48- AUREEN
Il dolore di un tradimento è lacerante, ti lascia senza fiato e con il petto vuoto.
Strizzai le palpebre premuta contro le sbarre di quel carretto-prigione e mi morsi la lingua. Non ero più nuda, ma mi sentivo come se lo fossi. Io ero lì, imprigionata. Ed Eden mi era stato strappato dalle braccia. Strinsi le dita contro il ferro fissando con odio ogni guardia che mi passava davanti con aria soddisfatta.
Mi avevano catturata. Avrebbero ottenuto una ricompensa, per questo.
Ripensai al tocco tiepido di Eden e mi sentii gli occhi bruciare e lo stomaco accartocciare. Fu una fortuna che Val non fosse in quella cella insieme a me. Una fortuna per lei. Perché se avessi avuto modo di metterle le mani addosso, non credo che avrei trovato la forza di contenere la mia rabbia.
Mi stavano portando da re Dorian, il più orripilante bruto dei regni. Eden veniva trascinato chissà dove al di là del grande mare. Avevo viaggiato talmente poco che quella distanza mi sembrava incolmabile, come se si trovasse a pianeti, galassie, universi di distanza da me.
«Reen.» La grossa mano di Jar mi si posò sulla spalla e mi costrinse ad aprire gli occhi. «Risolveremo tutto, te lo assicuro.»
Non osavo immaginare come si sentisse: sua sorella aveva tradito tutti noi, e il suo più caro amico stava per affrontare un tiranno peggiore di quello che avremmo dovuto incontrare noi. Il re delle Terre Libere era noto per la sua spietatezza e per l'ossessione del sangue puro. La pelle di Eden non era né abbastanza scura né abbastanza chiara per meritare rispetto, secondo quell'ottica.
«Reen» mi chiamò di nuovo Jar. «Non riusciranno a spezzarlo. Eden è stato addestrato per imparare a cavarsela. Sempre. Ha più vite di un gatto.»
Gatto.
«Dov'è Willy?» scattai, raddrizzando la schiena.
Mi sentii un mostro ad aver realizzato solo in quel momento che mancava qualcuno, tra noi.
Jar, i cui occhi erano rossi per la sofferenza trattenuta, abbassò la testa. «Quel piccoletto è fuggito quando hanno fatto irruzione nella locanda. È meglio così. Se lo avessero acchiappato, lo avrebbero scannato solo per farti dispetto.»
Il groppo che avevo in gola si fece ancora più grande.
C'era qualcosa della mia vita che fosse rimasta integra? Avevo perso tutto. Tutto.
Quando deglutii, sentii il sapore salato delle lacrime.
«Val pagherà per quel che ha fatto.» La mia voce sembrava provenire dal limbo degli dèi, per quanto suonò cupa.
Anche se era sua sorella – soprattutto perché era sua sorella –, avevo bisogno che Jar fosse ben consapevole che il tradimento non sarebbe rimasto impunito. Non avrei avuto pietà.
Lui strinse le labbra, ma annuì. «Solo... non permetterle di cambiarti.»
Forse Delthar non avrebbe avuto un futuro a causa sua. Se ne fossimo usciti, nessuno si sarebbe ritrovato l'anima a posto. In guerra non esistevano brave persone. Tutti avremmo dovuto compiere azioni terribili. E parte della responsabilità spettava a Valerin.
«Mi ha già cambiata.»
Con uno scossone, il carro si assestò. Viaggiavamo per ore e, seppure non toccassi cibo da chissà quanto, non riuscii neanche a pensare di mettere nello stomaco qualcosa. Difatti, quando ci venne passato tra le sbarre del formaggio e delle ossa avanzate dal falò, mi sentii preda dei conati. A maggior ragione quando, sollevando lo sguardo, incontrai gli occhi cerchiati di viola di Valerin.
Arricciai le labbra e mi trattenni dallo sputarle addosso.
Il fatto che avesse collaborato con le guardie, le aveva fatto guadagnare il privilegio di viaggiare a piedi insieme alle serve invece che nella cella con noi.
«Reen, ti prego...»
«Valerin,» la ammonì suo fratello senza guardala negli occhi, «se hai un po' di dignità tornatene da dove sei venuta. La tua regina non desidera parlare con te.»
«Non ho avuto scelta, hanno minacciato nostro padre. Loro... lo avrebbero ucciso!»
Lo sguardo di Jar fu raggelante. «Intendi l'uomo che mi ha trattato come un pezzo di carne da dare in pasto ai cani? O quello che ti ha sempre vista come una bella bambolina senza personalità capace solo di svolazzare da un ballo all'altro e, che in fondo, bisognava amarla per quello? Be', forse ha sempre avuto ragione lui. Io ed Eden in te vedevamo molto di più. A questo punto, penso che i ciechi siamo sempre stati noi. Non lui.»
«Jar, è comunque mio padre. Tuo padre!»
«E io ero tuo fratello. Lei la tua regina, ed Eden il tuo amico più caro. E tanto per la cronaca, io non ho un padre».
Valerin si strinse il labbro tanto forte da far uscire il sangue. Poi tornò a rivolgersi a me. «Ho fatto l'unica cosa che credevo possibile per salvare mio padre dal re di Kodor. Ma non ho mai smesso di esserti fedele, di essere tua amica... sapevo con chi razza di gente avevamo a che fare, per questo ti ho messo le ampolle nella tasca. Sapevo che avresti saputo cosa farne.»
Mi venne quasi da ridere della sua arroganza.
«Avermi fornito le armi per provare a proteggermi da uno stupro verso il quale tu mi avevi spinta ti renderebbe mia amica? Ti renderebbe mia suddita fedele? Pensavo fossi più intelligente di così. Le tue lacrime non mi feriscono. Non provo alcuna pena per te. E questo dolore che provi è solo una briciola della punizione che meriti. E una briciola di quello che provo io e che proverà l'intero regno a causa tua.»
«Sai una cosa, Val?» Il tono di Jared aveva qualcosa di rassegnato. «Se ti fossi confidata con Eden, lui non avrebbe mai sacrificato nostro padre. Avrebbe trovato un modo per salvare anche lui. Lo avremmo fatto insieme.»
Fu a quelle parole che Valerin lasciò cadere il nostro cibo a terra. Cibo che comunque non avremmo mangiato. Dal rossore dei suoi occhi e delle sue guance, intuii che quelle parole le avessero fatto più male di uno schiaffo in pieno viso.
Quando scappò via, Jar si rannicchiò su se stesso e si nascose il viso tra le mani. Era grande e grosso, ma con il cuore tenero di un cucciolo. Ora toccava a me essere di conforto, ma non potevo promettergli che le cose con sua sorella si sarebbero risolte, perciò mi limitai a trascinarmi fino a lui e ad appoggiarmi alla sua spalla.
«Quando tutto sarà finito» sussurrai, «ci lasceremo questo dolore alle spalle.»
Il viaggio durò lunghi giorni di tormento. Potevo solo rifugiarmi nel sonno, per sfuggire a quella lama che sentivo piantata nel petto.
Trattenevo le lacrime, pianificavo, dormivo.
Nelle ultime ore di strada, mi risvegliai per via del tanfo di zolfo. E del caldo. Quando aprii gli occhi, posai lo sguardo sulla gigantesca schiena di Jared, piegata in una postura sconfitta.
Al di là di lui, i miei occhi si riempirono di nebbia rossa, di vette ardenti e di pulviscolo grigio che aleggiava nell'aria. Tossii. Eravamo circondati da una catena montuosa di vulcani. Capii allora come mai quel regno avesse resistito a tutte le minacce ricevute nel corso dei secoli. Era l'imprevedibilità dei vulcani per gli stranieri. Solo chi era di lì sapeva quando e come accostarvisi.
Udii uno scoppio e, a distanza di qualche chilometro, uno schizzo di lava arse nel cielo come una pennellata incandescente. La terra sotto di noi brontolava come uno stomaco affamato. Ci trovavamo nell'avvallamento tra due monti e i cavalli nitrivano per le polveri sottili che entravano loro nei polmoni. Mi sporsi dall'altra parte della gabbia e, in lontananza, vidi un'alta e appuntita torre nera. Sembrava fatta di pietra lavica. Era certamente quella la dimora del re che stavo per sposare. Nonostante il caldo, rabbrividii.
Mi poggiai sconsolata contro le ringhiere che erano diventate bollenti e che mi aiutarono a controllare il freddo che sentivo dentro.
«Non temere, Reen.»
«Non è per me che mi preoccupo di più.»
C'era una tristezza struggente nel suo sguardo. «Nessuno fa fuori Eden di Delthar.»
A quella frase, mi sentii trafiggere.
Eden l'aveva ripetute talmente tante volte, e con talmente tanta sicurezza, che mi sentii in obbligo di iniziare a crederci anche io. Glielo dovevo.
Raddrizzai la schiena e mi sporsi verso di lui. «Jar, è ora che qualcuno mi spieghi da dove diavolo arrivano queste parole.»
Lui mi osservò con un orgoglio feroce nello sguardo, e si preparò a raccontare.
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