57- EDEN

Ero paragonabile alle mele ammaccate che mi portava Zèzè.

Le guardie, come promesso, tornarono tre giorni dopo.

E tre giorni dopo ancora.

E quelli dopo ancora.

Mi avevano strappato due unghie dei piedi e fasciato le ferite affinché non si infettassero. Uno dei denti in fondo era stato distrutto con un pugno, e ormai faticavo ad aprire l'occhio destro.

Per non parlare del respiro.

Dèi, il respiro era uno strazio.

Se non mi avevano rotto tre costole, erano quantomeno contuse. E un ginocchio era così gonfio da essere diventato il doppio dell'altro. Stavo davvero di schifo, ma mai, neanche per un istante, pensai di cedere ai capricci di re Noah.

E non perché tenessi particolarmente alla mia pelle. Ma perché se fossi morto, mio nonno sarebbe partito per il continente insieme ai draghi. Avrebbe distrutto le città e i regni. Avrebbe seviziato e torturato, ucciso e massacrato. E tra le vittime ci sarebbe stata anche Aureen.

«Eeeeddy!»

Mi svegliai di soprassalto. Zèzè era di nuovo appesa a testa in giù e mi guardava tutta allegra.

«Quante volte ti devo ripetere di non chiamarmi così?»

«Mi stavi facendo preoccupare, Eddy. Sembravi davvero morto, questa volta.»

Grugnii e mi tirai su a sedere. «Nessuno...»

«...fa fuori Eden di Delthar» ripeterono in coro la ragazzina e Sonan. Quest'ultimo aggiunse: «E mi sa proprio che hai ragione, con tutte quelle legnate che ti sei preso dovresti trovarti nel limbo dei regni già da un pezzo.»

Mi massaggiai il collo e lo scoprii appiccicoso di sangue e sudore. Era una vita che non facevo un bagno o che non mangiavo decentemente. Perciò quando Zèzè tirò fuori la carota che consegnò a Sonan mi venne l'acquolina.

La ragazzina mi guardò orripilata. «Che brutto sguardo. Sembri pronto a balzarmi addosso!» Frugò nella sacca e tirò fuori un'altra carota. «Tieni, ce n'è una anche per te.»

Ma prima di lasciarla andare nella mia mano che avevo allungato oltre le sbarre, saltò indietro.

Mi aggrappai con forza al metallo e ringhiai. «Ringrazia che mi trovo qui dentro, mocciosetta.»

«Non barare, devi darmi qualcosa in cambio.»

Sapevo che non voleva farmi soffrire, con quel suo atteggiamento, anche se ne dava tutta l'impressione. Avevo la sensazione che non avesse realmente idea di cosa mi stava succedendo, prendeva tutto come un gioco.

«A Sonan non hai chiesto nulla.»

La testa mi pulsava per le botte ricevute, e lo stomaco gorgogliava per la fame. Il misero piatto di sbobba che ricevevo a fine giornata non bastava ad andare avanti.

«Sonny è sempre gentile con me.»

«Anche io!»

«No, tu sei sempre stronzo.»

«Attenta a come parli» la rimproverai, «i tuoi non ti hanno insegnato che le parolacce insudiciano la bocca dei ragazzini?»

A quelle parole, il sorriso sul suo visino sporco scomparve, e calò un'aria tesa. Persino Sonan mi rivolse un'occhiataccia.

D'accordo, menzionare i genitori di una bambina che vagava da sola per il castello, sempre ricoperta di sudiciume, non era stata una grande idea. Era chiaro che non avesse nessuno a occuparsi di lei. Dovevo aver preso troppi colpi in testa, decisamente.

Zèzè si afferrò alle sbarre e iniziò ad arrampicarsi, pronta a raggiungere il buco sulla parete e sparire all'interno dei muri del palazzo.

Prima che fuggisse via, però, le diedi ciò che chiedeva e iniziai a cantare. Non ricordavo bene le parole, sembravano passati secoli da quando suonai quella stessa canzone al Jak's.

Zèzè si arrestò con un piedino a mezz'aria. Tornò lentamente a terra e si mise comoda. La vidi seguire il movimento delle mie labbra per tutto il tempo. Quando finii, lei mi sorrise e mi porse la carota.

«Questa, d'ora in poi, sarà la mia canzone preferita.» Due piccole fossette le apparvero agli angoli della bocca.

Poi si alzò e, dopo aver infilato una manina nella sua tracolla, mi offrì anche una manciata di bende rubate. Non aspettò che la ringraziassi, si arrampicò svelta e sparì.

Passò qualche momento prima che Sonan mi rivolgesse la parola con tono duro. «Non nominare mai più i suoi genitori.»

Abbassai la testa, desolato. «Non so come mi sia uscito. Dovevo immaginare che...»

Lui tirò fuori il braccio dalla sua gabbia e indicò un punto dall'altra parte delle segrete. «La vedi quella cella?»

Io annuii. La ragazzina passava lungo tempo lì davanti. Ma ogni volta che avevo cercato di capirne il motivo, Sonan aveva evitato le mie domande.

«Lì riposano le ossa di suo padre. Zèzè scende in queste prigioni da anni a sorvegliare su di lui. L'ha perso quando era così piccola che a malapena era in grado di parlare.»

Entrambi guardammo l'osso grigio ormai mezzo mangiucchiato dai topi che s'intravedeva a distanza. «Quell'uomo era una guardia. Zèzè ha sempre vissuto nel castello, ecco perché conosce ogni piccolo anfratto.»

Deglutii. «Non lo sapevo...»

Sonan ignorò la mia mortificazione. «Ha perso un po' la testa, è vero... Avrebbero ucciso anche lei, sai?»

«Re Noah non sa che lei è qui nel castello?»

«Certo che no. Sono passati un paio d'anni, a questo punto immaginerà che sia fuggita. O che sia morta. E invece ruba dalla sua tavola e sopravvive nel buio del suo palazzo, ma mai lontana da suo padre.»

Rimasi un attimo in silenzio.

«Perciò non nominare mai più i suoi genitori, intesi?»

Annuii. «Cosa ha fatto suo padre per finire quaggiù?» Ero però troppo curioso per trattenermi dal domandare altro.

Sonan serrò le labbra, incerto se rispondere o meno. Inizialmente fece per ritirarsi in fondo alla sua cella, come al solito. Poi però gli occhi quasi gialli gli divennero lucidi. «Lui...» si schiarì la voce, «era amico del principe Icarius. Lo eravamo entrambi.»

«Di mio... che c'entra mio padre con questa storia?» la mia voce uscì più aggressiva di quanto avrei voluto.

Era passato più di un mese da quando ero stato rinchiuso. Sonan aveva trascorso quel tempo insieme a me. E lo aveva fatto in completo silenzio, pur sapendo chi io fossi.

«Icarius non è stato l'unico a ribellarsi a tuo nonno. La verità su ciò che gli era accaduto, sull'uccisione di tua madre e sul suo dolore così forte tanto da buttarsi in mare per tornare da voi, non era arrivata fino a noi. Non avevamo idea di cosa avesse passato.» Una nota di rabbia gli increspò la voce. «Ci era stato raccontato che re Aramis aveva fatto giustiziare tuo padre. Per anni abbiamo combattuto la gente di Delthar, ucciso degli uomini solo per vendetta.»

«Re Aramis è stato un grande sovrano» ribattei a denti stretti, pronto a difendere il nome dell'uomo che mi aveva protetto.

Sonan si abbandonò con una spalla contro le sbarre. «Abbiamo commesso dei crimini in nome di un mostro. Ma a un certo punto, non molto tempo fa, qualcuno del circolo ristretto di re Noah si è fatto sfuggire la verità. E così il padre di Zèzè ha sguainato la spada. E anche io.»

Quella confessione era dolorosa da metabolizzare, forse anche più dei colpi ricevuti. Il cuore mi batteva forte nel petto. Faceva un male cane. «Perché mi dici questo solo adesso?»

«Perché mi vergognavo. Moltissimo. E mi vergogno ancora.»

«Dèi!» Nonostante il male alle ossa, mi alzai in piedi intenzionato a scaricare la frustrazione in qualche modo.

«È quasi scoppiata una guerra interna al palazzo. Re Noah ha soppresso le voci di chi si ribellava a lui. Alcuni sono morti negli scontri, altri si sono schierati dalla sua parte perché era troppo rischioso affrontare un tiranno come lui. Il padre di Zèzè è stato il più coraggioso di tutti...» gli si ruppe la voce. «Quando è stato ferito, non ha avuto la grazia di ricevere una morte veloce. È stato buttato qui giù e lasciato ai vermi. Io venni condannato ad assistere. Quando è morto...» fece un'altra pausa. «Toccava a me. Avevo visto cosa succedeva ai nemici del re. E io non volevo subire la stessa sorte. Perciò... supplicai

Guardai Sonan il quale scoppiò in lacrime. Ingobbito e vestito di stracci pareva portare sulle spalle centinaia di anni. Teneva le mani sul viso, nascondendosi. Ma grosse lacrime scivolarono comunque a terra portando via parte dello sporco che gli incrostava il volto.

«Non volevo morire» singhiozzò. «Sono stato un vigliacco e ho dato a re Noah la soddisfazione di vedermi strisciare.»

Riprese ancora a piangere, tanto forte che faticava a respirare. Si teneva aggrappato debolmente al cancelletto della sua cella. Tornai sulle ginocchia, mi sporsi più che potei e afferrai una sua mano scheletrica. In quei due lunghi anni di prigionia aveva avuto tempo a sufficienza per riflettere sulle sue colpe e per farsi logorare dal rimpianto. Per quanto mi tremassero le mani, non avrei infierito oltre.

Lui sollevò gli occhi umidi e li puntò nei miei.

«Te lo prometto, Sonan: avrai la tua giustizia.»

«L'ho avuta, mio principe.» Tirò su col naso. «Non merito la tua compassione.»

«Mio padre per te l'avrebbe avuta. Uscirai di qui, fosse l'ultima cosa che faccio.»

Lo dovevo a lui, a Sonan e alle ossa che giacevano dall'altra parte delle segrete.

Quella fu una delle notti peggiori che trascorsi lì. I dolori che accusavo ovunque si rifiutavano di darmi tregua, perciò anche dormire era fuori discussione. Stavo morendo di sete, ma il mio bicchiere di latta giaceva vuoto in fondo alla cella da due giorni. Mi alzai a fatica, scivolando più volte a terra e incapace di reprimere i gemiti. Lo raccolsi e, trascinandomi, raggiunsi le sbarre.

Mi uscì in un gracchio, quando sbattei la coppa contro le grate. «C'è qualcuno?»

Ovattata e distante, mi arrivò solo la voce di Sonan. «Stai bene, ragazzo?»

Sbattei il bicchiere ancora nel tentativo di attirare l'attenzione di una guardia. «Ho sete. Sto...» la vista mi vacillò, «...morendo di sete.»

Avevo perso parecchio sangue all'ultimo giro di botte. E d'allora nessuno ara venuto a rifornirci i viveri.

Mi accorsi di essere caduto a terra solo quando impattai sul ginocchio già gonfio. Un milione di stelline punteggiò il buio dietro le mie palpebre.

«Guardie! Presto!» urlò Sonan, scuotendo forte le grate e poi spingendovi il viso contro, tentando di raggiungermi con una mano.

Udii il rumore di una porta aprirsi, poi il tonfo dei passi. «Cos'è questo macello?»

Jean mi osservava allungando la torcia per vedermi meglio.

«Dèi misericordiosi...» contorse il volto in una smorfia, «ti stanno massacrando.»

Non riuscii a rispondere. Avevo la gola così secca che persino deglutire era una tortura.

«Aspetta qui.» E si allontanò.

«Come se potesse andare da qualche parte» ribatté Sonan con velenoso sarcasmo.

Quando Jean tornò, aveva con sé due bicchieri colmi d'acqua, uno per me e uno per il mio compagno di prigionia. Ero vicino alle grate, perciò la guardia poté accucciarsi e aiutarmi a bere. Mi afferrai al suo braccio e mandai giù lunghi sorsi.

«Piano, piano ragazzo.» Tentò di sottrarmi la coppa ma io, stringendo le dita su di lui, non glielo permisi. «Da quant'è che non vi portano da mangiare?»

Sonan sbuffò una risata amara. «E tu lo chiami cibo, quello?» Scosse il capo. «Due giorni, credo. Quaggiù non sono tutti generosi come te.»

«Be', qualcosa l'avrete senz'altro rimediata da quella ragazzina che vi viene a trovare.»

Sonan si afferrò alle sbarre e mostrò i denti. «Non toccare Zèzè.»

I due si scambiarono un lungo, intenso sguardo, ma io non riuscivo a pensare che all'acqua che mandavo giù con foga.

«Per chi mi hai preso?» Avevo svuotato il bicchiere, perciò Jean si alzò e tornò alla porta accompagnato da una nube di rabbia.

Stava per lasciare le segrete ma Sonan aggiunse: «Per il tipo di uomo che volta le spalle al suo principe. Icarius detesterebbe ciò che sei diventato».

Compresi così il legame che li univa, ma ero troppo dolorante per mettermi a fare domande. Mi limitai a rizzare le orecchie e a cercare di non addormentarmi, intanto che tornavo sdraiato sul pavimento umido della mia cella, incapace di raggiungere il giaciglio.

Jean ripercorse i suoi passi. «Ho fatto quello che dovevo, Sonan.»

«Eri suo amico. Ma ci hai messo un attimo a sposare la causa del re.»

«Dovevo sopravvivere. Icarius ormai era morto da anni.» la guardia mi lanciò un'occhiata. «Che razza di ipocrita che sei! Sbaglio o quando è arrivato il momento di dimostrare il tuo coraggio hai nascosto la coda tra le gambe, eh? Sei qui per questo o no?»

Quella stoccata fu crudele, ma Sonan non si fece intimidire. «E tu cosa pensi di aver guadagnato schierandoti con il re? Vieni a portare il cibo ai prigionieri e a pulire i nostri pitali. Non lo capisci, Jean? Sei stato punito anche tu.»

I due si guardarono per un po'. Sembravano due cani pronti a sbranarsi.

Sonan tornò alla carica. «Stai permettendo a quel mostro di sacrificare il figlio di Icarius» la sua voce questa volta fu un sussurro colmo di dolore e disprezzo. «Quella spada che ti pende dal fianco non ti rende certo impavido. Anzi, sei persino più codardo di me.»

La guardia sussultò. Un lungo silenzio riempì l'aria.

«Tornerò domani. Con delle medicine, se riuscirò a convincere il re.» C'era qualcosa di molto simile alla tristezza e al senso di colpa in quelle parole. «Lui non vuole che muoia quaggiù.»

Detto ciò, voltò i tacchi e ci lasciò all'oscurità delle segrete.

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