Capitolo 16
NY, 2020.
"Tradire è da vigliacchi", si dice Levius, "da infami, miserabili, conigli", perché lui non è mai stato un voltagabbana; ma Esteban crede l'esatto contrario. Può sentirlo nelle orecchie, in quella frase che gracchia attraverso le cuffie incastrate nel casco: "Perché hai tradito Nadja?", cita. E, mentre gli rimbomba nel cervello, vorrebbe gridare qualcosa come: "Cazzate, solo cazzate", ma anche, "Non ho tradito nessuno io". Eppure tace, prova a respirare e spera che capisca da solo, perché loro sono cresciuti insieme, hanno ucciso insieme. "Non può pensare che sia così stronzo", si ripete Levius. Ingoia un groppo di saliva e allarga le narici, cerca ancora l'aria che manca dietro la visiera nera e annaspa. "Non farei mai del male a Nadja", pensa.
Poi lo dice: «Come puoi crederlo?», e si ferma, quasi balbetta il resto della frase, «Non le farei mai del male, non potrei tradirla, Esteban». Le labbra secche, la gola in fiamme, mormora un: «Perché...», ma la voce gli muore in gola e non aggiunge altro. Assalito dalla vergogna, Levius si morde la lingua e tace.
Ed Esteban capisce: non è stupido, non lo è mai stato. Così abbassa il mento e indurisce i muscoli del viso in quello che, se solo fosse visibile, apparirebbe come un sorriso teso. «Perché le vuoi bene», dice, conclude al posto suo. Non vuole mandare a puttane la loro amicizia per una donna, tantomeno metterlo a disagio; "Dobbiamo lavorare insieme", pensa, "se così si può dire".
«Le voglio bene, sì», conferma Levius.
Allora lo libera dalla sua presa e segue Lindsey lungo il vicolo. Fa un gesto con la mano, dice: «Su, sbrigati», e muove appena le labbra, parla a mezza bocca nell'altoparlante del casco.
Levius inspira, trattiene le mani a fatica lungo i fianchi e annuisce. Ha voglia di sollevare la visiera, ma sa che Lindsey potrebbe tornare indietro e prenderlo a pugni, magari anche strangolarlo come lui non è riuscito a fare nella vasca; perciò avanza serio e trattiene le domande sulla punta della lingua. "Cosa è successo a Nadja?", si chiede, "Perché Esteban è qui?", e ancora, "Come ha avuto quella divisa?". L'ottica, di certo, non aiuta. Vorrebbe fermarsi, parlare, chiarire, mentre marciano per chissà dove. "Verso una condanna a morte", si dice titubante. Manda giù un rospo e trascina i piedi.
«Di nuovo», gracchia la voce di Lindsey.
Levius aggrotta le sopracciglia. «Di nuovo cosa?», chiede.
«Stai rimuginando, ti sento».
«No, non è vero».
«Stai rimuginando», insiste Esteban, «ti sento anch'io». Solleva la mano e picchia con l'indice sul lato destro del casco. «Mi stai ansimando nell'orecchio, Levius».
«M», interviene Lindsey, «chiamalo M».
Appellaro in quel modo, Levius arrossisce per l'imbarazzo. «Non volevo», biascica. È un fascio di nervi mentre avanza alle spalle di quelle due dubbie crisalidi; tuttavia si sente in bilico tra realtà e fantasia, tra presente e passato: ancorato all'asfalto, oscillante nell'aria, nudo di fronte a Raze e di nuovo con in mano una divisa grigia mai messa, con lo stomaco in subbuglio e una tisana disgustosa che gli scivola in gola; si chiede: "Sono davvero qui?", "È Manhattan questa?", "Le persone dove sono?". Poi si tuffa all'indietro, fa un salto prima della GHB ed è ancora con le cuffie arancioni sulle orecchie, con i trolley in mano, a lanciare bagagli nelle stive degli aerei che partono tutt'attorno. E quando si riscuote, quando apre gli occhi, non ha il casco. Sente l'asfalto premuto contro la nuca e le spalle, la schiena, i glutei. Respira meglio, solleva lo sterno, i polmoni, e apre gli occhi lentamente, vede il cielo chiaro di New York.
«Cazzo!».
Riconosce la voce. "Esteban", si dice, "è lui". Deglutisce ancora, ancora e ancora, Levius. Ma non c'è saliva in gola: la lingua secca e il palato spaccato, o il palato secco e la lingua spaccata? Non sa dirlo, non lo capisce, perché la faccia è un mattone di pietra, un tutt'uno che pesa e lo schiaccia in terra. Schiude la bocca, biascica un: «Cosa...», ma non termina la frase, perché Lindsey interviene:
«Sei svenuto», dice e quasi lo sbuffa scocciata, «Dieci minuti». Guarda l'orologio da polso, il quadrante grigio che è un tutt'uno con la divisa di riserva, e picchietta un piede in terra.
«Dieci minuti», echeggia Levius. Batte le palpebre a fatica, mentre quel suono lo raggiunge ovattato, lontano, e per poco gli appare surreale. «Sono svenuto», continua in un sussurro. Sposta lo sguardo e crede di riconoscerla lì, con le braccia conserte, ferma a un metro di distanza. Poi gli vortica un soffio d'aria accanto e lui si lascia carezzare la fronte sudata, sospira beato. Qualche ciuffo ramato si sposta, vola di lato. Infine realizza: ha la testa libera dal casco, e quella che gli scivola nel naso è una disgustosa puzza d'urina, topi e pioggia stantia.
«Hai intenzione di restare lì in terra ancora per molto?», domanda Lindsey con fare cinico.
Esteban la punta di sottecchi, ma lei non può scorgerne lo sguardo; sente solo la sua voce, che dice: «Ha appena aperto gli occhi, dannazione!».
«Che diavolo importa?», lo incalza, «Lo sai cosa stiamo facendo, almeno?». Un ronzio nelle orecchie, e continua imperiosa, solleva il mento: «Deduco di no, T». Prende una piccola pausa, mentre Esteban aiuta Levius ad alzarsi. «Non lo sai, perché se solo fossi stato messo al corrente del piano, questo sarebbe saltato...».
«Che stronzata», sputa lui a denti stretti, «Ti stai muovendo a caso, Lindsey. La verità è che non conosci neanche tu il piano di questo fantomatico Raze».
«Ognuno ha un ruolo», lo contraddice, «e il tuo, per il momento, è questo».
«Quale?».
«Trascinare M alle mie spalle».
Levius si morde il labbro inferiore, strappa una pellicina secca e sente il sangue sgorgare ferroso sulla punta della lingua. Lo assaggia come acqua e inclina il capo, osserva Lindsey titubante, curioso, forse anche disgustato. «Hai detto che stiamo andando a cercare delle guardie del corpo, una scorta privata, o che so io», borbotta, «Lo ha detto anche Raze», insiste, «C'è qualche cambio di programma?».
Lei scuote il capo, dice: «No, affatto».
«E perché lui non ne è stato messo al corrente?», chiede, riferendosi a Esteban.
«Raze preferisce non condividere le informazioni importanti con le pedine che non hanno il permesso di fare matto», spiega veloce. Fa un cenno con la mano, poi s'incammina lungo il vicolo e aggiunge: «Ah, infilati il casco: non si è mai vista una crisalide con la divisa spezzata...».
Lui lo fa, anche se restio, e cerca l'inalatore nella tasca dei jeans per poi ricordarsi di non averli nemmeno indosso. Per un attimo si pente di essere un maledetto impulsivo, perché quella storia di Raze inizia a pesargli troppo e le bugie, le domande, gli si affollano addosso tanto quanto il respiro dietro la visiera scura.
«Soffre d'asma», interviene Esteban, «È appena collassato e tu vuoi fargli rimettere il casco? Sei impazzita, forse?».
Lei schiocca la lingua sul palato e nemmeno si volta. «No, affatto», dice spicciola, «Ma se qui possiamo chiacchierare come amichetti del liceo, più avanti dovremmo ricominciare a stare bene attenti, a distanziarci almeno uno o due metri, con le armi sulle spalle e la schiena ben dritta».
Levius non attende il seguito, perché conosce bene il senso di quelle parole. Annuisce e prende un bel respiro. Si scosta dalle braccia di Esteban e sistema la pistola nella fondina. Un lieve ronzio nelle orecchie, infine Lindsey che sbuffa un:
«Ci siamo quasi», e di nuovo, «Pronti?».
Afferra il casco, se lo infila sul capo sudato e poi, ancora chino in ferra, recupera l'AK-12. «Ci sono», conferma Levius da lontano.
Lindsey esce per prima dal vicolo, Esteban va per secondo e Levius per ultimo: abbassa la visiera nera e chiude la fila. Il cuore che gl'impazza nel petto e l'agitazione che sale fino al cervello, sente la pelle accapponarsi in una scarica di tensione; ma non si può dire che sia diverso per gli altri, perché il piano di Raze è appena iniziato e l'unica che lo conosce davvero è la chiave d'apertura: l'alfiere.
Ecco perché lei rimane in silenzio, con un passo deciso e imperioso, mentre la suola degli anfibi rinforzati mangia l'asfalto. Si comporta come le è stato insegnato durante l'addestramento e si presenta come uno specchietto per le allodole, attirando lo sguardo di una sfilza di pedoni neri.
E Raze avanza verso lo scacco matto, si trascina dietro le altre tre pedine più una riserva.
Poi, di colpo, Lindsey si ferma.
«Siamo arrivati?», domanda Levius nel microfono. Ha la vista acuta, come sempre, ma anche l'ansia: una piccola bastarda che lo logora quando non può tenere le cose sotto controllo. Perciò si guarda attorno e riconosce la zona come Rockfeller Center. «Che ci facciamo sulla 50th Street?».
Lindsey non risponde. È convinta che il piano di Raze debba restare solo nella sua testa per andare in porto. "Loro sono un'appendice", pensa, "una piccola, squallida appendice". Si tocca il fianco. "Non sanno cosa stanno facendo, non sanno nemmeno perché lo stanno facendo: sono costretti". Si umetta le labbra e ode ancora la voce di Levius:
«Mi stai ascoltando?», chiede e si avvicina.
Anche Esteban muove dei passi verso Lindsey e rompe l'ordine che gli è stato dato un paio d'ore prima. Insiste di persona, le batte un indice sulla spalla. «Vuoi fotografare l'Empire State Building, per caso?». Ironico e pungente, solleva un angolo delle labbra e si fa sentire attraverso le cuffie.
Lei arriccia il naso in una smorfia, certa di non poter essere vista. «No». Volta di poco il capo e incontra la curvatura dei due caschi grigi. "Sono troppo vicini", si dice, "Che razza d'idioti!". «Questa zona è il nostro punto d'arrivo», precisa.
Smosso da una punta di divertimento, Levius trattiene un'esclamazione e sorride. «Il nostro punto d'arrivo sarebbe il Top of the Rock?», la incalza, «Dobbiamo parlare con qualcuno che ci aspetta all'osservatorio?».
«No», ripete frustrata, «Rockfeller Center è il nostro punto d'arrivo». Indurisce i muscoli del viso e si sforza di non aggiungere altro, sebbene la voglia di cominciare a urlare e insultare quei due stia premendo sulla punta della lingua.
Dunque si fa viva la voce di Raze: «Rockfeller Center, per l'appunto», dice, «Siete arrivati a destinazione».
Levius sgrana gli occhi e mozza in gola un: «Come?». Batte le palpebre e si guarda attorno cercando Raze a destra e sinistra; tuttavia è ancora la sua voce a spiegargli la situazione:
«Siete connessi via GPS».
Lindsey rotea gli occhi e indica l'orologio da polso per essere più precisa. "Idioti", si ripete. Vede Esteban ritrarsi con una mano al petto. "Avrebbero anche potuto arrivarci da soli". Sospira piano e azzarda un: «Dov'è il re nero?».
«Cos'è tutta questa fretta, B?», ridacchia Raze.
«Non è fretta», mormora lei.
«È con Isabel Allen».
Nessuno risponde: né Lindsey, né tantomeno Levius o Esteban; tuttavia è quest'ultimo a prendere la parola. Dice: «Chi sarebbe Isabel Allen?».
«Potrebbe diventare sua moglie, se solo Nathan Walker si decidesse a fare una proposta di matrimonio», inizia Raze con fare laconico.
Ed è Lindsey a concludere: «Il problema è che l'opinione pubblica potrebbe non accettare una sostituzione della cara Emma Walker».
«Emma Walker è morta di recente», soppesa Levius, «forse è troppo presto per una nuova relazione».
«Soprattutto se Isabel Allen è una sua storica amica e amante», lo incalza Raze nelle cuffie del casco, «presente in tutte le fotografie dei Walker sin dalla caduta di Romney». Una piccola pausa, dopodiché la sua voce si fa ancora viva: «Di conseguenza...», eccitato, frenetico come lo sbattere d'ali di una mosca vergine, dice, «... questo è un incontro segreto».
«Ma tu guarda che roba», ridacchia Esteban, «quanti anni ha? Sembra il comportamento di un ragazzino!». Posa le mani sui fianchi. «Lo chiamerò "Romeo"».
«Il suo nome in codice non è "Romeo"», lo riprende Lindsey.
«Chiamalo come vuoi, ma l'importante è che tu capisca e risponda agli ordini», minimizza Raze.
«E il prossimo quale sarebbe?».
«Avvicinare Isabel Allen».
«In che modo?», interviene Levius.
«Questa è una vostra scelta».
«Come sarebbe a dire?». Esteban lascia cadere le braccia lungo i fianchi e solleva la voce incredulo. «Hai detto che devo seguire gli ordini, no?».
«Esatto, sì», conferma Raze, «e l'importante è che non destiate sospetti nella scorta personale di Nathan Walker: questo vi chiedo, di fare attenzione».
Levius punta Lindsey con fare equivoco e per poco non si toglie il casco, desideroso di comunicare con lei in qualche modo; tuttavia viene frenato da una sua presa ferrea e un grugnito, mentre Raze riprende a dire:
«Avete ampia scelta e libero arbitrio, ragazzi», con tono pacato, «la prima mossa è avvicinare Isabel Allen», ed emette un suono divertito, «Non deludetemi, mi raccomando».
Il beep che chiude la comunicazione fa imprecare Esteban con un basso: «Concha de tu madre», che non segue alcuna spiegazione, ma precede la conclusione di Lindsey:
«Voi taglia-gole potreste sostituire le crisalidi in carica».
Note: Da quanto non aggiornavo? Troppo tempo, a dire la verità, ma non avevo più capitoli pronti sul cellulare e non stavo al PC, come ho detto nell'annuncio di ieri. Spero che qualcuno segua ancora questa storia, fanciulli miei. Dieci capitoli alla fine. Pronti al countdown?
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