82- AUREEN

«Hai qualcosa di mio.» Il sorriso che rivolsi a Zelveen, l'Inversa delle tenebre, era tutt'altro che allegro.

Prendimi, mia regina. Prendimi e posami sul tuo capo.

La Corona, nonostante sentissi che ancora non si fidava del tutto di me, aveva deciso di non uccidermi. Ero la sua unica arma contro Zelveen. Nella lunga eternità intrappolata in quel limbo di fuoco, l'avevo supplicata di ripudiare la Traditrice, di cacciarla da quel legame come minacciava di fare con me. Ma non poteva, il loro patto era più antico e legittimo del mio. Era me che la Corona voleva come sua padrona, eppure era vincolata alla Traditrice, impossibilitata a non favorirla. Avrei dovuto trovare il modo di intrappolarla come secoli prima era riuscita a fare Bernilde. Ma la donna che avevo di fronte non era un'ingenua e non aveva intenzione di farsi fottere da me.

Zelveen sollevò un braccio e, delicatamente, sfiorò le punte aguzze della Corona. Ridacchiò, non scollando mai gli occhi dai miei. «T'illudi se pensi che lei ti renderebbe la vita facile.» Il fumo che irradiava come tentacoli di oscurità era l'esatto specchio del movimento che compiva l'Aureenyra Santaminas alle mie spalle. «Il suo potere è un controsenso: stuzzica la parte più ingiusta e meschina che hai dentro, ma pretende che tu la tenga a bada. Sei stata scelta per il tuo cuore nobile» disse quelle ultime parole con tono derisorio, «eppure la magia oscura che t'infonde nelle vene lotta per corromperlo.»

«Non sei degna del destino che ti spettò mille anni fa. Non sei degna d'indossarla e di governare su Delthar. Non lo sei mai stata.»

Soffiò una risata amara dalle narici. «Tu sì?» Fece un passo verso di me, ma la pianta dai boccioli rosso sangue s'interpose svelta tra noi creando un muro, che si ritirò lentamente quando Zelveen arrestò il passo. «Siamo uguali, io e te.»

«Non è così.»

«Entrambe troppo egoiste per mettere fine alla vita della Corona pagando con la nostra; entrambe troppo bramose del suo potere; entrambe incapaci di rinunciarvi.»

«Non è per bramosia che te la leverò dal capo, Zelveen. Lo farò perché è giusto. Perché la tua crudeltà non possa più nuocere.»

«Sei una regina non voluta come lo sono stata io, anche se per ragioni diverse. Quando il popolo inizierà ad accusarti di ogni cosa storta del regno, capirai che quel potere che intendi usare per farti amare si rivelerà molto più utile per farti temere.»

«Non sono come te» rincarai, aprendo il palmo e lasciando e una fiammella di luce bianca mi spuntasse dalla pelle. «Il mio potere è diverso dal tuo. Tu sei morte, io sono...»

«Vita?» m'interruppe, concludendo al posto mio con tono canzonatorio. «Un'inversa della Luce, quindi. La prima che il Mondo Inverso abbia mai visto. La prima di una stirpe... un'altra cosa che abbiamo in comune.»

Da sotto la torre ci arrivò il suono confuso e atroce della battaglia che si stava svolgendo sulla pianura, inzuppando di sangue la terra tramandatami da mio padre. Terra che, però, il mio potere stava curando.

Avrei dovuto sbrigarmi, prendere tempo e cercare d'irradiare quell'energia buona attraverso tutti i regni prima che...

«So cosa stai facendo.» Le labbra di Zelveen si curvarono ancora verso l'alto. «Ti stai lasciando ingannare, vecchia amica» si rivolse poi alla Corona.

Prendimi, erede. Liberiamoci di lei.

«Eravamo certe che avresti cercato di riportarla dalla tua parte screditando me» esordii io, portando le braccia dietro alla schiena in una posa rilassata. «Tu, saggia regina, credi forse di poterti prendere gioco di una magia così antica? Di poterla manipolare come intendi fare col mio popolo e come hai fatto con gli umani che hai trascinato al patibolo?»

«Sei proprio come me: una predatrice e un'adulatrice.» Ringhiò una risata priva di gioia.

Percepii l'essenza della Corona tremolare a quelle parole, come se il dubbio su di me fosse tornato in superficie.

«E stai sprecando energie» riprese. «Non puoi guarire l'intero Mondo Inverso e sperare che ti resti abbastanza forza da battermi. Ma fai pure un tentativo, io non ho fretta.» Incrociò le braccia sottili e si appoggiò al balcone con un'aria distesa.

Aveva ragione, sperare di riportare i regni ai loro originari splendori proprio in quel momento era pura utopia. Anche se gli alberi che fiancheggiavano la radura si stavano pian piano rinvigorendo, e le foglie stavano riprendendo il loro acceso verde, non potevo riuscire a espandere la mia energia troppo in là, bloccata com'ero dalla guerra. Ma dovevo approfittare di quel potere fino a quando fosse stato possibile.

E dovevo evitare qualsiasi tipo di interruzione. Avevo per questo allontanato Eden con un muro d'aria, ma sapevo che avrebbe tentato di raggiungermi attraverso la porta della mia stanza. Non potevo permettere che interferisse col mio piano, perciò voltai lievemente la testa di lato.

«Valerin» chiamai. «Sbarra la porta.»

Sentii armeggiare e capii che aveva obbedito. E a giudicare dal tonfo come di una spallata che rimbombò poco dopo attraverso la camera, immaginai che avesse fatto giusto in tempo.

«Aureen!» La voce di Eden mi arrivò attutita dallo spesso portone che gli bloccava il passaggio, e che colpì con tutta la sua forza. «Aureen!»

Quella barriera non lo avrebbe fermato a lungo.

«Povero cucciolo innamorato.» Zelveen sporse il labbro inferiore in una smorfia di finta compassione. «Potrei tenermelo come compagnia, una volta finito con te.»

Scoprii i denti e mossi un passo in avanti. «Tu non lo toccherai.»

«Oh, ora sei pronta a giocare.» Le sue iridi nere rifletterono il bagliore del mio potere che mi circondò come un'aura.

«E non puoi uccidermi, come io non posso uccidere te.»

Sollevò entrambe le sopracciglia insieme agli angoli della bocca. «Hai ragione, non posso. Ma la prigione che mi ha tenuta incatenata sui fondali per secoli e secoli sarà in grado di contenere anche il tuo potere. Non serve che ti uccida, purché ti renda inoffensiva.»

Sia io che l'essenza della Corona deglutimmo un boccone amaro.

«Che c'è? Pensavate che fossi così sciocca da credere di poterti annullare del tutto e da usare ogni grammo della mia energia nel provarci? Non lascerò che questa guerra mi consumi così che voi, o chi per voi, mi riportiate in quella cella abitata da pesci. Non commetterò di nuovo lo stesso errore.»

«Non vincerai, Zelveen» affermai, anche se la paura di sbagliarmi era così intensa da ghiacciarmi il respiro nei polmoni.

«Sei arrogante, proprio come me alla tua età. Credevo che mia sorella, una nullità in confronto al mio potere, non potesse annientarmi. E, come te che ti stai privando della tua energia in un'impresa inutile e stupida, persi quella battaglia proprio a causa della mia arroganza. Mi sono divertita a terrorizzare i regni sprecando le forze e, quando è arrivato il momento di affrontare Bernilde e i suoi draghi, non mi erano rimaste che le briciole del potere della Corona. Sei il mio specchio, giovane regina, e godrò nel guardarti cadere.»

Smettila subito con questa follia, regina di Luce. Ti aiuterò a guarire il nostro mondo a battaglia conclusa.

Zelveen arricciò il naso. «Dovresti darle retta.»

«Aureen!» Intanto Eden continuava a gridare il mio nome e, a giudicare dal boato che seguiva ogni colpo sulla porta, capii che stava facendo di tutto per riuscire a sfondarla. «Val! Apri!»

Non avevo tempo. Qualcun altro avrebbe trovato il modo per portare a termine il mio compito. Qualcun altro avrebbe curato il Mondo Inverso e sconfitto Zelveen. Io, a quel punto, dovevo solo raggiungere la Corona.

«D'accordo.» Richiamai a me tutto il potere, allargando le braccia. «È ora che tu mi restituisca ciò che è mio.»

Il viso della Traditrice si tese in un sorriso che assomigliava a uno squarcio. «Finalmente.»

Posai il mio sguardo cupo e deciso su di lei. Poi, con una volontà che fino ad allora mi era stata estranea, le abbattei addosso il mio potere.

Era tagliente, complesso e mio.

Ed era anche difficile da maneggiare, molto più di quelle miserabili nebbie che avevo evocato in passato. Ma era intenso, pronto a rispondere al mio comando e ad assumere la forma più giusta per reagire alle minacce.

Preda di quella energia, quasi non biasimai Zelveen. Ti entrava dentro, dandoti la sicurezza dell'invincibilità.

E quando la Traditrice mi mandò addosso le sue fiamme nere, io risposi con l'acqua. Una bolla limpida e pura vi si abbatté contro, facendo sfrigolare il fuoco oscuro. Nel tempo di un respiro, quelle lingue tremolanti assunsero una forma seghettata, per poi cambiare consistenza. Non più fuoco, ma elettricità. Un fulmine violaceo che partiva dalle mani di Zelveen pronto ad abbattersi contro la mia onda e a utilizzarne l'acqua come conduttore, così da colpirmi e indebolirmi. Ma io fui svelta a imitare quella magia, e dalle mie mani scoppiarono due lampi gemelli che andarono ad abbattersi contro quello che spingeva verso di me con tutta la sua forza.

Entrambe con i denti scoperti per lo sforzo, socchiudemmo gli occhi per ripararli dalla luce accecante che s'irradiò su tutta la torre e che illuminò il campo di battaglia sottostante il quale, viste le spesse nubi che avevano coperto il cielo, era immerso in un'ombra grigia.

La mia luce limpida contro la sua violacea si ritirarono e tornarono ad attaccare con colpi intermittenti ed estenuanti, senza però mai riuscire a prevalere l'una sull'altra.

Impegnati, erede di Luce.

A quelle parole, la Corona sulla testa di Zelveen parve accendersi. E io sentii una nuova ondata di energie venire in mio soccorso. Ma, a differenza mia che non avevo mai imparato a maneggiare nemmeno il mio debole potere delle nebbie, Zelveen muoveva le dita con fare esperto e un sorriso vincitore sulle labbra. Io mi limitavo a imitarla, restando sempre a un passo dietro di lei.

«Aureen!»

Un nuovo colpo contro la porta.

Poi un altro.

Poi un altro.

Poi un altro.

La forza del potere della Traditrice mi spinse indietro. La mia schiena incontrò i rami dell'Aureenyria Santaminas che mi sorreggeva, aiutandomi a restare in piedi e a resistere alla pressione. Valerin, la cui presenza intercettai col campo visivo, sfilò i pugnali che aveva fissati alle cosce, pronta a combattere.

«Stai indietro» le ordinai, la voce flebile e distorta dalla fatica.

Lei, però, non arretrò di un millimetro.

L'immagine di suo fratello che piangeva sul suo corpo mi colpì come una botta in testa. Non potevo permettere che succedesse, perciò ripetei l'ordine e sentii le gambe bruciare quando tornai a muovermi in avanti, le braccia protese e la pelle delle mani formicolante per il fulmine che continuava a crepitare a contatto con quello di Zelveen.

«Arrenditi e lascerò vivere i tuoi amici» promise l'Inversa delle tenebre.

Li rederà suoi schiavi, s'intromise la Corona.

Non presi nemmeno in considerazione quella proposta. La Traditrice era per definizione una bugiarda, e che tentasse di scendere a compromessi con me significava solo che stavo andando bene, anche se avevo le vertigini per l'affanno.

Altri colpi contro la porta della mia stanza, questa volta seguiti dallo scricchiolio del legno che minacciava di cedere da un momento all'altro. Era la porta della stanza della regina, perciò solida e rafforzata col ferro per proteggerla dagli intrusi, ma restava pur sempre una porta. E avrebbe retto ancora per poco.

Zelveen sollevò le braccia spingendo il potere di entrambe verso l'alto, sfiorando l'ala di Ghoranat che volava sopra le nostre teste. I muscoli ebbero un attimo di sollievo, ma dovettero tornare presto a tendersi perché mi arrivò addosso un nuovo muro di fuoco, che contrastai con un altro altrettanto incandescente.

Fiamme nere contro fiamme argentee.

Rividi il palmo di mio padre allargarsi e far spuntare la leggera fiammella, che prontamente faceva sparire quando mi vi lanciavo sopra con l'intenzione di acchiapparla. Udii la sua risata tuonante e le sue dita che mi scompigliavano i capelli.

Forse lo immaginai e basta, ma dei brividi caldi mi crebbero in tutto il corpo quando udii la voce di re Aramis sfiorarmi l'orecchio: «Resisti, bambina.»

Mi salirono le lacrime agli occhi quando alla sua voce si aggiunse quella di mia madre: «Resisti, figlia mia.»

E poi quella di Lenna: «Sono con te, Altezza.»

E poi quella di Miss Tammy, di Sorendal, dei soldati caduti nella prima battaglia di Delthar, di quelli che stavano morendo sotto la torre, dei contadini uccisi dal morbo di Zelveen, delle vittime di re Dorian e di Mastro Claudius.

Non avrei deluso nessuno di loro. E nemmeno coloro che ancora vivevano con la speranza di vedermi vincere e salvarli tutti.

Non avrei deluso Jared, Alec, Valerin, Zades e Cheryl. E nemmeno Anna, che ancora piangeva la morte di sua sorella. Non avrei deluso Zargan e il resto della Resistenza. Non avrei deluso le donne e i bambini che si rifugiavano dietro le mura del castello. Nemmeno i soldati che, dimenticando le barriere tra i loro regni, laggiù stavano dando il sangue per la causa.

E non avrei deluso Eden, anche se la mia vittoria lo avrebbe annientato nel cuore.

Il calore di quel muro di fuoco mi asciugò le lacrime sulle guance e temprò la mia determinazione. Gridai mentre lo spingevo contro Zelveen, la quale arretrò fino al parapetto sfoderando i denti e grugnendo come una bestia.

Poi urlò anche lei, e con un movimento delle braccia scatenò raffiche di vento che spensero le fiamme. Ma io ero pronta, e l'Aureenyria Santaminas alle mie spalle sfrecciò verso di lei, imprigionandola. La Traditrice combatté, uccidendo i boccioli e facendo marcire i rami. Ma per ogni fronda appassita spuntavano nuovi germogli che crescevano e crescevano e crescevano. Bloccarono l'antica Inversa stringendola per le braccia e per le gambe. Il suo potere non era abbastanza veloce da liberarla perché il mio, finalmente, era un passo avanti al suo.

«Ti uccido!» gridò lei, sputacchiando saliva come una pazza.

Prendimi, erede di Luce, gongolò la Corona.

Io mi mossi in avanti, pronta a obbedire. Gli occhi di Zelveen, brucianti di furia profonda, mi osservarono sollevare una mano sulla sua testa. Tentò di scattare verso di me e mordermi, ma l'Aureenyria intorno al suo collo la tirò indietro.

E io recuperai la Corona.

Mi beai di quel contatto. Pelle contro antico, oscuro acciaio. Lasciai che la sua energia fluisse nelle mie vene e che mi lasciasse assaggiare quel potere. Ancora un'ultima volta.

«Non puoi uccidermi, e non posso nemmeno io» risposi, osservando le gemme luccicanti dell'oggetto magico. «Non ancora.»

Tutto si arrestò.

Zelveen smise di agitarsi, attenta e curiosa. Persino il vento smise di sferzare e il rumore della guerra si attutì. Solo i colpi di Eden sulla porta continuarono a suonare come un insistente battito cardiaco.

L'essenza della Corona si tese e il respiro mi mancò.

Avrei avuto poco tempo, una volta pronunciate le parole. Perciò dovevo essere svelta e approfittare della sorpresa.

Mi violentai per far uscire quelle parole. Non ero ancora immune alla scarica di adrenalina di quella magia che trovava fondo nell'avidità. Era mia, eppure era proprio quello il problema. Perciò, strizzando gli occhi per lo sforzo, mi costrinsi a trovare la voce.

Erede di Luce, cosa vuoi far...

«Rinuncio al mio legame con te.»

Lo dissi tutto d'un fiato. Via il dente via il dolore. Ma non andò esattamente così, perché il dolore fu la conseguenza.

Un sorriso larghissimo e spaventoso si allargò sul viso di Zelveen, la quale cominciò a ridere. Una risata ultraterrena che scosse la fortezza nelle fondamenta.

Poi sentii uno squarcio nel petto, e l'urlo agghiacciante della Corona. Sangue mi colò dal naso. Le mie viscere si surriscaldarono come quando ero intrappolata nel limbo infernale. Poi un'ultima, lancinante fitta alle tempie.

Cosa hai fatto!

Avevo il respiro pesante e lacrime di dolore a opacizzarmi la vista. La schiena curva per quel potere la cui assenza sembrava spezzarmi le ossa, e le ginocchia fragili che minacciavano di cedere. Ma le mie mani, anche se tremanti, stringevano la Corona che fremeva di rabbia.

Cosa hai fatto...

Questa volta usò un tono più basso ma anche più letale. Spire di fumo come tentacoli mi si avvolsero intorno ai polsi, ustionandomi la pelle. Feci pressione per riuscire a spezzarla, ma il dolore era troppo forte, e io ormai troppo debole. Avevo aspettato troppo.

Gridai, quando mi salirono lungo le braccia e mi si avvolsero intorno alla gola. Cercai di obbedire all'ordine di mio padre: resistere. Ma non ce la facevo più. E come si fa d'istinto quando si tocca il fuoco, ritirai le mani lasciando cadere l'oggetto a terra. I suoi tentacoli prima si dissolsero poi tornarono ad addensarsi nell'aria, pronti a colpirmi.

Tu mi hai ingannata. E morirai, per questo.

Zelveen, che ancora rideva quasi fino a perdere il fiato, si stava liberando dell'Aureenyria la quale, non più animata dal mio potere, le cadeva mollemente intorno ai piedi. Poi camminò verso la Corona come sua unica proprietaria.

In un lampo di lucidità e determinazione, mi lanciai sul pavimento. Sapevo che, dopo l'oltraggio, la Corona non mi avrebbe più risparmiata se l'avessi toccata. Dovevo evitare che i suoi tentacoli mi uccidessero prima di arrivare all'acciaio nero e fare l'ultimo, disperato tentativo. Per questo alla prima sferzata oscura di potere mi tirai di nuovo indietro.

«Hai perso, discendente di mia sorella» ridacchiò Zelveen. «Hai giocato male le tue carte e mi hai regalato la vittoria.»

Non avevo più armi. Ero nulla di fronte a quelle due antiche creature. Mi restava solo la disperazione. Tornai all'attacco nello stesso istante in cui la porta della mia stanza cedeva.

Il ghigno malvagio di Zelveen mi distrasse quando i suoi occhi incontrarono la figura di Eden trafelata e sporca di sangue. Aveva buttato giù l'anta per salvare la fanciulla nella torre.

Ma ero io che non avrei permesso che la Traditrice lo toccasse e gli facesse del male. E da come lo stava divorando con lo sguardo, sapevo che era proprio quello il suo intento. Ferirmi prima di eliminarmi definitivamente.

Ringhiai, ma sapevo che non le avrei più scatenato alcun timore. «Prenditela con me» sibilai, richiamando la sua attenzione.

«Aureen» la voce di Eden era rotta dall'affanno e dalla preoccupazione. «Vieni via.»

«Non ti struggere, principino perduto» rispose Zelveen, chinandosi e raccogliendo vittoriosa la Corona. «Non lascerà questo balcone senza aver prima dato la vita per la sua stupidità.»

«Valerin, prendila e portala lontano da qui» ordinò allora lui.

Ma mai mi sarei lasciata trascinare via cedendo a lui il mio destino. Avevo capito quali fossero le sue intenzioni, e lo aveva capito anche l'antica Inversa.

«Che cuore d'oro» lo sbeffeggiò lei. Poi sollevò un indice verso Valerin che si stava avvicinando. «Ah-ah, resta dove sei. Non mi deruberete della mia resa dei conti. È il sangue di mia sorella che pretendo, poi prenderò anche il vostro.»

Strinsi le labbra in una linea sottile e la mascella in una morsa d'acciaio. Ero esausta, provata sia dall'inferno del limbo dal quale ero scampata, che dalla lotta appena compiuta, che dal dolore del potere che mi aveva abbandonata.

Ma quando Zelveen rovesciò gli occhi per recuperare l'energia necessaria a sferrare il suo colpo fatale, io non chiusi i miei con rassegnazione. Dalle mani della Traditrice sfrigolarono piccoli lampi viola di energia, i suoi capelli si sollevarono come sott'acqua e dalla lebbra fuoriuscì un suono lontano che somigliava al fischio di una teiera.

Io ne approfittai, e raccolsi il coraggio di muovermi in avanti senza cadere nell'errore di rivolgere una conclusiva occhiata a Eden e Val alle mie spalle. Scattai l'ultima volta, il braccio proteso verso la Corona.

Attenta, l'avvertì la Corona, decisa a cedere il proprio potere a un cuore corrotto piuttosto che scomparire.

Io balzai in avanti nell'esatto momento in cui Zelveen apriva gli occhi e frenava quel salto afferrandomi per la gola.

Poi strinse.

Io mi aggrappai ai suoi polsi, dimenando i piedi in aria. Ma durò poco, perché qualcosa si abbatté sull'Inversa. Un corpo solido, quello di Eden. La donna mi lascio andare, barcollò per qualche passo e la Corona le cadde dalla testa tintinnando sulla pietra, arrestandosi sul bordo poco prima di cadere.

Sopra alle nostre teste, Ghoranat stridette annunciando il suo attacco, ma Zelveen portò in alto una mano e col suo fumo creò un nuovo stormo di viverne che lo costrinsero ad arretrare e a difendersi.

Io ed Eden, intanto, ci lanciammo a terra nello stesso momento con l'intenzione di recuperare la Corona, quasi litigandocene il diritto. Nessuno dei due avrebbe guardato l'altro morire.

Ma qualcosa, i tentacoli di fumo, ci afferrò per le caviglie, tirandoci indietro. Zelveen aveva uno sguardo demoniaco e gli angoli della bocca piegati verso il basso. Aveva perso tutta la sua bellezza.

Ci sollevò in aria e ci sbatté contro il muro. Sentii qualcosa scricchiolare dentro di me, ma non potei concentrarmici perché dita fantasma mi strinsero la gola. Mi lacrimarono gli occhi, ma potei notare comunque che a Eden stava capitando lo stesso destino. Il viso, in mancanza di ossigeno, mi divenne bollente. E nonostante mi dimenassi, rimanevo incollata al muro coperto di Aureenyria appassita.

Scalciai disperata, aggrappandomi alla mia stessa gola, ma non vi passò che un sottilissimo filo d'aria. Un'illusione di sopravvivenza. Sarei morta, ed Eden con me. Cercai di raggiungerlo, ma ogni sforzo era inutile di fronte al potere di Zelveen che, le braccia protese in avanti, ci impediva qualsiasi movimento osservando la nostra agonia senza brama e senza gioia, ma solo con feroce furia in quegli occhi nerissimi.

Anche il corpo scosso di Eden cercò di raggiungere il mio, deciso a proteggermi anche se ormai non sarebbe servito più a nulla. Lui non avrebbe salvato me come io non avrei salvato lui. Quel senso di tormentata impotenza era persino più doloroso della morsa alla gola.

Avevamo perso.

Ma lo avremmo comunque fatto insieme. Raccogliendo le ultime energie che mi erano rimaste, feci scivolare una mano per terra fino a incontrare quella di Eden, che me la strinse, debole, come un ultimo saluto. Voltai un poco la testa, quel tanto che mi era possibile, e cercai i suoi occhi. Aveva il volto rosso e scalciava alla ricerca di un respiro. Poi anche lui riuscì a girarsi verso di me.

«Ti a...» tentò di mimare con movimenti tremanti delle labbra.

Il mio cuore si crepò come vetro.

Avevo fallito.

La stretta intorno alla mia gola si fece ancor più aggressiva, fino a sollevarmi in piedi e a costringermi a lasciare la mano di Eden, togliendomi l'ultimo frammento di sollievo. Poi Zelveen mi trascinò a sé, richiamandomi col suo potere e arrivando a toccare la mia pelle con le sue mani nere d'oscurità. «Alla vecchia maniera, allora.»

E strinse ancora, graffiandomi.

Ma aveva fatto male i suoi calcoli e scordato di valutare le variabili di quello scontro. Aveva di nuovo commesso un errore di valutazione, sminuendo la minaccia.

Perché si era dimenticata di Valerin.

Mentre io ed Eden soffocavamo piano, e la Traditrice dissetava il suo bisogno di vendetta cibandosi del nostro dolore, la ragazza era strisciata sul pavimento e aveva raggiunto la Corona.

No! Gridò questa nella mia testa e anche in quella di Zelveen, che voltò di scatto il capo. Ma troppo tardi. Il suono di quello strillo mi perforò i timpani, facendomi sanguinare le orecchie.

Le dita di Val si strinsero intorno al freddo metallo come quelle della Traditrice facevano intorno al mi collo.

E, in un infinitesimo di secondo, la spezzò.

Silenzio.

Silenzio seguito da un boato che sprimacciò le chiome degli alberi guariti, che spinse lontano i draghi ancora in volo, che spazzò via le viverne le quali si dissolsero come se non fossero mai esistite, che fece cadere Zelveen, che annullò i rumori della guerra.

Mi ritrovai a terra su palmi e ginocchia. L'aria m'invase violentemente i polmoni con un respiro rauco. Eden, poco dietro di me, tossì. E Valerin...

Valerin, sdraiata e con gli occhi rivolti verso il cielo, emetteva dei flebili rantoli.

Il vestito, il cui spacco si apriva su una coscia, mostrò la sua pelle che da rosea stava diventando pian piano color cenere. Mi avvicinai a lei trascinandomi e ignorando le ferite che mi bruciavano dentro e fuori. I suoi pugnali erano abbandonati a terra, inutili.

«Val» piagnucolai, afferrandole la mano fredda.

Il grigiore aveva raggiunto gli arti, rendendone la pelle così sottile da sembrare un foglio di carta bruciato. Le sue dita mi si screpolarono sul palmo, e il mio tocco non riuscì a guarirla. Avevo rinunciato al mio potere. Non esisteva più il mio potere.

Avrei voluto trattenerla, ma bastava sfiorarla e lei... lei...

«Ti perdono.» Singhiozzai cercando di stringerla senza disintegrarla.

I suoi occhi, che erano rimasti incollati alle nuvole che pian piano si aprivano sul cielo azzurro come le sue iridi, si spostarono su di me. Non un movimento del volto o delle labbra, non una parola, nulla. Solo quello sguardo che mi trafisse l'anima. E il grigiore che le cresceva sul viso portandosi via il suo ultimo respiro affaticato.

«Ti perdono!» urlai, sporgendomi su di lei. «Ti perdono ti perdono ti perdono!»

Ma non poteva sentirmi, perché si alzò un vento gentile che decompose il suo corpo in milioni di particelle di cenere, portandole con sé sulla valle e attraverso il regno. La sua essenza, per sempre, avrebbe accompagnato quella dei grandi regnanti le cui polveri ancora volavano nell'aria. Posai le mani sulla pietra, i capelli mi scivolarono lungo le guance e sfiorarono il punto in cui Valerin aveva salvato tutti noi. Battei una mano con tanta forza da sentire una scarica di dolore fino al gomito e poi lungo la spalla. Mi mancava il fiato, la gola bruciava non solo per la stretta disumana di Zelveen, ma anche per quel pianto che m'imbrattava la faccia e mi accecava. Mi ritrovai con le mani vuote e gli occhi colmi di lacrime. Nel petto, il cuore batteva a ritmo di una melodia straziante.

Attraverso il luccichio nelle stille salate che mi tremolavano tra le ciglia, individuai i pugnali di Valerin abbandonati a terra. Sentii una rabbia cieca e irrefrenabile crescermi nella gola quando, pulendomi il naso col dorso della mano, ne afferrai uno e mi tirai su.

Mi voltai, pronta a mettere fine a quella storia, e trovai Zelveen che si guardava i palmi impotenti e privi di magia.

«No...» frignò, tremando. «Cosa hai fatto!»

I resti della Corona, ormai inoffensiva e senza vita, arrugginirono sotto il tocco della Traditrice quando strisciò verso di essi, li recuperò e tentò di rimetterli insieme.

«Hai perso, Zelveen» affermai, riprendendo il controllo del mio respiro e della mia voce priva di gioia, insensibile alla vittoria. Il braccio la cui mano stingeva il pugnale mi pendeva inerme lungo un fianco.

Lei prima graffiò la pietra del pavimento con le sue lunghe unghie affilate, poi si tirò in piedi abbandonando a terra i due pezzi della Corona. «Tu» gracchiò, «tu mi hai tolto tutto ciò che era mio!»

Mosse alcuni feroci passi verso di me, decisa ad attaccarmi. Mi si avventò addosso sperando di uccidermi a mani nude, ora che la magia che l'aveva tenuta in vita tutto quel tempo si era dileguata. I suoi artigli mi ferirono il viso, ma io nemmeno li sentii. Quella faccenda si era protratta fin troppo a lungo, perciò risposi attaccando a mia volta.

La lama di Valerin tagliò la sua carne millenaria e trovò il centro del cuore.

Zelveen sussultò, sorpresa.

Non cercai di cacciare le lacrime di dolore e di rabbia. E non tentai di rendere salda la voce quando avvicinai le labbra al suo orecchio e le sussurrai: «Va' all'inferno».

«Tu...» le sfuggì un mormorio soffocato. Le sue iridi, fisse sulle mie, tremolarono. Poi, però, si svuotarono.

Quando il suo corpo cadde a terra, lo fece senza grazia. La pelle le raggrinzì e i capelli divennero bianchi. Quel volto bello e terrificante aveva assunto le fattezze di una vecchia; il tempo, che così a lungo aveva ingannato, arrivò a punirla e a recuperare gli anni che lei aveva rubato. Il sangue colò dalla ferita sul petto, coagulandosi sulla pietra in una pozza nera come il suo cuore trafitto.

Finita.

Era finita. E Zelveen era morta.

Non potei fare nulla per impedire alle mie spalle di curvarsi e di tremare sotto i singhiozzi che mi sconquassarono il petto. Nemmeno le calde e salde mani di Eden che mi vi si posarono sopra riuscirono a interrompere quel pianto sincopato.

Un grido lacerante mi si arrampicò in gola ed echeggiò lungo la valle, dove gli scontri si stavano arrestando. Non più potenziati dalla magia della Traditrice, gli umani erano inermi di fronte ai soldati Inversi.

La guerra era conclusa.

Eden, da dietro, mi strinse in un abbraccio. Le sue labbra si posarono sulla mia guancia, cancellando una scia di lacrime. «È finita.»

Mi voltai tra le sue braccia e nascosi il volto nell'incavo del suo collo, anche se ancora sporco del sangue suo e di altri. Non riuscii a smettere di piangere nonostante lui mi tenesse contro di sé, mi accarezzasse la schiena e m'infilasse una mano tra i capelli con intento rassicurante.

Avevamo attraversato regni e mondi per ritrovarci lì, sulla cima di una torre, con un esercito vittorioso che sollevava in alto le spade cantando e gridando con gloria il mio nome. Avevamo affrontato la distanza di un intero oceano, le corti di due regni inospitali, la prigionia. E poi, la morte degli amici.

«Sei qui con me, è finita» sussurrò Eden con voce rotta, lasciandomi un bacio sulla testa.

Col viso umido e stanco poggiato sulla sua spalla, gli occhi mi caddero sul punto in cui era morta Valerin, e mi resi conto che non era il mio perdono che avrei dovuto offrirle, ma la mia gratitudine.

La mia e quella del Mondo Inverso che aveva salvato col suo sacrificio.

E che avrebbe ricordato il suo, di nome.

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