Capitolo 7

Philly, 2014.

Elfreth's Alley è il suo posto speciale, ma c'è qualcosa che manca in quella casa perfetta, dietro la porta azzurra di Raze. Sembra un tarlo, un piccolo insetto che raschia al centro del petto di Lindsey, un pensiero fisso: forse Levius, forse Ralph, forse entrambi; e si fanno strada a forza, la tormentano notte e giorno pur non avendola cercata per quasi una settimana. Lei non lo sopporta, per questo non lo dice e inspira a fondo, espira piano, tenta di allargare il sorriso e frenare il tremito delle braccia tenendole basse, quando pensa: "Non ho più una famiglia", o ancora, "Non ho mai avuto una famiglia", e di nuovo, "Mi mancano i miei genitori". Poi guarda Raze, sente le lacrime premere per uscire e ci crede, ci crede davvero. È un attimo che si dice: "Posso ricominciare da capo".

E lui prende un libro in mano, lo sfoglia, tenta di spiegarle qualcosa di strano da una pagina ics; qualcosa che solo Lindsey reputa strano. Poi solleva il capo, la vede annuire con la coda dell'occhio e va avanti, cammina, si appoggia con il coccige contro la scrivania in legno massello. Continua, continua. Imperterrito, le racconta una storia particolare: «Per affondare il nemico, Napoleone decise di dividere i corpi d'armata in colonne più corte: ciò permise alle truppe di percorrere maggiori distanze giornaliere e aumentare perfino le provvigioni razziando i territori limitrofi...». Dunque si ferma, abbassa il libro contro la coscia sinistra e la guarda.

Lindsey annuisce di nuovo, si mostra interessata a quella strategia di guerra; eppure ha la mente lontana e le orecchie piene dei propri pensieri: la verità è che non ha sentito niente.

«Qual è il pericolo più grande che correva Napoleone?», chiede Raze a bruciapelo.

«Come?».

«Ogni piano ha una falla», riprende vacuo, «perciò anche quello di Napoleone ne aveva uno». Raze si scosta dalla scrivania e chiude il libro. «Qual è stato il pericolo più grande, Lindsey?».

Lei sgrana gli occhi e sente la gola stringersi quasi a volerla soffocare. «Non lo so», ammette sommessa, con la fronte corrugata e le sopracciglia tremule, le nocche sbiancate sulle cosce. Vede Raze scuotere la testa, poi ode il suo sospiro e ancora la spiegazione che segue:

«Non parlavamo dell'aggiramento, Lindsey? Se le truppe divise per le provvigioni non fossero state in grado di razziare abbastanza o se l'avversario si fosse accorto della strategia prima del tempo, trovando gli uomini di Napoleone sparpagliati sul territorio, allora l'aggiramento sarebbe andato in malora».

«Giusto». Lindsey annuisce convinta, e per la prima volta dall'inizio di quella stramba conversazione.

Poi Raze posa il libro sulla scrivania e chiede: «Dove hai la testa?».

Una domanda alla quale Lindsey preferirebbe non rispondere, ma che non può ignorare. «Sul collo», dice. Non manca di notare l'occhiata di Raze e capisce di aver fatto una battuta fuori luogo, perciò abbozza un sorriso tirato e sospira, deglutisce il groppo di saliva che ha in gola e che proprio non le va giù. «Pensavo alla mia famiglia e al fatto che forse non ne ho mai avuta una».

«Perché?», la incalza lui. Pende su un lato, come la Torre di Pisa, e si sostiene con le dita accanto a una catasta di fogli scritti.

«Perché...». Lindsey abbassa il capo e, coperta da una tenda di capelli rossi, cerca di calmare il battito del proprio cuore. «Perché ora potrei essere morta, eppure nessuno è preoccupato per me, né mi cerca in tutta Philly».

«Ma non sei morta».

«Solo per puro caso», dice in un rantolo, «solo perché ero seduta sui gradini di casa tua, Raze, e perché qualcuno, qualcuno che non so chi sia, sta cercando delle persone come me».

«Non è abbastanza?», interviene.

Lei scuote la testa e si stringe nelle spalle. «Perché dovrebbe?».

«Perché sei viva: prima ti preoccupava non esserlo».

«Mi preoccupava il fatto che a qualcuno non interessasse», sussurra, «e mi preoccupa ancora». Ha gli occhi lucidi e la voce incrinata mentre lo dice, ma non piange. Vuole essere forte e si ripete: "Devo esserlo, devo diventarlo", visto che è sola e che non c'è nessuno in quella casa di Elfreth's Alley a parte lei e Raze. Ma di colpo smette e non riesce a pensare, si blocca, esplode come una bolla di sapone, perché sente un tocco lieve e ossuto contro la cute. Mormora un: «Cosa...», e non aggiunge altro, solleva le palpebre, il mento, perfino le spalle. Torna dritta sulla poltroncina dello studio, guarda Raze negli occhi e si ammutolisce.

«Io mi preoccupo, invece».

Sono poche parole che le rimbombano in testa, che la fanno rabbrividire e gelare sul posto. Ripete: «Cosa...», poi i peli delle braccia si rizzano sotto il maglioncino intrecciato, le viene la pelle d'oca mentre avvampa d'imbarazzo e si perde nell'azzurro dello sguardo comprensivo di Raze. "Sono una sciocca", pensa, "perché lui mi ha salvato, lui ci tiene a me". E borbotta un: «Grazie», non riesce a fare di più, «grazie». Con le sue dita tra i capelli, si tranquillizza per qualche minuto e smette di pensare.

«Vuoi riposare?», le domanda ancora in tono sommesso.

Lei scuote la testa, si stringe perfino nelle spalle. Non sa cosa rispondere e, a dirla tutta, non riesce a fiatare. Chiude gli occhi, mentre le dita di Raze, scivolano via e si soffermano su una ciocca rossa, infine mormora: «Non lo so, non credo di essere così stanca».

Eppure lui insiste: «Non riesci a seguirmi», dice. Con queste parole la riscuote, vede ancora i suoi occhi d'ambra, le pupille larghe come piattini d'onice; e continua: «Sto parlando a vuoto, Lindsey, e non va bene. Sono cose importanti, cose che ti serviranno».

«Non capisco perché dovrebbe servirmi la strategia dell'accerchiamento napoleonica», sbuffa con franchezza, dopo aver incrociato le braccia al petto. «Insomma quanti anni sono passati dalla morte di quel tale?».

«Parli di Napoleone?».

«Sì, di lui». Annuisce.

«E lo chiami "tale"?»: una domanda sconvolta, il sospiro esasperato che ne consegue, e poi Raze si toglie gli occhiali, si massaggia l'arcata sopracciliare, ormai certo di essere sull'orlo del primo mal di testa della settimana. «Possiamo passare ad altro», dice.

«Per esempio?», indaga lei. Lo vede allontanarsi, fare il giro della scrivania e prendere posto sulla sedia imbottita, con entrambi i pollici sulle tempie dolenti. «È davvero così necessario recuperare le lezioni che ho perso, Raze?». Storce la bocca in una smorfia, picchietta con le dita su una coscia. «Perché mi racconti la storia con un libro proibito, Raze? E quanti anni ha? Venti, trenta? Insomma, non ne ho idea. Ma a che serve? Io vivo qui, nel presente, e non devo occuparmi di accerchiamenti, non sono Napoleone, non ho un esercito da guidare...».

«Ti direi che hai ragione», la frena lui, «ti direi che non importano certe cose, certe conoscenze, certe verità; ti direi che basta aprire un libro conforme al nuovo governo per essere dei pedoni sufficientemente preparati qui a Philadelphia; eppure si rimarrebbe dei pedoni».

«Di cosa stai parlando?», indaga crucciata, con gli avambracci posti sulle ginocchia.

«Sei curiosa?». Raze solleva gli occhiali, osserva attraverso le lenti e cerca la polvere, lo sporco, prima di alitarci contro e pulirle con la punta della cravatta nera. «Strano: poco fa non volevi saperne niente e dicevi che l'accerchiamento, Napoleone e chi per lui erano tutte cose in più», mormora. Indossa gli occhiali, li posa sul naso dritto e poi lo massaggia nella sua lunghezza. Dice: «Te ne stavi lì, con la testa tra le nuvole, a pensare al passato e ai "se", ai "ma"...».

«Adesso sono qui», lo contraddice seria, «adesso voglio sapere tutto: non sono un pedone».

«Mi sta bene». Raze annuisce, poi sorride beffardo.

«Ammesso che non si tratti di matematica».

«Non si tratta di matematica», conferma.

Lindsey tira un sospiro di sollievo, ma cerca di non darlo a vedere e di rimanere il più calma possibile: lo sguardo fisso, il volto imperturbabile; solleva i pugni e sostiene il mento. «Dunque?», lo sprona.

«Mitt Romney, repubblicano, ha vinto le elezioni presidenziali del 2012 con uno scarto minimo», inizia a dire, «un tre percento, un misero tre percento, che ha allontanato Barack Obama dalla vittoria». Raze osserva Lindsey e per la prima volta nota un barlume di attenzione in come muove le sopracciglia.

«Sì, lo so», risponde infatti, «Ralph lo diceva spesso».

«Chi sarebbe Ralph?».

«Mio fratello, il maggiore».

Allora Raze annuisce con un: «Capisco», ma non aggiunge altro e lascia che sia lei stessa a continuare.

«Si lamentava spesso per le presidenziali, lo faceva anche Levius in verità. "Ma la cosa peggiore che ci è capitata è Nathan Walker", dicevano entrambi».

«Nathan Walker», cita Raze, «già, proprio lui».

Lindsey affonda le mani nei capelli, si tocca la cute calda e poi solleva la chioma in una coda alta, fa scivolare l'elastico che ha al polso per legarli con un doppio giro. «L'ho viso in televisione, sai?», bisbiglia, «Ha la faccia quadrata di un uomo che la sa lunga, di chi ci ha pensato anni prima di fare il colpaccio...».

«E ha parecchi soldi», aggiunge Raze.

Lei trattiene il fiato, si morde perfino il labbro inferiore. Restringe lo sguardo, lo punta verso la finestra alla sua sinistra e poi abbassa le braccia, le posa ancora sulle ginocchia. «È questo l'argomento importante?», chiede, «È questo che devo studiare, che devo imparare?». Torna a fissare Raze negli occhi e aggrotta appena le sopracciglia. «Chi state cercando esattamente, voi? E chi siete?», lo incalza.

«Cerchiamo delle crisalidi», ammette, subito fulminato da un'occhiataccia di Lindsey.

«Io non sono una crisalide, né ho intenzione di diventarlo».

«Non ancora», la corregge, «ma accadrà: da pedone ad alfiere».

«Come fai a esserne tanto sicuro?».

«Perché hai accettato di entrare in questa casa, la casa di uno sconosciuto, e perché hai deciso di chiudere con il tuo passato senza battere ciglio, Lindsey».

«Cosa ti fa credere che non stia battendo ciglio, Raze?».

«Se sono questi i tuoi tentennamenti, allora non valgono abbastanza per essere considerati tali», mormora serio, con i gomiti sulla scrivania e le dita intrecciate sotto il mento. La guarda negli occhi, la vede serrare i denti con stizza, con rabbia, e per un attimo crede che potrebbe alzarsi, correre via, fare l'adolescente comune: "Scapperà di casa?", si chiede, "Vorrà essere seguita?".

Ma Lindsey non si muove, solleva appena il mento e quasi lo sfida. «Le crisalidi che ho visto...», inizia e si ferma, «Le crisalidi che hanno attaccato quell'auto, ecco, sono state assoldate come me?», chiede, con un groppo in gola.

Raze scuote la tesa, dice: «No, affatto», e vede gli occhi di Lindsey farsi curiosi, perplessi; allora continua: «Tu sei diversa, quantomeno lo saresti, lo sarai decisamente per me».

«Non riesco a capire».

«Ho detto che cerchiamo delle crisalidi».

Lei annuisce e non lo interrompe.

«Ho detto che diventerai un alfiere».

Annuisce ancora e lo lascia parlare.

«Gli alfieri non sono pedoni, non sono torri, non sono cavalli», spiega Raze a modo suo, «Gli alfieri sono veloci, aprono le linee diagonali e possono chiudere la partita».

«Non ho mai giocato a scacchi», ammette Lindsey a bassa voce, con le dita tese e le nocche bianche, che serrano la stoffa dei jeans. «Non conosco le regole».

«Conosci l'espressione "scacco matto"?».

«Sì».

«E conosci Nathan Walker», continua, la incalza, mentre lei deglutisce con la fronte sudata dalla tensione.

«Dire che io lo conosca è un po' eccessivo».

Raze non le risponde nemmeno. «Le crisalidi sono torri e cavalli, Lindsey», dice serio, «e lui è il re al centro della scacchiera». Abbassa le braccia e le incrocia sulla scrivania. Mantiene il collo dritto, la osserva.

«Credi che io voglia diventare il pezzo di un gioco a cui non ho mai giocato?», sbuffa Lindsey.

«Lo stesso gioco a cui stanno giocando i tuoi fratelli?». Raze solleva le sopracciglia al di là della montatura pesante, poi sospira e si lascia andare a un debole: «Perché no?». Si stringe nelle spalle, si finge quasi indifferente e la vede tentennare, spalancare gli occhi, trattenere il fiato.

«Ralph e Levius?», annaspa infine.

Lui annuisce in una mezza verità: sa che non fanno parte della sua scacchiera, sa che non sono alfieri, eppure mente. "Che male può fare una piccola bugia bianca?".

«Per questo non sono mai a casa? Per questo mi lasciano sempre da sola?», chiede Lindsey mentre le s'incrina la voce.

«Tutti vogliono fare "scacco matto"», mormora laconico, con lo sguardo azzurro ridotto a due fessure d'insinuazione. «Ma tu vali molto più di una scacchiera, non è vero?». Si alza dalla sedia girevole e la raggiunge, mentre lei smette di trattenere le lacrime e, in silenzio, con lo sguardo fisso sulle pagine scritte, si bagna le guance. «Potrai essere un alfiere, certo, ma prima di tutto sarai una persona per me», sussurra Raze. La raggiunge, le carezza di nuovo i capelli e la trova immobile, con il respiro pesante. Infine si abbassa e, appena inginocchiato, cerca i suoi occhi d'ambra per prometterglielo: «Io non ti abbandonerò, Lindsey».

"Le stesse parole di papà", così pensa lei nel gettargli le braccia al collo. Singhiozza e inspira forte il profumo di colonia, quello che usava lo stesso uomo arrestato e ucciso nel 2012 per vilipendio allo Stato a causa di Nathan Walker.


Note: dovevo pubblicare questo capitolo qualcosa come sette giorni fa, ma quando rotolo nel letto per motivi ics perdo la cognizione del tempo. Spero che aspettare sia servito a qualcosa.

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