65- EDEN
«Quindi...» guardai il drago negli occhi, «non hai intenzione di uccidermi?»
Eravamo ancora nella caverna. Le creature sopra di noi battevano le ali creando violenti turbini di vento. Stridevano e graffiavano la roccia sotto gli artigli.
Ghoranat, il loro capo, emise un suono che somigliava a una risata. Aveva ingoiato la palla di fuoco prima che questa gli abbandonasse le spaventose fauci.
«È il sapore della paura a saziarmi. Ma la tua è inquinata dal retrogusto della lealtà. Cibarmi di te non mi darebbe soddisfazione.»
«Hai detto che vuoi il sangue della mia stirpe.»
«Non sei l'unico nelle quali vene scorre il sangue reale delle Terre Libere, o sbaglio?»
Quello che mi rivolse avrebbe potuto essere un sorriso complice, se quelle enormi zanne non lo avessero fatto sembrare più un ghigno crudele.
Ricambiai.
Poi il drago si chinò, gesto che immaginai non facesse da secoli. Mi sentii intimorito da quel rispetto, ancor di più quando con il muso mandò un cenno verso la propria groppa. «Fai attenzione a non tirarmi le scaglie.»
Feci un passo indietro. «Tu vuoi che... io salga? Sulla tua schiena?»
«Prima che perda la pazienza, Eden di Delthar e delle Terre Libere.»
Sbattei più volte le palpebre, poi mi mossi in avanti e raggiunsi cauto il suo fianco. Avevo un tamburo nel petto. Con la coda dell'occhio continuai a tenere d'occhio ogni suo movimento, terrorizzato che potesse scattare all'improvviso, mentre mi avvicinavo e allungavo una mano tremante verso di lui.
«Non so come fare» ammisi.
Per arrampicarmi, avrei dovuto afferrarmi alle sue scaglie. E anche se mi aveva promesso la sua alleanza, non era escluso che mi divorasse in un sol boccone se gliene spezzavo una.
Lui grugnì, infastidito dalla mia reticenza. Non me l'avrebbe di certo resa più comoda chinandosi un altro po' per facilitarmi. Presi un bel respiro e mi aggrappai. Con un movimento agile mi tirai su di poco. Posizionai mani e piedi fingendo di scalare una montagna, e alla fine gli fui in groppa. Mi trattenni dall'emettere un grido soddisfatto.
«Tieniti forte, principe.»
«Io non sono un principAAAAAAAA» il mio urlo venne risucchiato nel vento quando Ghoranat si lanciò in aria.
Le pareti della caverna, sulle quali erano appollaiati gli altri draghi, ci sfrecciarono tutt'intorno stridendo e mordendo l'aria. Non erano bestie pacifiche, amavano la paura e l'adrenalina. In pochi battiti d'ala fummo fuori dal cratere sulla cima del faraglione. Eravamo posizionati verticalmente senza alcun tipo di precauzione a tenermi ancorato al drago. Sentii il tessuto lacero delle brache scivolare sulle squame lucide.
«Oh, no. No no no.»
«Tieniti forte» sghignazzò il re dei draghi.
Il cielo era nero coperto da sottili nuvole, le quali assorbivano la luce argentea delle stelle. Era come guardare milioni di punte di diamanti perforare la volta celeste, sporca qua e là dai cirri che si muovevano lenti.
Stavo pian piano slittando verso la coda di Ghoranat.
«Cazzo!» imprecai, cercando con i polpastrelli un attrito sulla pelle ruvida del drago.
Strinsi i denti per lo sforzo e mi afferrai con più vigore, rischiando di farlo incazzare per quella invadenza. Lui volteggiò su se stesso con le ali lungo i fianchi. Lo stomaco mi si contrasse in spasmi incontrollabili. Si stava divertendo. Io, invece, rischiavo di riversargli addosso quel poco che avevo nello stomaco. Bucammo una nube e ci ritrovammo faccia a faccia con la luna piena. A quel punto, grazie agli dèi, si posizionò in orizzontale.
«Vuoi uccidermi!» gli urlai, strisciando in avanti per tornare sulla groppa.
«I tuoi avi non avevano paura dell'aria, principe.»
Era inutile discutere, perciò mi morsi la lingua. Anche perché decise di scendere in picchiata, ignorando le mie proteste e raggiungendo in un istante il livello del mare.
L'uomo che mi aveva condotto fin lì a bordo della sua barchetta, mi guardò con la bocca aperta. Parve quasi sul punto di dire qualcosa, nonostante fosse muto.
«Grazie!» Sventolai una mano nella sua direzione, per poi portarla di nuovo subito sulla scaglia. «Ora puoi tornare a casa!»
Lui mi seguì con gli occhi, ma presto dovetti distogliere lo sguardo perché Ghoranat sbatté le sue grosse ali portandoci lontano dal faraglione. Gli altri draghi ci raggiunsero e si posizionarono dietro di noi in una formazione a punta, pronti a seguire il loro capo. Ce ne erano di ogni genere: enormi, più piccoli, rossi, verdi, blu. Qualcuno era persino più spaventoso di quello che stavo cavalcando io, con mandibole più squadrate e denti più sporgenti.
Le onde del mare sotto di noi accarezzarono la pancia di Ghoranat, il quale sfiorò la superfice dell'acqua con i suoi artigli affilati.
La capitale, che da lì che sembrava un puntino lontanissimo, divenne sempre più vicina. Il volo del drago era così stabile che sembrò che fosse Arhanat ad avvicinarsi a noi, e non noi a lei.
«Ora saliamo» mi avvisò il drago.
Mi afferrai forte, ma quasi non ce ne fu bisogno. Perché questa volta raggiunse le nuvole con più grazia. Il suo esercito di creature alate fece altrettanto. Poi, dall'alto, vidi il castello.
E realizzai che ero venuto a conquistarlo.
Tagliai la testa di mio nonno con un colpo secco.
L'irruzione con i draghi fu un successo. Re Noah non si aspettava quell'attacco, perciò non poté fare nulla per contrastare il fuoco dei draghi. Decine e decine di suoi fedeli sudditi vennero arsi vivi. Mentre coloro che avevano deciso di schierarsi con me, principe figlio di Icarius, vennero risparmiati.
Il re delle Terre Libere non aveva mostrato clemenza nei confronti del suo primogenito, nei confronti di mio padre, nei confronti di mia madre, nei confronti miei.
Perciò io non mostrai clemenza nei confronti suoi.
Lui però non si tirò indietro. Nemmeno lottò, non aveva più nessuno a schierare gli scudi davanti a lui. Quando lo raggiunsi nella sua camera da letto, mi stava aspettando in piedi sul balcone e osservava la ferocia dei draghi che si scagliavano sul suo castello. Quanto doveva averlo fatto arrabbiare la consapevolezza che anni e anni di sue trattative con loro non lo avevano portato a nulla? E che a quel punto, invece, arrivavo io a espugnare la fortezza?
Indossava una vestaglia di seta color porpora. «Non avrei dovuto sottovalutarli» fu l'unica cosa che disse.
«Avete commesso il vostro errore molto prima di incontrare me» risposi, sollevando la spada che avevo rimediato.
Lui non ribatté. Mostrò il collo e lasciò che la mia lama si abbattesse su di lui. Come promesso, Ghoranat si cibò del suo corpo.
Quando arrivai alla sala del trono, trovai Sonan ad aspettarmi. Avevo disposto che venisse liberato, che gli fosse servito del cibo e che gli fosse preparato un bagno; ma lui era lì sporco, tremante e affamato che aspettava solo me. Gli stracci che aveva addosso si reggevano per miracolo. In contrasto con il lusso del palazzo, la sua barba lunga e la sua pelle macchiata di sporcizia mi fecero male allo stomaco. Quel che aveva subito era stato ingiusto. Non avrei mai potuto restituirgli gli anni persi, ma potevo donargli quella testa. La donavo a lui, a Zèzè e a tutti coloro che erano sopravvissuti alla tirannia di re Noah. E anche a chi era caduto ancor prima del mio arrivo.
«Sapevo che ce l'avresti fatta» mormorò, la voce rotta per l'emozione. «Non mi aspettavo così presto, però... riuscire a compiere tutto ciò a poche ore dalla propria fuga è un'impresa per pochi, ragazzo. Questa prodezza non verrà dimenticata da chi verrà dopo di noi.»
Per la prima volta eravamo l'uno di fronte all'altro. Ero più alto e, anche se deperito per quell'ultimo periodo di agonie, più grosso. Lui, invece, sembra uno scheletro. Posai le mie mani sulle sue spalle appuntite.
«Se non fosse stato anche per te, Sonan, oggi non saremmo qui. Liberi.» Gli sorrisi e lui ricambiò. C'era ancora sofferenza nei suoi occhi stanchi, ma ora era più quieta. «Per il tuo cuore buono, per il tuo coraggio invincibile e per la tua tenacia d'acciaio, io, Eden di Delthar e delle Terre Libere, riabilito il tuo nome, la tua posizione e ti nomino gran cavaliere del...»
Fu allora che realizzai cosa significava per me l'esecuzione di re Noah avvenuta poco prima.
«... del re» completò Sonan, in poco più di un sussurro emozionato.
I miei occhi trovarono i suoi, d'ambra e colmi di lacrime. Annuii, frastornato. «Gran cavaliere del re.»
Gli strinsi un poco più forte la spalla e sbuffai una risata incredula.
«Tuo padre sarebbe fiero» intervenne una voce alle mie spalle. «Una vita non mi basterà per ripagarti.»
«Sono io che saldo un debito, gran cavaliere.» Voltandomi, strizzai un occhio a Jean.
Era malconcio... mi chiesi se a causa degli scontri che erano avvenuti all'interno del castello, o se a causa dell'aiuto che mi aveva dato nella fuga. Teneva la spada di piatto sui palmi aperti delle mani.
«Altezza» posò un ginocchio a terra e abbassò la testa. «Sono venuto a rinunciare al mio ruolo di guardia del reame. Ho tradito la fiducia del principe Icarius e la sua memoria, non merito di servire suo figlio.»
«Forse la mia è una visione fin troppo ottimista, ma nella corte che costruiremo insieme concederò la possibilità di riabilitarsi a chi lo merita. E tu, Jean, mi hai aiutato. Perciò, in nome della corona che ho ereditato e conquistato, io ti concedo il perdono.»
Lui tenne bassa la testa. «Non credo di meritar...»
«Su» mi chinai e lo afferrai per le braccia aiutandolo a rialzarsi, «non disobbedire al tuo Re.»
Non pianse, come invece stava facendo Sonan già da un pezzo, ma la gola gli si gonfiò e la mascella gli si serrò.
«Giuro sulla mia vita di lavorare sodo per meritare la tua clemenza.»
Annuii felice di quelle parole e gli battei una mano sulla spalla. «Ne avrai di occasioni.»
Con la coda dell'occhio catturai un movimento in alto sulla sinistra. Da un'apertura coperta da una griglia sulla parete, lo sguardo vispo di Zèzè trovò il mio.
«Vieni giù» la chiamai.
La sala del trono però era un viavai di gente, domestici e cortigiani in fibrillazione per gli avvenimenti delle ultime ore. Lei, dando prova della sua abilità dovuta all'esperienza, svitò tre delle viti che tenevano ferma la griglia e poi, con un balzo, raggiunse una delle alte colonne di marmo sulla quale scivolò con calma fino a terra.
Le andai incontro e mi piegai su di lei. «Zèzè, d'ora in poi potrai spostarti per il castello come tutti gli altri e avrai una stanza tutta per te.»
Lei fece spallucce. «A me piace la mia tana. L'ho riempita di cuscini e coperte. Rubate» aggiunse in un sussurro, guardandosi attorno.
Sogghignai. «Ma adesso puoi avere un letto grande e comodo. E non dovrai più muoverti nei muri. Sei libera di andare dove vuoi e quando vuoi.»
Lei fece schioccare la lingua contro i denti e scrollò la testa guardandomi come se fossi un idiota. «Sai cosa, Eddy? Non prendo ordini da te. Credo proprio che non ti darò retta.»
Solo lei poteva parlare in quel modo a un re.
Re... che strana parola. Ci avrei messo un bel po' a interiorizzarla e a sentirmi tale. Il peso, però, aveva già iniziato a farsi sentire.
«Non chiamarmi così» la ripresi, scocciato ma anche divertito da quell'irriverenza. «E poi, perché mai dovresti rinunciare alla comodità che meriti?»
L'intensità dei suoi occhi, illuminati dai primi raggi di sole che penetravano dalle alte finestre, mi trafisse l'anima. «Perché la mia tana mi piace».
Il braccio di Sonan mi circondò le spalle. «Non preoccuparti per lei, mi assicurerò io che non le manchi nulla.»
«Quindi ora sei un re?» mi domandò Zèzè, affatto impressionata.
«Pare di sì.»
«Mio padre ne sarà contento. È il caso che qualcuno lo informi.» Detto ciò, scappò via arrampicandosi di nuovo sulla colonna tornando da dove era venuta. Avevo anche disposto che nessuno toccasse le ossa ingrigite dal tempo che riposavano nelle segrete. Sarebbe stata la ragazzina a decidere come omaggiare suo padre.
Era sparita in un attimo e non mi aveva nemmeno dato il tempo di salutarla o di abbracciarla, magari. Ma non credevo avrebbe apprezzato il contatto fisico.
Jean si teneva a debita distanza, ma quando notò la mia espressione raggiunse subito Sonan, entrambi pronti ad ascoltare i miei primi ordini. «Altezza?» chiese quest'ultimo.
«Posso affidarvi il palazzo e l'intero regno per un po'? Devo tornare a casa.»
Li vedevo. Erano minuscoli come formiche.
Mi ero preso un unico giorno per riposare e recuperare le forze, poi però avevo organizzato l'esercito ed ero salito in groppa a Ghoranat. E ora, insieme ai draghi, volavo sopra le navi che veleggiavano verso le coste di Delthar. La distesa d'acqua salata che avevamo superato era parsa infinita. Ma ormai c'eravamo. Mi strinsi il labbro tra i denti quando mi accorsi che quelle minuscole formiche stavano combattendo tra loro. Il vento fresco che penetrava dall'armatura asciugava il sudore causato da quest'ultima.
Persino da quella distanza era possibile notare macchie scure di marcescenza che inquinavano le terre dei cinque regni. La Traditrice si era messa all'opera, approfittando delle dispute interne per agire indisturbata. Presto, saremmo stati tutti spacciati. Dovevamo trovare il modo di impedirlo. Ma prima, dovevamo sconfiggere due nemici potenti: Dorian e Claudius.
Più mi avvicinavo, più riuscivo a distinguere i due eserciti. Il suolo era già disseminato di corpi e le urla dei soldati trafissero l'aria fino a raggiungermi in alto nel cielo chiaro.
«Più veloce!»
Riconobbi gli stendardi di Kodor e quelli di Delthar, Aureen però non poteva essere tra quegli uomini che si trucidavano a vicenda, era segregata a miglia e miglia da lì. Avrei riflettuto dopo sul perché alla fine Dorian e Claudius fossero arrivati alle mani. Ma prima dovevo fare in modo che quella battaglia si concludesse, perché per affrontare Zelveen avevamo bisogno di ogni soldato. Soldati che avrebbero combattuto per la mia sovrana, quando due teste arroganti fossero finalmente saltate. Sedato lo scontro, l'avrei raggiunta e insieme avremmo riunito i regni.
«Non sono un tuo servo, giovane re. Farai bene a ricordarlo» ringhiò il drago.
Io però non potevo aspettare oltre. Forse per pietà nei miei confronti, sbatté le ali più velocemente. Quando arrivammo sopra il campo di battaglia, l'odore del sangue e di morte ci raggiunse con violenza. Io arricciai il naso dal disgusto; Ghoranat, invece, fece un verso di approvazione. Per quanto ora alleato degli uomini, restava una bestia assetata di dolore.
Analizzai attentamente la situazione alla ricerca di un lato più debole da sfruttare per intervenire, e fu quasi per sbaglio che il mio sguardo trovò la figura di una donna che combatteva con coraggio in groppa a un cavallo. Il mio cuore la riconobbe prima di me. E andò più veloce nel vedere che faticava a difendersi da più di un nemico e che veniva tirata giù per i capelli.
Non badai agli uomini che si erano accorti di noi e che, terrorizzati, ci indicavano con le lame dimenticando i nemici dai quali erano circondati a terra.
«Giù, sbrigati!»
Il drago grugnì ma mi assecondò. Scese in picchiata e atterrò su un gruppo di uomini, uccidendoli sul colpo.
Aureen cadde a terra. Il mondo sembrò arrestarsi quando i miei occhi si posarono sul suo viso. Sembrava sempre la stessa, ma c'era una nota amara nel suo sguardo. E non dipendeva dal sangue e dal fango che le disegnavano lentiggini su quel volto bellissimo. Il drago si sporse su di lei per annusarla. Poi, forse preso dall'energia della guerra, si preparò a fare fuoco. Ghoranat stava per carbonizzarla e divorarla, eppure lei non chiuse gli occhi nemmeno una volta. Guardò in faccia la morte e l'attese a testa alta. Se non ci fosse stata l'armatura a tenerlo al suo posto, il cuore mi sarebbe uscito dal petto.
«Fermo, è la regina!»
Saltai giù, ignorando il peso dell'armatura che mi rimbalzò addosso quando atterrai sul suolo. Ignorai anche il dolore alle giunture e la stanchezza che mi comprimeva il cervello.
Ignorai ogni cosa, perché avevo ritrovato Aureen.
E non era una principessa da salvare. Era una regina guerriera che aveva guidato un esercito fin lì, e che avrebbe riconquistato il proprio diritto a regnare.
Mi piegai in avanti e le porsi una mano; non so se si accorse quanto tremavo quando l'afferrò. Poi il mio mondo avrebbe benissimo potuto finire lì. Avevo trascorso ore, giorni, settimane di agonia. Per tutto il tempo non avevo saputo se gli dèi avrebbero mai premiato la mia lealtà concedendomi di vederla anche solo un'ultima volta. Mi sarebbe bastato un unico, minuscolo contatto. Era stato il ricordo del suo sapore, della sensazione dei suoi ricci tra le mie dita, del suono della sua risata a tenermi in vita. E ora era davanti a me, non rinchiusa a Kodor come credevo.
«Reen...» dissi, ma il mio fu solo un flebile sussurro nascosto dalle grida dei soldati, dallo stridere dei draghi e dall'elmo che mi copriva il capo. E forse non riuscì nemmeno a udirmi.
Quando lo sfilai via, lei mi aveva già riconosciuto.
«Sei tu...» mormorò, incapace di credere ai propri occhi.
Mi si fiondò al collo come se quel filo che ci univa si fosse accorciato del tutto. Mi mancò il respiro ancor prima che me lo rubasse con le sue labbra.
Dèi, grazie.
Nessuna vendetta, nessuna Corona, nessuna conquista avrebbe mai potuto competere con la sua bocca che cercava la mia. Me la strinsi contro, deciso a non lasciarla andare mai più. La sua treccia mi solleticò il dorso della mano, e il sapore delle sue lacrime si unì a quel bacio. Il bacio più bello che avessi mai dato o ricevuto. Eravamo circondati dalla morte, eppure non fui capace di sentire altro che sollievo.
Quando ci allontanammo e tornammo al presente, con i pollici le asciugai le lacrime.
«Te lo avevo detto che nessuno fa fuori Eden di Delthar.»
E delle Terre Libere.
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