56- AUREEN

Non era stato un gioco da ragazzi, ma ce l'avevo fatta. Ero fuori dal castello.

Bastava superare le stanze del re, scendere nelle cucine, poi ancora più giù, nei dormitori della servitù, e infine nei sotterranei.

Avevo scoperto che il turno di guardia più debole era proprio quello notturno. Il passaggio, trovandosi poco distante dagli alloggi delle servette, rimaneva scoperto quando le guardie lasciavano la posizione per intrattenersi con quest'ultime.

Il pavimento dei sotterranei era concavo come quello di un canale, e sulla sua superficie scorreva un nauseabondo liquame. Era lì che le cameriere versavano i pitali. I liquidi scorrevano fino a una grata che affacciava sull'esterno, proprio alle porte dei quartieri poveri della città.

Mi ci erano voluti diversi giorni per trovare l'uscita segreta. Forse, se non avessi avuto sempre addosso le guardie del re, ci avrei messo meno.

Le condizioni di Sorendal erano peggiorate, trovare Zargan era la sua ultima possibilità. Ma, per me, barcamenarmi in questa impresa era una follia. E se Lady Cheryl avesse saputo cosa stavo facendo, mi avrebbe fatta a pezzi con le sue lunghe unghie. Stavo mettendo in pericolo il piano, che prevedeva che passassi il più inosservata possibile. Cosa sarebbe successo se re Dorian avesse scoperto che sapevo come uscire dal palazzo?

Ma non avevo tempo di pensarci, in quel momento.

Col cappuccio calato sulla testa, sfilavo per le vie della città ripetendo a memoria le indicazioni che mi aveva dato Jared. Avevo evocato il mio potere, così che una leggera nebbia mi proteggesse da occhi indiscreti. Ma la mia magia era troppo debole per riuscire a mantenersi per più di qualche manciata di minuti.

«Arriva al grande campanile e svolta a destra» mormorai tra me e me, alzando lo sguardo sui palazzi di pietra lavica.

Eccolo.

Costeggiai l'edificio e proseguii verso il centro della città. Era notte fonda, ma il caldo era comunque asfissiante. In lontananza intravidi alcuni vulcani eruttare contro un cielo nero coperto di fumo. Avrei voluto tirare giù il cappuccio, ma mi limitai a portare via il sudore dalla fronte con il dorso della mano.

Oltretutto, a ogni passo che muovevo sentivo le tempie pulsare sempre più forte. Seppure non sapessi dove Dorian teneva la Corona, ero certa che questa si trovasse da qualche parte nel castello. E ora che mi stavo allontanando da lei, il mal di testa iniziava a intorpidirmi la mente.

«Sali le scale del tempio e prendi il sentiero sul retro» mormorai a ogni gradino, socchiudendo gli occhi per ignorare le fitte al cranio.

La città di Kodor era deserta, ma in lontananza si sentivano delle voci festati. Avrei dovuto raggiungerle e pregare che nessuno mi riconoscesse. Gli abiti che indossavo erano di buona fattura, ma anonimi. I meno vistosi che avessi trovato nell'armadio. Sarebbero andati bene.

Il buio dei vicoli alle mie spalle lasciò spazio a un quartiere in pieno movimento. C'era chi danzava intorno a un fuoco, chi vendeva oggetti ai passanti, chi cantava con una bottiglia in mano. E anche chi vomitava sorreggersi contro il muro.

Nessuno fece caso a me, ma per istinto mi aggiustai il cappuccio.

A quel punto dovevo solo trovare la bottega del farmacista e sperare che qualcuno mi aprisse. Oltrepassai un gruppo di donne che ridevano in maniera sguaiata, evitai di fiancheggiare l'ingresso alle locande e, con il cuore in gola, salii i gradini che portavano alla farmacia la cui grossa insegna di legno recitava "Zargan&Donn".

«D'accordo» sospirai guardandomi alle spalle. La festa si svolgeva sotto di me e io, vista dal basso, potevo benissimo confondermi col muro.

Bussai.

Nessuna risposta.

Riprovai ancora.

Sentii un rumore strascicato di passi, dopodiché il battente si schiuse di uno spiraglio, quel tanto che permetteva la catenella di sicurezza.

«Sì?» L'uomo che mi aprì aveva un occhio decisamente più piccolo dell'altro, due folte sopracciglia bianche e la pelle più rugosa che avessi mai visto.

«Buonasera, sono...»

Merda. Il mal di testa estenuante mi aveva cancellato dalla memoria la copertura che avevo studiato.

Il vecchio mi squadrò per bene. «Dèi... siete la regina.»

Corrugai la fronte. Avrei comunque dovuto dirglielo, una volta entrata nella bottega. Ma ebbi lo stesso paura. «Cosa mi ha tradita?»

Se mi aveva riconosciuta lui, poteva averlo fatto anche qualcun altro. E magari, quel qualcun altro era diretto al castello ad avvertire il re della sua moglie fuggiasca proprio in quel momento.

L'uomo fece un sorriso. «Ero presente al vostro matrimonio. Vi ho riconosciuta.» A quel punto, mi chiuse la porta in faccia. Ma solo per sfilare il gancio della catena e invitarmi a entrare.

Lo seguii all'interno. Zoppicava con la gamba destra, ma si muoveva comunque spedito. C'era odore di incenso e di fiori di campo appena colti. Mi chiesi come se li fosse procurati, visto che sembrava non crescere quasi nulla da quelle parti. L'ambiente era piccolo e illuminato da decine su decine di candele. Alcune erano state appena accese, altre erano quasi del tutto consumate e sciolte sul bancone del negozio e sul pavimento.

«Voi siete Zargan, dico bene?» Lo seguii nella stanza sul retro.

«Io sono Donn, il farmacista.» Aprì una porticina che affacciava su delle ripide e strette scale che davano sul buio. «Zargan è mio fratello.»

«Oh, chiedo scusa. Avrei bisogno di parlare con lui.»

Lui si allungò verso un mobile alle sue spalle e recuperò un lume e me lo porse. «Lo trovate di sotto. Prego.»

Lo guardai fisso negli occhi. La sola idea di scendere la scala mi metteva i brividi.

«Non mi chiedete nemmeno cosa cerco?» Feci un passo per allontanarmi.

Ma ormai ero arrivata fin lì, non potevo decidere di tornarmene sui miei passi. Jared e suo padre contavano su di me, e a quest'ultimo non restava più molto tempo.

«Volete parlare con Zargan? È lì sotto.»

C'era qualcosa che non tornava. Eppure, non riuscivo a decidermi a darmela a gambe. Afferrai il lume che mi porgeva e, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata carica di sospetto, scesi il primo gradino. Poi il secondo, il terzo. E infine arrivai in fondo.

Donn era proprio dietro di me. Eden mi aveva allenata, e quell'uomo non sembrava una gran minaccia, ma se ce ne fosse stato bisogno, sarei riuscita a metterlo al tappeto.

Camminai in avanti, cercando di rischiarare l'oscurità. E la prima cosa che riuscii a identificare, in fondo alla stanza, fu una bocca rossa che mi sorrideva con malizia.

Allungai il braccio, così che la fiamma della candela si trovasse vicino al viso della donna.

«Lady Cheryl» sussurrai, sorpresa.

Dietro di lei si accesero diverse fiaccole contemporaneamente. Credevo che lì sotto ci fossimo solo io e Donn, invece ora scoprivo diversi volti che mi fissavano con qualcosa di molto simile alla speranza.

«Ce l'hai fatta a raggiungerci» esclamò lei, «ero certa che ci avresti messo meno.»

Un uomo l'affiancò. Era alto, brizzolato, dalle spalle larghe e dallo sguardo interessante. Aveva una certa età, ma emanava un fascino invidiabile. «Mi dovete una moneta, ragazza» le disse.

Lei roteo gli occhi, estrasse la moneta e la fece volare in aria. L'uomo l'afferrò al volo e se la ficcò in tasca.

«Zargan, siete un vero sciacallo» lo accusò Lady Cheryl.

Lui sorrise. «Mia cara, le scommesse si pagano.»

«Avete scommesso su di me?»

Zargan fece un passo avanti e prese la mia mano libera nella sua. Aveva la pelle dura, ma era qualcosa di confortante. Mi ricordava quella di mio padre. «Non sentitevi offesa, Altezza. Le notti qui giù sono lunghe e spesso le nostre riunioni diventano noiose.»

Scossi la testa e liberai la mano. «Avete però puntato il vostro denaro contro di me, ser.»

«Non sono un ser» mi corresse con gentilezza. «E no, l'ho puntato sulla vostra prudenza.»

«Siete il solito furbo» sghignazzò Lady Cheryl. «Vieni, Altezza, ti presento.»

Mi prese per un braccio e mi tirò a un tavolo al quale si erano seduti gli altri in attesa. Tre donne e tre uomini.

«Loro sono Lenna e Anna.» Indicò due gemelle perfettamente identiche con i capelli neri rasati su un lato e vestite come guerrieri. Alzarono una mano allo stesso tempo e mi mandarono un cenno.

Non si erano rivolte a me come se fossi la loro sovrana, ma con la stessa confidenza che si doveva a un soldato del proprio battaglione.

Una donna paffuta dall'aria gentile si alzò e mi raggiunse. «È un piacere conoscervi, Vostra Grazia.» Mi strinse la mano e, a quella vicinanza, mi accorsi che profumava di torta al limone.

Il cuore mi cedette per un istante, al ricordo di tutti i dolci che Eden aveva cucinato per me. Serrai i denti e cacciai via l'amaro.

Donn strinse un braccio intorno a quello della donna e la guardò con amore infinito. «Tillie, mia moglie.» Lei arrossì.

«Il piacere è mio.» Mi forzai a non apparire troppo disorientata.

Sentii lo stridere di una sedia sul pavimento e alzai lo sguardo. «Io sono Honnie,» si annunciò un uomo alto e lungo sulla cinquantina, portandosi il cappello al petto e piegando un poco il capo, «onorato.»

Uno dei suoi compagni, quello più giovane, lo tirò per la manica della maglia e lo costrinse a tornare seduto. «Non renderti ridicolo con quel tono, è sposata.»

Già, e che matrimonio!

Honnie gli rivolse un'occhiataccia. «Non ci stavo provando con lei.»

Mi portai una mano alla bocca per nascondere un sorriso. Incredibile che fossi ancora capace di farlo.

Il ragazzo roteò gli occhi, si alzò in piedi e s'inchinò elegantemente. «Io sono Robert, Altezza. Ma potete chiamarmi Rob. È un piacere avervi qui con noi.»

«Vi ringrazio. Ma... chi siete, di preciso?»

Il più anziano tra tutti, un vecchio dall'aria scorbutica con una pipa in bocca, senza alzarsi rispose: «Siamo la Resistenza. Non siamo gli unici, nel regno abbiamo una fitta rete di contatti e di uomini e donne pronti a ribellarsi alla tirannia di re Dorian. E voi...» Poggiò sul tavolo una mano alla quale mancava un dito e, con palese sforzo, si tirò su. Aveva una gamba di legno nettamente più corta di quella vera. «Voi siete la nostra speranza.»

Calò un silenzio teso.

«Io?»

«Non spaventarla, Joe.» Il vecchio si risedette a fatica e Zargan mi strinse le spalle. «Non preoccupatevi Altezza, voi non dovrete fare altro che essere il volto della nostra ribellione. Il popolo non ama il proprio sovrano, non sentirà la sua mancanza. Ma sarà difficile che si fidi di qualcun altro... nemmeno di voi. Non subito, almeno.»

Voltai la testa verso Lady Cheryl. «Non mi hai mai raccontato nulla. Hai sempre tramato contro il tuo regno.»

Lei, seduta a una sedia, fece spallucce accavallando le lunghe gambe. «Dipende dal punto di vista. Qualcuno direbbe che stia tramando per salvarlo. Non ti ho avvisata perché se ti fossi rivelata una rammollita, noi ci saremmo fatti beccare e avremmo perso ogni speranza. E poi, mia cara, nemmeno tu mi hai raccontato che il padre di Jared ti aveva mandato a cercare Zergan. Credevo fossimo amiche.» Mise un finto broncio.

«Come lo sai?» la interrogai.

«Ero certa che che lo avrebbe fatto. Stavamo solo aspettando.»

Tornai con gli occhi in quelli dell'uomo a capo della Resistenza. «Io sono venuta da voi perché mi serve la cura per Sorendal. Lui mi ha detto che...»

Zargan mi guardò con compassione. «Non c'è nulla che si possa fare per salvarlo, e lui lo sa.»

«Ma è stato lui a dirmi che voi potete curarlo.»

«Sorendal desiderava solo che voi arrivaste qui, che vedeste con i vostri occhi quello che stiamo organizzando» fu Rob a parlare, questa volta.

Zargan riprese la parola. «Il fatto che voi siate venuta da noi in gran segreto dimostra la vostra lealtà e il vostro coraggio. E che vogliate salvare il padre del vostro amico, nonostante gli orrori che gli ha fatto vivere, è prova della vostra pietà. Abbiamo bisogno di una sovrana come voi.»

Ingoiai la saliva. Non ero pronta a tutto questo, ma... l'idea che non fossimo più solo io e Lady Cheryl contro re Dorian mi scaldò il petto per il sollievo. «Non una rammollita, perciò» constatò soddisfatta lei.

Sentimmo bussare alla porta. In un istante tutte le candele si spesero, perciò soffiai anche io sulla mia.

«Vado io.» Zargan salì svelto le scale. Quando tornò, prima che scendesse i gradini diede il via libera affinché venissero riaccesi i lumi.

Tornò giù e dietro di lui c'era un uomo alto dal taglio di capelli militare. «È solo Erwin.»

Socchiusi gli occhi e lo riconobbi. «Ma lui...» feci un passo avanti per guardarlo meglio. «È una guardia del re!» Il cuore mi schizzò in gola per la paura, e mi scoprii pronta a ucciderlo per far sì che non andasse a riferire la mia presenza lì al suo sovrano.

«Non temete, Altezza» intervenne Tillie, mettendomisi davanti. «È una nostra spia.»

Erwin mi rivolse un sorriso timido. «Buonasera, Vostra Grazia.»

Guardai Zargan. «La Resistenza si trova anche al palazzo?»

Fu la guardia a rispondermi. «La Resistenza è ovunque. Al castello potrete contare sulla fedeltà di diverse guardie e servitori.»

«E perché, allora, non vi siete già rivoltati contro Dorian?»

«Perché» parlò Joe, il vecchio, «avevamo bisogno di una guida. E di una corona che legittimasse le nostre azioni agli occhi del popolo e degli altri regni.»

«Avete idea di quanto sia pericoloso?» guardai ognuno di loro negli occhi.

«Lo sappiamo meglio di voi, Altezza» rispose Joe, sollevando la gamba di legno. «Dorian ha tolto a ognuno di noi qualcosa. A me le dita e questa qui», si batté su una coscia, «per aver messo in dubbio dei suoi ordini. A Honnie una casa», quest'ultimo guardò a terra, «a Rob ed Erwin ha trucidato la famiglia. A Zargan e Donn...»

«A noi ha tolto un fratello» intervenne Donn, la cui moglie gli si stringeva al braccio guardandolo con aria sofferente. «Loro due, invece,» mandò un cenno alle gemelle, «sono state rifiutate dall'esercito perché donne.»

«Come sa di voi, Sorendal?»

Zargan mi rivolse un sorriso triste. «Era da qualche tempo che sospettava che a palazzo lo stessero avvelenando. Decise di affidarsi a me per un antidoto, e quando provai a inserirlo nel gruppo si adirò. Andò via da quella porta e per giorni rimasi in attesa delle guardie che mi avrebbero portato al patibolo. Ma non arrivarono mai. Sorendal deve aver mantenuto il segreto.»

Il cuore mi sanguinava per ognuna delle loro storie. E se la rete della Resistenza era così estesa, voleva dire che tra la gente del popolo erano molti ad aver subìto i soprusi della corona.

I miei occhi volarono a Lady Cheryl. «A te cosa ha tolto?»

Il suo sorriso si affilò tanto che le parole che poi pronunciò avrebbero potuto graffiarmi il petto. «A me ha tolto la dignità. Ha violato il mio letto e il mio corpo. Ha piantato in me un seme che, senza l'aiuto di Zargan, non avrei potuto estirpare.» Fece un passo avanti e tenne il mento alto e gli occhi duri. «È quando sono venuta a cercare un medico che risolvesse il mio problema con discrezione che ho scoperto la Resistenza. Ed è grazie a essa che tornerai a casa con un esercito.»

La testa mi scoppiava. Non solo per la distanza dalla Corona, ma anche per quel nuovo carico di preoccupazioni e responsabilità. Non avevo mai desiderato governare, e ora mi ritrovavo con due regni sulle spalle. E con più di una guerra da vincere: quella contro Mastro Claudius, quella contro le Terre Libere, quella contro re Dorian, e quella contro Zelveen la Traditrice.

«Allora che ne dite, ci state?» chiese Honnie, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

Guardai i loro volti illuminati dalle fiammelle delle candele, e pensai che avrei potuto accettare quel nuovo fardello in cambio di un'alleanza solida. Con l'aiuto della Resistenza, avrei potuto rivoltare il governo. E loro avrebbero avuto una regina magnanima. Pensai a Eden che marciva chissà dove. A Mastro Claudius che banchettava alla tavola di mio padre.

«Dico che la guerra va vinta prima di scendere sul campo di battaglia.» I miei occhi si posarono su quelli di Lady Cheryl che mi sorrideva con soddisfazione, poi su quelli di tutti i presenti. «Ci sto.»

Durante il tragitto di ritorno, non riuscii a pensare ad altro che a Jared, nonostante faticassi a tenere gli occhi aperti per via del dolore alle tempie. Come gli avrei detto che suo padre non aveva speranze? Per quanto ora la odiassi, mi dispiacqui anche per Valerin. Sapevo bene come ci si sentisse a perdere entrambi i genitori.

Ero uscita dal palazzo con l'intenzione di tornare con una cura. E invece sarei tornata a mani vuote, ma con dei nuovi alleati.

Stava per albeggiare quando raggiunsi gli scarichi del castello e percorsi a ritroso il passaggio segreto. Arrivai ai miei appartamenti che odoravo di fogna. Per prima cosa, mi liberai degli abiti e mi feci un bagno. L'acqua era fredda, ma me la sarei fatta andare bene. Era necessario che quella puzza sparisse e che nessuno sospettasse di nulla. La guardia alla mia porta dormiva ancora profondamente. Fingendo di offrigli del vino, l'avevo avvelenata con lo stesso siero che mi passavo sulle labbra prima delle visite di re Dorian. Non avrebbe fatto la spia su quel sonnellino: gli sarebbe costata la testa.

Una volta pulita, mi misi sotto le coperte. Quando la servitù fosse arrivata a svegliarmi, avrebbe dovuto trovarmi come ogni mattina. Chiusi gli occhi e cercai di dormire per quelle poche ore che mi restavano, ma avevo troppi pensieri per la testa.

Perciò, quando due inservienti vennero a svegliarmi e a vestirmi per la colazione, notarono subito le mie profonde occhiaie.

«State bene, Altezza?»

«Non ho riposato bene, questa notte. Desidero fare colazione nelle mie stanze e risparmiare al re la vista del mio viso sciupato. Dopodiché andrò in visita a ser Jared e suo padre.»

La servetta chinò il capo. «Come desiderate.»

Mi vestirono, pettinarono e mi servirono del tè. E più tardi nessuno mosse obiezione quando m'incamminai verso le stanze di Sorendal. Quando le raggiunsi, una guardia mi sorrise con scherno.

«Aprite le porte» ordinai con tono autoritario.

«Subito, Altezza.»

Quando obbedì ed entrai senza essere annunciata, trovai Jared inginocchiato accanto al letto del padre con gli occhi gonfi di pianto e il viso arrossato.

Mi precipitai da lui. Teneva la mano grigia di Sorendal tra le sue. Sollevai lo sguardo sul volto dell'uomo e capii.

«È morto» singhiozzò Jared.

Mi inginocchiai e passai il braccio intorno alle larghe spalle del mio amico. «Oh, Jar...»

Non c'era molto che potessi dire. Nulla lo avrebbe fatto stare meglio, in quel momento. E la retorica, in momenti come quelli, non piaceva a nessuno.

Non era stato un uomo buono, Jared aveva sofferto inutilmente per causa sua. Eppure, suo figlio era lì a piangerne la scomparsa.

Forse, tempo dopo, avrebbe potuto trovare conforto nel fatto che suo padre aveva tentato di redimersi prendendo parte a una causa giusta. Quella della Resistenza.

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