Barboncino VS doberman


N.A.

Buonsalve a tutti, ragazzi! Eccomi qui, per aggiornarvi sugli ultimi avvenimenti. Come forse già saprete, sono in piena sessione esami, quindi probabilmente i capitoli usciranno più lentamente del solito, mi scuso in anticipo per questo! Cercherò di staccare il mondo dello studio da quello della scrittura, ma a volte è praticamente impossibile!

Infine, come ultima cosa, vi ringrazio ancora per star seguendo questo libro a cui tengo moltissimo, spero che vi stia continuando a piacere, e che mi permetterete di conoscere i vostri pensieri con dei commenti!

Un saluto e un abbraccio :*

#Simo

Per tutti i marshmallow del mondo!

O, ancor meglio, come direbbe Thor, per Odino!

Cosa diavolo sta succedendo?

Sarei rimasta meno sorpresa se Ridarella, famoso per la sue battute volgari, mi avesse confessato di esser vergine, e che il suo linguaggio sessualmente offensivo non è altro che il risultato dell'istinto represso di farsi una bella e sana scopata. Ma qua andiamo ben oltre la verginità o (al contrario) la ninfomania. Di fronte a me la bambolina di un metro e cinquanta che fino a pochi secondi fa avevo reputato adatta solo per i concorsi di bellezza e per le collezioni di porcellana sta letteralmente tenendo per le palle quello che dovrebbe essere uno dei ragazzi più pericolosi del quartiere. O di Willamstone.

Lo sta tenendo per le palle.

Letteralmente.

Per le palle.

Non so se mettermi a piangere per l'emozione o se far cadere la mascella a terra e guardare come una deficiente la scena che mi si propone davanti. <<Sono stufa di come ci tratti e sono stufa di tutta questa situazione di merda!>> sta strillando Sophia a gran voce, i suoi occhi puntati su quelli di Hipster, il nasino alla francese arricciato in una smorfia di disgusto, e le sopracciglia così aggrottate da coprirle quasi del tutto lo sguardo. Riesco a scorgere il fremito di rabbia che fa tremolare tutto il suo piccolo corpicino da Barbie. <<Perciò ora hai due opzioni, immensa testa di cazzo, o mi dici chi diavolo ti ha pagato per distruggere il mio armadietto oppure ti schiaccio le palle fino a fartele esplodere!>>

Mi tappo la bocca per contenere un singhiozzo emozionato. E' quasi commovente. Sophia King in versione berserk è una meraviglia, signore e signori. Oltre che incredibilmente sexy. Qualunque uomo sano di mente avrebbe un'erezione alla vista di un simile spettacolo. <<Okay, ragazzi>> esclamo, saltellando sulla punta dei piedi come una bambina di tre anni, sfilo il mio telefono dalla tasca dei pantaloni e punto l'obbiettivo della camera contro di loro <<fate un bel sorriso. Cheeeeese!>>

Il flash abbaglia per un secondo i loro volti, quello di Sophia incazzato e quello di Hipster stupefatto. Controllo l'immagine sullo schermo. Diavolo, mi ci farò un poster. Lo appenderò sulla parete della mia stanza e lo venererò fino alla morte. <<Brutta stronza!>> gracchia Valentine, la cui voce sembra uscire dall'oltretomba. Prova a divincolarsi, ma la pressione del piede di Sophia sui suoi gioielli gli impedisci di muoversi. <<Se la fai vedere a qualcuno io ti...>>

<<Cosa, Hipster?>> lo sfotto. E, proprio come in un film, le figure di Aaron e Bill sbucano dall'ombra, circondando quella di Valentine in un cerchio minaccioso e sinistro che farebbe raggelare persino Chuck Norris. E Chuck Norris è l'uomo più forte del mondo. Persino più di Superman.

<<Mi hai incastrato!>>

<<Precisamente>> rispondo con entusiasmo, inginocchiandomi di fronte a lui. <<Ascoltami bene, amico mio, ti spiego con calma la situazione. Questi tre fratelli sono piuttosto incazzati, qualcuno vuole far loro del male, e ti ha usato per poterli ferire nel profondo. Perciò ora le loro fragili menti stanno tentando di contenere un'ira che non può essere contenuta. Tu sei il tizio che li ha sempre disprezzati pur non conoscendoli e che non si è fatto problemi a distruggere uno dei loro armadietti, e ora la femmina alfa ti sta tenendo per le palle. Come credi che finirà questa storia?>> Gli sorrido amabilmente. <<Io vedo solo due finali: tu che parli o tu che vieni castrato. In entrambi i casi, per i King sarebbe un happy ending. Per te? Nah. Ma poco importa in questo caso.>>

Gli occhi azzurri di lui mi stanno scrutando con una rabbia omicida che raramente mi è capitato di incontrare nel breve corso della mia vita, ma che comunque non basta a spaventarmi. Aaron gira attorno al corpo sdraiato di Valentine e mi raggiunge, il volto come sempre impassibile e le labbra serrate in una linea dura che vale più di mille minacce. <<Inoltre>> aggiungo, mostrandogli il mio telefono <<ho dalla mia parte un materiale ricattatorio più che sufficiente per rovinarti per sempre la reputazione. Chi diavolo parteciperebbe a un incontro di pugilato con te se vedesse che ti sei fatto prendere per le palle da un metro e cinquanta di pura pucciosità?>>

Le mani di Valentine si stringono in due pugni violenti con cui sta disperatamente tentando di contenere la rabbia e l'umiliazione, il suo volto fino a poco fa sofferente si trasforma in una maschera di umiliazione talmente divertente da costringermi a scattare un'altra foto. Non riesco proprio a trattenermi, è troppo divertente.

<<IL NOME!>> grida Sophia. La sua voce risuona fra le fronde degli alberi in un'eco minaccioso e irato, un rombo che risuona nelle orecchie di tutti come la promessa di una castrazione imminente e dolorosa. <<VOGLIO IL FOTTUTO NOME!>>

<<Io risponderei, se fossi in te>> Bill, in piedi di fronte alla testa di lui, incrocia le braccia al petto e lo guardo con aria strafottente. Il suo sorriso da deficiente ora è scomparso, sostituito da uno più crudele e malizioso, che piega l'angolo sinistro del suo labbro in una smorfia incredibilmente figa. Sia chiaro, negherò di averlo detto fino alla morte. <<La nostra sorellina ha il brutto difetto di prendersela con le parti intime dell'uomo che l'ha fatta incazzare.>>

<<Concordo.>> Aaron si limita a fissarlo, lo fissa con intensità, lo fissa come se volesse squartarlo vivo e appendere la sua testa su un piccone. Quando mi rialzo, la sua mano si posa sulla mia spalla e i suoi occhi scrutano attentamente il mio volto leggermente sporco e coperto di lividi. Una luce di irritazione attraversa il suo sguardo. Oh, merda. E' incazzato. E non con Valentine. E' incazzato con me. Riconoscerei quell'aura d'irritazione a miglia di distanza. E' incazzato perché ho partecipato a quello stupido torneo e l'ho costretto a starsene con le mani in mano senza poter intervenire.

Merda.

<<Cazzo!>> impreca Hipster, coprendosi il volto con una mano. <<Va bene! Va bene! Ve lo dirò!>>

<<IL NOME! VOGLIO IL FOTTUTISSIMO NOME!>> Il volto di Sophia è indescrivibile, la rabbia lo ha trasformato completamente. E' talmente bella in questo stato di incazzatura che mi salgono le lacrime agli occhi.

<<Stai sul serio piangendo perché mia sorella si sta comportando da sociopatica?>> mi sibila Aaron a bassa voce.

<<Ah-ah>> mormoro, e giusto per enfatizzare sul concetto annuisco più e più volte. <<Voglio dire, guardala! E' bellissima! Perché non siamo lesbiche? E' la mia anima gemella! Ho sbagliato fratello! Se fossi lesbica ora mi inginocchierei e le chiederei di sposarmi e di adottare otto figli.>>

Bill inarca stupefatto il sopracciglio sinistro, Aaron scuote la testa, sconvolto, e per quanto la mia emozione possa divertirlo non basta a sostituire la rabbia. Temo che quando tutta questa storia sarà finita mi farà una ramanzina coi fiocchi, uno dei suoi discorsi da papà incazzato che ha beccato la figlia a fumarsi uno spinello. <<NON SO IL FOTTUTISSIMO NOME!>> ringhia Valentine con un'acredine che è a dir poco fuori controllo. <<Sentite, quel giorno ho ricevuto una mail, un certo Theghost mi ha detto che se avessi spaccato l'armadietto 324 della Star High School Academy mi avrebbe pagato mille dollari in contanti.>>

<<Mille dollari?!>> ripeto con voce strozzata. <<Mille fottutissimi dollari?!>>

<<Perché riesco a sentire una certa invidia nella tua voce, Sasha?>> chiede preoccupato Bill.

Cerco di assumere l'espressione più impassibile della storia. <<Sì, cioè... voglio dire, mille dollari sono una cifra abbastanza alta, non credi?>> Nonostante i miei sforzi di sembrare indifferente nella mia testa riesco solo a pensare a milledollarimilledollarimilledollarimilledollari.

Aaron si batte una mano sulla fronte. <<HAI DISTRUTTO IL MIO ARMADIETTO PER MILLE FOTTUTISSIMI DOLLARI?!>> Il volto di Sophia è irriconoscibile, ora, la rabbia lo ha arrossato al punto da farla somigliare a un demone, riesco persino a intravedere la vena sul suo collo pulsare come una pompa, e l'aura di ira che dal suo corpicino si propaga nell'aria come fiamme impazzite.

Valentine scoppia in una fragorosa risata. <<Ma certo! Per voi King mille dollari non sono nulla, giusto? Scommetto che ogni giorno ne spendente molti di più solo per andare dal parrucchiere! Cazzo!>> Il colpo che Sophia ha dato alle sue palle è risuonato come una dichiarazione di guerra per il raggio di cinquanta chilometri. Bill chiude gli occhi e lancia un sibilo acuto nel disperato tentativo di non pensare al dolore che deve aver provato il suo acerrimo rivale per un simile pestaggio ai gioielli di famiglia.

<<COME CAZZO TI SONO ARRIVATI QUEI SOLDI?>>

<<Ehi>> mormoro, rivolta a Aaron <<è una mia impressione o tua sorella quando è incazzata tende a imprecare come un marinaio?>>

<<Non è una tua impressione. Ogni volta che è fuori di sé Sophia ha il brutto difetto di tirare fuori parolacce inaudite, e quando è più che incazzata inizia a offendere le persone con insulti altolocati come "bipede escrementale" o "homo sapiens retrogrado".>> Benché sia evidentemente ancora irritato, non riesce a nascondere il divertimento provato dai ricordi, segno che anche lui, in passato, è stato vittima di simili provocazioni auliche.

<<Aaron, ti dispiacerebbe se ti lasciassi per tua sorella? Giuro che la tratterò bene>> gli assicuro. <<Oppure possiamo fare una cosa a tre, sono dell'idea che ogni forma d'amore debba essere rispettata. Incluso l'incesto.>>

<<Puoi smetterla di comportarti come una lesbica arrapata?>> mi supplica Ridarella, e se a chiedermelo è proprio lui, il Re della pornografia, questo la dice lunga. <<Dico davvero>> aggiunge poi, rivolto a Aaron <<come diavolo fa' a piacerti una ragazza che si emoziona nel vedere una sua amica prendere per le palle una persona?>>

<<Fidati, me lo sono chiesto più volte. La risposta è "masochismo".>>

<<Puoi sempre lasciarmi, bello. Non ti sto costringendo.>>

<<STATE ZITTI VOI!>> Tutti e tre sobbalziamo quando la rabbia dell'unica donna King si scarica su di noi come un fulmine. Ammetto che persino io, donna priva di qualsiasi senso del pericolo, sono abbastanza spaventata dal suo volto furente. <<VOGLIO CHE MI FAI VEDERE QUELLA MAIL, SUBITO!>>

Valentine scuote la testa. <<Scordatelo bella, sono affari miei.>>

<<E QUESTI SONO GLI STRUMENTI CON CUI TRASFERIRE LA TUA STRONZAGGINE ALLA PROSSIMA GENERAZIONE>> le ricorda, giustamente, lei, impuntando il piede contro i suddetti strumenti. <<PREFERISCI DIVENTARE UN EUNUCO?>>

<<Cosa diavolo è un eunuco?>> domando a Aaron a bassa voce.

<<Un eunuco era una persona che in età prepuberale o puberale era sottoposto a un'evirazione parziale o completa>> mi spiega con un sussurro. <<Nelle corti sovrane orientali ce n'erano molti.>>

<<Non faceva prima a dire di volerlo castrare?>>

<<Te l'ho detto, se il termine non è altolocato non le va bene.>>

Ora come ora, inizio a provare pietà per Valentine. Io prima di tutti comprendo il desiderio di denaro, e diciamocelo, mille dollari sono pur sempre mille dollari. <<Okay, okay, principessa, calmati>> esclama disperato Hipster, alzando le braccia in segno di resa. <<Ho conservato la mail nel cellulare, se mi lasci alzare te la faccio vedere.>>

<<NON MI CHIAMARE PRINCIPESSA, ERUDITO DELLA DEFICIENZA!>>

<<Erudito della deficienza...>> ripeto fra me e me. <<Ehi! Mi piace, me lo devo ricordare.>>

Valentine infila le mani nella tasca dei suoi pantaloni come se volesse dimostrare a tutti noi - e soprattutto a Sophia - di non possedere armi. Sfila un piccolo telefono scuro che la mia amica afferra a velocità ultrasonica. Si allontana dalle palle di Hipster e arretra di qualche passo, gli occhi fissi sullo schermo, voraci, desiderosi di scoprire, di sapere. Le sue mani tremano, vuole capire, vuole conoscere, vuole comprendere perché, vuole comprendere come, vuole comprendere quando. E non posso biasimarla per questo, così come non posso biasimare Valentine per aver accettato quei soldi. Che fosse stato uno sconosciuto o no a chiedermelo, al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Immagino che questo la dica lunga sulla mia etica personale.

Aaron è il primo a muoversi, calpesta il terreno per terra con rabbia e irritazione, pur conservando comunque la sua eleganza da ragazzo per bene. Si avvicina a Valentine come un leone che sta puntando la sua preda. Lo guarda negli occhi mentre si rialza, lo afferra per il braccio non appena il quasi-castrato torna in piedi, e quando parla, quando le sue labbra si muovono, la sua voce è fredda, monocorde, e terribilmente minacciosa: <<Toccaci ancora una volta e sei un uomo morto.>>

Devo ammetterlo, Valentine ha la faccia tosta di non trasalire né apparire minimamente turbato da una simile affermazione. Resta impassibile come Aaron, lo sfida con lo sguardo, lo insulta con la mente. E' una lotta fra titani, una battaglia fra due fazioni con la stessa potenza e la stessa energia. <<Tu non potresti mai comprendere, King>> gli dice alla fine. <<Le persone come voi vivono in una campana di vetro, al di sopra di tutto e tutti. Non avete la minima idea di come giri veramente il mondo.>>

<<Io terrei la bocca chiusa, al tuo posto>> interviene Bill. <<Sei in netto svantaggio numerico, bello mio, e tutti e quattro noi non abbiamo problemi a prenderti a pugni se necessario.>>

La risata di Valentine è talmente amara da farmi provare un po' di compassione nei suoi confronti. Perché, in fondo, io e lui proveniamo dallo stesso mondo. Non ha paura di quello che possono fargli, non ha paura di niente, non può permettersi il lusso di esser spaventato, di aver timore per se stesso. C'è altro, c'è molto di più, solo che non possiamo vederlo, perché lui nasconde e noi non cerchiamo. Perché lui cela e noi non scrutiamo. E quando mi guarda, quando i suoi occhi si fissano sui miei, capisco che sa, sa quello che penso e sa cosa provo. <<Questo non è il tuo mondo, bambolina>> mi dice con voce baritona. <<Questi qui non possono comprendere quello che sei e quello che fai. Per loro sei solo un caso di carità.>>

<<Non. Parlare. Con. Lei.>>

Ho i brividi. Credo di non aver mai visto, prima d'ora, una simile rabbia fuoriuscire in questo modo dalle labbra di Aaron, i suoi occhi sono fusi con l'acredine profonda che sta covando dentro, riflettono bagliori di ira e fiaccole di vendetta. Dal canto suo, Valentine sembra condividere la mia totale assenza di senso del pericolo, e scoppia a ridergli in faccia, di getto, all'improvviso. Lo umilia con le sue risate, lo deride col suo sorriso. <<Sei veramente patetico, King>> sussurra. <<Non potresti mai capire il mio mondo, men che meno quello della tua ragazza. Non hai mai dovuto patire la fame, non hai mai avuto l'ansia di arrivare a fine mese, non hai la più pallida idea dei mostri che infestano questo mondo. E' per questo hai paura, perché sai che il tuo mondo e quello della tua bambolina sono completamente diversi. Sei patetico, veramente patetico.>>

<<Aaron.>> A questo punto intervenire è rimasta l'unica scelta, le mani di Aaron stanno tremando per il disperato tentativo di impedirsi di colpirlo con tutta la forza che dispone in corpo. Poso delicatamente le mie dita sul suo pugno chiuso, il suo volto è deturpato dall'irritazione, la mascella è serrata con così tanta violenza da farmi temere possa spezzarsi i denti, e il suo sguardo... oh, il suo sguardo è indescrivibile. Non so cosa provare, non so come comportarmi e non so cosa pensare, ma non voglio tutto questo. Vederlo così arrabbiato non mi piace, non mi piace per niente, il che è assurdo, visto che sono la fan numero uno delle incazzature. Ma non così, mai così. Così è troppo, così è doloroso.

Così è sbagliato.

<<Aaron>> lo richiamo ancora <<ti sta provocando, lascialo andare.>>

Ma lui non desiste, continua a stringere il braccio di Valentine come se volesse spezzarlo, e Valentine continua a umiliarlo con quei suoi occhi denigratori. <<Ehi, tu>> richiamo quest'ultimo. <<Vuoi che renda pubblica quella foto al mondo intero?>>

<<Incredibile...>>

<<Avrai tempo per insultarmi più tardi, ora dimmi solo questa cosa. Hai mai incontrato il tizio che ti ha assoldato per distruggere quell'armadietto e lasciare quella scritta?>>

Con mio grande rammarico, lui scuote la testa. <<Non ho idea di chi sia. Ve lo direi, te lo assicuro, a me importava soltanto ricevere i soldi. Niente di più, niente di meno. Ma se la cosa può esservi utile, sono piuttosto sicuro che si tratti di una donna.>>

Finalmente, dopo qualche minuto di silenzio, Aaron lascia andare il braccio di Valentine, e Bill lo affianca alla sua destra, per poter minacciare l'Hipster con la sua presenza. <<Come fai a saperlo?>> gli domanda, le braccia ancora incrociate.

<<I soldi che mi ha lasciato nella cassetta delle lettere stavano dentro una di quelle buste rosa ricoperte di profumo.>> Si stringe nelle spalle. <<Avete presente, no? Quelle della cartoleria che servono per scrivere lettere d'amore e stronzate simili.>>

<<E' una donna.>> La conferma di Sophia arriva inaspettata, la sua voce, prima fuori controllo, è tornata ad esser quella di sempre, così come l'espressione dipinta sul suo volto. Alza il capo dal telefono e lancia quest'ultimo a Valentine in un gesto di puro disprezzo. <<E' sicuramente una donna.>>

<<Ne sei certa?>> domanda Bill.

<<So riconoscere la scrittura di una donna, quando la vedo.>> Schiocca la lingua, le sopracciglia aggrottate. <<E' una donna. E ce l'ha con me.>>

<<Be', mi dispiace.>> Il sorriso di Valentine è talmente divertito da farmi rischiare di strapparglielo a suon di calci sulle palle.

<<Sta' zitto, tu. Un tizio che se ne va in giro a farsi comprare da sconosciuti come una donna di facili costumi per spaccare armadietti di cui non conosce neanche l'identità dei proprietari non ha il minimo diritto di fare il sarcastico.>> Sophia è un serpente, sibila parole che farebbero umiliare qualsiasi uomo. <<Quante persone sanno dove abiti?>>

<<Praticamente quasi tutti in città.>>

<<Non mi sorprende che tu sia diventato così, allora.>

<<Non mi sorprende se una donna ce l'ha con te, allora, visto quanto sei stronza.>>

<<Be', almeno io non mi faccio comprare come una meretrice.>>

<<Ti piacciono le parole importanti, non è così, bambolotta? In questo modo puoi sentirti superiore a tutti e guardare dal tuo fottutissimo piedistallo lustrato ogni essere umano dall'alto in basso.>>

<<Oh oh, ti senti così inferiore, Valentine? Effettivamente hai ragione, mi piace stare in alto, d'altronde un minuto fa ero sopra di te e i tuoi testicoli erano pronti per esser schiacciati dal mio piede, quindi magari la sottomissione è una posizione che ti si addice più di quanto tu non creda.>> Un fulmine saetta nei suoi occhi. <<Mi sorprende che tu sia riuscito a restare al passo coi tempi e a imparare a parlare correttamente, mi aspettavo che iniziassi a inveire come un australopiteco uscito dalla sua caverna buia e spaventosa, con tanto di pugni sul petto e grida disumane.>>

La tensione nell'aria è a livelli inimmaginabili, cariche elettriche che intasano l'atmosfera, saturano il respiro. Si guardano come due animali, si fissano, si sfidano. Nessuno dei due è disposto a cedere la sua causa. Sophia è di fronte a lui, le braccia lungo i fianchi, il viso fiero che si tende verso l'alto per scrutarlo dritto negli occhi e giudicarlo provocatoriamente con quell'aria da snob che sa lui non può tollerare, e Valentine ricambia un simile attacco inclinando la testa verso il basso e sorridendo da un angolo, schiocca la lingua come un cavallo, le mostra il piercing nella lingua in una dichiarazione di guerra che fa saltare i nervi persino a Aaron.

Mi sfugge una risatina, che buca l'aria tesa come un coltello nello stomaco. Gli occhi di tutti e tre si spostano dal buco nero di rabbia e provocazione che si è creato e si posano su di me. Tento di contenermi, ma un'altra risatina sfugge alle mie labbra. Una risatina da scolaretta arrapata. <<Pazzoide, ti sembra veramente il momento di ridere?>> Bill mi fulmina con un'occhiataccia.

<<Hai ragione, lo so, non voglio ridere, è solo che....>> maledizione, non sono proprio in grado di contenermi. <<Voglio dire, la scena è particolarmente comica.>>

<<Sasha...>> Stoccafisso sospira.

<<Lo so, lo so, sono una brutta persona. Ma, dico, guardatevi>> indico con le mani Sophia e Hipster. <<Sembrate un barboncino e un doberman.>>

<<Mi hai appena dato del barboncino?>> gracchia Sophia, gli occhi sbarrati.

<<Mi hai appena dato del doberman?>>

<<Sì, l'ho fatto. E tu, Hipster, dovresti stare attento, quel barboncino è più pericoloso di quanto immagini.>> Sorrido maliziosa. <<A volte, i cani più piccoli sono anche i più pericolosi.>>

***

Pamela mi ha inviato la foto. La foto che le ho promesso di far vedere a Sophia. Il messaggio è arrivato pochi minuti dopo che tutti e tre siamo rientrati in villa King, ognuno con i propri pensieri per la testa. Stavo tentando di parlare con Aaron, ma questo, prontamente, se l'è svignata ed è corso in camera sua, dicendo che doveva pensare e che doveva riflettere. Su che cosa? Posso intuirlo, ma non ne ho la certezza assoluta. Temo che la sua sia molto più di un'irritazione passeggera. Bill, invece, è scomparso non appena siamo arrivati al salone. E' entrato in una stanza affianco alla cucina - la libreria, come mi ha detto Sophia - ed è svanito nel nulla, senza far sapere niente a nessuno. Abbiamo fatto tutta quella fatica solo per poter scoprire che il sociopatico che ha fatto fuori Andrew e ce l'ha con Sophia è una donna, e se da un lato la cosa mi rattrista, dall'altro posso pur sempre dire che è un passo avanti.

Quando il mio telefono vibra, so già di cosa si tratta. Benché Pamela non ne avesse fatto cenno, ero riuscita a immaginarmelo da sola, e per questo, non appena sblocco il telefono e scruto l'allegato che mi ha mandato per mail, sento una piccola fitta al cuore. L'oggetto è solo e soltanto uno: LETTERA PER SOPHIA.

Il mio pollice resta sospeso in aria sopra il piccolo allegato, incerto se fare o no la sua mossa. Scruto in lontananza la figura di Sophia, seduta sul divano in pelle a guardare la televisione con occhi vuoti e vacui, occhi che non vedono niente ma percepiscono tutto.

Alla fine decido che no, non lo posso fare.

Non spetta a me. Non è destinata a me, questa lettera, non è compito mio leggerla, le parole che sono contenute in essa erano riservate unicamente a una persona, sono parole d'amore, parole piene di significati che non potrei comprendere, parole che non appartengono alla sottoscritta, ma solo a una piccola ragazza fragile che ne ha affrontate di tutti i colori, ma che non è ancora disposta a cedere, ad arrendersi, a rinunciare a tutto.

<<Ehi>> le sussurro a bassa voce, avvicinandomi a lei. <<Ho una cosa per te. Me l'ha mandata Pamela. E' tua, ti appartiene.>>

Gli occhioni verdi di Sophia si discostano a fatica dallo schermo del televisore, mi guarda senza capire, mi guarda senza vedermi per davvero, e io le sorrido e basta, perché è l'unica cosa che posso fare, perché è l'unica cosa che conta per davvero. Le porgo il mio telefono. <<Andrew>> dico e basta. <<E' per te.>>

Non parla, non può farlo. E' stanca, è distrutta ed è affaticata. Vorrebbe piangere, ma non ha più la forza di farlo. Vorrebbe parlare, ma non ha più parole da usare. <<Vuoi che ti lasci da sola per leggerlo?>>

Il suo capo si china per annuire, le sorrido di nuovo e le scuoto i capelli. <<Molto bene, io vado a litigare con Stoccafisso.>> La informo, prendendo un grosso respiro dal naso. <<Se mai dovessi morire, sappi che i miei fiori preferiti sono le margherite.>>

Sono già a metà scalinata quando la sua voce fragile, piccola e spezzata mi blocca.

<<Sasha?>>

Mi volto, lei non si è mossa, non mi guarda, scruta solo lo schermo del mio telefono con aria assente, mentre della lacrime solcano il suo volto.

<<Sì?>>

<<Sono felice che tu sia Sasha, e non qualcun altro. Grazie mille.>>

***

In camera sua Aaron non c'è. La sua stanza è, come al solito, super ordinata, il letto rifatto, i libri sugli scaffali sono stati classificati per nome, categoria e genere, il computer sulla scrivania è chiuso, il cellulare è stato lasciato sul materasso in maniera noncurante, e la finestra del balcone è aperta. Quando mi avvicino per scrutare meglio attraverso il vetro, noto una testa bionda riconoscibile a chilometri di distanza.

Mi muovo esitante, oggi più che mai non sono pronta ad affrontare un altro litigio, il che, per me, è una novità. Urlare, sbraitare e incazzarsi sono sempre state le mie attività preferite insieme al custodire cuori e a insultare le persone. E finora, avevo reputato ciò come un difetto genetico, un problema caratteriale. Un disturbo affettivo insito nel mio sangue, l'eredità del donatore di sperma. Ora come ora, invece, mi rendo conto di aver sempre reagito in questo modo per allontanare tutto il mondo, per restare da sola, per potermi dedicare unicamente a Luke, la mia famiglia, la mia vita. Perché per farsi odiare ci vuole poco, veramente poco, per farsi amare bisogna impegnarsi, bisogna rischiare, bisogna cadere, ferirsi, rialzarsi e cadere di nuovo.

E io sono sempre stata una codarda, forse anche questo, in fondo, è un difetto genetico. Proprio come mio padre, che è scappato via di casa non appena la situazione si è fatta più pesante, anche io sono fuggita via dalle relazioni sociali, giustificando una simile azione con la scusa di dover proteggere Luke, il suo cuore, dalle persone crudeli che avrebbero potuto insultarlo o ferirlo. Ma non era vero. Non è mai stato vero. Mi rendo conto solo ora, dopo molti anni passati a seguire questa routine - odiare e farsi odiare - che non era il cuore di Luke quello che volevo proteggere, bensì il mio. Volevo poter rinchiudermi nella mia bolla, nella mia piccola favola che comprendeva mia madre e mio fratello, e assicurarmi che nessuno al mondo facesse scoppiare quel mondo idilliaco che mi ero costruita con così tanta fatica.

<<Ti avevo detto di voler esser lasciato in pace.>> La sua voce è, come sempre, inflessibile, non mostra l'irritazione e non lascia intuire la rabbia che sta covando dentro, ma il suo corpo è teso come la corda di un violino, segno evidente che sta, in tutti i modi, tentando di ricomporsi.

Supero la finestra e osservo il panorama di fronte a me. Un vero spettacolo. Da questo balcone rettangolare, oltre il parapetto in sbarre di ferro laccato, si può scrutare il paesaggio campagnolo di Williamstone, le luci delle case lontane che bucano il buio della notte come piccole stelle non troppo distanti non troppo vicine. Aaron è seduto per terra, in mezzo al poggiolo, le lunghe gambe piegate per far entrare il suo corpo in questo piccolo spiazzo, il volto impassibile, gli occhi rivolti a un'orizzonte che non può scrutare per davvero.

<<Lo so, ma da quando in qua do ascolto a quello che mi dici?>> lo prendo in giro, mettendomi a sedere al suo fianco, la mia spalla destra che tocca la sua spalla sinistra, la mia gamba che sfiora la sua, il contatto è piacevole, è caldo, è confortante. <<Mi dispiace, dico davvero, so che non volevi che partecipassi a quel torneo.>>

<<Ma l'hai fatto comunque.>>

<<L'ho fatto comunque.>>

Silenzio.

Silenzio.

E ancora silenzio. Inspiro a fondo, apro la bocca, e la sua voce mi interrompe, spezza i miei pensieri: <<Come ti sentiresti tu, se la ragazza di cui sei innamorato, decidesse di partecipare a un torneo per farsi picchiare?>>

Non riesco a rispondere, non posso proprio farlo, il mio cervello è andato in tilt, nella mia testa avverto solo un'eco lontano e indistinto che grida "ragazza di cui sei innamorato ragazza di cui sei innamorato ragazza di cui sei innamorato". Stoccafisso aveva ragione: il romanticismo mi si addice più di quanto non credessi (o temessi). <<Lascia perdere>> conclude alla fine.

<<Immagino che sarei incazzata.>>

<<Immagini?>>

<<Io sono incazzata il 99% del mio tempo, Aaron, l'altro 1% tento di non incazzarmi e fallisco miseramente. E la maggior parte delle volte non ricordo nemmeno il motivo per cui mi sono arrabbiata>> gli faccio notare, e un angolo del suo labbro trema. Questo è un buon segno. <<Comunque puoi farlo, sai? Incazzarti con me, intendo. Io lo faccio sempre con te, in questo modo potremmo bilanciare la cosa.>> Mi sforzo di osservare il paesaggio di fronte a noi attraverso gli spazi fra le ringhiere, e di non voltare lo sguardo per rivolgerlo al suo volto, al suo corpo, ai suoi occhi, alle sue labbra, a tutto quello che voglio, a tutto quello che desidero. <<Non ci crederai mai, ma sono brava a far incazzare le persone.>>

<<Non mi dire>> commenta sarcastico.

<<Ah-ah, te lo assicuro. Anche per stronzate.>>

<<Non ci credo.>>

<<Una volta sono riuscita a far arrabbiare un tizio scaccolandomi il naso.>>

<<E' disgustoso.>>

<<Gli ho lanciato le mie caccole come se fossero dei missili.>>

<<Smettila, ti prego.>>

<<E dopo me le sono mangiate.>>

Avverto le sue spalle che tremano, e il suono cristallino della sua risata rilassa il mio corpo teso e abbastanza martoriato dalle varie lotte subite e provocate questa notte. <<Che cosa ti aveva fatto, quel tizio?>>

<<Onestamente? Non me lo ricordo.>>

Un'altra risata, un'altra risata dolce, piacevole, leggera. Poso il capo contro la sua spalla e chiudo lentamente gli occhi. <<Non ci crederai mai, ma sono incazzato con te>> mormora alla fine, la voce roca e profonda. Baritona.

<<Non mi dire.>>

<<Già, vedi, il fatto che la mia ragazza se ne vada in giro a picchiare o a farsi picchiare e che io non possa far nulla per fermarla mi fa incazzare tantissimo.>>

<<Non ci credo.>>

<<A volte vorrei solo poterla appendere al soffitto con un chiodo così da poterla controllare ventiquattr'ore su ventiquattro per assicurarmi che non combini casini.>>

<<E' disgustoso.>>

<<Oppure vorrei poterla rinchiudere dentro la mia stanza e farle passare la voglia di partecipare a risse costringendola a pensare solo e soltanto a me, anche a costo di legarla nuda al mio letto.>>

<<Smettila, ti prego.>> Ora è il mio turno di scoppiare a ridere, e di nuovo, l'angolo delle sue labbra trema.

Restiamo in silenzio per qualche secondo, per quella che ai miei occhi sembra un'eternità. E' un silenzio pesante, un silenzio che pesa, un silenzio che riesco sentire aggrapparsi al mio cuore, avvolgerlo nell'ombra e nell'oscurità, trascinandolo nel suo oblio. E poi, quando parla di nuovo, non mi guarda, non mi scruta, non si muove, il suo corpo un blocco di ghiaccio, la sua voce stranamente preoccupata. <<E' vero?>>

Mi scosto lentamente da lui, per guardarlo con evidente perplessità. Ma Stoccafisso, da bravo uomo serio qual è, si rifiuta di incrociare il mio sguardo e di affrontare le domande che aleggiano nei miei occhi. <<Quello che ha detto Valentine, sul mio mondo e il tuo mondo. Sul fatto che sono separati. Che non potrò mai comprenderti per davvero. Non l'hai corretto quando lo ha detto. E' così?>>

Non avrei mai immaginato che simili parole potessero preoccupare fino a questo punto. E' sempre stato così calmo, così tranquillo, così sicuro sulla nostra relazione da nascondermi tutti i dubbi che probabilmente non avrei mai notato nell'arco di un'intera vita, se non si fosse mai confidato con me.

<<Aaron King>> mormoro a bassa voce, mi alzo in piedi e lo afferro per le spalle, per trascinarlo, infine, giù per terra. Io sopra, lui sotto, sdraiati l'una sopra l'altro, in memoria dei bei vecchi tempi <<credo che tu l'abbia già intuito, ma io odio avere a che fare con le persone.>>

La sorpresa per il mio gesto istintivo viene sormontata dal divertimento per una simile posizione e per la teatralità delle mie parole. <<Mi sento violato>> commenta alla fine.

<<Lo odio davvero tanto>> proseguo io.

<<E' un po' come se mi stessi stuprando.>>

<<Non può essere uno stupro se entrambe le parti sono consenzienti.>>

<<Chi ha detto mai che io sono consenziente?>>

<<Per favore, non comportiamoci come una coppietta deficiente.>>

Stavolta, quando sorride, si forma la fossetta sulla sua guancia sinistra. E quando mi ribalta per terra, così che ora le posizioni siano invertite, la punta del suo naso sfiora la mia. <<Non hai risposto.>>

<<L'ho fatto, invece.>>

<<La tua risposta alla mia domanda se i nostri mondi sono diversi è "io odio stare con la gente"?>> mi guarda particolarmente perplessa.

<<E' esattamente questa.>>

<<Ti rendi conto che non ha senso, vero?>>

<<Sì, invece>> lo guardo. <<Io odio avere a che fare con le persone, perché so di cosa sono capaci, l'ho sempre saputo. Le persone ti distruggono, ti feriscono e ti umiliano. A volte per ragioni comprensibili, a volte per diletto, a volte perché vogliono farlo e basta. Mi fanno paura, le odio. Ogni volta che sto con qualcuno non posso fare a meno di chiedermi cosa stia pensando, sono sempre in allerta, cerco continuamente di anticipare le sue mosse, non voglio che capisca ciò che provo, non voglio si renda conto del terroe che mi paralizza all'idea che possa portarmi via quel poco di dignità che mi è rimasta.>> Tirare fuori queste parole è un po' come strapparsi il cuore a mani nude. <<Perciò mi faccio odiare. E' sempre stata la mia risposta a tutti i problemi. Mi faccio odiare, mi faccio disprezzare. Questo è il mio mondo, Aaron, lo è sempre stato. Non è il cuore di Luke che voglio proteggere, ma il mio.>> Mi sforzo di trattenere la marea di sofferenza che si sta alzando dentro di me. <<Ho passato la mia intera vita a cercare di difendermi, a cercare di dimostrare a tutti che anche io sono umana, che anche io ho dei sentimenti, che anche io sono forte. E poi mia madre è morta, e la rabbia è soltanto aumentata, di più, sempre di più. Io odio stare con le persone, Aaron. Non voglio che mi comprendano e non voglio comprendere loro. Ma lo faccio comunque, perché sono per l'appunto uno stupido essere umano. E sono qui, Aaron, sono qui, sotto di te, a parlarti. Non sono rinchiusa in camera mia a mangiare panini al salame e a giocare con Luke e a biasimare il mondo intero per aver permesso che mia madre morisse. Sono qui, con te. E io odio le persone. Ma pur odiandole ora ci ritroviamo su questo balcone a fare discorsi idioti. Perciò sì, la mia risposta è: io odio stare con la gente, perché è pericolosa, ma sto parlando con te e non sto scappando. Questo non è sufficiente per farti comprendere tutto?>> Sospiro. <<Non c'è il mio mondo e il tuo mondo. Non c'è il mondo di Sophia o quello di Valentine, o quello di Pamela o di Luke o di Peppa Pig. E' solo un unico, grosso, incasinato mondo dove la gente cerca di comprendersi e di odiarsi e di ferirsi. E a me va bene, se a farlo sei tu.>>

Credo che questo sia il discorso più filosofico che abbia mai elaborato nel corso della mia breve esistenza, e lui non parla, non dice nulla, mi guarda e basta, i suoi occhi verdi mi scrutano attentamente, fermi, immobili, nel tentativo di comprendere il significato intrinseco che ho cercato di insinuare fra una parola e l'altra. Chiudo gli occhi e sospiro. <<Per farla breve, ti ho appena detto che sono una cretina, che ho problemi di socializzazione, e che proprio per questo motivo non ti avrei permesso di avvicinarti così tanto se non avessi saputo che avresti potuto comprendermi.>>

<<Sì, no...>> schiocca le labbra e distoglie per qualche secondo lo sguardo. Aggrotto la fronte, perplessa. <<Sto cercando di imprimermi meglio nella memoria questo momento, ho come l'impressione che una simile dichiarazione non uscirà mai più dalla tua bocca per i prossimi vent'anni.>>

Scoppio in una fragorosa risata, e la sofferenza scompare così come è comparsa: all'improvviso. <<Penso che tu sia una di quelle poche persone che nonostante le mie barriere abbia tentato in ogni modo di capirmi. Che tu ci sia riuscito o meno non conta, ci hai provato, e questo vale più di ogni altra cosa al mondo. Ci ho provato pure io, a capirti, ma diciamocelo, capire uno Stoccafisso è un'impresa a dir poco impossibile. Quindi forse sono io a non comprendere te. Non il contrario. E inoltre...>> prendo un grosso respiro. <<So che ti incazzerai ora, ma devo dirtelo comunque. Jack Valentine sta facendo esattamente la stessa cosa che ho fatto io.>>

<<Tu non hai distrutto nessun armadietto.>>

<<Se mi avessero chiesto di farlo in cambio di soldi non avrei esitato un istante>> ammetto a fatica. <<Lui è un ragazzo povero che vive per strada e che vi odia per il semplice fatto che potete permettervi macchine di lusso. Anche io ero così. Lo sono ancora un po' adesso. Ma il punto è: la cosa non deve importare a nessuno. Né a te né a me. Punto. Fine. The end>> dichiaro con un sospiro, sfoderando il mio tono solenne.

<<Hmmm.>>

<<Niente "hmmm". È così.>>

<<Non mi piace che lo difendi.>>

<<Sto difendendo me stessa, non lui.>>

La sua mano grande e callosa sfiora il mio zigomo, dove si sta formando un piccolo livido. <<Non fare mai più stronzate simili, okay?>>

<<Ne farò altre. Ne farò centinaia, e molto peggiori di queste. E ora tu devi decidere se stare con me e impedirmi di farle, oppure lasciarmi e levartene le mani. Non ti biasimerò, se è per questo. So di non essere una persona facile.>>

La fossetta sulla sua guancia si fa più profonda. <<Immagino che sia per questo che mi piaci. Io sono una persona semplice, e tu una complicata.>>

<<Oppure sei solamente un masochista.>>

<<Quello è indubbio.>>

Quando si china per baciarmi, il contatto delle sue labbra calde mi fa sospirare e chiudere gli occhi. Sento un leggero sorriso affiorare sulla mia bocca, stringo le mani attorno il suo volto e lo trascino a me.

Giusto per riscaldarci un po'.

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