68- AUREEN
Il viaggio fino al portale fu abbastanza breve.
Lo sarebbe stato ancora di più in groppa a un drago, ma Ghoranat era stato chiaro su questo punto: lui e il suo popolo erano nostri alleati, non nostri schiavi.
Mangiammo in cammino e ci abbeverammo ai torrenti. Quantomeno, quando ne trovavamo di abbastanza puliti perché l'acqua non ci avvelenasse. Il marciume era ovunque. Tanto esteso che ci ritrovammo a camminare su poltiglia maleodorante. Non si udiva un suono che non fosse lo scalpiccio umido dei nostri stivali, segnale che gli animali che abitavano quei luoghi erano fuggiti alla ricerca di terre più vive. Terre che non avrebbero trovato. O forse, semplicemente, erano morti.
«Come faremo a far ricrescere tutto?» domandai in un soffio.
Delthar era stata dimenticata dagli dèi.
Eden mi afferrò una mano e la strinse nella sua calda e forte. «Troveremo un modo.»
Indossami, Regina di Tenebre. Repressi un brivido.
«Ci siamo.» Eden indicò un'increspatura dell'aria.
La magia del portale poteva sfuggire a un occhio poco attento, ma non a noi. Quando, mesi prima, avevo varcato quello stesso passaggio, l'umido ambiente circostante mi era persino sembrato accogliente. Ora, invece, intorno a noi era tutto grigio, triste e inanimato. Gli alberi che ancora resistevano in piedi minacciavano di crollare a terra da un momento all'altro.
«Dovremmo tornare al nostro aspetto umano» riflettei, guardando dritto davanti a me.
Eden non rispose, ma quando mi voltai verso di lui, i capelli biondi che sembravano fatti di luce avevano lasciato il posto ai morbidi ricci scuri. Mi sorrise, sfoggiando una fossetta solitaria. «Pulisciti la bava, Altezza.»
«Oh, ma smettila.» Lo colpii con una spallata.
Lui sghignazzò massaggiandosi il braccio. In realtà, non riuscivo a capacitarmi di come potesse risultare tanto bello anche in quella forma. «Sei palesemente tra i preferiti degli dèi.»
«Mi ferisce che te ne sia accorta solo ora.» Mi posò un dito sotto il mento con fare tenero. «Ora tocca a te.»
Sbuffai. Poi chiusi gli occhi e mi concentrai per bene. Visualizzai nella mente l'immagine che per due anni mi aveva restituito lo specchio nel mondo umano. Capelli biondi e mossi dalle punte rossastre, pelle pallida, fisico esile ma snello.
Quando li riaprii, Eden aveva ancora il dito sotto il mio mento. «Decisamente la preferita degli dèi. In ogni tua forma.»
Lo guardai vagamente scocciata, ma mi tradì il sorriso che mi spuntò sulle labbra.
«Andiamo» ordinai poi.
Lui mi strinse una mano. Di nuovo insieme attraversammo il portale.
Ci trovavamo all'interno del museo che ospitava il quadro che fungeva da passaggio tra i due mondi. Era pieno giorno, ma la galleria d'arte era deserta. Ci apparve da subito molto strano, perciò uscimmo in strada senza preoccuparci di mascherare il nostro passaggio con una nebbia di fumo, e trovammo la città nel caos. Capimmo che l'influenza della Traditrice aveva scombussolato le regole delle terre umane. Le vetrine dei negozi erano state distrutte, il suono martellante degli allarmi risuonava per le vie, la gente correva pronta a dare battaglia al vicino. Era la pura anarchia. Uomini che giravano armati, donne che derubavano i supermercati, griglie dei tombini divelte e dai quali sgorgava la putrida acqua delle fogne.
Il cielo era oscurato da una densa nube grigia di fumo. Non era affatto il mondo che avevo lasciato per tornare a Delthar.
Eden afferrò un vecchio per il bavero della giacca. «Cosa sta succedendo?»
«La gente...» l'uomo si portò le mani alla testa come se volesse strapparsi i capelli. «La gente è impazzita, sono tutti fuori di testa! La polizia è sparita, il governo ci ha abbandonati. Questa è l'apocalisse!»
Eden allentò la presa e, non appena lo lasciò andare, il vecchio riprese a correre.
«Questo mondo non può sopportare la presenza di un potere tanto forte e tanto oscuro» ipotizzai.
In fondo alla strada, gli espositori di un fioraio erano stati buttati sull'asfalto. La terra era esplosa sul marciapiede, e i fiori caduti erano stati calpestati. Ma, seppur malconci, non erano in fase di putrefazione. Quantomeno Zelveen non aveva diffuso il suo morbo.
«Dobbiamo trovarla al più presto.»
«E come?» Mi guardai attorno, senza avere idea da che parte iniziare. In quella città sembrava scoppiata una bomba, e noi ci trovavamo ai margini più lontani della detonazione.
«Dobbiamo trovare il cuore del caos» suggerì Eden.
«Dobbiamo salire. Raggiungiamo la cima di un palazzo e studiamo la città dall'alto.» Lo presi per una mano e me lo tirai dietro.
«Mi piaci quando metti in moto il cervello.»
«Sarebbe fantastico se di tanto in tanto lo facessi anche tu.» Scavalcai un cumulo di vetri rotti per entrare nell'hotel ormai abbandonato.
«Touché.»
Alla reception, ovviamente, non c'era nessuno. L'ascensore sembrava passato in una centrifuga: era bozzato dappertutto e il tetto era stato tirato via, lasciando visibili i cavi elettrici dai quali schizzava qualche scintilla. Non era sicuro. Perciò optammo per le scale e raggiungemmo il tetto.
Da quell'altezza, la situazione sembrava persino più disastrosa. Nella strada che avevamo da poco abbandonato, un gruppo si era messo ai lati di un'automobile e, dondolandola, la capovolsero. Il delirio si propagava a vista d'occhio. Ma, osservando attentamente, il centro nero si trovava a qualche isolato.
«Non ci posso credere.» Risi amaramente. «Zelveen si nasconde al Jak's.»
Il locale nel quale avevo lavorato per ben due anni fumava come se gli fosse stato dato fuoco. E la violenza che gli si scatenava attorno era più concentrata che nel resto della città.
«Che coincidenza» commentò Eden, ironico.
La Corona nello scrigno vibrò così forte che fui costretta a reggere la sacca per tenerla ferma.
Oh, Regina di Tenebre... è il nostro momento. Liberami.
«Credo ci stia avvertendo del pericolo.»
Lui sbuffò. «Grazie tante, non ce ne eravamo accorti.»
«Che facciamo?»
«Quel per cui siamo venuti qui. L'andiamo a prendere.»
Un tentacolo di fumo azzurrognolo si liberò dallo scrigno e mi accarezzò la guancia. Da lì che il mio cuore batteva come un tamburo, una strana calma mi pervase. Il respiro rallentò e intorno a me parve calare un silenzio confortante. Con un pollice accarezzai il tessuto sulla sacca. Poi, però, cacciai via la tentazione e, sotto lo sguardo attento di Eden, il fumò si dissolse.
«Andiamo» ordinai.
Una volta giù, il gruppo che avevamo visto dall'alto se ne era andato, ma non prima di cospargere l'auto di benzina e darle fuoco. Ci acquattammo dietro un bidone scassato quando due tizi mascherati sbucarono da un vicolo armati di motoseghe.
Con cautela uscimmo dal nascondiglio e iniziammo a percorrere le vie. In più occasioni fummo costretti a correre a ripari. Mi tappai il naso davanti a un corpo che giaceva in un angolo.
Dèi...
«Ferma.» Eden mi afferrò per un gomito e io mi appiattii contro una parete insieme a lui. Ci arrivarono alle orecchie delle risate sguaiate e inquietanti, seguite dallo stridere di qualcosa di metallico sull'asfalto. «Ci siamo quasi. Superato questo blocco di edifici, siamo al Jak's.»
Mi sporsi un poco oltre il muro e vidi una coppia di uomini seduta sul marciapiede. Stavano scuoiando qualcosa, non volevo indovinare di che animale si trattasse. Avevano gli avambracci coperti di sangue e i sorrisi crudeli. A terra, un forcone da giardiniere.
«Torniamo indietro e cerchiamo un'altra strada» proposi.
Quando provammo a ripercorrere il tragitto a ritroso, fummo costretti ad appiattirci nuovamente contro la parete. Un gruppo di squilibrati armati stava passando proprio di lì.
«Abbiamo superato un campo minato di trappole e pericoli. Dobbiamo andare avanti, Reen. Ci conviene affrontare i due sul marciapiede, che questi svitati.»
«D'accordo, due pazzi possiamo gestirli.»
Eravamo passati al nostro aspetto umano, ma indossavamo ancora i nostri abiti da Inversi. I miei mi andavano leggermente larghi, ma non ci feci caso. Ciò a cui prestai attenzione, furono le armi che avevamo ancora assicurate alla cintura.
«Va bene» sfilai uno dei pugnali e uscii dal nascondiglio. «Sono pronta.»
Eden imprecò. «Dovevamo prima strutturare un piano!»
Gli sguardi dei due si sollevarono su di noi. Avevano gli occhi spalancati e i sorrisi larghi di chi era del tutto fuori di testa.
Eden si sistemò al mio fianco, estraendo la spada dal fodero.
Mi misi in posizione. «Dobbiamo ferirli ma non ucciderli.»
«Che?»
Un coltello dalla lama seghettata ci schizzò contro, ma Eden lo schivò per un soffio spostando la testa di lato. Poi mi guardò con un sopracciglio inarcato, sottolineando quanto la mia fosse un'idea di merda.
«Non ucciderli» ribadii.
Quelle persone non avevano idea di cosa stessero facendo. Erano innocenti.
Lui roteò gli occhi. «Come Sua Altezza comanda.»
I due si alzarono in piedi abbandonando la carcassa sull'asfalto. Era di un cane. Dovetti ordinare a me stessa di mantenere la calma. Ma alla vista dell'animale, devo ammettere che l'idea di ammazzarli e basta mi parve alquanto invitante.
Non è colpa loro mi ripetei.
Ne sei sicura? Mi stuzzicò la Corona. La presenza della Traditrice ha solo incoraggiato i loro cuori crudeli.
Serrai la mascella e tentai di ignorarla.
Affrontammo quegli umani e ne uscimmo con qualche graffio. Si erano rivelati più forti delle aspettative, come se la presenza di Zelveen elargisse loro un'energia insolita. Ma alla fine non ci fu comunque bisogno di farli fuori.
Corremmo e imboccammo il vicolo ora libero. C'era un odore terribile. E più ci avvicinavamo al Jak's, più si intensificava anche la puzza di zolfo, molto simile a quella di Kodor.
«Di qua.» Afferrai Eden per una manica e me lo tirai dietro mentre svoltavo per schivare un paio di donne che si muovevano come zombie. E alla fine ci ritrovammo davanti alle porte del locale.
«Merda...» sussurrò Eden.
L'entrata dell'edificio era bloccata da una dozzina di umani. Non di quelli pazzi che ci inseguivano, ma di quelli con le sclere grigie e le pupille vuote.
«Almeno abbiamo fatto bingo.»
«Che fortuna» sbottai, ironica.
Avevano le Pietre Blu dell'Annullamento. Perciò, anche se avessimo voluto ricorrere ai nostri poteri, che comunque non ci avrebbero salvati, non avremmo potuto farlo.
Liberami, mia padrona.
Spire di fumo azzurrognolo uscirono dalla sacca e mi si avvolsero attorno. Mi sfiorarono la pelle, solleticandola. Poi però mi abbandonarono per spingersi verso gli umani, andando quindi a confondersi con spire gemelle alle spalle di questi.
Spire di fumo che celavano la figura di una donna.
Fece un passo avanti e i suoi discepoli le fecero spazio. Poi il fumo si diradò mostrando un viso bellissimo. Un viso che avevo già visto in un quadro.
Lunghi ricci scuri, occhi neri come la notte, una pelle di porcellana, un abito fatto d'oscurità e un sorriso antichissimo.
«Zelveen...» sussurrai col fiato corto.
Lei chinò lievemente il capo in un saluto. «Mia erede.»
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