54- AUREEN
Avevo scoperto che tutti gli obblighi reali dai quali ero fuggita rifugiandomi nel Mondo Verso, non erano nulla in confronto alle vessazioni che dovevo subire ogni giorno alla corte del regno di Kodor.
Re Dorian si presentava ogni sera nelle mie stanze e, come ormai da routine, mi ungevo le labbra di balsamo e di veleno e aspettavo che mi crollasse addosso inerme. Questo, di tanto in tanto, non gli aveva impedito di allungare un po' troppo le mani prima di svenire, privo di sensi.
Mia fedele alleata era la sua passione per i vini, i sieri e le birre proveniente da tutti i regni. Fino a quando si fosse ubriacato, potevo sentirmi "al sicuro".
Ma cosa sarebbe successo quando quel trucchetto avesse smesso di funzionare? Se io e Lady Cheryl non trovavamo alla svelta il modo di abbandonare Kodor e di neutralizzarne il re, prima o poi avrei dovuto adempiere ai miei doveri coniugali.
Volente o nolente.
I giorni passavano troppo lentamente, ma non avevo tempo di annoiarmi. Dorian, quando era lucido, non faceva che interrogarmi sulla Corona. Qualcuno dei suoi era morto al solo tocco, e lui esigeva di saperne di più. E tutte le volte che rimanevo in totale silenzio, mi beccavo qualche ceffone. Ma non avrei mai tradito quel segreto.
Intanto, quando mi era possibile, imparavo a memoria ogni vicolo e percorso di quel palazzo. Era un labirinto intricato. Provai a chiamare il potere della Corona così da capire dove la tenessero nascosta, ma questa non rispose. Non vollerispondere.
Valerin aveva inutilmente tentato di avvicinarmi più volte, Jared invece era confinato nei suoi appartamenti. E non avevo alcuna notizia da Alec. Tantomeno di Eden, che ormai doveva aver raggiunto le coste delle Terre Libere. Mastro Claudius avrebbe pagato con la vita la sofferenza che mi arpionava il petto. Tutte le notti pregavo affinché il momento della mia vendetta arrivasse al più presto.
Allo scadere della prima luna, re Dorian mi costrinse a farmi visitare da un medico. Quella fu solo una delle tante umiliazioni che subii. Voleva verificare che aspettassi il suo erede ma, come fu chiaro, dovette accettarne la delusione.
Mi sentivo del tutto sola e abbandonata. Le sporadiche passeggiate con Lady Cheryl, che non mi si avvicinava troppo per evitare di destare sospetti, non erano certo una consolazione. Avevo bisogno di vedere un volto amico.
«Desidero incontrare ser Jared di Delthar» dichiarai a pranzo a mio marito.
Eravamo seduti l'uno accanto all'altra: lui a capotavola, io alla sua destra. La tavola era imbandita di pietanze d'ogni genere, ma io avevo lo stomaco chiuso. Da quando ero arrivata lì, avevo perso qualche chilo.
Lui si pulì il mento unto col tovagliolo e mi guardò come se non avessi nulla nel cervello. Ancora masticando rispose: «Tu desideri?»
«Sì. Desidero vedere un membro della mia corte. Vi ho sposato, è vero. Ma non ho abdicato al trono, perciò i miei diritti da Sovrana sono incontestabili.»
«E i vostri doveri di moglie?» fece scorrere lo sguardo sul mio ventre. «Il vostro utero continua a rifiutare il mio seme.»
«Il mio utero fa ciò che meglio crede» lo provocai, «non ho certo potere al riguardo.»
A quel punto, sbatté le posate sul tavolo e le stoviglie tintinnarono per l'urto. Io sussultai, presa alla sprovvista. Ma mi maledissi per quella dimostrazione di paura.
«Ascoltami bene, donna» sibilò. «Non ho problemi a ingravidare una serva e a far passare suo figlio come il vostro. Sarò disposto a riconoscere come erede un bastardo, se il vostro ventre non si gonfierà al più presto.»
Era così vicino che potevo sentire il tanfo alcolico del suo alito. Come tutte le sere, d'altronde.
«Cosa vi fa pensare che non vi smaschererei?»
A quel punto mi rivolse un sorrisetto crudele. «Le mie prigioni possono essere abbastanza confortevoli da ospitarvi per diversi mesi; nove, magari. E la mia servitù abbastanza discreta da non farsi sfuggire nulla. Non sarà difficile far credere al popolo che la vostra è una gestazione complicata che vi obbliga a letto. E una morte di parto verrà accettata senza discussione.»
«Non potete farlo» ringhiai.
«Ma certo che posso. Sono il re.» Si tirò indietro e continuò a tagliuzzare il cibo nel suo piatto. «Potrei diventare molto buono con voi se mi concedeste un figlio. E per dimostrarvelo, vi consento di incontrare Jared di Delthar, confinato nelle stanze dell'ambasciatore Sorendal.»
«Lo avete rinchiuso insieme a suo padre?»
«È un problema?» sollevò un sopracciglio.
«Volete proprio che si ammazzino a vicenda?» Mi alzai in piedi, all'improvviso preoccupata che potessero essersi già fatti del male.
Jared era uno dei buoni, ma se lo chiamavano "il Pazzo" non poteva essere un caso, e odiava suo padre più di chiunque altro
«Semmai, sarà quel gigante di suo figlio ad avere la meglio. L'ambasciatore non ha più forze, la malattia l'ha consumato. E se Jared lo uccidesse, farebbe un grande favore a tutti.»
Non poteva succedere. Se eravamo finiti lì, era solo perché Valerin aveva tentato di salvare quell'uomo dalle minacce di Kodor. Il re voleva me, e aveva ricattato lei per incastrarmi. Se Sorendal fosse morto, nulla avrebbe avuto senso.
Incontrai lo sguardo di re Dorian, e intuii che lui stava pensando la medesima cosa. Solo che, al contrario mio, ne era divertito.
Mi allontanai sperando che Jared avesse avuto abbastanza buonsenso da non aggredire l'uomo che gli aveva rovinato la vita. Lo stesso che gliel'aveva anche donata.
Nonostante avessi imparato il tragitto di molti dei corridoi del palazzo, non conoscevo quello lungo il quale una delle guardie del re mi stava scortando. Più ci addentravamo, più le fiaccole si diradavano. Ci fermammo davanti a un portone identico a quello della mia stanza, sorvegliato da un omone in armatura, e attesi che il soldato bussasse tre volte. Fu un gesto sbrigativo, il suo. Quasi scocciato. La mia presenza nel castello non era ben gradita dalla maggior parte dei suoi abitanti.
«Avanti» la voce di Jared, forte ma in qualche modo anche fragile, ci raggiunse da dietro il legno.
La guardia aprì la porta e mi presentò: «La regina Aureen di Delthar, consorte del re di Kodor».
Feci in tempo a scorgere Jar chino su un letto mentre stringeva la mano raggrinzita di un uomo, prima che si alzasse e mi venisse incontro. «Reen, dèi!» Mi strinse per le spalle e mi studiò per bene con aria preoccupata. «Come stai? Non mi hanno dato il permesso d'incontrarti. Non ho nemmeno il permesso di uscire di qui, se è per questo.»
Prima di rispondere, guardai il soldato e gli feci cenno di andarsene. Lui, anche se riluttante, prese la porta e ci lasciò soli.
«Tu come stai, piuttosto? Temevo che ti avessero torturato, o che tu avessi aggredito...»
A quel punto mi ricordai dell'uomo che giaceva morente nel letto. Lo osservai un'istante, poi guardai Jared, interrogativa.
Lui annuì con aria grave. «Sta morendo.»
L'ambasciatore Sorendal di Delthar, che ricordavo di aver visto un paio di volte quando ero bambina, era l'ombra dell'uomo che era stato. Vederlo così piccolo, fragile e vecchio in quel letto, mi riportò alla memoria le ultime ore di vita di mio padre. Il cuore mi si strinse di tre taglie.
«Credevo che lo detestassi» sussurrai per non farmi sentire dal padre, scosso da deboli colpi di tosse.
Jared sospirò e chinò il capo. «Io... lo so. Ma sta morendo, e se posso alleviare un po' il suo dolore, allora...»
«Jar, sei un uomo buono, ed è di persone come te che ho bisogno nella mia corte. Non giustificarti mai per la tua gentilezza.»
Mi sorrise, ma i suoi occhi erano comunque colmi di tristezza.
«Non c'è modo di salvarlo?»
Lui scosse la testa. «Val credeva che avessero una cura. È con questa scusa che la ricattavano. Ma non c'è nulla da fare.»
«Zar... Zarga...» rantolò il vecchio, senza riuscire a finire.
«Padre?» Jar gli tornò accanto e gli strinse la mano un po' più forte.
«Fuori dalla... fuori dalla fortezza» continuò. «Zargan, lui forse... può aiutar...» uno scoppio di tosse gli impedì di finire.
M'inginocchiai anche io vicino al letto per tentare di capire meglio le sue parole. Passarono lunghi secondi prima che avesse la forza di riprendere a parlare.
«È un medico...»
«Padre, sono segregato qui con te. Non mi daranno mai il permesso di uscire dal castello per andare a cercare questo Zargan.»
Un'illuminazione mi colpì come un fulmine. Sorendal era sempre stato fedele a mio padre. Che ci fosse lui come ambasciatore di Delthar a Kodor, non doveva stare bene a re Dorian. Ora che quest'ultimo mi aveva sposata, avrebbe cercato di dare a uomini da lui scelti le posizioni politiche di maggiore rilievo. Aveva usato Sorendel per catturarci, e ora avrebbe lasciato che morisse. Non stava nemmeno tentando di salvarlo.
«Tu non puoi uscire da qui, ma io...» mormorai, più a me stessa che a Jared.
Stavo imparando a conoscere i fitti corridoi del castello. Non avevo ancora capito come uscire dal palazzo, e gli incontri permessi tra me e Lady Cheryl non erano bastati affinché lei mi insegnasse tutto. Ma c'ero vicina. Io sentivo che avrei presto scoperto il più importate e segreto tragitto di quella fortezza.
Quando sollevai gli occhi, incontrai quelli del mio amico. Era preoccupato, certo. Ma un barlume di speranza gli brillava nelle iridi lucide.
«Posso andare io. Credo di riuscire a uscire dal palazzo senza che nessuno se ne accorga. Troverò questo medico e mi farò dire come curare tuo padre.»
Jared sembrò rifletterci. «Potresti sfruttare l'occasione per scappare.»
«Non vado da nessuna parte. Ho un piano e mi serve un esercito. Devo restare qui.»
«Reen... è pericoloso. Potresti rimanere uccisa.»
Sollevai un angolo della bocca. Un moto d'orgoglio per me stessa mi riempì il petto, insieme all'estenuante mancanza che sentivo di Eden.
«Jar, nessuno fa fuori Aureen di Delthar.»
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