Il mio armadietto puzza di rose (parte due)
Durante l'ora di geografia, una delle più noiose in assoluto, il mio telefono vibra nella tasca dei pantaloni. Mi assicuro che il professor Riley sia ancora troppo preso con la sua spiegazione per notarmi e lo sfilo. Pamela. Un solo messaggio.
Davvero hai picchiato Jensen? - P.
"Picchiato" è un termine alquanto esagerato. L'ho messo solo al tappeto. - Sasha.
Sei incredibile. - P.
Lo prendo come un complimento, che lo sia o meno. - Sasha
Ti stai scavando la fossa da sola, S. I giocatori di Football della nostra scuola sono molto permalosi. Stai attenta. - P.
Dimmi qualcosa che non so. - Sasha.
Ecco qualcosa che non sai. Oggi non potremo pranzare insieme. - P.
Perché? Mi ero già immaginata il tuo monologo mentre io fingevo di ascoltarti e tu continuavi a parlare senza toccare cibo perché te lo rubavo io. - Sasha.
Sei crudele :(, comunque oggi non mi sento molto bene, torno a casa prima. - P.
Bigi le lezioni? Ah-ah, Pamela, non si fa. - Sasha.
Prendi appunti anche per me. XoX. - Pamela.
Hai davvero il coraggio di chiedermi gli appunti? Lo sai che non li prendo. - Sasha.
Lasciami sognare. E prendi quegli appunti. Servono anche a te. Ci sentiamo più tardi. - P.
Sicura sia tutto a posto? - Sasha.
Solo un po' di mal di pancia, tranquilla. - P.
Sento puzza di bruciato qua. - Sasha.
Un sacco di cose puzzano, non solo io, tranquilla. A dopo. XoX. - Pamela.
Non sono affatto felice di questa novità, non mi dispiace la solitudine, ma in questo posto avere una compagnia è senz'altro più piacevole che restarsene da soli con la consapevolezza di avere lo sguardo di tutti addosso. Richiudo il telefono e fisso la cartina geografica sul mio banco, potrei andare a mangiare in cortile, la zona meno frequentata, e stare sicura che nessuno mi trovi. E poi ricordo lo stalking di Aaron alla festa, in questo posto nessuno è al sicuro. Perciò mi butto sull'opzione più semplice: bigiare a mia volta. Di fatto, mi sembra la scelta migliore. Finire questa ora, correre all'armadietto, prendere le mie cose e tornare alla villa vuota.
Un piano perfetto.
La campanella suona, il mio corpo schizza in piedi per la disperazione. Questo è quello che accade a una ragazza pazza in un posto simile. Quando cammino lungo il corridoio, noto che gli sguardi di molti studenti si sono fatti particolarmente stupefatti alla mia vista, il che non dovrebbe sorprendermi, eppure continua a farmi preoccupare. E non invano, purtroppo.
<<Che diavolo...?>> Sento un odore forte e dolce provenire dal mio armadietto, è così acuto che rischia di farmi lacrimare gli occhi. Mi guardo attorno, non sono l'unica a soffrire per questo improvviso cambio di deodorante per l'ambiente.
Il lucchetto è distrutto, segno che qualcuno ha deciso di darsi alla carriera criminale, e non ho dubbi su chi abbia intrapreso questa strada così pericolosa. Il genio ha persino lasciato un biglietto. Per la nostra Principessa, ti amiamo tanto. Spiritoso. La mia mano raggiunge la maniglia per aprirlo, e non appena la sfioro, l'odore zuccherato di prima invade le mie narici, le brucia, mentre un fiume rosso mi travolge. E' un fiume caldo e pungente, e delicato, quando riapro gli occhi mi ritrovo sopra una montagna di rose rosse. Rose rosse profumatissime, così tanto da puzzare.
Cosa diavolo dovrebbe essere? Bullismo all'inverso?
Tossisco. Rose? Per davvero? Odio ammetterlo, sono stati senz'altro originali, ma... perché proprio le rose? Perché non margherite, che ingombravano di meno e non mi tagliuzzavano tutta con le loro spine. O magari era proprio questo il loro obiettivo, farmi del male indirettamente. Come se non abbia già abbastanza cicatrici. Che simpatici.
<<Okay, ora mi sto incazzando>> mormoro alla fine, quando vedo l'intero dell'armadietto vuoto. I miei libri sono scomparsi, la mia borsa è scomparsa, e anche il quaderno dove ho scritto tutti i miei progetti per il futuro. Okay, ora sono più che incazzata. Sbatto lo sportello e mi allontano, perseguitata dall'odore dolciastro delle rose, alcune ancora attaccate alla suola delle mie scarpe.
<<Sì, sono rose, perciò perché le fissi come se stessero per esplodere?>> ringhio, rivolta a una tizia che si allontana scandalizzata dalla mia furia.
Per un po', mi limito a marciare nel corridoio come un'idiota, alla ricerca di tre teste bionde che desidero infilzare. Dopo circa cinque minuti, ne trovo una, probabilmente quella che ha avuto l'idea geniale di intrappolarmi in questo scherzetto. <<Cosa diavolo hai per la testa?>> esclamo, tirando Ridarella per un braccio. <<Ora il mio armadietto puzza di rose!>>
Sembra particolarmente offeso, ma dubito sia dovuto alla mia mancanza di entusiasmo per il suo giochino. <<Le rose non puzzano, profumano>> ribatte con la fronte corrucciata e le braccia incrociate al petto. L'amico accanto a lui, un tizio alto e moro che mi sembra di aver scorto negli spogliatoi e mentre mettevo K.O. Kyle Jensen, rimane in silenzio, divertito.
<<Io odio le rose.>>
<<Credevo che tutte le ragazze le adorassero.>>
<<Be', eccoti una novità, Ridarella, io non sono "tutte le ragazze", e ora muoviti a ridarmi quello che mi hai rubato.>> Allungo la mano, in attesa. <<Subito.>>
Un sorriso gigante si forma sulle sue labbra, è il sorriso del vincitore, del ladro che è riuscito a scappare. E' il sorriso che mi prospetta lunghe ore di agonia e sofferenza. <<Ah-ah, lo sai che non mi piace questo tono imperatorio, Principessa. Nessuno ti ha insegnato che si chiede "per favore"?>>
<<No, ma mi hanno insegnato come spaccarti il...>>
<<Shh>> le sue dita si posano sulle mie labbra prima che possa iniziare la mia lista di improperi <<facciamo così, Principessa, tu ti siedi con noi in mensa, mangi con noi, e poi, forse, potremo parlare di quello che io potrei darti.>>
<<Che grandissimo figlio di...>> di nuovo, mi interrompe, stavolta assicurandosi di tapparmi del tutto la bocca con la mano.
<<Ascoltami, Principessa, si tratta solo di un innocuo pranzo. Hai idea di quante ragazze pagherebbero per ricevere questo invito e passare del tempo con la mia favolosa persona? Dovresti inginocchiarti e piangere per averti concesso questo grandissimo privilegio. Perché, siamo sinceri, chi non vorrebbe passa- Ahi! Cosa diavolo sei, un cane?>> Si sventola la mano dolorante, sul dorso si possono vedere perfettamente i solchi lasciati dai miei denti quando l'ho morso per liberarmi.
<<Non ho alcuna intenzione di cedere al vostro stupido ricatto. Tenetevi pure quello che avete preso, me ne farò una ragione>> mi scrocchio le dita. <<E togliete quelle rose dal mio armadietto, prima che non riempa i vostri di roveti.>>
Ridarella sbuffa, esausto quasi quanto me. Se osa anche solo lamentarsi c'è il grave rischio che lo butti dalla finestra, e, purtroppo per lui, ci troviamo al terzo piano. Possibilità di sopravvivenza molto scarse. <<Sai, è incredibile quanto tu cerchi di nasconderlo.>>
<<Nascondere cosa?>>
<<La tua attrazione per me. Se vuoi posso aiutarti a dimostrarla, potremmo fare sesso, ad esempio. Ho saputo che il sesso aiuta molto le persone come te che soffrono quotidianamente di crisi di nervi.>>
Gli lancio il mio zaino in testa, per impedirmi di fare qualcosa di molto più pericolo e molto più violento. <<Riportamelo quando hai finito di fare il coglione>> gli grido mentre mi allontano <<e quando lo riavrò voglio trovarci dentro tutto il materiale che mi hai rubato!>>
***
Pam, sei scappata via da scuola perché stavi davvero male o perché hai fatto una chiacchierata con alcuni tizi dai capelli biondi, gli occhi verdi e l'aria da ricconi strafottenti? - Sasha
... A volte mi spaventi, Sasha, poi mi ricordo che sei una specie in via di estinzione e tutto ha un senso - Pam.
Cosa in me ti spaventerebbe, esattamente? - Sasha.
La tua capacità di menefreghismo assoluta. Vorrei davvero che me ne prestassi un po', mi aiuterebbe in parecchie occasioni - Pam.
Non hai risposto alla domanda - Sasha.
Uff, sei estenuante. Mi è venuto il ciclo, okay? Vuoi che ti descriva tutti i dettagli? Molto bene. Aspetta, perchè ci impiegherò qualche secondo... - Pam.
Fai pure, io ho dettagli molto più raccapriccianti di cui parlare, se pensi che il ciclo possa spaventarmi allora moriresti di fronte ad alcune delle mie storie scandalose. Comunque, fingerò di credere a questa storia del ciclo e farò finta di non sapere, in cambio fammi un favore - Sasha.
Sasha Porter che chiede un favore? Sto iniziando a emozionarmi, non sono sicura che il mio cuore possa reggere - Pam.
Ah-ah. Potresti accompagnare Luke a casa? - Sasha.
Penso di poterlo fare. Come mai non sei con lui? E' strano che ti separi da tuo fratello, hai forse la febbre? Sicura di non essere tu quella in fase mestruale? - Pam.
Pamela, a discapito di quello che pensi, le tue battute non sono minimamente divertenti. Sei peggio di Ridarella. Devo fare un paio di giretti in città, sono alla ricerca di un lavoro. Pensaci tu a Luke, okay? - Sasha.
Agli ordini, signora. In bocca al lupo. - Pam.
Smettila di trattarmi come se fossi un generale dell'esercito - Sasha.
Ti comporti come se lo fossi. - Pam.
Non è vero. - Sasha
Aspetta, aspetta, credo che la tua menzogna abbia appena bussato alla porta della mia stanza - Pam
Non riesco a trattenere il sorriso. Seduta sul bordo della finestra osservo il cortile sotto di me, gli studenti stanno già sfruttando i raggi di sole per uscire fuori e fumarsi qualche sigaretta così da sentirsi trasgressivi. L'ala est, proprio come al solito, è desolata, ci siamo solo io e la mia solitudine. E, ahimè, anche Sophia. Sembra condividere la mia passione per i posti isolati e abbandonati a se stessi, o forse non è ancora riuscita a rinunciare alle sue abilità di stalking. <<E' pericoloso stare seduti sul bordo della finestra>> mormora, il volto affranto mentre mi si avvicina con la coda di cavallo che dondola a ritmo dei suoi passi. <<Dovresti...>>
<<Sta' tranquilla, non ho alcuna intenzione di buttarmi.>>
La mia battuta, sfuggita istantaneamente dalle mie labbra senza che ci riflettessi su troppo, la fa sbiancare. Non mi capita raramente di avere sensi di colpa, questo è uno di quei momento dove mi rendo conto che non importa quanto menefreghista possa essere, esistono dei limiti che nemmeno io posso oltrepassare. <<Scusami, era una battuta infelice>> mormoro alla fine. <<Di solito penso poco e parlo molto.>>
Sophia inarca le sopracciglia perfettamente disegnate, la spallina dello zaino scivola lungo il braccio. <<Quello è lo zaino con cui ho cercato di lobotomizzare tuo fratello?>> le domando, facendola scoppiare a ridere. Me lo porge, ne controllo attentamente il contenuto. <<Felice di vedere che oltre a stalker non siete diventati anche ladri.>>
<<Ti giuro che io e Aaron non c'entriamo niente, è stata tutta opera di Bill. Non ho idea di cosa gli sia passato per la testa. A volte è...>>
<<Psicopatico?>> le suggerisco apertamente, facendola ridere.
<<Stavo per dire "assurdo".>>
<<No, tu sei assurda, Bill è psicopatico e Aaron è privo di empatia. Un trio niente male, non lo nego.>> Giocherello col fiocco rosso della divisa. <<Non che possa lamentarmi, io sono pazza e mio fratello crede che mangiarsi le caccole sia ancora una buona idea.>>
<<A volte la tua abilità retorica mi spaventa>> ammette alla fine, scuotendo la testa mentre continua a ridere. <<Mi dispiace, Bill è l'unico che non ha ancora accettato la situazione. Non tollera che tu possa parlare con Pamela, è... complicato.>>
<<Perché era innamorato di lei, ma lei lo ha tradito o ha tradito tutti voi?>> i suoi occhi sbarrati sono una risposta più che sufficiente. <<Tranquilla, pasticcino, Pamela non mi ha detto nulla. Niente di particolare, per lo meno. Ho fatto solo le mie conclusioni.>> Inizio ad elencarle sulla mano. <<Conclusione numero uno: voi tre, lei e Andrew eravate amici d'infanzia. Conclusione numero due: Bill era, se non innamorato, infatuato di Pamela. Conclusione numero tre: Pamela vi ha fatto qualcosa, e forse l'ha fatta anche a Andrew, e voi non riuscite a perdonarla per questo, forse non ci riuscirete mai.>> Sfoggio uno dei miei migliori sorrisi alla Sherlock Holmes. <<Sono brava, eh?>>
<<Sono... colpita. Che cosa...>> si interrompe, il suo volto è cinereo, così pallido da farmi venir voglia di offrirle un cioccolatino. Sempre che avessi un cioccolatino. E sempre che io sia una persona così altruista. Ma siamo sinceri, fra il mangiarmi un cioccolatino e l'offrirlo a una persona che a malapena conosco solo perché sta male... mi mangerei il cioccolatino. <<Che cosa sai di... di Andrew?>>
Pronuncia il suo nome con fatica, come se il solo sussurrarlo le provocasse un colpo al cuore. Riconosco la sofferenza nei suoi occhi, e riconosco quel tremolio delle male, quello sguardo vitreo e assente perché la mente è stata trasportata a ricordi che si vorrebbero per sempre cancellare. <<Praticamente nulla, solo quello che mi hai detto tu. Non ho fatto domande a Pamela, non mi sembrava il caso. Era suo fratello, o un suo parente molto vicino, non è così?>>
<<Come lo sai?>>
<<L'ho capito quando sono andata a casa sua>> ammetto alla fine. <<L'atmosfera... era molto simile a quella che c'era in casa nostra dopo la morte della mamma.>> E c'è ancora, solo in modo meno evidente, perché Luke è stato in grado di perdonare, di andare avanti, mentre io sono ancora ferma alla stazione "Disperazione" e ho perso il biglietto del treno.
<<Andrew... era suo fratello maggiore>> sussurra alla fine, la voce spezzata, gli occhi puntati sulle sue scarpe lucidate. <<Lui... lui era...>> si ferma, non ce la fa. Lo capisco, lo capisco davvero. A volte non serve a nulla. Parlarne, preoccuparsene. Si tenta solo dimenticare, perché sembra la cosa più facile, perché è la via meno dolorosa.
<<Sei un'ansia, mamma>> mormoro alla fine, troppo coinvolta in questo sentimento di lutto per fingermi incurante.
Sophia alza lo sguardo, i suoi occhioni lucidi mi fissano con un'intensità che quasi mi spaventa. C'è un che di innocente in lei, un qualcosa di molto familiare alla figura di Luke, una speranza che non è mai morta, che permane, e che non vuole scomparire nonostante tutte le schifezze della vita. <<Sono le ultime parole che ho detto alla mamma. Prima di andare a lavoro si raccomandava sempre di chiudere porte e finestre e di non aprire agli sconosciuti. Era snervante. Così, prima che chiudesse la porta, le ho detto "sei un'ansia, mamma", e poi se n'è andata. Ed è morta.>> E' uno dei miei rimorsi più grandi. La banalità di quelle ultime parole, la quotidianità in esse. Avrei voluto poterla salutare in modo diverso, avrei voluto poterla baciare, e abbracciare, e dirle quanto le volessi bene. Ogni arrivederci dovrebbe essere gestito come se fosse un probabile addio, perché non si sa mai quando lo possa diventare davvero. Quella sera, la mamma aveva accettato la mia battuta con una risatina. Poi se n'era andata. Da sola, senza nessuno che le dicesse "ti amo", senza un abbraccio e calore. Se n'era andata e basta. E poi non è più tornata. <<Luke le aveva dato un bacio prima di andare a dormire. Sai, lo fa sempre. Gli piace dare continuamente manifestazioni d'affetto alle persone a cui vuole bene. Perciò il suo addio è stato... migliore del mio.>> Mi sforzo di ridere, ma è difficile, è impossibile.
<<Ho saputo che è stata... uccisa.>>
<<Un ubriacone>> confermo. <<Un tizio che l'aveva seguita dallo strip club e che voleva... be', la mamma non c'è stata. E il tizio le ha sparato. Lo hanno arrestato subito.>>
<<Che fine ha fatto?>>
<<E' stato arrestato. Ma non so quanto resterà in galera. Non so nemmeno come si chiama. Zio Brooke non ha voluto dirmelo.>>
<<Perché?>>
Non mento, sarebbe inutile farlo, se ne accorgerebbe. Mi ha conosciuta quel tanto che basta per sapere come lavora la mia mente. <<Perché se lo sapessi correrei ad ammazzarlo.>>
Non trema, e non si spaventa. Evidentemente intuiva già la risposta, e tutto ciò che ricercava era solo una conferma. Quando mi passo una mano fra i capelli sporchi e spettinati, Sophia si appoggia alla parete con la schiena, davanti a me. Le braccia esili sono sigillate attorno al petto, i capelli schiacciati sul muro. <<Sono felice che tu abbia conosciuto questo posto>> ammette alla fine. <<E' bello averti qua accanto. Aaron e Bill non vogliono che io ci venga, a volte mi accompagnano, ma stare con loro è...>> solleva la mano in un gesto indistinto che immagino voglia andare a spiegare la sua esasperazione. <<Forse è perché loro sono come me, e sono pieni di sensi di colpa. Tu invece sei fuori da questa storia, e te ne freghi di quello che è successo, è... piacevole potersi confrontare con qualcuno che non ti chieda continuamente come stai, e cosa provi.>>
<<Devo prenderla come una dichiarazione d'amore?>> la sfotto. <<Perché, e non ti offendere per questo, non sono lesbica, e dovrei rifiutarti subito.>>
<<Lo fai apposta, vero? Evitare gli argomenti pesanti con le battute stupide.>>
<<Oh, vuoi che continuiamo a parlare? E di cosa? Credo che tu ti sia sbagliata su di me, non sono esattamente l'amica a cui rivolgersi quando il ragazzo ti ha tradito per scoppiare in un mare di lacrime e sfogarti. Sono più quella che ti risponde "okay, mi dispiace" e poi torna a pensare a quanto sarebbe figo essere una Jedi.>>
<<Questa è una bugia.>>
<<Non potrai mai saperlo.>> Gli sorrido amabilmente e con un balzo scendo dalla finestra. <<Inoltre, per favore, smettetela con questi tentativi di comprarmi. Non riuscirete a conquistarmi con un po' di rose nell'armadietto o improvvisi momenti di conversazione intensa. Credevo avessimo fatto una tregua, o sbaglio?>>
<<Hai ragione>> sospira lei, le sue braccia le ricadono lungo i fianchi, mentre gli occhi si fanno più nostalgici e arrendevoli. <<Bill non riesce ad accettare facilmente la cosa. Dagli un po' di tempo. E anche Aaron... sembra che la nostra famiglia non riesca a starti lontana, Sasha.>>
Sasha. E' la prima volta, credo, che mi chiami in questo modo. Vorrei potermi arrabbiare, e dirle che non dovrebbe azzardarsi mai più a pronunciarlo, ma... non ce la faccio. Non ci riesco. La rabbia è scemata, e ora c'è solo desiderio di calma e tranquillità. Forse sarebbe stato meglio se non li avessi mai conosciuti per davvero, se non ci avessi parlato, se non ci avessi scherzato insieme. Ai miei occhi tutte queste piccole cose li hanno resi più umani, e non sono più stata in grado di vederli come dei semplici pezzi di merda che comandavano sulla scuola come dei dittatori. E' un errore. Lo so da sola. Non ti fidare. Non ti avvicinare. Il mio campanello d'allarme sta suonando privo di controllo, provocandomi una brutta emicrania, ma non basta, l'odio non c'è più, e io non so più cosa farne di questo vuoto che ha lasciato dietro di sé, dopo esser svanito.
<<Sasha>> ripete lei, sembra sorpresa quanto me per non esser già stata aggredita dalla mia lingua velenosa, un leggere sorriso a mezzaluna apre le sue labbra. <<Mi piace.>>
<<E' tutto ciò che sono.>>
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