7- AUREEN
«Il re desidera riposare» comunicò Eden ai servitori che attendevano fuori dalla porta. «Che nessuno lo disturbi.»
Piegarono la testa in segno d'assenso e mi osservarono con la coda dell'occhio. Percepivo giudizio in quegli sguardi.
Cercai d'ignorarli e passai oltre.
Seguii Eden lungo il corridoio illuminato. Una serie di archi si aprivano sulle verdi colline al di sotto del palazzo. Leggere folate di vento tiepido mi scompigliarono i capelli. Lasciai che il canto degli uccelli, e il profumo intenso delle rose rampicanti che crescevano sulle mura esterne, mi riportassero ai giorni felici della mia infanzia.
«Mi ero quasi scordata di quanto fosse meraviglioso questo posto.»
Eden, che mi precedeva, voltò un poco la testa per mostrarmi quel suo profilo insolente. «Intendi rispetto al tuo appartamento infestato dai topi?»
«Intendo rispetto a qualsiasi posto che non sia questo, Eden.»
Lui si voltò e incrociò le braccia al petto.
Lo osservai, uno po' interessata al modo in cui la maglia gli si tendeva sul davanti, un po' infastidita da quel suo modo sicuro di muoversi.
«Mi stai di nuovo sbavando addosso» gongolò, sollevando un sopracciglio.
«Che arrogante, che sei.» Sollevai il mento, sperando che le mie guance non si fossero tinte di rosso. «So cosa stai facendo. Ma la tua sfacciataggine non riuscirà a distrarmi...»
Andai all'apertura di uno di quegli archi che si susseguivano lungo tutto il perimetro del palazzo. Posai i gomiti sulla pietra chiara e mi ficcai le mani tra i capelli.
Il calore della sua mano si posò tra le mie scapole e un fremito sconosciuto mi percorse tutta. «Scusami» sussurrò con dolcezza, «non è il momento di fare l'idiota.»
Alzai lo sguardo e fissai i miei occhi nei suoi. Da quella distanza riuscivo a vedere l'anello dorato intorno alla pupilla. Un raggio di luce lo colpiva alle spalle.
«Non sei tu il problema» sospirai.
«Oh, mi rincuora» scherzò, senza smettere di accarezzarmi la schiena. Gli lanciai un'occhiataccia e lui sollevò le mani in segno di resa. «Be', Reen, non posso prometterti che sarà facile. Ma hai l'occasione di combattere. Non era ciò che volevi?»
«Con spade e pugnali» specificai, «non con indosso una gonna.»
Si strinse il labbro inferiore tra i denti. «Oh, posso assicurarti che una gonna, alle volte, può essere più letale di una lama.»
«Vuoi smetterla di fare il cascamorto?»
Sollevò gli occhi al cielo e si poggiò con un gomito al parapetto. «Hai ragione, forse sarebbe meglio senza gonna.»
«Non sei d'aiuto.» Gli diedi una spintarella. «A cosa si riferiva mio padre?»
Il volto di Eden divenne di colpo di pietra.
«Vieni con me.» Mi afferrò per il polso e mi tirò dietro di lui.
Superammo gli appartamenti reali del re, scendemmo una serie di scale illuminate da fiaccole, oltrepassammo le cucine, percorremmo la sala del trono dove un gruppetto di dame sussultò nel riconoscermi, e ci fiondammo su una ripida scala dai gradini irregolari che conduceva giù nel sottosuolo.
«Non dovremmo essere qui» sussurrai, come quando eravamo bambini.
Milioni di volte avevamo percorso quello stesso tragitto, e milioni di volte ci eravamo ritrovati di fronte alla medesima enorme porta di quercia e ferro. Era invalicabile, per quanto avessimo tentato con tutte le nostre forze di bambini di arrivare a ciò che si trovava oltre.
E ricordo anche i severi rimproveri e le punizioni, quando di tanto in tanto eravamo stati scoperti. Eden portava ancora i segni sbiaditi di una frustata all'altezza del collo. La guardia che lo aveva colpito, comunque, era stata bandita dal palazzo dal re in persona. Ma il divieto di tornare lì si era fatto più definitivo e, di conseguenza, la nostra curiosità si era fatta più pungente.
Da quel giorno, però, non avevamo più trovato divertente sgattaiolare fin laggiù. Ci sdraiavamo piuttosto sul mio letto a fissare il soffitto e, a turno, tentavamo d'indovinare cosa ci fosse al di là della porta.
Eden mi sorrise. Lessi nei suoi occhi gli stessi ricordi che scorrevano nei miei. «Nessuno può più dirti dove puoi o dove non puoi stare, Reen.»
L'intensità del suo sguardo mi formicolò addosso.
«Che ci facciamo qui?»
«Aprila» mi ordinò, mandando un cenno alla porta.
«Non posso. È invalicabile, lo sai.»
La verità era che non volevo farlo. C'era qualcosa, una strana sensazione nello stomaco che mi suggeriva di darmela a gambe e, allo stesso tempo, di fiondarmi in quella cripta.
Lui fece un passo avanti e tentò di forzare la maniglia. «Per me o per chiunque altro sì. Per un Delthar di sangue reale, invece, si aprirà.»
«Non l'ha mai fatto.»
Eden sbuffò, ma era divertito. «Che c'è, Aureen di Delthar, hai paura di una porta? Sai, eri più coraggiosa quando non eri più alta di uno gnomo.»
Roteai gli occhi e lo colpii con una spallata. «Levati di mezzo.» Strinsi la presa sulla maniglia e tirai giù. Ci fu lo scatto della serratura e il cigolio della porta che si apriva. «Come diamine...»
Eden poggiò i polpastrelli sul legno e la spinse. Si spalancò del tutto stridendo dolcemente sui cardini. La densa oscurità era rischiarata da tentacoli di luce azzurra che si contorcevano intorno a un qualcosa posato su un piedistallo al centro della stanza.
Strinsi gli occhi e feci un passo avanti. «Cos'è?»
Un altro passo.
Un altro ancora.
Mi ritrovai abbastanza vicina da riuscire a distinguere il profilo nero di una corona. Ogni punta sembrava affilata quanto un pugnale, e ogni dettaglio e intarsio vibrava di potere. Ne ero visceralmente attratta.
D'un tratto sentii la mia razionalità e la mia coscienza farsi sempre più lontane, come se la mia testa fosse un involucro vuoto pronto a ospitare l'energia oscura che aleggiava intorno alla Corona di Tenebre.
Allungai una mano, pronta ad afferrarla e a posarmela sulla testa. Sentivo che insieme a essa avrei potuto fare qualunque cosa, essere qualunque cosa. Era una promessa di potenza e caos.
Poi, però, la stretta calda della mano di Eden si avvolse intorno alla mia mano. «Vacci piano, Altezza» mi ammonì. La sua voce era roca, come se anche lui sentisse tutta la tentazione che proveniva dai raggi di luce grigio-azzurri. «Non toccarla.»
Singhiozzai, come se fino ad allora mi fossi trovata sott'acqua. Feci un passo indietro e andai a impattare contro il suo torace.
Lui mi premette il suo avambraccio sul petto e mi tirò indietro. Una parte di me avrebbe voluto divincolarsi e tuffarsi sulla Corona.
Superammo la soglia e, senza aspettare che glielo ordinassi, si tirò dietro la porta. Il legame insano che si era creato tra me e l'oggetto si spezzò. Fu come se non ci fosse mai stato, tranne che per la fitta allo stomaco e il leggero indolenzimento delle tempie.
«Cosa diavolo era quella roba?»
«Quella, Aureen, è il motivo per cui non puoi andare via e rinunciare alla successione al trono.» Non mi era mai sembrato tanto serio.
«Non riesco a capire...»
«Zelveen la Traditrice è stata liberata. E la Corona di Tenebre sta convocando la propria legittima padrona: te.»
Lo guardai ancora con piglio interrogativo.
«Sei stata via troppo a lungo, eh?» Percepii una nota di rimprovero, ma la ignorai. «La Corona ci sta avvertendo del pericolo. La Signora delle Tenebre sta arrivando per distruggerci tutti e regnare sulla cenere. Al nostro regno serve una guida. E la Corona vuole te. L'altro giorno, nella foresta, io e Jar non siamo riusciti ad annientare l'ultimo umano sotto il controllo della Traditrice. Era più forte degli altri, più impregnato di magia. Ma tu sei riuscita a ucciderlo. A farlo... dissolvere.»
Boccheggiai, del tutto disorientata.
«Che significa che vuole me? Quella cosa voleva dominarmi!» Indicai la porta.
«E tu non puoi lasciarglielo fare. Non devi toccarla.»
«Perché?»
I suoi occhi verdi s'incupirono. «Tuo padre l'ha fatto. Io ero con lui. Ero di guardia fuori dalle sue stanze quando una notte si è svegliato. Sentiva che la Corona lo stava chiamando. L'ho seguito giù per queste stesse scale, nonostante avessi tentato di dissuaderlo. Pensavo fosse impazzito, ed ero altrettanto convinto che la porta non si sarebbe aperta.»
Dalla postura rigida e della voce roca avvertii il senso di colpa che lo divorava.
«Ma la Corona di Tenebre si era risvegliata, perciò è riuscito a entrare lì dentro. Ma hai detto bene: è la Corona a dominare. E lei non ha scelto tuo padre.»
«È... così che si è ammalato? È stata quella cosa?»
Eden annuì e abbassò lo sguardo.
«Lui sapeva cosa nascondeva? È per questo che ci ha sempre vietato di gironzolare da queste parti?»
«Nessuno sapeva cosa nascondesse, solo lui. Segreto di famiglia, immagino. I Delthar se lo tramandano da generazioni, non rivelandolo ad anima viva. Nessun tipo di magia è mai riuscito ad aggirare i sigilli che tenevano chiusa la porta, perciò il resto della corte ha sempre dato per scontato che non nascondesse nulla di buono, e se ne è dimenticata come si fa con gli scheletri nell'armadio.»
Ingoiai un groppo amaro.
«Mi dispiace, Reen. Avrei dovuto sollevarlo di peso e trascinarlo via...»
«Dimentichi che mio padre, prima di ammalarsi, era più grosso di te. Non saresti stato in grado di spostarlo.»
Strinse i denti e un muscolo gli guizzò sulla mascella.
«Cosa ti dice che la Corona voglia me?»
I suoi occhi si risollevarono nei miei.
«Perché sei l'unica Delthar di sangue reale a parte tuo padre.»
«E se mio padre... se lui...»
«Non è stato promiscuo. Non ci sono bastardi in giro per il regno, me lo ha assicurato» un lampo d'orgoglio gli illuminò lo sguardo. «Amava tua madre. Sempre.»
Deglutii il sollievo.
«Quando è successo?»
«Due mesi fa, circa... quando tuo padre si è risvegliato nella sua stanza era parecchio debole. Ma è comunque partito in gran segreto per presentarsi al cospetto del drago Askarden e assicurarsi che Zelveen fosse ancora imprigionata. Ma il corpo della bestia, sotto i cui artigli giacevano i corpi di alcuni umani, era stato smembrato. E i sigilli che tenevano la Traditrice intrappolata negli abissi, distrutti. Io ero con lui, l'ho visto con i miei occhi.»
«È un disastro.»
Lui annuì e un silenzio grave ci piombò addosso.
Questo, venne interrotto dal rombo delle campane. Solo un'altra volta nella vita avevo udito quel suono.
Quando era morta la regina Sadriana di Delthar.
Mia madre.
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