🌸7 - Tutti presenti!
Penisola di Iriba. Regione di Mirŭjin.
Accademia. Giorno dell'ingresso di Akami. Mattina.
Kenri, seduto su una sedia ai piedi del letto di Konran-Jun, fissava il figlio con sguardo truce.
Era arrabbiato con lui che aveva tradito ogni sua più piccola speranza ed era venuto alle mani anche con gli Aku; ed era arrabbiato anche con se stesso perché, davanti alla spiegazione plausibile del figlio, non riusciva davvero a credergli.
"Possibile che sia stato ripagato con la sua stessa moneta? Che abbia trovato il suo contrappasso? Da carnefice a vittima?" si domandò ancora una volta. Davanti al viso pesto e pallido per i postumi di due giorni di febbre alta e alle fasciature a torace, mani e piede, la prima reazione di Kenri era stato il senso di colpa: lui l'aveva messo lì.
Poi, mentre Konran-Jun spiegava l'accaduto, al senso di colpa era subentrata la diffidenza e con essa la rabbia.
"Posso credergli? O è solo l'ennesima spiegazione creata ad arte?"
Konran-Jun, seduto sul letto a testa bassa e con mani strette a pugno sul lenzuolo, attendeva la sentenza del padre. La febbre e il dolore per le ferite fisiche e dell'orgoglio lo avevano messo davanti alla brutale realtà: in quel posto sarebbe sempre stato il più debole, il bersaglio facile. Non poteva evitare il ripetersi di quanto accaduto.
Se le dicessi che ha ragione e altresì torto, le suonerebbero ora come vuote parole. Solo restare in questo luogo le permetterà di comprendere, aveva scritto Ryume.
"Tsk! Forse voi due siete l'eccezione. Ma gli altri..."
Voleva andarsene. E aveva una sola possibilità.
«Ti prego» mormorò ancora una volta, incapace di guardare suo padre. «Riportami a casa... Accetterò qualunque cosa. Lascerò Iriba, mi trasferirò nei Podestati...» ribadì, forse per la ventesima volta.
«Davvero?» gli domandò Kenri con voce aspra.
«Sì» rispose mesto. «Tutto pur di non restare qui.»
Kenri si alzò e lasciò la stanza.
Konran-Jun ricadde sui cuscini, schiacciato da un enorme peso sul petto: mai come in quel momento il suo destino dipendeva dalla decisione del padre.
Primo pomeriggio.
Kenri camminò a lungo nel parco. Intorno a lui, ragazzi non molto diversi dal figlio entravano per la prima volta in Accademia accompagnati dai genitori, mentre altri passeggiavano o erano fermi a parlare presso gli alberi.
"Pretendo delle risposte" s'impuntò, incapace di trattenere oltre il groviglio di colpa e rabbia che gli bruciava nello stomaco.
Con passo deciso si diresse nella corte e chiese a uno dei maestri di parlare con Dvaar.
Thay lo accompagnò all'Ufficio dei Maestri.
Stava per bussare, quando la porta si aprì e ne uscirono due ragazzi che vestivano la divisa verde e grigia. Uno in particolare attirò l'attenzione di Kenri: aveva i capelli castano scuri leggermente ramati, e gli occhi, sebbene a mandorla, più grandi.
"Un mezzosangue. In fondo il suo aspetto non è molto diverso da quello di Konran-Jun."
Dvaar lo fece accomodare.
«Vedere suo figlio in quelle condizioni non è quanto si aspettava dall'Accademia. Si domanda quale sia la decisione giusta da prendere» gli disse leggendone lo stato d'animo.
«Già» rispose con un sorriso tirato.
«Quando i nostri ragazzi entrano in Accademia non sono molto dissimili dai loro coetanei di Iriba. Questo non ne giustifica il comportamento; ma spero le sia d'ausilio per capire l'accaduto.»
«Ha trovato pane per i suoi denti» concluse Kenri.
«È nostra responsabilità garantire che Konran-Jun frequenti l'Accademia e ne tragga il meglio.»
«Non sarà mai un Aku, non sarà mai al vostro livello» lo interruppe Kenri. «Mi disse che in questo posto avrebbe trovato la sua strada. Oggi lo ritrovo in un letto, pesto e pallido come un cencio. E non so se dare ascolto alle sue parole di allora o a quelle di mio figlio.»
«Non è in mio potere obbligarla a credermi. Né è mia intenzione. Posso solo confermare quanto le dissi allora: Konran-Jun troverà in Accademia quanto gli occorre per diventare l'uomo che sarà in futuro. Il suo carattere, il suo non essere un Aku saranno la vera chiave di volta. Per lui, per la sua vita, per chi, proprio oggi, entra in Accademia. E non solo. Lasci che scopra che è molto più di quanto lui stesso confida di essere. Creda in lui, ancor prima che lui stesso lo faccia.»
Kenri guardò Dvaar. Era grazie a quell'Aku se Konran-Jun era stato ammesso in Accademia. Si era fidato delle sue parole allora; ed ora, nonostante le apparenze, sentiva ancora di potersi fidare.
«La vita di mio figlio è nelle vostre mani» gli disse con voce carica di emozione.
«Si sbaglia» lo sorprese Dvaar. «La vita di Konran-Jun è nelle sue di mani. A noi il compito di insegnargli a volare e mostrargli le vie in cui potrà spiegare le sue ali» gli rispose con le parole che avrebbe rivolto a qualsiasi genitore Aku.
"Lune, avi... cosa devo fare?" li pregò mentre un sospiro greve gli usciva dal petto. Davanti agli occhi, improvvisa, l'immagine che lo aveva spinto a prendere la decisione per quell'ultima, dolorosa, via: Konran-Jun morto in un vicolo del porto.
Alzò il viso e guardò Dvaar. «Resterà» dichiarò.
«Avremo buona cura di lui» gli disse il Primo Maestro.
Kenri assentì e si alzò. «Vado a dirglielo.»
Konran-Jun aveva appreso la notizia con muta rassegnazione.
Tornato nella corte, Kenri si era seduto su una panca poco lontano dall'Ufficio dei Maestri, incapace di lasciare quel luogo.
Da quella posizione aveva visto Konran-Jun affacciarsi a uno degli archi, vestito come gli altri allievi di primo rango. Quando i commenti erano montati sulle labbra dei presenti, Dvaar era intervenuto con voce autoritaria, zittendo il brusio.
Al termine del saluto, dopo aver parlato ancora con il Primo Maestro, aveva lasciato l'Accademia.
Ryume e Nion salutarono con rispetto il padre di Konran-Jun e risalirono la scala, diretti al loro alloggio.
Giunti davanti alla porta della camera si affacciarono a uno degli archi squadrati del porticato.
Il secondo gruppo di nuovi allievi e i loro genitori stavano silenziosamente avvicinandosi al centro della corte e al ginkgo, mentre presso gli archi a sud ovest iniziavano a comparire i nuovi allievi che si trovavano in Accademia da alcuni giorni, già vestiti con la divisa verde cobalto e bianca.
«Una pura sincronicità che l'incarico di vigilare su Konran-Jun sia stato conferito a noi, giusto?» sussurrò ironico Nion.
Ryume rispose con un lieve sbuffo divertito. «Già, una pura sincronicità.»
«In cosa ci siamo traditi?»
«Ritengo che la tua colpa sia l'essere troppo ligio. Non è plausibile che un allievo di primo rango, non Aku, che si aggira mezzo nudo e ferito sfugga alla tua attenzione. Dunque, per differenza, lo hai aiutato.»
«Mh» convenne Nion con la sua abituale loquacità.
«In quanto al sottoscritto, reputo che a tradirmi siano stati due elementi: l'origine delle erbe usate per curare le sue ferite ed essere tuo compagno di stanza.»
«Mh» commentò di nuovo Nion, piegando appena l'angolo della bocca in quello che Ryume sapeva essere un sorriso divertito.
L'ingresso di un allievo non accompagnato animò il chiacchiericcio nella corte e attirò la loro attenzione.
Nion sbirciò verso Ryume, che aveva modificato imprecettibilmente la postura. Quando li vide salutarsi con un lieve cenno, ebbe la semplice risposta che immaginava: si conoscono.
Un allievo di secondo rango se ne stava seduto sul parapetto del porticato di fronte al loro, il viso rivolto al sole.
"Comportamento non opportuno" pensò Nion. "È lo studente che rientrava dall'osservatorio quella notte..."
Ryusei, seduto a proprio agio sul parapetto del porticato dell'ala sud-est, si stava godendo il sole del primo pomeriggio.
"Non fosse per questo sottofondo..."
Socchiuse un occhio e guardò di sbieco verso un gruppo di compagni impegnati nell'ennesima discussione su quanto accaduto a Konran-Jun e sulle possibili conseguenze per tutti loro. Si grattò la tempia e rivolse l'attenzione alla corte.
"Ecco i nuovi ranghi."
Un'inattesa animazione accompagnò l'ingresso di un giovane.
Sangue puro come lui, aveva in viso un'espressione al tempo stesso neutra e serafica che lo distingueva dagli altri futuri allievi.
Un attimo dopo il ragazzo fissò lo sguardo su di lui.
"Interessante" pensò, incuriosito dalla gioia che, per il tempo di un battito di ciglia, aveva letto sul suo volto.
Il brusio salì di nuovo, questa volta più deciso.
"Konran-Jun..."
Konran-Jun zoppicò sino all'arco davanti alla sua camera.
Si rifiutava di usare le stampelle. E non gli importava se le fitte al piede gli chiudevano la bocca dello stomaco e se doveva controllare il dolore stringendo a morte la mascella.
«Non è il dolore al piede. Sei triste, povero piccolo cucciolo d'uomo» lo derise maligna la sua voce interiore. «Tuo padre ti ha abbandonato al tuo destino. In fondo lo sapevi, sei solo una delusione per lui.»
"Vogliono che resti? Vediamo per quanto mi vorrete nel vostro finto e perfetto regno..." giurò a se stesso e a tutti quegli occhi che lo fissavano e lo giudicavano per la sua diversità. "Non avete idea di che pasta io sia..."
Mentre li squadrava uno a uno, i suoi occhi finirono in quelli di un giovane sangue puro.
"E tu cosa vuoi da me? Credi di essermi così superiore?" gli domandò, irritato da quella inespressività che però sembrava volerlo compatire. "Chi sei?"
Akami guardò Ryume, Nion, Ryusei e Konran-Jun; e, dentro di sé, sorrise.
"Adesso ci siamo tutti. Possiamo cominciare."
E con questo il prologo è finito...
Che dite, il prologo più lungo della storia, vero? 😂
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