Fare ammenda (parte uno)



La mia storia a volte non è facile da spiegare. Sembra tutto così semplice, quando ci ripenso. Una bambina nata in un contesto triste che ha vissuto nella speranza di potersi redimere dagli errori del passato a cui non ha mai partecipato. 

Ogni tanto, quando ci rifletto, mi sento un personaggio uscito da un libro di Charles Dickens. I melodrammi, le morti, gli intrighi e le tragedie sono sempre state più che presenti nella mia vita quotidiana. Sotto molti certi aspetti, mi sono ritrovata in Oliver Twist, per il bisogno di rubare e di avere una vita decente, ma non per il desiderio di gentilezze e di carezze.

La mia storia non è facile, ma è sempre la mia storia. E la apprezzo per questo. Mi piace. Ci sono delle volte dove penso "che schifo tutto questo" e poi mi ritrovo a rimangiarmi le parole. Perché cos'è che fa schifo? Io? Le mie azioni? Quelle degli altri? Gli altri? È tutto troppo confuso perché possa sapere la risposta, perciò mi limito a fingere di non volerla conoscere. È molto più facile e efficiente. A volte ci riesco, a volte devo prendere a testate il muro per farlo, altre ancora fingo di farcela e basta, perché sono troppo stanca per impegnarmi.

Ma se per una volta potessi smettere di fingere, allora vorrei che anche il mio finale fosse alla Charles Dickens. Vorrei un lieto fine, perché voglio sperare che per quelli come noi ne esista uno. Non posso credere che siamo semplicemente venuti al mondo per caso, e che saremo costretti a vivere il resto dei nostri giorni come delle creature che sono il frutto dell'unione fra le coincidenze e la sfiga. Sarebbe bello sapere che alla fine di tutto ci sia qualcosa di bello ad attenderci, qualcosa, qualunque cosa, che ci permetterà di guardarci alle spalle e dire "sì, ce l'ho fatta".

Ma, ora come ora, non ho ancora trovato quel qualcosa, non l'ho nemmeno intravisto, e tutto ciò che mi rimane è mio fratello e la mia storia. Una storia difficile da raccontare, da spiegare, una vita che non so spiegarmi a parole, e che per questo trovo difficile da trascrivere nel saggio per la signora Richardson. Perché? Perché tutti i professori di letteratura hanno questa fissa per i saggi sulla propria esistenza? È da circa mezz'ora che sto fissando il mio foglio bianco, senza avere la più pallida idea di cosa metterci dentro.

<<Sasha, forse... potresti anche tu scrivere della mamma, come nel mio saggio>> mi suggerisce Luke, che ha da tempo compreso il mio disagio. <<Alla mamma farebbe piacere.>>

La mamma ne sarebbe stata entusiasta, ma non sono sicura che avrebbe apprezzato il mio resoconto su tutte le sue relazioni fallite. Luke è troppo innocente per ricordarsele o considerarle un dettaglio importante, la nostra prospettiva della vita è molto diversa, e mentre il suo saggio sarà sicuramente pieno di cuore, amore e rose appena sbocciate, il mio potrebbe compromettere la sanità mentale del lettore.

Poggio la testa contro il tavolino, il freddo del legno sbollisce le mie tempie surriscaldate. Pamela, seduta di fronte a me, sghignazza. Grandissima bastarda. <<Saggio autobiografico...>> commenta ad alta voce. <<E' proprio nello stile della professoressa Richardson.>>

<<Non mi aiuti>> mormoro, con la testa ancora reclinata. Luke, forse per confortarmi, mi accarezza la schiena. Sospiro e mi raddrizzo sulla sedia. La biblioteca della scuola – ovviamente immensa, grandissima e ricchissima di libri – oggi è meno affollata del solito. Vorrei poter avere il tempo di apprezzare questa situazione, ma questo saggio divora qualsiasi forma di sentimento positivo, perciò tutto ciò che posso fare è continuare a sbattere la testa contro il tavolino. <<Consegnerò il foglio in bianco.>>

<<Non puoi, la Richardson non è una di quelle professoresse che te lo permetterebbe. Aspetterebbe anche l'intero anno pur di vedere che cosa scrivi.>>

<<Io non so scrivere, è già un miracolo che sappia elaborare un pensiero sensato e profondo>> la mia non è un'affermazione dettata dalla bassa autostima, solo un semplice dato di fatto.

<<A Sasha non piace parlare delle cose importanti, solo fare battute>> conferma Luke, assumendo l'espressione saggia di Yoda. <<La mamma diceva sempre che Sasha è brava solo in due cose: a fare a pugni e a fare le cravatte.>>

<<Parole sante>> mormoro.

<<Sono sicura che ha anche altri pregi>> sghignazza Pamela. E brava la mia amica, lei sì che sa scrivere dei saggi decenti, è facile prendermi in giro quando hai già completato il tuo compito.

<<Qua ci vorrebbe Veronica>> ribatte Luke, che è in vena di sentimentalismi. <<Veronica era brava a scrivere, aiutava sempre Sasha quando aveva bisogno di una mano. Veronica mi piaceva.>>

<<Veronica?>>

<<Una mia vecchia amica.>>

<<Non sapevo avessi degli amici. Cioè, non sapevo fossi in grado di farteli da sola.>>

La fulmino con un'occhiata, Pamela si stringe nelle spalle. <<Ehi, io parlo con Emily Dickinson nella mia testa, è questo che ci accomuna: la pazzia.>>

<<Io non sono... oh, okay, hai ragione, sono pazza, ma questo non significa che non sappia farmi degli amici.>> Le punto l'indice contro. <<Ero molto famosa nella mia vecchia scuola, sai?>>

<<Per picchiare la gente.>>

<<Anche per quello, ma soprattutto perché ero la tizia più socievole del posto.>>

<<Perché insultavi tutti?>>

Ah, ha imparato a conoscermi. Mi viene da ridere, affogo la mia ilarità nel saggio che non sto scrivendo. <<Che fine ha fatto questa Veronica?>>

Irrigidirsi è l'unica arma che mi resta per evitare di ricordare, trattengo i fiato, gli occhi ancora puntati sul foglio bianco. Come vorrei poter avere una di quelle penne magiche di Harry Potter che fanno i compiti al posto tuo. <<Lei e Sasha hanno litigato. È stato molto brutto. E Sasha aveva torto>> mormora Luke, perché lui è più bravo di me nel ricordare certi particolari.

<<Avevi torto?>> ripete Pamela, evidentemente sorpresa che non abbia corretto questo particolare. <<E lo ammetti pure?>>

<<Ero una stronza>> confesso alla fine con un sospiro. <<Cioè, sono stronza anche adesso, non lo nego, ma all'epoca ero ancora più stronza. Veronica mi disse di voler partecipare a questo concorso per ottenere una borsa di studio in una prestigiosa scuola di arti liberali. Lei e suo padre avevano una vena artistica invidiabile, ma la sfiga di non esser stati notati da nessuno.>> Scrollo le spalle, nella speranza che il resto della storia sia implicito, ma devo evidentemente aver sopravvalutato la lucidità mentale di Pamela.

<<E?>>

<<Sasha le ha detto di non farlo>> interviene Luke, il suo volto ora è imbronciato. <<Hanno litigato. Veronica le ha detto che era cattiva, e Sasha le ha detto che non voleva darle false speranze, perché quelli come noi non devono avere speranze altrimenti stanno molto molto molto molto male.>>

Pamela sbarra gli occhi, inorridita e/o sorpresa. <<Sei stata veramente una stronza.>>

<<E' da mezz'ora che sto cercando di dirtelo, ci stai arrivando solo ora?>>

<<Perché?>> sembra non comprendere per davvero.

Mi massaggio le tempie, sarebbe stato molto meglio se Luke non avesse tirato fuori questo argomento. <<Perché...>> mi blocco, incerta su come spiegarle quei momenti. <<Perché per quelli come noi, molto spesso, non c'è un futuro. Vogliamo essere onesti? Non c'è mai stato, probabilmente sin dalla nostra nascita. E' bello pensare che esista per ciascuno di noi un finale alla "e vissero per sempre felici e contenti" ma non è così. E non volevo...>> espiro lentamente. <<Non volevo che lei... sperasse in qualcosa per poi venire profondamente delusa.>>

<<Sei una cretina.>>

<<Lo so.>>

<<E un'idiota.>>

<<So anche quello.>>

<<Sasha è parecchio idiota>> interviene Luke, giusto per buttare altro sale sulla ferita.

<<E ti sei scusata, dopo?>> domanda Pamela, perché anche lei è una sadica a cui piace veder soffrire la gente.

<<Non ho potuto, dopo la mamma è morta. E io ero...>> schiocco la lingua. <<E' venuta a trovarmi, ci ha provato, ma io... Ah.>> Mi massaggio le tempie, è tutto così confuso e complicato. Vorrei soltanto poter togliermi questa nebbia che mi intontisce, questa foschia che mi impedisce di vedere e di sentire. <<Non stavo bene. L'ho cacciata.>>

<<Sasha era molto triste per la morte della mamma>> le spiega Luke, forse per giustificare il mio cormportamento che, ahimè, non ha giustificazioni. <<Molto, molto triste.>>

Veronica non si è più fatta vedere, dopo quel giorno, quando le sbattei la porta in faccia e la cacciai via fra urla e grida. Scomparve dalla mia vita, e io scomparsi dalla sua. Mi pento di quell'azione, mi pento di ogni cosa. Ho perso tanto, ho perso tutto, e ora non c'è più modo per rimediare a niente, posso solo fingere di star bene, perché è l'unica cosa in cui sono brava.

Per qualche minuto, Pamela rimane in un silenzio carico d'attesa. Sono pronta per la sentenza, per lo meno spero di esserlo, perché venir giudicata mi riesce facile, ma non l'esser condannata. E poi, con mio stupore, la sento dire: <<Scrivi di questo.>>

<<Di Veronica?>>

<<No, idiota, della tua idea di futuro. Di quello che vedi per te e per Luke. Di come ti senti. Scrivi di questo. Tira fuori tutto. Non importa in che modo, fallo e basta. Scrivi anche stronzate. Quel saggio è su di te, e su nessun altro. Spiega quanto sei stronza e quante cavolate hai fatto nella tua vita. Ti aiuterà, fidati.>>

<<E a cosa mi servirebbe?>>

<<A fare ammenda.>>


*

Oggi è uno di quei momenti.

Quelli dove sto più male del solito, e dove la mia solita frenesia scompare, risucchiata dall'autocompassione. Oggi è uno di quei momenti dove vorrei solo scomparire sotto le coperte del letto e dormire per il resto dei miei giorni. E lo faccio, perché non sono certo così coraggiosa da affrontare il mostro che mi sta divorando. E con la scusa di un improvviso mal di pancia provocato dal ciclo, resto da sola a casa. E' bello, ed è piacevole. Nessuno che parla, nessuno che ascolta. Sto da sola sotto le coperte, non c'è nessuno a parte me e il mio dolore. Si sta bene. E' perfetto così.

Quando chiudo gli occhi, mi sento meglio. Quando mi raggomitolo in me stessa, è come poter tornare al principio, a quella realtà che è scomparsa per sempre, e che non potrà più tornare. Mi ricordo di questi giorni, e mi ricordo di come fossero belli. Era tutto bello, all'epoca. Molto più bello di adesso. Molto meglio. All'epoca ero felice. All'epoca c'era qualcosa per cui valesse la pena lottare.

La mamma sta cucinando. Questo è odore di pancake, ne sono sicura. Riconosco i pancake della mamma, perché puzzano sempre di bruciato. Non è davvero brava in cucina. Quando la raggiungo, dalla padella sul fornello si sta levando una nuvola di fumo nera piuttosto inquietante. <<Buongiorno, tesoro>> mi saluta, sorridendo. <<Oggi dobbiamo festeggiare.>>

<<Festeggiare cosa?>>

<<Luke verrà dimesso dall'ospedale. Passo a prenderlo alle dieci.>>

Un sorriso affiora sulle mie labbra, corro verso di lei, effettivamente i pancake bruciati sono molto più di quanto possa desiderare per la riuscita operazione al cuore di mio fratello. <<Chiamo Veronica?>> le domando. <<Può venire a festeggiare con noi?>>

<<Certo, ma ricorda che non potrete di nuovo fare a gara di sputi.>>

<<Stavolta è a chi fa più pipì.>>

<<Santo cielo, non ricordavo di averti cresciuta in questo modo.>>

Rido, rido tanto. La mamma scuote la testa con aria di rimprovero, ma sembra divertita a sua volta. Quando posa il pancake sul mio piatto, è così scuro da sembrare un buco nero. Ho paura che mi risucchi. <<Tesoro, parlando di Veronica e di festeggiamenti... fra poco è il tuo compleanno, giusto?>>

<<Ah ah>> mormoro, mentre ispeziono attentamente la cialda che si trova sul mio piatto. La tasto con la punta della forchetta, è dura come un sasso. Mi spaccherà i denti? Dio, spero di no, non possiamo permetterci una visita dal dentista.

<<C'è qualche posto dove vorresti andare, di preciso?>>

Mi fermo un istante a riflettere, e la risposta fuoriesce dalle mie labbra prima che possa fermarla. <<Le meduse.>>

<<Come?>>

Saltello sulla mia sedia, troppo emozionata per potermi contenere. <<Nella città qua vicina... ci sarà una mostra di meduse all'acquario. Voglio andarle a vedere.>>

<<Ti piacciono le meduse? E da quando?>>

<<Me le ha fatte vedere Veronica su una rivista. Sono bellissime. Si lasciano trasportare dall'acqua come se non avessero alcun problema al mondo. Voglio vederle. Voglio vedere le meduse.>>

La mamma sorride. Il suo sorriso distante, riflesso. E il suo volto sembra essersi fatto più sfocato. <<Mamma?>> la richiamo. <<Stai bene?>>

<<Cosa vorresti fare, Sasha, abbandonarci per lasciarti trascinare dalla corrente?>>

<<Mamma?>>

<<E andartene via per sempre?>>

Questa voce non è della mamma.

<<E' così egoista, da parte tua.>> Questa non è mia madre. Questa sono io, sono io che mi guardo, io che mi giudico, io che mi odio. <<Non dovresti desiderare certe cose. È per questo se ora la mamma non c'è più. E' per questo se ora Luke sta soffrendo. È perché non sei stata in grado di proteggere la tua famiglia. Non sei una custode. Sei solo una distruttrice.>>

Brr.

Ah.

Brrrrr.

Ahia.

BRRRRRRR.

Apro lentamente le palpebre, ancora intontita dal mio pisolino per nulla ristoratore. Quando riapro gli occhi, sono ancora in camera mia, la mamma non c'è, e non c'è nemmeno l'odore di pancake bruciati. È doloroso, e fa male. Fa malissimo, cazzo. Non so cosa fare. Vorrei potermi estirpare il cuore.

BRRRRRRRRR.

Ho ancora gli occhi troppo assonnati per potermi guardare attorno, perciò utilizzo le braccia nel disperato tentativo di afferrare il mio cellulare, ovunque esso si trovi. Il suo trillo mi sta martellando la testa, non riesce a permettermi di autocommiserarmi, e chiunque sia dall'altro lato della cornetta sembra non essere minimamente intenzionato a volermi lasciare in pace.

BRRR.

Finalmente lo trovo, sotto il cuscino a cui mi sono aggrappata durante l'incubo, e quando rispondo, la mia voce impastata dal sonno suona molto più cupa del solito. <<Chiunque tu sia, spero abbia avuto una buona ragione per svegliarmi.>>

<<Ehilà, Principessa!>> la voce di Ridarella è così acuta da trapanarmi i timpani.

Chiudo la chiamata, e ritorno sotto le coperte.

Brrr.

Brrrrrr.

BRRRRRRRR.

<<Ascolta quello che ho da dirti, prima di chiudermi in faccia, principessina, sai bene che potrei...>>

Chiudo la chiamata.

Brrr.

Brrrrrr.

BRRRRRRR.

<<Questa è la tua ultima occasione, William King, perciò pondera bene le tue parole, perché stavolta non mi limiterò a sbatterti il telefono in faccia, ma spegnerò definitivamente il mio>> lo avviso, l'onesta prima di tutto. Così come il sonno di cui lui, ahimé, mi ha privato. Spero abbia una motivazione valida per avermi impedito di crogiolarmi nel mio dolore autoinflitto, perché...

<<Mentre mangiavamo, Luke ci ha detto che saresti stata assente tutta la giornata, che non stavi bene. Io e Sophia ci stavamo solo domandando se anche tu avessi beccato il raffreddore.>>

<<Avete di nuovo mangiato con Luke? Per tutti i jedi di Star Wars, la dovete smettere di tentare di comprare mio fratello con...>> l'insulto mi muore in bocca non appena il cervello, ancora in fase assonnata, recipisce e traduce tutte le informazioni. <<Anche io?>>

<<Sì, anche tu. E' dall'altro ieri che Aaron è a letto con una febbre da cavallo, evidentemente quel tuffo al lago, per quanto piacevole, non ha giovato alla sua salute.>>

Oh no, eccolo che arriva. Il senso di colpa. Maledizione, credevo di averlo estirpato da un bel po' di tempo. Speravo che certi sentimenti si fossero estinti nel mio cuore come accadde ai dinosauri millenni fa. <<Da come parli, direi che sei fresca come una rosa>> aggiunge Ridarella, che evidentemente deve aver compreso molte cose grazie al mio silenzio traditore. <<Il che mi fa pensare: come mai hai saltato la scuola?>>

<<Vuoi sapere perché, biondino ninfomane? Perché ho le mestruazioni, capito? M-E-S-T-R-U-A-Z-I-O-N-I, e sono dolorosissime, ho appena perso sette litri di sangue e macchiato tutte le coperte, sembra che il mio letto si sia trasformato nel campo di...>>

<<Smettila subito o riattacco.>>

Trattenermi dal ridere è difficile, è bello sapere che anche in uno dei miei momenti di depressione totale non ho perso del tutto la capacità di trovare ilairità anche in momenti simili. <<Okay, bello, ci vediamo domani.>>

<<Aspettaaaaa>> grida lui, la sua voce è più affilata di un coltello giapponese, e mi provoca un'emicrania che, lo so, durerà per giorni interi. <<Non ti sei dimenticata qualcosa?>>

<<Cosa? A parte il sonno ristoratore da cui tu mi hai appena svegliata?>> sibilo, la bocca ancora impastata.

<<Il fatto che... ehi! Sophia, accidenti! Ridammelo!>> Dall'altra parte, suoni indistinti e confusi mi assordano per qualche secondo, l'istante dopo, la voce di Sophia, molto più piacevole di quella del fratello gemello pervertito, risuona nelle mie orecchie come un coro angelico. <<Il fatto che sei tu la causa della malattia di Aaron, ad esempio? Lasciami in pace, Bill, ora tocca a me parlare con Sasha.>>

<<Non sapevo di essere così richiesta nella vostra famiglia>> la sfotto.

<<Non cambiare discorso, Aleksandra Porter.>>

<<Ci si ammala ogni giorno.>>

<<Soprattutto quando una pazza ti butta in un lago quando sono dodici gradi.>>

Ah, maledizione. Mi strofino il naso col dorso della mano. <<Io sto una meraviglia. Voglio dire, ciclo a parte.>>

<<Evidentemente hai delle difese immunitarie di ferro. Non fare la finta tonta, Sasha, sai benissimo che sei tu la causa della febbre di mio fratello, e ora devi prendere atto delle conseguenze delle tue azioni.>>

<<Gli manderò un mazzo di rose non appena si sarà ripreso>> commento, e, riflettendoci, potrei farlo davvero. <<Ora devo andare, ho questa strana sensazione al petto, temo di star per avere un infarto.>>

<<Si chiama "senso di colpa" e sai cosa si dice a proposito di questo?>>

<<Che fa davvero schifo?>>

<<No, che si deve rimediare prima che sia troppo tardi. Ora Aaron è a casa da solo, e l'ultima volta che l'ho visto non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Va' a dargli una mano.>>

<<Dubito fortemente che tuo fratello apprezzererebbe il mio improvviso desiderio di riemdiare ai miei errori.>> Considerando il carattere di Stoccafisso, è più probabile che tenti l'approccio dell'insulto col solo scopo di cacciarmi di casa ed evitare in questo modo l'atroce di supplizzio di avermi come babysitter temporanea. Come lo capisco.

<<Non m'importa, è colpa tua se ora è in queste condizioni, perciò, ciclo o non ciclo, muovi quel culo e va' a casa nostra.>>

L'istante dopo, attacca. Meraviglioso, sono appena stata colpevolizzata da una tizia che pensa che indossare un filo interdentale come reggiseno la renda sexy di essere la causa della malattia di suo fratello, e non solo, ho appena ricevuto un ordine che, francamente, tutto vorrei tranne che eseguire.

Avevo ragione.

Il senso di colpa fa proprio schifo.

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