Capitolo XI | Collisione di nobiltà

Erano passati già due giorni da quel mancato bacio e nessuno dei due aveva più rivolto la parola all'altro.

Mentre il mio silenzio rappresentava l'orgoglio ferito, il suo invece non faceva altro che confermare la mia teoria: prima ancora che Shawn irrompesse in quella stanza, Isaac si era palesemente scansato, aveva tirato indietro la testa e mi aveva anche guardato con un'aria più che perplessa.

Il figlio di puttana non voleva baciarmi!

Forse Shawn una cosa giusta l'aveva fatta; con la sua irruzione, mi aveva tolto da una posizione che sarebbe stata decisamente imbarazzante e alquanto scomoda.

La cosa che però mi infastidiva di più, era il fatto di non riuscire a togliermelo dalla testa, con quel suo ciuffo castano e ribelle e quegli occhi che sembrano perennemente scavarmi dentro.

Nemmeno adesso riuscivo a non pensare a lui.

Sprofondavo su una poltrona di velluto come un monarca in un trono di noia aristocratica, e mentre i discorsi si intrecciavano tra politiche e affari, la mia mente continuava a vagare altrove, in balìa dei ricordi di quel bacio sfiorato.

La residenza di famiglia ad Edimburgo aveva il privilegio di ospitare uno degli incontri più importanti dell'anno, un evento impeccabilmente organizzato da mio padre, il Duca di Aberdeen.

Era una riunione di tutte le famiglie nobiliari scozzesi, dedicata a discutere di politiche agrarie, delle implicazioni economiche delle recenti leggi e a negoziare accordi sulle terre.

Naturalmente non ero esonerato a tale evento, anzi al contrario, ero obbligato a presenziare a quell'inferno.

La prima parte dell'incontro avveniva nella sala del consiglio, cuore pulsante dell'intera tenuta. Le tappezzerie tessute a mano raccontavano storie antiche, i sontuosi lampadari d'oro illuminavano il lungo tavolo e i dipinti raffiguranti illustri membri della nostra famiglia adornavano le pareti. In mezzo a loro, in un futuro non troppo lontano, ci sarebbe stato anche il mio volto.

La distanza tra la realtà della sala del consiglio e il ricordo di quell'istante che mi era stato proibito pesava sulla mia anima come una catena, rendendo ogni minuto di quell'incontro aristocratico un supplizio di noia e tormento.

Terminata l'agonia, ci dirigemmo verso l'ala opposta del palazzo, allestita per il rinfresco e luogo per stupidi convenevoli insensati.

La sala era un'ode all'abbondanza, con tavoli ingombri di prelibatezze che nessuno sembrava davvero assaporare.

Il marchese Spencer, con i suoi figli Leila e Alexander, si faceva notare nel centro della stanza, immerso in chiacchiere che non avrebbero mai sfiorato i confini della sostanza.

Leila, con i suoi occhi chiari che sembravano scrutare l'anima di chiunque incrociasse il suo sguardo, era una presenza eterea. Indossava un abito sontuoso che accentuava la sua eleganza, ma la sua bellezza appariva distante e inavvicinabile. Era il ritratto di una nobildonna, ma la sua aura trasudava freddezza.

Alexander, invece, era la personificazione dell'arroganza. Mi ero quasi dimenticato dei suoi sguardi di superiorità che gettavano un'ombra su tutto ciò che lo circondava.

Mentre mi avvicinavo a quel rinfresco di convenevoli, il mio desiderio di evadere cresceva sempre di più. Ma sarei dovuto stare al gioco ancora per un po'. 

«Ah, Henry! Spero che la parte dei negoziati non ti abbia recato troppo affanno.» Disse Leila, la voce che riecheggiava tra i fasti dell'ambiente.

«Affanno sarebbe dire poco, Leila. È stato come un tuffo nelle acque più profonde della burocrazia.»

«La burocrazia è un male necessario, Lord Henry. Rende il nostro mondo un luogo più ordinato.» Alexander intervenne con la sua tipica ariosità aristocratica. «A giudicare dalla tua faccia durante la riunione del consiglio, sembrava che i tuoi pensieri fossero altrove. C'è qualcosa che ti turba?»

«I miei pensieri possono vagare, ma certamente le questioni del consiglio sono di vitale importanza, non credi?» Dissi con un tocco di sarcasmo.

«Ovviamente, Lord Henry, forse i tuoi pensieri erano impegnati in qualcosa di più... intrigante.» Ribatté Alexander, con la sua solita presunzione. «Potremmo dire che forse questo mondo è troppo complesso per la tua mente distratta. Dovresti concentrarti su questioni più adatte alla tua anima delicata.»

Cercai di mantenere i nervi saldi. Afferrai un calice di champagne e ne bevvi un sorso. «L'anima delicata, come l'hai chiamata, non ha bisogno di sentirsi superiore insultando gli altri.»

«Alex, ti prego, non iniziamo con le provocazioni. Siamo qui per divertirci, non per litigare.» Intervenne Leila, cercando di attenuare la tensione.

«Hai ragione, è solo che non sopporto la gente che ha più di quello che merita.» Ignorando la richiesta della sorella, proseguì con tono provocatorio. «Sai Henry, al ritorno dei miei viaggi, mi tengo sempre aggiornato su quello che succede alla St.Andrews e, a tal riguardo, mi è stato riferito che ti si vede spesso in giro in compagnia di quel portoghese. Si tratta per caso di un nobile?»

Mi scolai l'intero calice.

«Il suo nome è Isaac e se proprio ti interessa, no. Non ha nessuna origine nobiliare.»

«Quell'università comincia a puzzare sempre più di feccia. Sono felice di essere finalmente tornato da Londra. Metterò quel borghese al suo posto, e tu Henry, dovresti stare alla larga da certe plebaglie e passare più tempo con noi dell'ultimo anno.»

«Sei soltanto un arrogante, Spencer!» Ringhiai sottovoce avvicinandomi pericolosamente a lui.

«Oh, definirei arrogante quel portoghese. Probabilmente cerca di avvicinarsi a te solo per ottenere qualche vantaggio sociale. Peccato che quell'idiota, senza un goccio di sangue aristocratico, non possa fare molto!»

Se c'era una cosa che odiavo più dei discorsi classisti, era quando venivano fuori dalla bocca di Alexander Spencer.

Una scintilla di rabbia incontenibile scattò dentro di me. Senza esitazione, afferrai il colletto della sua camicia, stringendo i pugni con crescente intensità.

«Che vuoi fare?» Sogghignò. «Non mi picchierai qui, sei troppo devoto alle regole sociali per farlo. Forse il portoghese ti ha già contaminato con i suoi modi da buzzurro, Lord Henry.»

Scoppiò in me una fiamma incontenibile. Senza esitare, lo spinsi con tutta la forza del mio corpo, facendolo urtare contro uno degli invitati, che si ritrovò con lo champagne rovesciato sul completo.

La sua risposta fu immediata: mi colpì in pieno viso e mi spintonò con ancora più forza.

Il mondo sembrò rallentare mentre il mio corpo si scontrava contro il tavolo dei vini. Sentii il legno freddo contro la schiena, seguito da un fragore assordante. Decine di calici di cristallo danzarono nell'aria, rompendosi in mille schegge che scintillavano come stelle cadenti. Le bottiglie, in un impatto caotico, si frantumarono, e il vino spruzzò in ogni direzione come sangue versato in una tragedia.

Gli invitati, colti di sorpresa, si ritrassero istintivamente, cercando di schivare il pericoloso spettacolo. Alcuni si lasciarono andare a delle urla incontrollate, mentre altri esprimevano sbalordimento misto a indignazione.

Il dolore alla guancia era insopportabile. Un sapore metallico di sangue mi riempì la bocca, mentre, con un gesto istintivo, mi asciugai il labbro sanguinante sulla manica della camicia.

Serrai i pugni e cercai di ricambiare il colpo ma il bastardo si scansò con una destrezza sorprendente. Inevitabilmente piombai sulla Contessa Brandons che di conseguenza cominciò a gridare come una scalmanata aggrappandosi al tessuto circostante, facendo sganciare l'intero tendaggio della parete.

Alexander mi osservò con un misto di soddisfazione e disprezzo.

Il Duca di Aberdeen intervenne rapidamente, cercando di riportare l'ordine in un contesto che si sgretolava sotto il peso di quello che avevo appena causato. Aveva un aria più che furiosa, e in quel breve istante, che per me sembrò durare un eternità, i visi degli invitati si rivolsero verso di me con una mescolanza di sdegno e giudizio.

Nel frattempo, Alexander, approfittando dell'attenzione puntata su di lui, iniziò una messa in scena di dolori al petto. Si contorceva, lasciava sfuggire gemiti soffocati, e una sorta di commozione collettiva si diffuse tra gli astanti. Leila, sua sorella, gli si avvicinò preoccupata, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Mentre tutti sembravano presi dalla preoccupazione per il povero Alexander, io rimasi immobile in silenzio, consapevole della farsa che si stava svolgendo sotto i miei occhi.

Mio padre si affrettò a porgergli le sue scuse, visibilmente preoccupato per ciò che era appena successo.

Poi, con passo deciso, si avvicinò afferrando con fermezza il mio braccio.

«La tua condotta è intollerabile, e sarai chiamato a rispondere per le conseguenze di questo gesto. L'onore dei Dankworth non sarà calpestato da un capriccio impulsivo.» Mi sussurrò tra i denti con la voce vibrante di indignazione, poco prima di ordinarmi di lasciare immediatamente la sala.

Cedendo alle sue provocazioni, Alexander mi aveva fatto diventare il fulcro di uno scandalo aristocratico, che ero certo avrebbe inciso sulla mia vita e sulla reputazione della mia famiglia.

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