La mia favola senza lieto fine (parte due)
La mia prima ora di lezione si rivela inutile poiché l'insegnante è magicamente scomparso. Sono arrivata alla mia aula senza sapere esattamente come comportarmi e mi sono ritrovata davanti a una stanza vuota e degli studenti che, fuori da essa, festeggiavano il febbrone da cavallo che si è beccato il professore di geografia.
Non sono mai stata un tipo che si preoccupa molto di queste cose - la mia intelligenza, si sa, è alquanto scarsa - perciò decido di impegnare il resto del mio tempo libero a fare un tour personale di questa struttura, così da godermi le pareti bianche, i dipinti intraducibili e i lunghi corridoi che creano il labirinto di sentieri dentro questa scuola.
Ho un'ora dove non so che fare, mi è arrivato il ciclo e sento gli sguardi di tutti su di me. Un mix letale per una bomba che sta per esplodere. Delle ragazze hanno riso non appena mi hanno vista cercare invano di legare i miei capelli chilometrici, un paio di studenti hanno soffocato un ghigno quando mi hanno osservata litigare col lucchetto e una tizia biondissima, truccatissima e ricchissima ora mi sta palesemente squadrando dalla testa ai piedi, a mezzo metro da me e alla mia destra, mentre cerco di infilare il mio zainetto salva-vita dentro l'armadietto.
La ignoro. E' così che si fa. Devo essere una brava ragazza, almeno il primo giorno. Ignora la tizia a mezzo centimetro di distanza che ti sta fissando come se avessi scritto "portatrice ambulante di lebbra" in fronte. Ignorala. Sei forte. Ce la puoi fare.
Ma, ahimè, la tizia non si scolla e io ho poca pazienza. Il ciclo ha drasticamente abbassato il mio livello di sopportazione già molto basso di suo. Quando mi volto, lei è ancora in piedi accanto a me, accompagnata dalla figura di quella che suppongo sia una sua amica e di quello che suppongo sia il suo ragazzo.
«Qualcosa non va?» Io stessa mi sorprendo di esser riuscita ad usare un tono cordiale nonostante l'irritazione.
La ragazza inarca di sorpresa le sue inesistenti sopracciglia. I capelli ossigenati che ha perfettamente pulito e lavato ricadono sul suo volto magro e truccato fino a toccarle le piccole e esili spalle.
Non posso negarlo, è oggettivamente una bella ragazza, ma per colpa degli enormi strati di trucco che ha addosso e di tutti quei gioielli che porta sulle mani mi riesce difficile riuscire a inquadrare quanto ci sia di suo in questo corpo. Gli occhi azzurri di lei sono piccole pozze d'acqua che sembrano incuriosite dalla mia evidente incapacità di imbarazzarmi per questo incontro, vedo le ciglia riempite di rimmel sollevarsi così da raggiungere il livello del mio capo. È abbastanza evidente sia a me che a lei che non importa quanti tacchi abbiano le sue scarpe, non riuscirà comunque a raggiungere il mio metro e ottanta.
Le labbra di lei tinte di un rosa perlato si schiudono lentamente in un sorriso malizioso quando pronuncia: «Aleksandria Porter, giusto?»
«Aleksandra» la correggo. «E tu saresti?»
Lei sorride, mostrando i suoi denti bianchi e perfettamente allineati e il mio sguardo si china verso il basso: ha delle tette fantastiche. Per quanto poco femminile io sia, so riconoscere delle belle tette. Non troppo grosse come le mie, né troppo piccole come quelle dell'amica che l'ha accompagnata a questo bizzarro incontro ed è piatta come una tavola da surf. «Emily Elaister.»
Risollevo lo sguardo dalle tette così da incrociare il viso bianco di tale Elaister: «Perciò?»
Per un secondo, lei e i suoi due amici rimangono in silenzio. Dopo almeno mezzo minuto di stupore, scoppia a ridere: «Perciò cosa?»
Si comporta come se fissare una persona a mezzo metro di distanza senza neanche tentare di nasconderlo sia la cosa più normale del mondo. È affiancata da due figure, una maschile e una femminile, che non ricordo di aver ancora incrociato. Il ragazzo che le sta accanto è veramente alto per la sua età, con una pettinatura bionda terribilmente tamarra e degli occhi verdi che ricordano una foresta. L'amica al suo fianco, invece, è mingherlina, bassa, estremamente rigida sul suo posto, il caschetto castano che nasconde il suo volto piccolo e paffuto, le labbra sigillate mentre la biondina continua a scrutarmi con divertimento.
Ahh... adesso ho capito. Forse Sarah ha ragione: sono parecchio stupida. Lo avrei dovuto intuire dall'inizio. Il linguaggio del suo corpo, i suoi atteggiamenti e i suoi gingilli di cui va tanto fiera gridano: "io sono la regina, guardatemi, amatemi, io governo su questa scuola. Amatemi e temetemi. Io ho i soldi. Io ho il potere."
«Perciò perché sei qui davanti a me a fissarmi come una stalker?»
Il ragazzo accanto a lei, quello biondo, alto, figo e tutto il resto, degno di qualsiasi romanzo adolescenziale scadente, inclina leggermente il capo e ride. Ho già scelto: d'ora in poi lui sarà Ridarella.
Emily si aggiusta il colletto scoperto della sua camicia: «Ero solo curiosa di vedere i cugini dei Porter, era da un po' di tempo che non accadeva qualcosa di interessante in questa scuola.»
«Quindi io sarei il vostro nuovo giocattolino con cui divertirvi durante i momenti di noia? La vostra vita deve fare veramente schifo se vi accontentate in questo modo.»
Le labbra dipinte di lei si piegano in una linea dura e orizzontale, la sua amica, che da oggi in poi chiamerò Tappetta perché è più bassa che mai, trattiene il fiato, mentre Ridarella ride ancora, per l'appunto. Emily la Regina non sembra soddisfatta. Ne sono felice. Zio ha detto di non creare problemi, ma fin quando non prendo un'altra mazza da baseball e non la spacco in faccia a qualcuno dovrei essere salva.
«Sei davvero divertente, Aleksandria» dice Ridarella, ancora preso da un attacco di ilarità. I suoi capelli biondi, lasciati ricadere in ciocche lunghe lungo il contorno del suo volto ben delineato, mi infastidiscono, mi ricordano il prototipo odioso dei protagonisti maschili scemi dei romanzi che si leggeva sempre la mamma.
È pienamente consapevole del fascino che esercita con la sua bellezza che è tutta apparenza e, di fatto, molte studentesse che passano nella zona si fermano per guardarlo con curiosità mista a desiderio.
Non so esattamente come interpretare le sue reazioni. Si comporta normalmente, con un'ignoranza dei fatti che potrebbe esser anche confusa per idiozia. Le labbra carnose di lui si piegano in un altro sorriso mentre si pettina all'indietro la sua chioma biondo cenere che fa swish. C'è un che di inquietante in questa risata e in questo viso angelico che mi sta sorridendo e mi sta guardando come se fossi il suo prossimo giocattolino. «Mi piacerà avere a che fare con te. Salutami Sarah. Andiamo, Emily, Avery.»
Ah, forse mi sono sbagliata. Non c'è nessuna regina qui. Solo un Re, e mi ha appena riso in faccia. Patetico, ma impressionante. Li osservo andarsene pian piano e ritorno al mio kit sopravvivenza che non entra nell'armadietto.
Certi incontri potrebbero essere facilmente evitati se le campagne della Durex sensibilizzassero più alcuni soggetti sull'uso del preservativo.
Una volta aver finalmente sistemato il lucchetto ed essermi liberata di un chilo di medicinali e bende per casi di emergenza, inizio il mio tour. Ho già visto gran parte del campus, ma ancora non riesco a credere che una scuola simile possa esistere e che addirittura ci siano persone che possano permettersela.
Non mi sorprende, ora, che ci sia una gerarchia così rigida fra gli studenti. Se esisteva nella mia vecchia scuola figurarsi in un posto simile. Ho fatto le mie dovute ricerche su internet, questo liceo privato è famosk per essere frequentata da studenti le cui famiglie hanno un conto in banca grande quasi quanto quello di Trump, non c'è da sorprendersi se una figura come la mia, poco curata e palesemente vissuta in un contesto opposto al loro, attiri così tanto le attenzioni.
Mi mordicchio il labbro mentre entro nella zona bar alla ricerca di qualche schifezza da masticare. Sì, non ci credo nemmeno io che l'ho detto. Zona bar in una scuola. Ah ah, se non fosse che ho il bancone davanti ai miei occhi nemmeno io ci crederei, eppure è così. Questo posto ha una stanza di medie dimensioni dedicata unicamente a un bar, con tanto di schifezze da comprare e tavolini in legno quadrati dove mangiarle.
Mi muovo lentamente fra i pochi studenti che già hanno riempito la stanza, le pareti color crema rischiarano l'ambiente e illuminano la vetrata del bancone dietro cui sono stati esposti i vari alimenti che si possono comprare. Il bar è tanto grande quanto accogliente, nell'aria si può percepire l'odore di dolci appena sfornati e i tavolini appostati alle pareti donano una sensazione di pace e di comodità. Mi intrufolo fra una coppia di piccioncini per guardare meglio l'oggetto dei miei desideri, dietro la vetrata del bancone: un quadrato di pizza al formaggio.
«Io non la prenderei se fossi in te» mi sussurra una voce alla mia destra. Quando mi volto, ciò che i miei occhi vedono è una piccola e deliziosa bambolina dal naso all'insù e gli occhi spalancati. «Ti lascia un alito che sa di formaggio puzzolente per il resto della giornata.»
«E chi dice che io non desideri puzzare per tutto il tempo così da farmi evitare da personaggi inquietanti che mi si avvicinano come te?»
La bambolina scoppia a ridere e mi porge la mano. «Pamela Polish.» Le ciocche castane dei suoi capelli ondeggiano lungo le sue spalle per questa sua mossa, il suo piccolo e rotondo volto si riempie di guance paffute, non appena le labbra si sollevano verso l'alto. Il nocciola scuro dei suoi occhi dona un forte senso di appartenenza, quasi la sua gentilezza venisse trasmessa col semplice sguardo.
Stringo riluttante le sue dita: ha una presa salda e ferrea per essere così piccola. Gli occhi color cioccolato risplendono di entusiasmo quando mi presento a mia volta: «Aleksandra Porter.»
«Non ti offendere, ma conoscevo già il tuo nome.»
«Non ti offendere, ma la cosa non mi interessa minimamente.»
Lei sorride di nuovo, ha un bel sorriso, mi ricorda quello di Luke: puro, infantile. «Comunque ti consiglio la focaccia farcita, è decisamente più saporita e ha un odore molto più soddisfacente.»
«E se io volessi puzzare?»
«Saresti strana, ma senz'altro originale.» La bambolina non sembra per nulla intimorita dalla mia irritazione, il che, devo ammetterlo, le fa guadagnare un sacco di punti bonus. «Se hai intenzione di guardarmi in cagnesco in questo modo almeno ringhia, saresti più simpatica.»
«Bambolina, non hai la più pallida idea di cosa potrei farti se iniziassi a ringhiare.» Dio, non riesco a credere che l'ho detto davvero. Nella mia testa suonava incredibilmente minaccioso, ma ad alta voce mi fa sembrare un ragazzo che cerca di abbordarla in macchina. Un'altra prova che dimostra la mia totale inesperienza in campo sociale. E la mia stupidità.
«Bambolina?» Scoppia in una fragorosa risata. Più da maiale che da bambolina. Forse il suo fisico non coincide molto con la sua personalità. «Mi dispiace, non sono interessata. Non sei proprio il mio tipo.»
«Penso di potermene fare una ragione.»
Alla fine, mi convinco a prendere la focaccia farcita appena consigliata e, non lo nego, è davvero deliziosa. Pamela, invece, ordina con un sorriso estremamente dolce sei meringhe. Meringhe grosse, con tanto di cioccolata sciolta sopra. «Riesci davvero a mangiarle tutte?» Non avevo intenzione di continuare questa conversazione, ma ora ha attirato tutta la mia attenzione e conquistato il mio rispetto. Chiunque possa mangiare così tanti zuccheri in modo così fiero non merita altro che applausi da parte mia.
«Saresti sorpresa di scoprire cosa potrei fare per un po' di zucchero. Ringrazia che ci siano altre persone qui presenti, altrimenti queste meringhe sarebbero finite molto tempo fa.» Ne addenta una, masticandola con gusto, mentre senza rendercene conto ci muoviamo verso uno dei tavolini in plastica sulla parete opposta a quella del bancone. «E non pensare neanche di potermele chiedermele. Sono una persona altruista, ma condividere le meringhe è un passo importante che ritengo di poter affrontare solo con la persona a me destinata.»
«Sicura di non soffrire di diabete?»
«Shh, non mi portare sfortuna. Diabete uguale niente zuccheri. E io morirei senza la mia dose quotidiana di saccarosio.»
Non ho la più pallida idea di cosa sia un saccarosio, ma sono troppo curiosa per fingere disinteresse, così mi siedo silenziosamente davanti a lei. Le sedie in plastica sono estremamente scomode e traballano a qualsiasi movimento e respiro, proprio come il tavolino ovale coordinato ad esse. Non mi ci vuole molto per rendermi conto che, ben presto, gli occhi di tutti gli altri studenti presenti in questo bar sono piombati su di noi come saracinesche: sembrano... confusi, un po' spaventati. Non ho tempo di fare molte indagini su ciò, perciò torno a rivolgermi alla ragazza divoratrice di meringhe: «E mi stai parlando perché...?»
«Perché mi piace farmi gli affari degli altri e volevo essere la prima a parlare con la nuova arrivata di cui tutti stanno discutendo. Prima che tu me lo chieda, no, non sono molto famosa qua, e se sono famosa non è per i giusti motivi. E no, non frequento questa scuola perché sono ricca, bensì perché ho vinto una borsa di studio e questa è una delle tante ragioni per cui tutti mi evitano come la peste, come stanno facendo adesso con te.»
«Wow, sei brava a leggere i miei pensieri.»
«Una dote naturale» scrolla le spalle e divora la quarta meringa.
«Mi spiace deluderti, ma non sei stata la prima studentessa a rivolgermi la parola.»
Pamela inarca un sopracciglio, il suo nasino si solleva quando lo fa, arricciandosi in maniera deliziosa. «Wow, wow, wow. Ho perso il mio primato, ma la curiosità prevale sulla vergogna per tale sconfitta umiliante, perciò dimmi, chi è stato?»
«Come mai tutto questo interesse?»
Lei si rigira una ciocca dei suoi capelli castani a caschetto e mi guarda con la testa inclinata. «Perché ancora non hanno deciso come comportarsi con te. Inoltre, da quel che vedo, tu sembri un tipetto niente male, sarà divertente vederli dannarsi per capire come gestirti.»
«Deciso? Chi?» Finisco la mia focaccia e la guardo risoluta.
«Sai, gli studenti di questo posto. Quelli "in", quelli che comandano questa scuola. Come nei tipici libri adolescenziali per ragazzini. I figli del preside. I tre gemelli.»
Per poco non sputo l'acqua che stavo bevendo. «Tre? Gemelli?»
«Incredibile, eh? E sono tutti diversi fra di loro. Tre gemelli eterozigoti. Così si dice. Il corso di biologia è molto utile.»
«Ora sono io che devo dirlo: wow. Impressionante.»
«Vero? Be', loro sono i figli del grande magnate del petrolio nonché nostro preside Benedict King e la top model australiana Erin Baker.»
Rido sguaiatamente, fingendo un improvviso attacco d'ansia e sventolandomi con fare teatrale la mano sul volto. «Inizio a farmela sotto.»
«Sei il tipo a cui non piacciono i gossip, eh?»
«Sono il tipo a cui non piacciono i gossip fino a quando non possono ritornarmi utile» la correggo. La mia frase pare colpirla, anzi, quasi divertirla.
«Comunque, li conoscerai. Devi avere il loro sigillo di approvazione per far sì che gli altri studenti inizino a parlarti.»
Dio, mi sembra di esser tornata nel medioevo. Ecco perché preferivo la mia vecchia scuola. Erano tutti stronzi e io li odiavo per questo, ma per lo meno erano consapevoli di quanto facessero schifo. Inoltre, per quanto si atteggiassero da superiori tutti sapevano che contavano quanto un granello di sabbia in mezzo a una spiaggia. «E come mai tu puoi parlarmi?»
«Oh, io non ho mai ottenuto il loro sigillo d'approvazione, ho litigato con Prudence King e i suoi fratelli...» Si ferma all'improvviso, con un sorriso gelato che si blocca fra le sue labbra. Per un secondo, un singolo istante, i suoi occhi sembrano venir trasportati via dai ricordi del passato. Ha un'espressione sofferente, quasi colpevole, mentre riprende a parlare: «... un po' di tempo fa. Nessuno mi può parlare. Nessuno può toccarmi. Sono stata volontariamente isolata dal resto della scuola, la cosa, onestamente, non può che farmi piacere.» Non mente, quando pronuncia queste ultime due parole, anzi. Pare con questa singola frase marcare una verità molto più importante di quanto io possa credere.
Odio ammetterlo così presto, poiché non è nella mia indole fidarmi di persone che a stento conosco, ma questa ragazza inizia a piacermi. «Perciò io starei già infrangendo una delle loro regole?»
«Sì, ti disturba?»
Scrollo le spalle, addentando un pezzo del mio ultimo acquisto. Pamela sorride, quasi avesse appena avuto una conferma su un sospetto. «Affatto,» la rassicuro masticando, «questo non è il mio mondo. Non appartengo a questo posto, perciò non devo seguire le loro regole.»
Pamela sorride soddisfatta. «Nel caso decidessi di non voler più avere a che fare con me ti capirò.»
«Se vorrò smettere di avere a che fare con te sarà solo perché hai trattato male mio fratello o perché ti sei rivelata un'incredibile stronza.»
Il suo sorriso si fa sempre più largo, al punto da raggiungere gli angoli delle orecchie. «Mi piaci già.» Finisce l'ultima meringa con un solo morso e, dopo essersi ripulita la bocca con un tovagliolo, aggiunge: «Ti do un avvertimento, però, sta' attenta, Aleksandra. Nessuno di quelli là è normale.»
«Non è un problema» la rassicuro.
«Loro possono essere la tua salvezza o la tua rovina.» Un lampo di sofferenza attraversa i suoi occhi. Dura solo un istante, ma è sufficiente per farmi capire. Capire tutto. «Sono gli idoli della scuola, gli studenti li rispettano moltissimo, perciò sta' attenta, okay? Possono essere... pericolosi.»
«Anche io.»
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