50- AUREEN

Il caldo era asfissiante anche all'interno del palazzo reale. Tutto lì, a partire dal cielo stesso, era rosso o nero.

A Delthar mi ero così abituata allo sconfinato verde che mi sembrava impossibile che esistesse un luogo tanto... morto. Non c'erano ruscelli d'acqua limpida, c'erano fiumi di lava; non c'erano alberi rigogliosi, c'erano rami secchi che spuntavano dal terreno come scheletri; non c'erano uccelli che svolazzavano, c'erano nubi di fumo tanto fitte da oscurare completamente il sole.

Ero affacciata alla finestra della mia stanza. Aveva un bagno personale, un letto comodo, uno scrittoio, e grandi vetrate che affacciavano sulla città di Kodor, ma restava pur sempre una cella.

Jared era stato condotto al cospetto di suo padre che lo aspettava al suo capezzale.

L'odore di zolfo filtrava nonostante non ci fosse nemmeno uno spiraglio aperto sull'esterno. Non avevo ancora versato neanche una lacrima. Fissavo le casupole di pietra lavica, la stessa pietra del quale era fatto il castello, desiderando con tutto il cuore di potermi addormentare e risvegliare nel mio letto a Delthar.

Toc toc toc.

Non risposi, ma voltai il capo in direzione della porta. Dopo pochi istanti, sbucò la testa di Valerin che mi guardava speranzosa. Sentii tutto il fuoco di quei vulcani scorrermi sottopelle e tapparmi le vene. In un movimento fluido e svelto raggiunsi lo scrittoio e afferrai il tagliacarte che vi era posato sopra.

«Che fossi una traditrice lo avevo capito. Ma che fossi anche così stupida... no, vorrei dire che mi stupisce. Ma in realtà non mi stupisce affatto. Se non ti ho ancora tagliato la gola è per l'affetto e il rispetto che nutro per tuo fratello. Ma la mia pazienza ha un limite, Valerin. Vattene.»

Tenevo la lama puntata davanti a me. Non provai imbarazzo nell'accorgermi che mi tremava il braccio.

I suoi occhi colmi di dolore non mi scalfirono. Non dal momento che Eden era chissà dove a subire chissà cosa per mano di chissà chi.

Si morse il labbro e sollevò le braccia. Sopra di esse teneva poggiato un ammasso di stoffa bianca. «Mi hanno mandata qui...» le si ruppe la voce e si schiarì la gola. «Per la vestizione. Re Dorian ti attende all'altare. Devo... aiutarti a vestirti.»

Arricciai le labbra e la guardai con tutto l'odio di questo mondo. In altre, importanti occasioni era stata lei a vestirmi. E gliene ero persino stata grata. Adesso, avrei solo voluto vederla scomparire.

«Non indosserò mai quell'abito. Non mi presenterò a lui come una vittima sacrificale. Riferisci al tuo re che preferisco sfilare nuda, piuttosto.»

Lei fece un passo avanti, la fronte increspata. «Lui non è il mio re, Reen. Sei tu la mia sovrana.»

Io, in risposta, feci un passo indietro. Se si fosse avvicinata ancora, non avrei resistito all'impulso di sgozzarla.

«Non ti voglio qui. Vattene.»

Lei si buttò sulle ginocchia e lasciò cadere il vestito da sposa che era stato confezionato per me. «Ti prego, dammi solo... vorrei solo che...»

Rumore di tacchi che battevano sul pavimento di marmo nero.

«Su, Val, non renderti così patetica.» Sulle prime non riconobbi quella nuova voce, ma quando sollevai lo sguardo trovai un viso familiare che mi osservava divertito.

Grandi occhi azzurri, lentiggini sparse sul naso, labbra carnose dipinte di rosso, piglio furbo, abito dello stesso colore del rossetto e dei capelli, e che le aderiva alla perfezione. Bella da togliere il fiato.

E decisamente non la persona che mi aspettavo di incontrare.

Lady Cheryl, che avevo avuto il dispiacere di conoscere al ballo organizzato per la mia incoronazione, aveva mostrato un particolare interesse per Eden. Anzi, tra i due avevo percepito del passato.

«Tu.» Strinsi le palpebre in due fessure.

Lei, senza smettere di sorridere scaltra, roteò gli occhi. «Val, sparisci» ordinò. «La regina e io abbiamo alcune cose di cui parlare.»

Valerin si alzò asciugandosi le lacrime, e uscì a passo svelto lasciando l'abito a terra.

Lady Cheryl, che fino a un attimo prima era appoggiata allo stipite della porta, mi venne incontro con le cattive intenzioni dipinte negli occhi.

«Cosa vuoi?»

Si chinò e raccolse il vestito. «Immaginavo che avresti preferito che non fosse la fedifraga del tuo regno a prepararti per il matrimonio.»

«E cosa ti fa credere che tu, invece, sia adatta al compito?»

Scrollò le spalle. «Che io sappia non c'è nessun altro qui, a parte Valerin, che tu conosca. Almeno un minimo.»

«Io di te so solo che sei una civetta dalle lunghe ciglia e dalla lingua biforcuta.»

Lei sbatté gli occhi con fare teatrale. «Era un complimento, quello?»

«Sparisci, non ho bisogno del tuo aiuto.»

«Oh, sì che ne hai.»

Si avviò alla vasca e aprì il rubinetto. L'acqua fumante cominciò a salire, perciò versò all'interno dei sali e degli oli che nascosero subito la puzza di zolfo.

L'idea che venissi lavata e profumata per essere condotta all'uomo che, una volta pronunciati i voti, avrebbe potuto fare di me ciò che voleva, mi fece torcere le budella.

«Non farò nulla di mia spontanea volontà. Dovrete costringermi.»

«E con ciò? Quell'esercito non risponderà mai a me.»

«Siete ormai una regina fantoccio. Non avete soldati, non avete fedeli, non avete risorse e non avete fondi. Ha preso tutto Mastro Claudius, vi ha spodestata. E non ha nemmeno fatto tanta fatica. Ah, e non avete più neanche un gran cavaliere. Potreste provare a ridistribuire le carte, però.» Aggrottò la fronte e sporse le labbra con finta tristezza.

Strinsi i denti e chiusi gli occhi per placare la furia. «Non nominare Eden. Non pensare e non parlare di lui.»

«Avete bisogno di me, regina del nulla.»

Mi morsi l'interno della guancia per la frustrazione.

«Cosa ci fai qui, comunque?»

«Il fatto che, dopo il nostro primo incontro, voi non vi siate presa la briga di indagare su di me mi ferisce. Speravo di avervi fatta ingelosire almeno un pochino.» Mise un finto broncio mostrando un minuscolo spazio tra pollice e indice. «Questa è la mia casa, mio padre è l'ambasciatore di Kodor nel regno di Delthar.»

«Perché vuoi aiutarmi? Come faccio a sapere che non sia una trappola?»

«Avete talmente poche speranze, mia cara, che dovrete fidarti e basta. Immagino che visti i tempi che corrono sia una cosa difficile per voi.» Si lasciò cadere sul mio letto e si guardò le unghie con indifferenza.

«Cosa ci guadagni?»

A quella domanda, un sorrisino gli piegò gli angoli della bocca verso l'alto. «Questo non ti riguarda.» Si tirò su dal letto con un sospiro teatrale. «Allora, pronta per andare in scena?»

L'occhio mi cadde sul vestito da sposa e arricciai il naso. «Quello non lo metto.»

Dimostrarmi arrendevole sarebbe stato controproducente: nessuno avrebbe mai creduto che mi fossi arresa al mio destino, dovevo almeno dare qualche piccolo problema per riuscire a passare inosservata. Quello era il mio piano.

Lady Cheryl si lanciò il vestito alle spalle. «Speravo lo diceste. Ho preparato l'abito perfetto per l'occasione. Vi farà impazzire.»

«Lo sai, vero, che il tuo è alto tradimento alla corona?»

Fece spallucce. «Si vede che Valerin non è l'unica fedifraga presente in questo castello.»

Dèi, mandatemela buona almeno una volta, sospirai mentalmente.

La situazione era così ingarbugliata, così complicata, che persino la minaccia latente di Zelveen era passata in secondo piano nella mia mente. Dovevo trovare il modo di andarmene di lì, di raggiungere il principe Zades e di ottenere la sua alleanza. Poi sarei andata a prendere Eden e, insieme, avremmo riconquistato il mio regno. E avremmo affrontato anche la Traditrice.

La Corona di Tenebre era vicina, altrimenti avrei già iniziato a soffrirne la distanza. Non mi preoccupai di quali mani la toccassero. Sperai che lo facessero in molte, così che si occupasse lei di incenerirli a uno a uno. Alle domande che avrei ricevuto in merito, invece, non avrei risposto. Dovevo solo resistere.

«D'accordo. Da dove cominciamo?»

«Be', Aureen, tanto per iniziare è ora che io ti dia del tu.»

Era nero.

Nero come la pece, nero come il carbone, nero come le tenebre.

Un lungo spacco mi saliva fino alla vita, lasciando scoperta una coscia e parte del fianco. Il tessuto era di velluto spesso, punteggiato qua e là da pietre lucide che davano l'impressione che indossassi il manto stellato, simile a quello che avevo indossato al ballo. Il corpetto, però, era di acciaio, come un'armatura. Un velo scuro dal tessuto trasparente mi copriva il viso e i capelli sciolti sulle spalle. Nello scollo tra i seni, pendeva un ciondolo dalla forma di un pugnale, e ai polsi avevo indossato due bracciali che ricordavano tanto la forma delle catene. Tutti i presenti dovevano avere ben chiaro il mio ruolo lì quel giorno: ero una prigioniera, non una sposa. E non ero disposta a mostrami casta, pura e disponibile.

Percorsi la navata da sola. Senza bouquet e senza chinare il capo. Non guardai i presenti seduti sulle panchine ai lati, ma tenni gli occhi fissi in quelli del sovrano di Kodor.

Strinse la mascella. Non approvava il mio abbigliamento. Tantomeno approvava il mio atteggiamento.

Quando lo raggiunsi, udii il gran sacerdote schiarirsi la gola per l'imbarazzo.

Il tanfo dell'alito del re mi colpì le narici quando si chinò su di me. «Altezza, è una cerimonia. Non siamo in un bordello.» Mi percorse tutta la gamba e la coscia con uno sguardo a metà tra il furioso e il lascivo.

«Una cerimonia, dite? Devo aver frainteso, avevo l'impressione che si trattasse di una violenza. Chiedo venia.»

Sogghignò con ira. «Vediamo se stasera sarete ancora così spiritosa.»

«Sì, staremo a vedere.»

Mi afferrò entrambe le mani e me le strinse con forza. «Presto capirete che non...»

«Sire,» lo interruppe il gran sacerdote, intimandogli di non dare spettacolo, «siete pronto per giurare il vostro amore e la vostra fedeltà alla qui presente Aureen figlia di Aramis e regina di Delthar?»

«Pronto» sibilò.

«E voi, Maestà?»

«Pronta.»

Durante la cerimonia, buttai uno sguardo veloce alla sala. I fiori che coprivano le panche e l'altare erano boccioli non ancora schiusi di Aureenyria Santaminas. Non credevo che fossero lì in mio onore. Era uno scherzo di cattivo gusto, un modo per deridermi.

Non ascoltai neanche una parola di quelle che vennero dette. La mia mente era proiettata verso Eden.

«Accettate questo uomo come vostro marito, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi?»

I miei occhi andarono a quelli di Dorian che mi fissava con aria vittoriosa.

«Sì. Finché morte non ci separi.»

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