tradimento per una vendetta personale?>>
<<Solo te.>>
<<Bene, iniziavo a preoccuparmi di avere una sottospecie di sosia.>>
<<Che Dio mi salvi da un supplizio simile.>>
<<Potresti salvarti benissimo da solo levando le tende>> gli faccio notare, benchè il mio tono non sia minimamente di rimprovero. Sbaglio o mi sono ammorbidita di questi tempi? Non va affatto bene, soprattuto perché non conosco la causa di tale cambiamento.
<<A te non importa dei nostri soldi>> continua Aaron, imperterrito, per poi bloccarmi subito non appena apro la bocca. <<Mi correggo: i nostri soldi ti interessano, ma non per ragioni egoistiche, è un difetto che, odio ammetterlo, sto iniziando ad apprezzare.>>
<<Ora mi viene da piangere.>>
Mi colpisce sulla spalla con il braccio, scoppio a ridere.
<<Okay, ti propongo un altro gioco>> aggiunge, e io alzo gli occhi al cielo. <<E' facile. Io ti faccio una domanda, tu rispondi e viceversa. Se uno dei due non può rispondere, dovrà fare quello che gli dice l'altro.>>
<<Non ho alcuna intenzione di parteciparvi. Anzi, sai cosa ti dico? Che torno a tornare a insultare tuo fratello per la sua perversione.>> Ma non mi muovo, e aspetto che inizi, non so perché. Forse mi sono ammalata, o forse ho bisogno di poter avere qualcuno con cui parlare per davvero, senza maschere, senza filtri, e senza emozioni costruite. Riflettendoci, mi sono resa conto che mi piace quando Aaron King parla, e mi piace quando pensa, le sue certezze sono il mio angolo di paradiso, vorrei potermi rannicchiare dentro la sua testa per poter provare di persona quella tranquillità per lui così comune e che invece io non potrei mai possedere se non con una dose ingente di calmanti.
<<Cosa pensi che ci sia dopo la morte?>>
<<Per davvero?>> domando incredula. <<Inizi coi discorsi filosofici? Sono finita in uno di quei libri alla John Green?>>
Aaron ride, capisco che mi ha presa per il culo e gli do un calcio sulla gamba che non lo scalfisce minimamente. E ti pareva. <<Quindi leggi John Green? Non ti facevo il tipo.>>
<<John Green mi piace, è okay, è abbastanza realistico.>> Mi stringo nelle spalle a mo' di scusa. <<Era questa la tua domanda?>> Quando annuisce, prendo un grosso respiro. <<Okay, tocca a me. Se dovessi scegliere di poter essere qualcun altro, chi sceglieresti?>>
Lui si infila le mani nelle tasche. <<Non sceglierei nessuno, anche se cambiassi aspetto questo sono io e basta. Non cambierebbe nulla. Rimarrei...>> si ferma un secondo e il principio di un sorriso compare sulle sue labbra <<... lo stoccafisso di sempre.>>
Ora è il mio turno di dargli la spallata. E il suo turno di fare la domanda. <<Cosa vuoi fare, dopo la scuola?>>
<<Non posso rispondere a questa domanda.>>
<<Perché no?>>
<<Perché non lo so. Prenderò il diploma e poi troverò un lavoro. Ma solo questo. Non so ancora che lavoro. Potrebbe benissimo essere la barista o l'estetista, non mi interessa.>>
<<Non vuoi continuare gli studi?>>
<<Non so se si è visto, ma faccio davvero schifo a studiare. Non è da me. Non sono il tipo che va al college, si prende la laurea, il dottorato e il master, sono più quella che rischia di marcire in galera e poi finisce per lavorare in uno squallido bar.>>
<<Non è vero.>>
<<Sì invece.>>
<<Forse non ti piacciono gli studi, ma ti piacciono altre cose. Ad esempio, potresti fare la lottatrice di wrestling, saresti brava.>> Il suo sorriso è contagioso. <<Oppure fare l'infermiera.>>
<<Mia madre era un'infermiera.>>
<<Sì, lo avevi detto, e spiega anche come mai sei stata così brava a curarmi.>>
Sorrido a mia volta. <<Non penso che farò l'infermiera, non ho i soldi per andare all'università.>>
<<Tuo zio non ti aiuterebbe?>>
<<Non voglio accettare i soldi di mio zio.>>
<<Perché no?>>
<<Stai facendo troppe domande, la regola non diceva una per volta? Bene, ora tocca di nuovo a me. Cosa farai al college, tu?>>
<<Come fai a sapere che...>>
<<Andiamo, Stoccafisso. Ho imparato a conoscerti abbastanza bene da sapere che sei uno di quelli che non lascia nulla al caso. Ho pensato che volessi continuare col football.>>
<<Non lo farò.>>
<<Perché no?>>
<<Non mi piace il football.>>
Spalanco la bocca, sconvolta. Ride ancora. <<Come dicevi? Mi conosci bene, eh?>>
<<Se non ti piace il football, perché lo fai? Non ha senso.>>
<<Perché mi impedisce di pensare, perché mi stanca e perché lo faccio da tutta la vita. È naturale per me giocarci, ma non piacevole. Lo faccio e basta.>>
<<Ci sono un sacco di perché nella tua vita.>>
<<Sì, e tu sei il più grande di tutti.>> Non capisco quest'affermazione, ma la rispetto. <<Mi piace questa cosa>> conclude alla fine.
<<Questa cosa cosa?>>
<<Questa tregua, e questa amicizia.>>
<<Non sapevo fossimo amici.>>
<<Lo sei. E lo sei anche con Sophia e Bill. Se tu non sei un'amica, Aleksandra Porter, allora non saprei chi altro possa esserlo.>>
<<E Pamela?>>
Di nuovo, il suo sguardo si incupisce. <<E' questa la tua domanda?>>
<<La mia domanda è: odi Pamela?>>
<<Non odio Pamela>> risponde subito, immediatamente. <<Le voglio bene, proprio come a una sorella.>>
<<Non lo dimostri.>>
<<Tu cosa faresti se tua sorella spingesse tuo fratello al suicidio?>>
<<E' questo quello che ha fatto?>>
Annuisce piano. <<Non ha mai voluto dirci il perché. Si è sempre rifiutata. Gliel'ho chiesto un sacco di volte. Bill glielo chiede tuttora. Perché. Perché. Perché. Rimane zitta ogni volta, e ci dice "Odiatemi pure, fatemi del male, me lo merito" e così mi fa passare la voglia di farle del male.>>
<<Con me questo stratagemma non funziona mai.>>
<<Non ci credo.>>
<<E' una sfida?>>
Credo che ormai nessuno dei due si ricordi chi debba fare la domanda e chi debba rispondere. E di chi debba mentire e di chi debba fingere di crederci. E rimaniamo in silenzio, perché è questa la cosa più bella dello stare con Aaron King, poter parlare del niente anche senza avere la necessità del tutto, e la consapevolezza che ogni parola sarà saggiamente calibratra e analizzata nel dettaglio. <<Una materia scientifica. Ci scommetto. Vuoi laurearti in una materia scientifica. Hai l'aria di uno di quegli scienziati che si mangiano le unghie perché non trovano la formula corretta da usare.>>
Aaron annuisce. <<Fisica.>>
Lancio un altro sassolino, e non so come ci ritroviamo a fare la strada al contrario, di ritorno dai vecchi amici e fratelli.
<<Sei un secchione di merda.>>
<<Parlami di questa usanza del campeggio. Com'è iniziata?>>
<<Oh>> mi rigiro il piercing sul sopracciglio, e la sua faccia è impagabile per il disgusto che prova nel vedermelo fare, perciò continuo. <<E' stato perché non siamo potuti andare all'acquario.>>
<<L'acquario.>>
<<Per il mio... uh, quattordicesimo compleanno? Una cosa simile. C'era questa mostra di meduse all'acquario nella città vicina alla nostra, il giorno del mio compleanno, e io volevo assolutamente andarci, Luke era stato dimesso dall'ospedale il giorno prima, ed era tutto perfetto. Avevo risparmiato i soldi per comprare i biglietti, aspettavo quel giorno con un'eccitazione che ho provato solo quando per la prima volta vinsi in una rissa>> sorride ancora. <<Insomma, gli zaini erano pronti, i biglietti già stampati, avevamo preparato tutto alla perfezione, e poi verso le due di notte Luke si è sentito male. Ha avuto una complicazione dovuta all'operazione e io e la mamma siamo dovute correre all'ospedale. Lo hanno ricoverato d'urgenza e lo hanno operato di nuovo e abbiamo dovuto spendere tutti i risparmi dell'acquario per le cure mediche. Ero triste, ma non mi sembrava il caso di dire "ehi, il mio compleanno è molto più importante della malattia di mio fratello", e così sono stata zitta. La mamma ha capito che ero arrabbiata, e mi ha portato fuori città, ha acceso un falò, ha preso un pacchetto di patatine e io ho iniziato a mangiarle per contere la rabbia. Mi ha chiesto se stavo bene, e quando ho risposto "okay" mi ha mostrato il nostro album fotografico.>>
<<L'album fotografico?>> ripete, e io annuisco. <<Perché proprio l'album?>>
<<Era il suo regalo di compleanno per me. Aveva messo là dentro tutte le foto di quando ero bambina e altre che mi aveva scattato a tradimento quando non me ne accorgevo. E ricordo che c'era questa gigantesca foto di me e Luke sotto la doccia, con io che stringevo Luke in un abbraccio e lui che dormiva sulla mia spalla, quando avevo sì e no dieci o undici anni. E mamma mi ha detto "è un bel regalo?" e io le ho risposto "sì, è perfetto", ed era vero. Penso me lo abbia regalato per farmi capire che la mia vita, per quanto schifosa fosse, avesse anche delle piccole meraviglie per me. E Luke è una di queste.>>
<<Era una brava madre.>>
<<Non ne hai idea>> mormoro a bassa voce. <<Era una logorroica assurda, e fumava come una ciminiera. Ogni giorno mi rincorreva per tutta la città quando scopriva che le avevo spezzato le sigarette. Le continuavo a ripetere che non aiutavano alla sua salute e al nostro portafoglio, e mamma mi rispondeva sempre, "le sigarette sono come il sesso, Sasha, uno dei pochi piaceri della vita che ti puoi concedere anche senza averne il bisogno".>>
Aaron tremola leggermente mentre sghignazza. <<Le hai creduto?>>
<<Cristo, no. Ma dopo che è morta ho provato a fumarne una.>>
<<E?>>
<<E niente, mi ha fatto schifo. Il fumo mi entrava negli occhi che si sono messi a lacrimare, ma ho continuato fino a quando non ho raggiunto il filtro e i miei polmoni non avevano più lacrime con cui piangere. Pensavo che in qualche modo sarei riuscita a sentirla di nuovo vicina, sembra strano, ma mi piaceva il suo odore da sigaretta. Mi mancava. Pensavo che se avessi puzzato anche io in quel modo avrei...>> mi fermo per qualche istante, trattenendo il fiato. <<Non ha funzionato. E l'odore di sigaretta non è bastato. Ha fatto schifo e basta.>>
<<Ti fanno schifo un sacco di cose.>>
Non posso ribattere perciò rimango in silenzio, segno che lui interpreta come "continuiamo a fare domande". <<Le meduse?>>
<<Mi piacciono le meduse, è così strano?>>
<<Non andare subito sulla difensiva in questo modo, è una domanda innocente.>>
<<Mi piacciono le meduse>> ripeto. <<Sono i miei animali preferiti. Sempre che siano animali. Non hanno cervello o cuore, sono semplicemente delle gelatine che si lasciano trascinare dalla corrente del mare, senza alcun problema al mondo, eppure sono bellissime. Se dovessi morire e poter decidere in cosa rinascere, vorrei essere una medusa. Non importa di che tipo. Solo una medusa. Mi piace l'idea di lasciarmi andare e non dover più niente a nessuno, senza problemi per la testa e paranoie che non riesco a sconfiggere. Penso che la vita di tutti sarebbe fantastica se fosse così. Se potessimo per un attimo smettere di pensare a tutto il casino che abbiamo nel cervello e nelle nostre vite e poterci semplicemente lasciare andare anche per pochi secondi senza obblighi e regole e persone che ci legano a sè.>>
<<E' questa la parte più bella: i legami.>>
<<E' la parte più schifosa.>>
<<Perché?>>
<<Perché quando ci sono i legami ci sono anche le recisioni, è inevitabile. È così che funziona. Ci sono dei legami che durano per sempre, e poi altri che sono come piante rampicanti che ti soffocano, e che devi sradicare se non vuoi che ti facciano cadere a terra.>>
<<Luke è una pianta rampicante?>>
Scuoto la testa. <<Sono io la pianta rampicante, in questo caso. E un giorno lui dovrà recidermi.>> Mi stringo nelle spalle e penso a tutte le stronzate che sto dicendo in questo momento. Non so come sia possibile che la mia lingua possa parlare così tanto, e da dove mi vengano queste metafore contorte e per nulla poetiche. <<Forse dovrei smetterla di parlare, tu hai il brutto difetto di tirare fuori il peggio di me.>>
Aaron non risponde, ma vedo una luce di divertimento attraversare il suo sguardo. <<Cosa?>> gli domando.
<<Affermi che io tiri il peggio da te, be', secondo me è il contrario. Questo non è il tuo peggio, Sasha, è il meglio. Essere onesti con se stessi non può mai essere una brutta cosa.>> Da lontano, scorgo le figure di mio fratello e dei suoi fratelli, e dei marhsmallo bruciati sul fuoco, e sento le risate, i sorrisi e le prese in giro.
<<E' la tua regola di vita?>>
<<La mia regola di vita è "non lasciarti travolgere dalla persona sbagliata".>>
<<E?>>
<<E niente, non la rispetto mai. E forse non sei tu ad essere la pianta rampicante, in questa storia, Sasha. Sono io.>> Un accenno di sorriso. <<Perché io sono uno di quelli che quando stringe un legame tenta in ogni modo di non reciderlo fino a quando non ha alternative. Uno di quelli che per costruirne uno fatica un sacco e lo custodisce per non perderlo. Quindi sì, una pianta rampicante. Io, Bill e Sophia. E forse tu sei la persona a cui ci aggrapperemo.>>
<<Pessima scelta.>>
<<E' l'altra cosa bella dei legami>> afferma, quando ormai siamo vicini al falò <<non puoi sceglierli, si creano da soli e basta.>>
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