Capitolo 19

NY, 2020.

Le persone si affollano sul marciapiede del Top of the Rock, spronano il naso verso l'alto e cercano del fumo che non esiste, mentre le crisalidi spingono tutt'intorno e le allontanano a pieno petto, con le braccia allargate in un semicerchio grigio; e in quella grossa curva di protezione ci sono anche loro: gl'incompleti, che si nascondono e si mimetizzano, che si fingono ombre tra i molti e si dividono. Il cuore impazzito, tacciono. E lui, Levius, è l'anello debole. Se ne rende conto da solo, perché quasi non respira e suda dietro la visiera nera del casco; tuttavia sa di non poterla sollevare ora che ha perso di vista Esteban e Lindsey. Sembra preoccupato, sull'orlo di un crollo nervoso, e continua a dirsi: "Ci scopriranno, ci raduneranno e ci faranno fuori". Forse, addirittura, trema e pensa: "Ci giustizieranno, ci fucileranno o qualcosa del genere", ma nessuno se ne accorge, nemmeno Lindsey, che dista sei piedi da lì.

Lei ha gli occhi fissi su Isabel Allen, il suo obbiettivo, e non le importa del respiro affannato di Levius, non le importa del fastidioso starnazzare delle donne che allungano le braccia verso le porte rotanti del Top of the Rock, non le importa di niente. "Non devo perderla di vista", si dice, "per nessun cazzo di motivo". Inspira piano ed espira con calma, quasi stesse meditando. Poi, però, la voce di Esteban le risuona nelle orecchie con un improvviso:

«Dove siete, ragazzi?».

Sussulta per il tono squillante e non risponde. Vorrebbe ammonirlo, dirgli qualcosa come: "Questa non è una passeggiata", o "Rimani pure dove sei T, non servi a niente", ma non lo fa, perché immagina la reazione di Raze e il rimprovero che potrebbe ricevere qualora lo abbandonasse al Top of the Rock. Dunque si morde la lingua, ingoia ogni offesa e quasi sbuffa.

«Ci sono troppe crisalidi, non riesco a capire dove siete», insiste Esteban.

Lindsey sente i muscoli tremare per il nervoso. Aggrotta le sopracciglia, schiude le labbra come per dire qualcosa; eppure, non appena volta la testa, scorge un movimento tra la folla. «Dannazione!», esclama senza voce.

Levius sente questa imprecazione nelle cuffie e trasale. «Che succede?», chiede sommesso, «È successo qualcosa?», ritenta. Non ode alcuna risposta, ma guardandosi attorno vede una crisalide abbandonare la sua postazione di blocco, intrufolarsi tra la folla e sparirci dentro; allora capisce: "Deve essere lei", si dice, "ma perché?". Batte le palpebre perplesso e non capisce fin quando Esteban non schiocca la lingua e se ne esce con un:

«Deve aver trovato l'amante di Walker».

«E se ne è andata così?», sbotta, «Senza di noi?».

«Senza di noi». Esteban esce dal cordone e annuisce, con la speranza di vedere la testa di Levius spuntare tra le crisalidi. «Credi che dovremmo fare rapporto?».

«Come diavolo pensi che si possa fare rapporto a quell'uomo?», balbetta, o forse si lamenta: neanche lui saprebbe dirlo con certezza. Ha gli occhi fuori dalle orbite, mentre vede Esteban avvicinarsi e non curarsi delle crisalidi che gl'inveiscono alle spalle. «Che stai facendo?», annaspa, «Vuoi morire, forse?». Pallido, trattiene un rimprovero in fondo alla gola e cerca solo di avvisarlo. «O vuoi seguirla, metterti a correre, nasconderti tra la gente?».

«Mi deludi...», ridacchia Esteban, «... dopo tutto questo tempo pensi davvero che sia così facile uccidermi?».

«Allora potresti evitare di dare tanto nell'occhio».

Un mugolio poco convinto, ed Esteban borbotta uno: «Scusa, mamma».

Levius sospira e lo vede lì, a sei piedi di distanza, mentre prende quello che era il posto di Lindsey. Corruga la fronte, non capisce quale sia il suo piano. È ammutolito e sa che nemmeno insistendo riuscirà a cavare un ragno dal buco; così prende a lanciargli qualche occhiata curiosa e pensa: "Cos'ha in testa?", "Ha detto che vuole raggiungere Isabel Allen", "Non mi convince". E di colpo lo perde di vista, perché pare che le persone lo stiano risucchiando come un grosso blob umano.

Eppure non è così: non sono loro le colpevoli. Esteban sa come muoversi in silenzio, sa come esistere e come non esistere; perciò sguscia veloce e diventa un'anguilla tra i corpi spaventati, che imprecano e si agitano alla ricerca dell'incendio mai scoppiato. La testa bassa, indossa ancora il casco. Sembra un'ariete e nessuno si accorge di lui. Alcuni percepiscono dei colpi al fianco, alle braccia, ma appena si voltano guardano male il vicino, perché lui è già fuggito verso le auto che costeggiano la 50th Street.

Levius può solo immaginarlo, e dopo poco appanna la visiera nera a causa di un respiro troppo accaldato. Biascica un: «Assurdo», e sente i muscoli che si accavallano che scattano e poi bruciano, fremono, mentre cerca di farsi strada tra le persone a sua volta; tuttavia ci riesce a malapena: fatica e gli sembra di nuotare controcorrente in un branco di pescecani. Gli occhi d'ambra ristretti in due fessure, vede una limousine blu notte sul lato opposto della strada e delle crisalidi che scortano una donna bionda, con i lunghi capelli abboccolati e il tailleur verde pino, verso lo sportello già aperto. Allora annaspa, si fa travolgere dal panico. "È quella Isabel Allen?", si chiede, "Lindsey ed Esteban mi hanno abbandonato qui?". Il cuore gli schizza in gola e lo strozza: pare avere vita propria, e forse è davvero così, forse è lui a decidere tutto. "Nessun fottuto caso, nessun'anima e nemmeno il cervello, ma il cuore", pensa Levius, "perché ogni cosa è collegata a lui, perché se smettesse di battere saremmo fottuti". «Traditori», sussurra infine.

Esteban si volta piccato e spera che Levius capisca anche attraverso il maledettissimo casco, perché "Io non sono un traditore". Ha le sopracciglia aggrottate, il nervoso sotto pelle; eppure non fiata: non vuole rischiare di mandare tutto all'aria per una precisazione d'orgoglio.

Lindsey, invece, se ne infischia. Mantiene il self-control e aiuta Isabel Allen a entrare per prima nella limousine. Non si guarda indietro, dopotutto le importa poco e niente dell'opinione di Levius: a lei basta fingere di essere ciò che non è. Mente a se stessa, scollegata dalle altre pedine della scacchiera, e stringe ferrea la portiera, attende che Esteban si sieda sui sedili in pelle chiara. Poi, qualche istante dopo, scivola a sua volta verso l'interno. Trattiene un sospiro, pensa: "La prima mossa è fatta"; eppure, quando sta per chiudersi dentro capisce che qualcosa non va, perché vede qualcuno correrle incontro. «Merda», borbotta a denti stretti. Gli occhi puntati verso la strada,  poi sulla crisalide misteriosa. Solleva le palpebre come una bambola automatica, si prepara ad attaccare con l'AK-12 e ripete tra sé e sé qualche altra imprecazione.

È in questo momento che Esteban apre bocca, che la ferma con una certezza strana e dice: «È sicuramente Levius».

Lindsey vorrebbe credergli, ma è titubante. "Come fa a dirlo?", si chiede, "Che razza di sesto senso ha?". Trema contro il sedile e stringe le mani inguantate attorno al fucile d'assalto. La gola secca, la voce bassa, sussurra: «Sei tu, M?», e poi, «Ti stai avvicinando a una limousine blu?». Domande che le escono di bocca a fatica, che tentennano contro il microfono e non trovano risposta fin quando la crisalide non si ritrova dinanzi il mirino di Lindsey.

«Sono io», scandisce Levius.

Allora lei tira un sospiro di sollievo, rilassa i muscoli delle spalle e abbassa l'AK-12. Nessuno lo sa, ma dietro la visiera ci sono un paio di occhi lucidi che si nascondono dal resto del mondo e delle guance rosse, piene d'imbarazzo, che mai vorrebbero farsi vedere da qualcuno. «Perfetto, ci siamo tutti», mormora con finta indifferenza.

Levius si fa spazio sui sedili e chiude la portiera. Un gesto secco, rabbioso, e nessuna risposta. Seduto di fronte a Lindsey, solleva il mento e la fissa senza sollevare la visiera. Sembra chiedere: "Perché ve ne siete andati? Perché non mi avete aspettato?", ma non dice una parola e impone la sua presenza, cerca di farli sentire in colpa.

Così è Esteban a prendere in mano la patata bollente. «Mi dispiace». È così che rompe il silenzio, con una dichiarazione franca e spicciola.

«Ti dispiace?», echeggia Levius, «E perché ti dispiace?», insiste. Cerca di trattenere un suono divertito in fondo alla gola e poi se lo lascia sfuggire, benedicendo l'insonorizzazione del casco che ha in testa. «Ti dispiace per cosa, poi?», riprende frenetico, veloce, senza lasciarlo parlare, «Avermi abbandonato lì, in mezzo a delle crisalidi che avrebbero potuto uccidermi, o aver seguito Lindsey senza dirmi niente?».

Interpellata così, lei storce la bocca in una smorfia e grugnisce appena. Rotea gli occhi verso il tettuccio grigio della limousine, stufa di dover riprendere quei due sulla riservatezza, ricordando peraltro come quello non sia il suo nome, e decide di lasciarli stare. "Che si sbranino pure", pensa, "Non m'interessa".

Ma di colpo Esteban se ne esce con un: «Non potevo lasciare che B seguisse Isabel Allen senza una scorta».

E lei batte le palpebre sorpresa, perché mai si sarebbe aspettata tanta professionalità da qualcuno che fino a qualche minuto prima l'aveva chiamata "Bambola, bambolina, bamboletta? Chi lo sa, ma in fondo non importa...".

«Noi saremmo la scorta?», chiede Levius divertito. Serra le mani in due pugni grigi, inguantati, che quasi gli tremano sulle cosce; e per poco non attira l'attenzione dell'obbiettivo, che siede agitato accanto a lui.

Lindsey inspira a fondo, infine apre bocca e sibila: «Se fossi rimasto fuori dal Top of the Rock, sarebbe stato meglio». Nemmeno gli dà il tempo di replicare, perché subito riprende: «Sembri uno scolaretto al primo giorno di scuola, M, e Isabel Allen è al tuo fianco», una piccola pausa, «Non può sentirti, certo, ma non è stupida: chiunque, guardandoti, capirebbe che c'è qualcosa di strano in te», e dopo averlo visto deglutire dietro il colletto della divisa dice, «Mi auguro di non vederti mandare tutto a puttane, altrimenti dovrò farcirti di esplosivo come un tacchino del Ringraziamento».

Potrebbe tremare Levius, immaginare di saltare in aria come un kamikaze, ma il solo udire "Ringraziamento", nome di una festività perduta, glielo impedisce e gli scalda il cuore. Dunque sorride e, più placido di prima, abbandona la nuca contro il poggiatesta.

Accanto a lui, il profilo verticale di Isabel: ha gli zigomi bagnati, rigati da lacrime nere, e il trucco sbaffato, che le cola dalle ciglia premute sulle rime inferiori. Singhiozza e cerca di mantenere chissà quale contegno mentre si mordicchia le labbra piene, tinte di un rosso carminio. Trema, vorrebbe essere rassicurata da Nathan, il suo Nathan, ma neppure si è presentato all'appuntamento all'osservatorio. "Ha fatto tardi, forse", si dice, "Deve aver avuto un contrattempo, un imprevisto a causa del lavoro: lui è un uomo importante, no? In fondo l'ho sempre saputo...". Deglutisce a fatica, con i nervi scossi e le mani che si aggrappano alla gonna.

Lindsey la osserva di sottecchi, studia le sue mosse con fare curioso e ricorda le ore teoriche del servizio di sicurezza dello Stato. "Mimica", le suggerisce il cervello, "Cinesica", lo corregge con un sorriso sghembo. Dunque scollega la comunicazione interna con Levius ed Esteban, permette alla voce di uscire un po' metallica all'esterno del casco e si rivolge a Isabel con un azzardato: «Si sente bene?».

Levius socchiude le labbra. Sa di non poter essere visto, notato, neppure calcolato di striscio. Quasi sgrana gli occhi e, con le narici allargate, si sente un toro senza via d'uscita. "Cosa sta facendo?", pensa, "Perché le parla?", e ancora, "Non dovremmo evitare di dare nell'occhio?"

Isabel annuisce a fatica, poi volta di poco il capo verso sinistra per osservare Lindsey, la crisalide incompleta che siede di fronte a lei. "Strano", si dice, "nessuno di loro mi ha mai parlato". Sorride tesa mentre il cuore le galoppa in petto, poi scuote la testa e si lascia scappare un suono strozzato, divertito o, forse, un po' troppo cinico. «Faccio davvero così tanta pena?», chiede. Non attende una risposta, si stringe in se stessa, con le spalle sollevate e le braccia incrociate al petto. «Sola, scortata, piagnucolosa come una bambina...», si ferma, «... devo fare pena, davvero».

«Affatto», mormora Lindsey, «Volevo solo accertarmi che lei stesse bene dopo l'incidente al Top of the Rock». Scuote la testa e prende una piccola, drammatica pausa. «Non è mai bello trovarsi in una situazione d'imminente pericolo».

Isabel sembra come rilassarsi. Solleva il mento, batte le palpebre e, ancora tremante, con le sopracciglia aggrottate, pendenti, cerca lo sguardo nascosto di Lindsey. In un sussurro dice: «Grazie». Sorride, ingenua com'è, e non sa di aver accolto una serpe in seno.

Note: Aggiornamento fast dal centro di Roma, ragazzi miei. Spero che il capitolo vi piaccia.

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