Fare ammenda (parte due)
Quando suono al citofono di fronte l'immenso cancello di casa King, incrocio mentalmente le dita affinché Stoccafisso sia troppo moribondo per poter rispondere. O che sia morto. Sì, lo so, è brutto pensare a queste cose, ma sicuramente mi leverebbe da questo terribile senso di colpa. Non puoi sentirti in colpa per un morto. O forse sì, ma sarebbe comunque meglio che dovermi confrontare di nuovo con la richezza spaventosa della famiglia King. Un paio di demoni del passato che tornano a tormentarmi non bastano per spaventarmi.
Ma le mie preghiere sono vane, proprio come le mie dita incrociate, nessun santo in paradiso è disposto a concedere questa piccola gioia a una peccatrice come me, perciò, l'attimo dopo, una voce che sembra provenire dall'oltretomba risuona dal citofono. Cielo, è messo molto peggio di quello che speravo... ehm, temevo. <<Chi è?>>
<<Servizio postale, ho un pacco da consegnare alla signorina Prudence Sophia King>> rispondo, mi sono esercitata a lungo sulla mia recita da fattorino, e a quanto pare funziona, perché il cancello del viale d'ingresso si apre. Deve essere veramente in stato catatonico per non avermi posto alcuna domanda sulla mia identità ed essersi fidato sulla parola. Ahimè, il senso di colpa si sta ingrandendo a dismisura, e questo non mi piace per niente.
Infilo le mani nelle tasche dei jeans e cammino verso la porta d'ingresso principale zampettando un pochino, perché perder tempo prima di passare alle cose serie è una delle mie specialità migliori. Quando salgo i gradini della veranda, la porta è già aperta, e quello che sembra a tutti gli effetti uno zombie la sta usando come bastone per reggersi in piedi. <<Che diavolo... ci fai tu qui?>> ansima Aaron.
Okay, okay, okay. Non riesco a negarlo, mi sento veramente una merda. Dire che sta male è riduttivo, sembra sul punto di perder l'anima da un momento all'altro. Non si è nemmeno preoccupato di lavarsi i capelli o di cambiarsi quando è venuto ad aprirmi, è ancora in pigiama, ovvero con i soli boxer, perché agli uomini come lui piace guardarsi i propri muscoli prima di andare a dormire. La sua pelle è bianca, le sue guance sono scavate, e gli tremolano leggermente le labbra. Sembra uno di quei personaggi in fin di vita che può morire da un momento all'altro. <<Ho scoperto anche io di avere una coscienza>> rispondo.
<<Ti ha chiamata Sophia, non è così?>> Non ci casca, evidentemente non è così malato dal non ricordarsi quanto possa esser stronza.
<<Lei e Ridarella. Hanno interrotto il mio sonno ristoratore e hanno promesso di non chiamarmi più per i prossimi mesi se ti avessi fatto da badante questo giorno, come scusa per averti buttato nel lago.>>
Fa per chiudere la porta, ma la sua presa non è più ferrea come al solito, e le sue dita scivolano, rischiando di farlo cadere. Lo afferro prima che la sua testa vada a sbattere contro il pavimento provocandogli un trauma cranico. <<Ehi, vacci piano, cowboy, so che sei indipendente e tutto il resto, ma non puoi fare molto se sei in punto di morte.>>
<<Devi andartene, ti infetterò.>>
<<Non credo.>> Avvolgo il suo braccio attorno alla mia spalla e mi faccio spazio così da entrare nella villa, alla cui fatiscenza non riuscirò mai ad abituarmi. <<Allora, Stoccafisso, dove si trova la tua camera?>>
<<Vattene via.>> Sento il suo corpo tremare nel tentativo di staccarsi dalla mia presa ferrea.
<<Al posto tuo, conserverei quelle poche energie che mi rimangono per camminare e arrivare al letto. Muoviti a dire dove si trova la tua stanza, altrimenti userò la prima che trovo. Anche quella dei tuoi genitori, se disponibile. Anche quella del maggiordomo. Anche il bagno. Anche il...>>
<<Sì, sì, ho capito>> mi interrompe, è così esausto da non riuscire a controbattere. Devo ammettere che fare ammenda può rivelarsi una scelta molto interessante a seconda dei contesti, vederlo così privo di forze è traumatico ed esaltante allo stesso tempo. Sono una persona orribile, ne sono pienamente cosciente. <<Devi... devi andare di là, verso il salone... e poi salire le scale. E' la porta di fronte ad esse.>>
Seguo le sue indicazioni, e devo ammettere che trasportare un peso morto di novanta chili è più difficile di quanto mi aspettassi. Ha perso così tante forze da non esser nemmeno in grado di sollevare i piedi, se li trascina sfregando con la moquette del pavimento e sussultando di tanto in tanto per un dolore improvviso al corpo.
Dieci minuti dopo, sono finalmente riuscita a fargli raggiungere la sua camera. Soffoco un sorriso quando mi rendo conto che è esattamente come la immaginavo: sterile, pratica ed efficiente. Proprio come Stoccafisso. Il letto matrimoniale dalle coperte azzurre è un po' sgualcito, ma per il resto non c'è una sola cosa fuori posto, inclusi cuscini, scrivania, libri e dvd. Ha un televisore gigantesco appeso sulla parete di fronte al letto, e una libreria spaventosamente larga piena di volumi che sono stati ordinati in ordine alfabetico e secondo il genere del romanzo.
<<Avanti, cowboy, sdraiati.>> Lo aiuto a sollevarsi sulla punta dei piedi quel tanto che basta per fargli raggiungere il morbido materasso del letto, dentro cui sprofonda pochi secondi dopo. Gli scosto il piumone azzurro per poterlo coprire e con la mano tasto la sua fronte. Bollente sarebbe un aggettivo eufemistico. <<Potrei cucinare un pancake con la tua testa>> lo sfotto, mentre controllo che ogni parte del corpo, ad eccezione della testa, non sia esposta.
<<E di chi è la colpa?>>
<<Mia, mia, lo so, sono estremamente, tremendamente dispiaciuta. Mi viene da piangere al pensiero di vederti così distrutto per un mio scherzo, non era mia intenzione.>>
<<E allora perché stai facendo foto col tuo cellulare?>>
Scatto un'altra foto. <<La sto solo usando come punto di riferimento per i bambini, così sapranno cosa accade a comportarsi come uno stoccafisso. È a scopo puramente pedagogico, sarai un esempio per l'umanità, si fiero di te stessa. Uhhh! Questa è venuta bene, la imposterò come sfondo per il mio cellulare.>>
Sono pronta ai suoi soliti insulti da padre burbero, ma tutto ciò che riesce a fare è rantolare nel suo oblio di disperazione. <<Dio, deve trattarsi di una malattia terminale>> mormoro colpita <<non mi hai ancora insultata, e stiamo insieme da quasi un quarto d'ora. Sto per emozionarmi.>>
<<Se continui...>>
<<Fammi un favore, Macho Man, e rinuncia alle minacce. Per come sei messo al momento non riusciresti nemmeno a sollevare una matita. Hai preso le medicine?>>
Lui si passa una mano sulla fronte sudata, i capelli sporchi gli ricadono sugli occhi facendolo sembrare ancor di più un cadavere. <<Non ho bisogno di medicine. Con un po' di sonno e una busta di ghiaccio sulla fronte starò meglio.>>
<<Oh, quindi tu sei uno di quelli.>>
<<Uno di quelli cosa?>>
<<Uno di quelli che si crede così figo da poter sconfiggere un febbrone da cavallo con la sola forza di volontà. Ammirevole, non c'è che dire, ma incredibilmente stupido. Hai almeno mangiato qualcosa? Non avete una domestica che vi serve e venera come degli dei?>>
<<Piper è andata in vacanza e Sigurd ha accompagno mia madre nel suo viaggio di lavoro, potresti smetterla di prendermi per il culo, ora, e tornartene da dove sei venuta?>>
<<Potrei, ma guardarti soffrire è un piacere immenso, non sono forte come te, non riesco proprio resistere alla tentazione di osservare mentre ti scavi la fossa. Vado in cucina a prepararti qualcosa da mangiare.>>
<<Ho detto che te ne devi andare.>>
<<Ah-ah, ti ho sentito.>> Mi avvio verso la porta della camera, il suo sguardo mi brucia la schiena. <<Ma... be', me ne fotto. A dopo, Stoccafisso.>>
Riuscire ad orientarsi in questo posto è un'impresa non da poco, la villa è così grande da sembrare un labirinto. Hanno una zona bar, una zona cinema, per Dio, persino una zona giochi. Questi ragazzi sono stati cresciuti nell'oro e hanno vissuto come Paperon' De Paperoni con l'abitudine di farsi il bagno nelle monete. Sto solo aspettando di trovare la famosa Numero 1 per potermi definire soddisfatta.
Arrivo alla cucina dopo aver rischiato di tirare fuori il mio cellulare e usare il navigatore gps, per poi ricordarmi che non è così tecnologico da possederlo. E anche questa sala, proprio come tutte le altre, è strabiliante. Mi concedo qualche secondo per emozionarmi alla vista di questo locale moderno, i mobili bianchi sembrano esser stati appena acquistati, il lavandino altrettanto immacolato brilla di luce pura, e il frigo ha un'aspetto così strano da farmi ridere. Una risata che muore subito non appena vedo cosa contiene: cibi precotti, un paio di uova, e piatti da riscaldare al microonde. Per l'amor di Luke Skywalker, possibile che nessun membro della famiglia sappia cucinarsi un piatto decente anche senza l'aiuto della domestica?
Alla fine, opto per un risotto allo zafferano, una ricetta semplice che ho imparato quando ero molto piccola, grazie a Lyanna, una delle poche spogliarelliste che comprendeva il significato di "mangiare sano". Canticchio sottovoce mentre aspetto che l'acqua bollisca, canticchio e basta, in silenzio, era passato molto tempo dall'ultima volta che l'ho fatto. Da quando ho visto il cadavere della mamma, credo sia stato in quel momento che ho preso l'inconscia decisione di smettere una volta per tutte.
Quando alla fine torno nella camera di Aaron Stoccafisso, con la pentola piena di riso e le medicine posate sul vassoio che sto reggendo con le mani, lo trovo fermo nella stessa posizione con cui lo avevo lasciato. Che sia morto per davvero?
<<Ehi, Stoccafisso, mi senti? Credo che tu abbia messo incinta una ragazza.>>
<<Non sei affatto divertente.>>
Ora che la sua morte è stata confutata, posso tirare un piccolo sospiro di sollievo. Mi avvicino a lui e poso il vassoio sul comodino accanto al letto. <<Ti ho preparato un piatto leggero, ti piacerà, devi mangiare prima di prendere le medicine.>>
<<Non voglio le medicine.>>
<<Mi vergogno di averti considerato intelligente, tanto tempo fa>> ribatto. Trascino la sedia della scrivania fino al lato dove è sdraiato e la uso come punto d'appoggio per poter curare il povero moribondo. <<Ecco a te>> afferro la pentola di riso e gliela porgo <<il cucchiaio è dentro, mangiala.>>
Aaron si schiarisce la gola rauca, e il suo sguardo, lucido per via della malattia, si fa stranamente spaventato quando vede l'oggetto che tengo fra le dita. <<Hai fatto un'intera teglia di riso?>>
<<Certo. Perché lo devi mangiare tutto.>>
<<E dov'è il piatto?>>
<<Perché?>> aggrotto la fronte. <<E' molto più bello mangiare direttamente dalla pentola.>>
<<Non mangerò dalla pentola.>>
<<Lo farai, invece, o avvelenerò il riso e ti farò morire in atroci sofferenze.>>
<<E' altamente probabile che tu lo abbia già fatto.>>
<<Non sottovalutarmi, il veleno è un'arma che non mi si addice, io sono una donna violenta, ricordi? Violenta, non subdola. Avanti, mangia. Il cucchiaio è già dentro, vuoi che lo assaggi così da dimostrarti che il mio desiderio di vendetta si limita solo a certi determinati contesti?>> lo sfotto. <<O forse sei troppo figo per poter mangiare senza piatto?>>
<<Mi stai facendo venire il mal di testa.>>
<<Mettiamola così: se tu inizierai a mangiare io smetterò di parlare.>>
La proposta sembra averlo interessato come mi aspettavo, i suoi occhi rossi e luccicanti controllano attentamente il contenuto della pentola ora tiepida, forse alla ricerca di qualche dito mozzato o occhio spappolato. L'ispezione dura un paio di minuti, alla fine dei quali pare arrendersi alla fame e afferra i bordi della pentola. Lo aiuto a sedersi lentamente sul letto, posizionandogli i cuscini contro la schiena in modo che non possa scivolare per un improvviso giramento di testa, e mi affretto a versargli un bicchiere d'acqua.
<<Cazzo.>>
<<Cosa?>> l'imprecazione mi ha spaventata facendomi dimenticare il patto di non parlare. Quando mi volto, Aaron ha le dita premute contro le labbra sigillate e gli occhi chiusi in un'espressione che appare sofferente. <<E' troppo caldo?>>
<<Non riesco a credere che una stronza come te sappia cucinare così bene.>>
Scoppio in una fragorosa risata nel vederlo così estasiato per del semplice riso, lo sta mangiando come Luke mangerebbe l'ultimo pancake rimasto sul pianeta. Verso dell'acqua nel bicchiere e tiro fuori le medicine dai loro appositi blister. <<Dove hai imparato?>> mi domanda alla fine, nel tentavo di riempire il silenzio che si è creato da noi.
<<La mamma era una pessima cuoca e io non ne potevo più di sopravvivere con uova o toast bruciati. E poi la maggior parte del tempo eravamo solo io e Luke, anche lui non è male ai fornelli. Ci siamo impegnati molto.>>
<<Morirò avvelenato.>>
<<Non c'è del veleno, là dentro. Te l'ho detto, non è nel mio stile. Se avessi voluto farti secco, lo avrei fatto quando ti ho trovato in fin di vita all'ingresso di casa. E non l'ho fatto solo perché sono una persona che odia sentirsi in colpa.>>
<<Brutto avere una coscienza, eh?>>
<<Terribilmente.>>
Venti minuti dopo, non c'è più traccia di riso nella pentola, che sembra esser stata appena lavata. Trattengo un sorriso e il desiderio di sfotterlo per aver apprezzato così tanto la mia cucina, e dopo un battibecco che finisce con la mia vittoria, lo costringo a prendere le medicine. La sua fronte continua a scottare come se gli avessero appena dato fuoco, quando torno con una bacinella trovata in bagno e riempita d'acqua, lo ritrovo profondamente addormentato, il volto affossato nel grosso cuscino, i capelli spettinati che contornano il suo profilo angelico.
Il cellulare vibra nella mia tasca, distraendomi dalla visione di questo angelo caduto.
Ti prego, dimmi che non hai ucciso mio fratello – Sophia.
Tuo fratello è vivo e vegeto, e ha la fame di un elefante. - S.
GLI HAI CUCINATO? – Sophia.
Sì, l'ho fatto. Sei stata tu a dirmi di prendere atto delle conseguenze delle mie azioni, giusto? Be', ora non rompere e sbrigati a tornare a casa, che voglio andare a dormire. – Sasha.
Sophia non risponde, non che mi aspettavo lo facesse, deve esser troppo sconvolta all'idea che possa aver fatto qualcosa al suo amato gemello per poter digitare sul telefono. Bagno l'asciugamano che ho rubato sempre dal bagno dentro l'acqua fredda e dopo averlo strizzato e piegato, lo poggio delicatamente sulla fronte del moribondo.
Le labbra di Aaron si schiudono lentamente, un espiro di sollievo fuoriesce dalla bocca quando il panno bagnato rinfresca la sua fronte accaldata. Ora che ci rifletto, tutto il suo corpo sta sudando come se stesse partecipando a una maratona. Lo osservo lentamente, il suo sonno sembra essersi fatto pesante, mormora qualcosa, di tanto in tanto, forse per via dei deliri provocati dalla febbre.
Mi fermo, un istante, uno solo. È spaventoso rendersi conto della sua bellezza e imponenza, il ragazzo che ora è sdraiato su quel letto in stato comatoso sembra essere appena sceso dal paradiso, i suoi lineamenti simmetrici, le sue labbra carnose, e quel fisico scolpito, lo rendono un piccolo miracolo quotidiano.
Alla sua vista, mi sento sporca, sbagliata, più di quanto già non sia.
Perché in questa stanza colma di silenzio ora c'è un ragazzo pieno di possibilità, e una ragazza che non potrà mai averne una.
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