🐲 1 - Il figlio della fonte
Penisola di Iriba. Regione di Mirŭjin. Accademia.
Dodicesimo giorno della Luna delle Nebbie.
Quarto tocco dopo l'alba.
Due Aku passeggiavano sotto il tunnel di tassi che dalle serre conduceva all'edificio principale dell'Accademia di Mirŭjin. I rami contorti e intrecciati degli antichi alberi creavano giochi di luci e ombre che rendevano l'atmosfera raccolta e riservata, rispecchiando appieno il carattere Aku.
Il più anziano dei due uomini si chiamava Dvaar ed era Primo Maestro dell'Accademia da ormai venti cicli. Non molto alto, aveva capelli rossi brizzolati e un viso che, anche privo di espressione, trasmetteva quiete.
L'altro, Ryūshugo, discendeva da una delle più antiche famiglie della comunità Aku. Membro della Gilda, aveva un fisico asciutto e capelli carmini tagliati cortissimi a lasciar scoperto il volto che, sebbene inespressivo, era lo specchio della serietà e della durezza del suo ruolo.
Due allievi di secondo rango, incrociandoli, li salutarono con un inchino formale.
Erano ormai lontani una trentina di passi quando uno dei due bisbigliò al compagno: «Sai chi è, vero? Si dice che sia stato l'Ombra della Guida...»
«Lo so» sussurrò l'altro voltandosi indietro. «E so anche di chi è pad-»
I due si bloccarono, inchiodati sul posto dallo sguardo di Ryūshugo. Spalle piegate, girarono silenziosamente sui tacchi e proseguirono verso la loro destinazione.
«Il ragazzo giungerà quest'oggi assieme al secondo gruppo dei nuovi allievi» riprese il discorso Dvaar. «Lo accompagnerà lei?»
«No. Entrerà solo» rispose Ryūshugo.
Erano ormai arrivati a ridosso dell'edificio principale.
«Desidera incontrare Ryume?» gli domandò il Primo Maestro.
«La ragione del mio essere qui non è mio figlio, dunque non v'è ragione. Ho compiuto quanto necessario. È tempo che mi congedi» lo salutò con un inchino formale.
Dvaar lo osservò allontanarsi.
"Akami..."
Boschi a sud-est di Mirŭjin. Fonte del Drago.
Cinque tocchi dopo l'alba.
Ryūmizu, o La Fonte del Drago come la chiamavano le genti, era una spaccatura nella roccia dalla quale sgorgava uno zampillo d'acqua che fuggiva a valle scivolando tra rocce e alberi.
Quell'angolo di Iriba, incastonato tra monti e boschi umidi di nebbia, era il luogo in cui Akami era nato. Meglio, era il luogo in cui Yaku era nato. Perché, proprio come quel luogo, anche quel ragazzo aveva due nomi: Yaku e Akami. Il primo usato solo dalla sua famiglia, il secondo conosciuto da tutti.
Yaku guardò i suoi genitori, e un sorriso dolce gli illuminò i tratti gentili del viso.
"Provo una tale riconoscenza da non saperla esprimere" pensò.
Era grato a quel luogo che per primo lo aveva accolto, grato alla donna e all'uomo che l'avevano allevato e che ora erano così restii a lasciarlo andare, grato per quel fratello che se ne stava in disparte quasi che la sua partenza non lo riguardasse, ma che Yaku sapeva essere, come lui, combattuto tra orgoglio e dispiacere. Grato per sua sorella maggiore, che non gli aveva mai fatto mancare il suo affetto e che l'aveva reso zio di una splendida bimba.
Danya lisciò il bavero della giacca del figlio in un gesto di puro affetto.
«Madre...» la rimproverò Yaku con dolcezza.
«Lo so» ammise la donna, nascondendo con un sorriso gli occhi lucidi di lacrime. «Sei già stato lontano e ormai sei un uomo.»
Yaku si piegò appena su di lei e le baciò la fronte. «Andrà tutto bene.»
Danya gli prese tra le mani il viso e lo guardò a lungo, cercando nei suoi occhi la conferma di cui aveva bisogno.
«Andrà tutto bene» ribadì lui.
Con un sospiro Danya lasciò scivolare via le mani dal volto del figlio e fece un passo indietro.
Faris lo strinse a sé con forza. «Scrivi, se ti è possibile» gli disse.
Yaku lo abbracciò a sua volta. «Sì, padre.»
Raccolse la sacca e si avvicinò al fratello. «Iskay, non essere avventato» si raccomandò.
«E tu non essere troppo buono con quelli là» ribatté l'altro, accennando con il mento in direzione di Mirŭjin e della sua Accademia. «Non capisco nemmeno perché tu ci debba andare. Ne sai molto più di tutti loro...»
«Iskay...» lo fermò Yaku con tono paziente. «Vado perché così è stabilito. Così tu percorrerai la tua strada.»
«Cosa intendi?»
Lui gli rispose con la smorfia furba con cui, a volte, chiudeva i discorsi tra loro.
«Il solito... Lanci il sasso e nascondi la mano» brontolò il fratello.
Yaku piegò il braccio e sollevò il pugno all'altezza della spalla.
Iskay fece lo stesso.
I due si toccarono pugno con pugno e gomito con gomito nel loro personale saluto.
«Abbi cura di te, fratello» si raccomandò Yaku.
«Fa' vedere di che pasta sei fatto, fratello» rispose Iskay.
Con passo tranquillo Yaku si avviò per il sentiero che lo avrebbe condotto a Mirŭjin.
Poco prima di sparire dalla vista della sua famiglia si girò.
«Cos...?» si preoccupò Danya.
Sbracciandosi come avrebbe fatto qualsiasi altro ragazzo, Yaku li salutò.
«Che scemo» commentò Iskay vedendo l'espressione allegra che aveva stampata in faccia.
«Andrà davvero tutto bene» sussurrò sua madre mentre ricambiava il saluto.
Lui girò le spalle alla sua famiglia ed eliminò ogni traccia di emozione dal viso.
Yaku era scomparso.
Akami era pronto a entrare in Accademia.
Accademia di Mirŭjin.
Secondo tocco dopo metà giornata. Quattro tocchi al tramonto.
Mirŭjin, il paese patria degli Aku, sorgeva alle pendici delle Giogaie della Bruma.
Oltre quelle montagne, invalicabili per altezza e per il muro naturale creato dai boschi e dalla fitta nebbia da cui prendevano il nome, vi era la terra dei draghi, creatori ormai dimenticati degli Aku.
L'Accademia si trovava a circa un tocco a piedi dall'abitato. Non troppo lontana dunque, ma abbastanza da essere isolata.
Racchiusa in una cerchia di possenti mura, accoglieva al suo interno un edificio principale e altre costruzioni immerse nel verde del parco punteggiato di alberi e da un laghetto.
L'edificio principale, a pianta quadrata, si apriva al suo interno su una corte al cui centro svettava un maestoso ginkgo. Un porticato in pietra e legno orlava la corte per i primi due livelli della costruzione che ospitava a pianterreno le aule, la Sala dell'Adunanza, la mensa e l'Ufficio dei Maestri; al primo gli alloggi, e nel sottotetto altre aule e alcuni depositi.
L'ingresso principale dell'Accademia ricordava una piccola casa, con l'imponente portone a due battenti verniciato di rosso e la falda del tetto che terminava appoggiandosi sui sassi grigi delle mura.
Davanti al portone spalancato una Aku accoglieva i nuovi venuti.
«Mi chiamo Akami» le disse con un inchino formale.
«Benvenuto, Akami» rispose Nisarga, invitandolo con un gesto discreto a proseguire.
Un lastricato di pietra tagliava il verde del prato sino all'edificio principale e ai quattro gradini che salivano alla lucida porta di legno di ciliegio.
Quando si affacciò sulla corte, occupata in quel momento da sei coppie di genitori Aku e rispettivi figli, gli arrivarono addosso occhiate che interpretò senza difficoltà: "Chi è?... Non lo conosco... Dov'è la sua famiglia?"
Scivolò tra persone e pensieri con un'impassibilità che finì con l'attirare ancora di più l'attenzione su di lui.
Akami quasi non se ne accorse. Il suo sguardo era già puntato altrove, impegnato a curiosare tra le aperture quadrate dei porticati là dove alcuni allievi si erano affacciati per osservare.
Al primo piano, nell'ala nord-est, notò due giovani che indossavano la divisa verde cobalto e grigia degli allievi di terzo rango. Uno aveva i capelli rosso cupo, l'altro castano ramato.
"Ryume" salutò il primo con un impercettibile cenno del capo.
L'altro rispose altrettanto discretamente.
Il suo compagno se ne accorse ma non fece domande: sarebbe stata una curiosità inopportuna.
Nell'ala sud-est, un ragazzo seduto sul parapetto di legno assisteva al benvenuto. Aveva i capelli rossi dei sangue puro, corporatura minuta e un viso da bambino in cui brillavano occhi scuri, intelligenti e furbi. La divisa verde cobalto e rosa salmone lo identificava come allievo di secondo rango.
Un bisbiglio di sorpresa serpeggiò tra i presenti, subito zittito dal rigoroso autocontrollo Aku.
Presso una delle aperture dell'ala sud-ovest era apparso un ragazzo dai capelli neri come una notte senza lune. Aveva le mani fasciate e un graffio gli tagliava la parte sinistra del viso dallo zigomo sino al labbro inferiore.
«Guarda la divisa, è appena arrivato» sussurrò un ragazzo nella corte.
«Hanno ammesso un abitante di Iriba» aggiunse qualcun altro.
Una voce severa bloccò il brusio, ammonendo: «La curiosità il cui unico fine è colmarsi la bocca è priva di buonsenso.»
Dvaar salì i tre gradini del muretto che cingeva il ginkgo e si fermò ai suoi piedi. «Tenacia, coraggio, rispetto, gentilezza e umiltà. Ecco ciò che rappresenta questa pianta. Essa sia, per ciascuno di voi, monito e modello» esordì.
Il Primo Maestro lasciò calare il silenzio; e quello piombò quasi avessero tolto il suono dalla realtà: non un fiato, non un sussurro in tutta la corte.
Akami percepì la tensione montare tra i nuovi allievi. "Aku per nascita. Cresciuti immersi nelle regole della comunità. Ciò nondimeno, questi giovani resteranno ancora per diverso tempo semplici ragazzi che muovono i primi passi nella loro nuova vita. Capaci forse di celare le emozioni ma non di controllarle; facile preda di gelosie, invidie, paura e rabbia..."
«... rare saranno le occasioni in cui i vostri figli rientreranno a casa. Rare le opportunità di visita» ricordò Dvaar ai genitori. «Oggi affidate a questo luogo dei ragazzi. L'Accademia vi restituirà uomini e donne pronti a essere parte della comunità. Aku di cui essere fieri.»
La corte si riempì di emozioni contrastanti: la fiducia dei genitori, i dubbi dei figli.
«Salutate la vostra prole e andate. L'Accademia avrà buona cura di loro» concluse Dvaar.
Con il distacco Aku che c'era da aspettarsi, genitori e figli si separarono.
I sette allievi furono divisi in due gruppi per essere accompagnati nelle loro stanze da uno studente di terzo rango.
Akami si accodò al suo gruppetto, diretto a una delle scale che conducevano ai piani superiori.
Sfilando davanti a Dvaar, lo vide parlare con un abitante di Iriba.
L'uomo aveva i tratti tesi, e Akami lo lesse senza difficoltà. "In forte apprensione per qualc-" Si bloccò, lo sguardo perso a fissare il muro.
«Allievo» lo richiamò più volte lo studente anziano.
Dvaar si accorse che Akami era rimasto immobile a pochi passi da lui. Si avvicinò e gli domandò: «Desidera dirmi qualcosa?»
«Per il bene-» iniziò lui quasi parlando a se stesso.
«Lo so, allievo» lo interruppe lui.
Akami spalancò gli occhi, incapace per un attimo di nascondere lo stupore.
«Raggiunga i suoi compagni» gli disse il Primo Maestro con tono pacato.
Lo ringraziò con un inchino formale e raggiunse il suo gruppo.
Accademia. Primo piano.
Prima stanza a sinistra della scala in legno.
«Tra mezzo tocco nella Sala dell'Adunanza. È richiesta la divisa.»
L'allievo di terzo rango si congedò con quelle poche parole.
Akami entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle.
L'ambiente era arredato in modo sobrio: i due letti erano addossati uno alla parete di destra e l'altro a quella di sinistra. L'armadio, posto di fronte alla porta d'ingresso, era affiancato da due finestre sotto le quali erano stati accostati due piccoli tavoli quadrati. Quasi in angolo alla parete di destra c'era la porta d'accesso al bagno.
Guardò il secondo letto e si concesse un sospiro. "Lecito supporre che non avrò un compagno" si disse.
Quel pensiero gli provocò una leggera fitta alla bocca dello stomaco, e all'immagine della stanza vuota si sovrapposero i colori e il calore di casa.
«Akami, è già accaduto. Sai ciò che è giusto. Dunque perché questa tua malinconia?» si rimproverò comprensivo.
Appoggiò la sacca sul tavolo a destra, la svuotò dei pochi effetti personali e aprì l'armadio. Piegati sul ripiano più basso c'erano i tre pezzi che componevano la divisa degli allievi di primo rango: i pantaloni bianchi, la casacca con scollo a "v" a maniche lunghe di uguale colore e una giacca a maniche corte verde cobalto lunga sino a metà coscia, chiusa incrociando i due lembi e fermata a destra, all'altezza del petto, da una fibbia di tessuto. La fibbia e il bordo del collo della giacca erano bianchi.
«Bianco e verde cobalto. Benvenuto, allievo di primo rango» mormorò.
Girò la clessidra segna tocchi appoggiata sulla scrivania e si cambiò.
Nota: Le Ombre sono le guardie del corpo delle figure più importanti della comunità Aku.
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