Capitolo 17
NY, 2020.
Il libero arbitrio è una concessione di Dio, il motivo per cui nell'Eden ha regnato eterna pace e tranquillità, ma anche ciò che induce uomini e donne a sbagliare, a capitolare come Eva nell'abisso; e questa è la paura di tutte le crisalidi incomplete che sono ai piedi del Top of the Rock. Levius per primo, che osserva le due porte girevoli all'ingresso e si chiede: "C'è qualcuno al di là dei vetri?", "Ci stanno aspettando?", "Sanno già tutto dell'imbroglio di Raze?". Deglutisce a fatica, con il fiato che manca dietro la visiera nera del casco, e si sente piccolo come una formica, mentre Lindsey muove i primi passi e fa loro strada sulla scacchiera. Allora si morde il labbro, tace e ingoia tutto ciò che vorrebbe dire per fermarla. Tende i muscoli della schiena, delle spalle, perché sa di non avere alcun diritto su di lei. "Non è più mia sorella", pensa, "non è più Lindsey". Ha le lacrime agli occhi, ma le trattiene in una foschia d'immagini; e allarga le narici come un coniglio mentre si dice: "B, Si chiama B", e ancora, "Lei ha smesso di esistere a Philadelphia".
«Seguitemi», bisbiglia Lindsey nel microfono.
Levius tentenna. Vede Esteban muovere i primi passi senza emettere un fiato e la porta di sinistra che gira, i vetri puliti, brillanti, che guizzano nel mattino. "Avete ampia scelta e libero arbitrio", cita tra sé e sé, mentre la voce di Raze lo accompagna e gli gracchia nella testa come una fastidiosa intermittenza. Quando Lindsey sparisce oltre la soglia, quando lascia spazio a un secondo turno, Levius ha ancora gli occhi fissi: sente la paura viva sotto pelle, quando Esteban posa il palmo inguantato sulla cornice in bronzo. "Libero arbitrio", si ripete. Inspira anidride carbonica e contrae l'addome. Con le palpebre basse, rimpiange lo svenimento, l'asfalto dietro la nuca e perfino l'aria piena di smog, che per un attimo gli è parsa puro ossigeno di montagna. Dunque si fa avanti e osserva Esteban farsi riflesso tra i vetri. Nell'ingresso di Top of the Rock, avanza anche lui. Senza pensieri, deciso a chiudere la faccenda il prima possibile, solleva il mento e si sente come rinato accanto a Ralph, il fratello perduto. "Libero arbitrio", mormora l'inconscio. In testa a una missione impossibile, a una rivolta senza nome che muove i passi nell'androne di uno dei più rinomati grattaceli di New York, mentre Lindsey schiude le labbra e scandisce:
«Fatto», con poche lettere e decisione nel tono.
Levius si chiede subito: "Cos'è che abbiamo fatto?". Aggrotta le sopracciglia, ma non si muove e serra la presa sull'AK-12. Ancora nella sua piccola bolla irreale, con il gelo che gli scivola sotto la divisa e la voce di Esteban nelle orecchie, serra i denti e ascolta:
«Siamo solo entrati».
Sa che ha ragione lui e che non può contraddirlo, perciò freme in silenzio, con le ginocchia molli e i peli ritti delle cosce. Vorrebbe anche replicare, aggiungere del suo, mettere il cosiddetto carico da dodici, ma comunica a stento con il cervello. «Dove andiamo?»: è questa l'unica domanda che gli sfugge.
«Non hai sentito cos'ha detto Raze?», lo incalza Lindsey un passo più avanti, «Andiamo da Isabel Allen». Parla piano nel microfono e spera che a sentirla siano solo loro due: nessuna intercettazione, tantomeno un sistema di sicurezza aggiuntivo nei pressi della hall. Non vuole sporcarsi le mani prima del tempo, né inventarsi una scusa poco credibile. «Se avesse voluto regalarci un biglietto per l'osservatorio, lo avrebbe fatto in altre circostanze», conclude a mezza bocca.
«Mi sembra giusto», borbotta ironico Esteban, «anche perché credo che sia più il tipo da passeggiata a Central Park», e quasi ridacchia sotto i baffi.
«Simpatico», lo rimbecca Lindsey monocorde.
«Non ti ha mai portato a Central Park?»
«Non mi ha mai portata a Central Park», risponde laconica, «non è certo il mio babysitter». Ripensandoci, però, contrae la fronte dietro la visiera nera e chiede: «Che problemi hai con Central Park?».
«Nessuno». Solleva le sopracciglia in totale anonimato e si stringe nelle spalle. «Cosa ti fa credere che io abbia dei problemi con Central Park?».
Mugola appena, si finge confusa e forse anche incuriosita pur non essendolo affatto. «Chissà», sussurra, ormai desiderosa di troncare questa sterile e ridondante conversazione. Sul suo viso si dipinge una smorfia contrariata, un'espressione che nessuno può vedere, mentre avanza verso il Metal Detector. Ha gli occhi puntati sulla crisalide di guardia, l'unica presente dall'altro capo della hall, e le suole che scricchiolano sul pavimento bianco, marmoreo, quando ricorda le parole di Raze: "Sono delle repliche perfette". E respira piano, colma d'ansia, ripetendosele più e più volte. Infine si dice: "Sì, queste divise sono delle repliche perfette", perché crede in lui e non riesce a dubitare delle sue parole. Dunque sorride e frena il passo a mezzo metro dal Metal Detector. Allarga di poco le braccia, osserva la crisalide che si avvicina, dichiara: «Sono B», ma non prima di aver inserito la modalità emissione vocale presente nella divisa, sul casco. «Ho il permesso di entrare nell'edificio assieme ai miei due colleghi», continua, «Provengo dalla sede della Terza Giurisdizione». Volta di poco il capo e fa un cenno in direzione di Levius ed Esteban, che subito marciano verso di lei.
La crisalide, meccanica, annuisce. «Codice d'identificazione». Non lo chiede, lo pretende.
A seguire, la voce di Raze nella testa di Lindsey: "Andrà tutto bene", dice morbida, rassicurante, tra un ricordo e l'altro. E poi batte nel petto, guida le pulsazioni in gola, il vibrare tra le corde vocali, mentre Lindsey scandisce: «B-25ZRAE-L», lettere e numeri che per anni l'hanno accompagnata in un cammino già segnato, sui quadratini bianchi e neri che portano allo scacco matto.
«Bene», conferma la crisalide.
Lindsey la osserva e sa di non averla convinta abbastanza, perché è ancora troppo vicina allo schermo del computer, di fronte alle immagini di sicurezza con la retroilluminazione al minimo. Sente i muscoli del viso farsi lava e diventare massi. «C'è qualche problema?», chiede. "Che ci abbia osservato fuori dalle porte?", pensa nervosa.
«Ho bisogno degli altri codici d'identificazione», dice spicciola la crisalide. Fa un cenno a Lindsey per farla passare oltre il Metal Detector e continua, «Lei ha diritto di accesso, ma i suoi colleghi devono prima presentarsi». Solleva il mento, torna a guardare verso Levius ed Esteban, mentre Lindsey avanza e, non potendo replicare, risponde all'ordine. «Prego, avanti», li invita, «Nome e codice d'identificazione».
Pallida Lindsey sgrana gli occhi e frena l'impulso afferrare la crisalide alle spalle, perché "Non sono una vigliacca"; eppure i suoi muscoli continuano a guizzare, a tremare lungo braccia e gambe come sul punto di un blitz, mentre le dita, indisponenti, sembrano desiderose di allontanarsi dal fucile d'assalto per raggiungere la fondina. Chissà perché, poi, le costole si spaccano come sotto il colpo di un cannone; non che abbia mai visto un cannone sparare, o che sia stata colpita da qualcosa di simile, ovvio. Corruga la fronte, aggrotta le sopracciglia, si contrae in un'espressione strana e diventa come carta straccia: un foglio appallottolato. Senza pensare a Raze, senza chiedersi: "Lo avranno un codice fittizio?", o "Raze avrà pensato anche a questo?", manda a puttane l'Eden. "Libero arbitrio, sì, che cazzata". Sgancia la fondina, afferra il calcio della pistola e fa partire un colo colpo, cogliendo la videocamera di sorveglianza che punta su di lei.
Allora la crisalide sobbalza. Imbraccia il bene il fucile d'assalto e si volta senza riflettere per mirare a Lindsey. Gli occhi sgranati, immagina di aver fatto l'errore più grande della sua vita; tuttavia si sente mozzare il respiro, perché una sequenza di bang lo sorprende di nuovo e ancora una volta alle spalle, poco dopo le porte girevoli, dove sostano Levius ed Esteban.
"È una follia", pensa Lindsey in ritardo. Sente i brividi carezzarle la nuca, ma non ha modo di tornare indietro, perché Esteban ha già abbattuto le altre videocamere di sorveglianza a colpi di pistola.
«È così che dobbiamo entrare?», chiede infatti.
Lei deglutisce, non risponde. D'improvviso si sente una stupida e vorrebbe riavvolgere il tempo per discutere fuori dal Top of the Rock. "Odio la mia impulsività", si dice, "la odio, la odio, la detesto". E si mordicchia le labbra con fare nervoso, serra le mani in due pugni chiusi, friziona le dita inguantate contro il palmo. Vorrebbe dire: "No, affatto", ma la voce le si strozza in gola per il disagio.
E Levius lo capisce, perciò non la incalza: gli basta osservare le movenze del suo corpo minuto per comprenderne il pentimento che le alberga dentro. Così solleva la visiera e prende una boccata d'aria, infischiandosene degli ordini ricevuti. «Cosa ne facciamo?», chiede a gran voce, con l'AK-12 puntato sulla crisalide, mentre gli occhi degli altri convergono nella sua direzione. "Non ho paura di premere il grilletto", pensa, "non se dall'altra parte ci sono certi squali".
Esteban conosce questi pensieri, perché Levius non li ha mai tenuti nascosti nei loro incontri rivoltosi; ecco perché l'osserva in silenzio e sa già cosa succederà di lì a qualche secondo: «Fallo», dice, «Dopotutto lo fai sempre», e sospira.
Lindsey si sente scivolare in terra, inghiottita da una voragine elettrica, e s'intromette con un: «No», che per Levius non vale molto; meno di zero.
«Libero arbitrio», cita infatti. Schiocca la lingua sul palato e la guarda dal lontano, fingendosi o forse credendosi superiore, dopo aver colpito la crisalide con un calcio in pieno petto. E mentre questa atterra sul pavimento, lui avanza di un passo e punta gli occhi sul casco che ha dinanzi. Mira, con il fucile d'assalto, e digrigna i denti, si trasforma in una bestia. Ancora ricorda il corpo trivellato di colpi di Ralph che cade esanime accanto alla Liberty Bell, mentre quello della crisalide si affloscia sporco di rosso e fatto ormai groviera sul marmo della hall.
«Cristo!», impreca Lindsey a gran voce, «Sei un coglione, un cazzo di coglione!», ringhia furiosa, mentre Levius abbassa l'arma. «Ti avevo di non farlo». Ormai è certa che le crisalidi di guardia stiano accorrendo lì in massa, perciò si dirige svelta allo schermo abbandonato e controlla le telecamere ancora attive sul piano.
Lui non sente né i suoi passi, né i rimproveri: è in trance, con gli occhi fissi sulla chiazza di sangue che si allarga in terra. Di nuovo vuoto, agitato, e solo, con il cuore che gli schiaccia l'anima e un grosso nodo in gola. "Ralph", lo chiama in silenzio, "ho fatto troppo tardi, vero?". Gli sembra quasi di vederlo annuire di fronte a sé, perciò ha voglia di piangere come un ragazzino per non fare una strage o andargli dietro urlante con il moccolo al naso, perché Ralph è un'ombra che si gira, che lo abbandona e sale lungo le scale del Top of the Rock.
Allora Esteban scorge un piccolo scatto nei muscoli di Levius e allarmato lo afferra per le spalle. Inizia a scuoterlo violentemente, senza mezzi termini. «Riprenditi», dice, «devi riprenderti», e lo colpisce forte sul casco, gli fa piegare la tesa in avanti più e più volte.
Lindsey è troppo presa dalle immagini che si susseguono sullo schermo a retroilluminazione minima: rettangoli di una griglia in bianco e nero, angolazioni diverse di videocamere di sorveglianza, scorci di corridoi ancora vuoti. «Dobbiamo sbrigarci», sbotta nervosa, «non possiamo restare qui ancora a lungo». Serra le labbra in una linea retta e frena l'ennesimo rimprovero che potrebbe andare a vuoto. Poi osserva il corpo della crisalide steso in terra e immagina la possibile reazione di Raze. "Cercherebbe altre pedine", si dice, "non giocherebbe mai con della gente come loro".
Anche Esteban solleva la visiera. Aggrotta le sopracciglia in direzione di Lindsey e scocciato chiede: «Dove dovremmo andare?».
"È scontato se dicessi da Isabel Allen?", pensa cinica, "Forse no, non per questi due idioti", e si morde la lingua, sospira stanca, irritata. Studia subito un percorso sicuro sullo schermo: "Il più breve", si dice; e annuisce tra sé e sé, come volendo rispondere a una domanda mai pronunciata. Infine si allontana dal bancone e raggiunge il cadavere, che verte ormai in una pozza di sangue. Si china sui calcagni e, senza nemmeno guardarlo, inizia una perquisizione muta: le tasche dei pantaloni, delle maniche, della giacca; interne ed esterne.
«Che cosa stai facendo?», la incalza Esteban.
Si lascia sfuggire un suono divertito. «Prendo le chiavi del castello», dice, «e mi porto dietro due giullari». Con in mano l'ID della crisalide e il badge per il Top of the Rock, si solleva in piedi e fa loro cenno per essere seguita alla destra della hall, oltre il Metal Detector appena disattivato grazie al badge, laddove è certa ci siano le scale di sicurezza. «Celeri, fino in cima», li sprona battendo il lato della pistola contro quello dell'AK-12.
Note: Oh, babe, babe... la situazione si complica, o forse inizia a scaldarsi (?) chi lo sa! Lo scoprirete nei prossimi capitoli.
Della serie "Il diario di Elsa", invece, vi racconto che ieri mi sono fatta la tinta in casa e che (al solito direi) mi sono evoluta in una piccola zebra di città.
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