47- AUREEN
Se ne avessi avuto il potere, avrei cristallizzato quel momento.
Eravamo avvolti nei mantelli che ci si erano attorcigliati addosso. Eden era sdraiato sulla schiena con un braccio sotto alla testa, io tenevo la guancia posata sul suo pettorale. Con un dito, nonostante le palpebre pesanti, tracciai i contorni dei suoi muscoli.
Non ero mai stata più felice di così.
Ma si sa, le felicità più intense hanno le più dolorose conclusioni.
«Eden» lo chiamai, sollevandomi su un gomito.
«Sì, Aletzza?» Piegò un angolo della bocca verso l'altro in un sorriso che mi avrebbe tranquillamente potuto mandare all'oltretomba, il limbo dei regni.
Sapeva cosa volevo dirgli, e questa volta non mi avrebbe interrotto. Sul suo splendido viso governava un'espressione di totale soddisfazione, unita alla dolcezza e all'aspettativa. Le iridi verdi smeraldo dei suoi occhi erano più brillanti che mai.
«Io ti...»
Venni interrotta dal frastuono della porta che si spalancava sull'ingresso e dal nitrito spaventato del cavallo. Sussultammo entrambi. All'inizio, credetti che fosse colpa del vento che infuriava fuori, ma poi udii il suono di diversi passi che percorrevano il corridoio.
Senza pensarci due volte, tenendomi il mantello premuto addosso, allungai la mano ai miei vestiti a terra e recuperai il pugnale. Eden fu subito pronto a impugnare una delle sue due spade.
«Cosa abbiamo qui?» cantilenò una voce profonda.
Non riconobbi l'uomo, ma bastò la divisa da guardia reale di Delthar a farmi tendere tutta.
Ci hanno trovati. Di nuovo.
Non erano passati molti giorni da quando Eden mi aveva salvata dalle grinfie dei miei rapitori, ma eravamo di nuovo in trappola. Come era possibile? Avevo come l'impressione che possedessero una bussola che puntava dritta su di noi.
«Allora erano vere le voci, la nostra sovrana è una cagna.»
Eden fece un passo parandosi davanti a me. Il fatto che fossimo nudi, coperti a malapena dalla pelliccia dei mantelli, non deponeva a nostro favore il quello scontro. Non sembravamo chissà quale minaccia. Ma Eden, nonostante questo, sprigionava dalla pelle ancora calda una rabbia letale.
«Attenti, signori» li minacciò, «tendo a non prendere molto bene gli insulti rivolti alla regina.»
La guardia sbuffò una risata di scherno. «Sapete, gran cavaliere, avevo più considerazione di voi prima di assistere allo spettacolino di poco fa.» Indicò un punto alle nostre spalle.
Mi girai, con il cuore che batteva come una furia nella gola, e i miei occhi si posarono su una finestra sudicia sul quale vetro era rimasta la condensa di più respiri. Come se qualcuno avesse sbirciato dentro la catapecchia.
Fuori era buio pesto e noi, alla luce del fuoco, non ci eravamo accorti che qualcuno ci stava spiando.
Una delle guardie alle spalle del loro capitano si massaggiò il pacco, guardandomi con occhi lascivi che mi diedero il ribrezzo. «E che spettacolino!»
Rabbrividii di rabbia, paura e vergogna. Di nuovo quella sensazione d'impotenza.
Eden, senza staccare lo sguardo dai nostri nemici, portò una mano all'indietro e mi sfilò il pugnale dalla presa. Poi, in un movimento tanto veloce che fu impossibile registrarlo, lo lanciò e colpì la guardia dritto alla gola. Questa strabuzzò gli occhi, si portò le mani alla ferita e, in un suono disgustoso e gorgogliante, cadde a terra con un tonfo.
«C'è qualcun altro che ha qualcosa da dire?» ruggì Eden, i muscoli tesi e duri come mai prima.
La sua pelle divenne più luminosa, come se il potere che possedeva tentasse di fuoriuscire dal suo corpo.
Ci fu un istante di silenzio, poi il capitano sorrise. Aveva la vittoria dipinta in faccia. «Avete giocato male la vostra partita, gran cavaliere.» Si portò due dita alla bocca e fischiò.
A quel punto, udii delle grida e delle imprecazioni. Poco dopo, altri uomini entrarono nella stanza trascinando Alec e Valerin.
«Levatemi le mani di dosso» sbraitò lei, divincolandosi senza successo.
Feci per scattare in avanti, ma Eden, tendendo un braccio, mi bloccò il passaggio. «Lasciateli andare. Subito.»
La guardia si massaggiò il mento, ma si vedeva che non ne aveva alcuna intenzione. «Non siete nella posizione di dare ordini.» Fece un passo avanti. «Il gigante vostro amico è stato duro da buttare giù, ma alla fine ce l'abbiamo fatta.»
«Dov'è Jar.» Mi uscì un ringhio che non aveva l'inclinazione di una domanda.
«Sul carro, non temete Vostra Maestà. Non abbiamo intenzione di uccidere i figli di Sorendal.»
Sorendal di Delthar, il padre di Jared e Valerin che lavorava come ambasciatore nel regno di Kodor. C'era un filo rosso che legava tutte queste informazioni, ma non riuscivo a sciogliere i nodi.
I miei occhi incontrarono quelli Valerin. Erano colmi di paura. E io venni presa dall'angoscia. Non l'avrebbero uccisa, ma questo non significava che non le avrebbero fatto del male. Se erano stati pronti a mettere le mani addosso alla regina di Delthar, promessa sposa di re Dorian, cosa impediva a lei di ricevere lo stesso trattamento? La sola idea mi dava la nausea più che se fosse toccato a me.
Le guardie che tenevano ferme i nostri amici portarono le lame dei coltelli alle loro gole.
«Ma se saremo obbligati...» continuò l'uomo. «Ci verrà perdonato l'omicidio della figlia dell'ambasciatore, se portiamo al re la sgualdrina che gli è stata promessa. Perciò: giù le armi, Eden. Hai perso questa battaglia.»
Anche se non aprì bocca, riuscii a leggere in maniera chiara i pensieri nella sua testa. Se avesse posato le armi, saremmo stati del tutto indifesi. Se non l'avesse fatto, Valerin e Alec sarebbero morti. E comunque non sarebbe riuscito a proteggermi, perché eravamo nudi, quasi del tutto disarmati e senza alleati. Fuori, ad aspettarci, poteva esserci un plotone intero.
Non si trattava di prendere una decisione. Lui stava cercando il modo di salvarci tutti, di avere tutto. Ma non esisteva.
«Fai come dice» gli ordinai.
Girò lieve la tesa verso di me. Lessi sul suo profilo duro l'angoscia. «No, Reen, loro...»
«Loro mi porteranno dal marito al quale sono stata promessa. Non mi uccideranno, sarò comunque salva.»
Un suono rabbioso e cavernoso gli salì in gola.
Tenni la mano premuta contro la stoffa che mi copriva e feci un passo avanti, superando Eden.
«Vi propongo un patto, capitano. Voi lasciate liberi i miei amici e io verrò con voi di mia spontanea volontà.»
«Ho comunque il potere di prendere voi e di uccidere loro. Ma siccome siete così carina...» mi percorse tutta con un un'unica, disgustosa occhiata, «...accetto. Non facciamo troppe storie»
«Reen» ringhiò Eden.
Mi girai verso di lui e alzai il mento nel debole tentativo di dimostrargli la mia sicurezza. «Abbassa la spada.» Portai una mano al suo polso e lo costrinsi a obbedirmi. Poi, con voce bassa affinché potesse udirmi solo lui, aggiunsi: «Hai perso la nostra scommessa, ricordi? Devi pagare il debito, e quello che ti chiedo è di accettare e di fidarti di me. Vai dal principe Zades, guadagna degli alleati e vieni a prendermi.» I suoi occhi erano diventati più scuri, come il verde fitto della foresta. Deglutii prima di proseguire. «Se dovesse essere necessario, promettigli che diventerò sua moglie.»
«No. Non posso farlo.»
«Sì» ribadii con fermezza. «Te lo prometto, andrà tutto bene.»
«Se avete finito di confabulare» s'intromise la guardia, «qui avremmo un viaggio da intraprendere. Non so per quanto tempo ancora mi sentirò magnanimo, la voglia di tagliare qualche gola è dura da tenere sotto controllo.»
Feci per allontanarmi da Eden, ma lui mi afferrò per il polso. Ci volle tutta la mia determinazione per liberarmi dalla presa e per raggiungere la guardia. «Sono pronta.»
«No, neanche per il cazzo.» Eden sollevò la lama e fu pronto a combattere.
Pronto a sacrificare i suoi amici per salvare la mia vita.
Pronto a sacrificare se stesso per salvare me.
Valerin e Alec non obiettarono. Non si mossero nemmeno. Non avrebbero mai biasimato Eden per quel gesto. Lo capivano. Il gran cavaliere aveva giurato di mettere la vita della regina di fronte a quella di chiunque altro.
Fu pronto a utilizzare anche il suo potere di Inverso delle tempeste. Ma quando l'energia si accumulò nella sua mano, si fece avanti una guardia che, in un movimento secco ed esperto della mano, gli fece abortire quel tentativo sul nascere. Negli occhi dell'uomo vidi brillare scintille di elettricità. Doveva possedere le stesse capacità di Eden, e doveva persino conoscerle meglio.
Altri uomini gli furono subito addosso. Urlai, quando una spada lo ferì alla spalla facendo sgorgare il sangue. Lui, però, ne fece finire a terra un paio. Lo spazio era troppo ristretto, lui era ancora ferito dall'ultima battaglia ed era in una posizione di svantaggio. Non ci volle molto prima che lo sovrastassero. Era al suolo, sanguinante, ma non arreso. Maiarreso.
«Basta così!» gridai così forte da ledermi la gola.
L'illuminazione, poi, mi arrivò tutta insieme. La Corona di Tenebre.
Chiusi gli occhi, cercando di richiamare a me la sua oscura magia. Per un lungo istante ci fu il vuoto. Riuscivo solo a percepire i grugniti e i rantoli della zuffa.
Poi mi parlò.
Regina delle Tenebre, hai bisogno di me?
Ti prego, aiutami, pensai.
Hai usufruito del mio potere già tre volte.
Sentivo che nella sua voce c'era una nota pungente di soddisfazione. Non avevo mai capito perché mi concedesse la propria forza senza chiedere nulla in cambio. Ora mi era chiaro. Aspettava solo il momento in cui fossi obbligata a cederle.
Ti supplico, solo un'ultima volta, pregai.
Sai cosa devi fare.
Se volevo salvare me stessa, Eden e i nostri amici, dovevo indossare la Corona.
Eden avrebbe sacrificato la sua vita per me. Io avrei donato la mia alle Tenebre, per lui.
Aprii gli occhi e scattai di lato. La sacca con la Corona era abbandonata accanto al caminetto. Dovevo soltanto raggiungerla. I piedi mi si riempirono di schegge di legno, ma non ci feci caso. Mi fiondai a terra e, in quell'istante, Eden intuì cosa stavo facendo.
«Reen, non farlo!»
Non lo ascoltai. Non avrei lasciato che mi portassero via. Non avrei lasciato che lo uccidessero. Aprii la sacca, recuperai lo scrigno e... e quest'ultimo mi venne strappato dalle mani.
Il grido mi uscì in un gracchio disperato. La guardia che mi aveva raggiunto era giovane, non doveva avere più dei miei anni.
«Cosa nasconde?» gli domandò il capitano.
Il ragazzo aprì la scatola. La Corona giaceva lì, splendendo alla luce fioca del camino. Le sue punte aguzze sembravano quasi innocue. «È una coro...» non fece in tempo a finire la frase, perché l'afferrò e i tentacoli di fumo azzurro gli si avvilupparono intorno al braccio.
Nessuno, al di fuori del prescelto della dinastia dei Delthar poteva toccarla. Nessuno.
La giovane guardia sbarrò gli occhi e spalancò la bocca in un urlo muto. Pochi istanti dopo la sua pelle s'ingrigì, i capelli gli divennero bianchi, il volto gli si accartocciò, e gli occhi si fecero opachi. Cadde a terra e si sgretolò, sparendo in una nuvola di polvere.
Il capitano mosse un passo avanti, orripilato. «Ma che cazzo... che stregoneria è, donna?» mi strattonò per un braccio.
Io lo guardai duramente dritto negli occhi e serrai le labbra. Non gli avrei detto una parola.
Lui intuì le mie intenzioni e lanciò un cenno a uno dei suoi tirapiedi. «Raccogli quella roba, la portiamo con noi. Il re di Kodor vorrà saperne di più.»
L'uomo lo guardò con spavento. «Ma, capitano... non avete visto cosa gli è successo? Non... posso toccarla.»
«Basta che non tocchi la corona, razza di idiota. Limitati a raccogliere lo scrigno.»
«Ma...»
«Mettiamola così: o rischi recuperando la scatola, o vai sul sicuro e ti uccido io con queste mani.»
La guardia deglutì e obbedì.
«Fine dei giochi» sentenziò il capitano, strattonandomi ancora. «Tu vieni con me. E anche i figli di Sorendal. Quell'altro» accennò invece ad Alec, «riportatelo da Mastro Claudius.»
«Avevate detto che li avreste lasciati liberi» protestai.
«E voi che sareste venuta con me di vostra spontanea volontà. Ringraziatemi che non li abbia uccisi. E non fate storie.»
«Reen...» Mi voltai verso Eden che giaceva in ginocchio e coperto di sangue. Era quasi irriconoscibile.
«Lasciate andare lui, non può arrecarvi danno.» Il capitano si beò del mio tono supplichevole, quando indicai Eden.
L'uomo mi guardò e sorrise con una strana scintilla negli occhi. «Per lui il piano è sempre stato uno. Torna a casa.» Ero confusa. Casa sua era dove mi trovavo io, questo era il compito di un gran cavaliere. «Nelle Terre Libere» specificò.
La bile mi salì lungo l'esofago. No. Assolutamente no.
«Quella non è la mia casa» sibilò Eden, tossicchiando e tentando di rialzarsi.
Il comandante gli si accucciò davanti: «Oh, bastardo, ci puoi giurare che lo sia.»
Uomini dalla pelle di un tono più scuro rispetto a quella di Eden entrarono nel salotto armati fino ai denti. Mi misi davanti a lui, una mano tesa in avanti intimando le guardie di restare dov'erano, l'altra premuta sul petto per impedire al mantello di cadere a terra. «Non avvicinatevi.» La mia voce non sembrava neanche più la stessa.
Il comandante storse il naso. «Rivestitevi Altezza, e rendetevi rispettabile.»
«Lasciatelo andare e basta, non vi serve a nulla. È me che Claudius e re Dorian vogliono.»
«Non siate sciocca» ribatté, portando gli occhi su Valerin. «Glielo dite voi, biondina? O ci penso io?»
Aggrottai la fonte.
«Dirmi cosa?» Se i miei occhi avessero potuto trafiggerla, lo avrebbero fatto.
Gli occhi di lei che si riempirono di lacrime e rimpianto mi dissero tutto quello che c'era da sapere.
Mi sentii i polmoni prima svotarsi e poi comprimersi. Un dolore che s'irradiava in tutta la schiena come una pugnalata.
Ci aveva traditi tutti.
La bussola che gli uomini di Claudius avevano sempre avuto puntata su di noi era Valerin.
La guardia che la teneva per le braccia la lasciò andare e lei si fiondò su di me, inginocchiandomisi davanti, nonostante la sua coscia ancora ferita. «Reen, ti prego, perdonami. Perdonami, non mi hanno dato scelta...» piagnucolò.
«Tu.» La smorfia sul viso di Eden era di puro odio.
Non riuscivo neanche a guardarla negli occhi. Alec boccheggiava, incapace di realizzare quanto appena successo.
«Eden» gemette lei, la voce roca. «Eden, hanno minacciato mio padre. Non potevo...»
«Zitta» ordinai con la furia che mi bruciava le palpebre. «E dimmi cosa c'entra Eden in tutto questo.»
Lei abbassò il capo con rassegnazione. «Mastro Claudius ritiene che l'esilio sia una punizione adeguata a lui. Non... non gli sarà permesso lasciare le Terre Libere. E se mai dovesse riuscirci, non appena metterà piede sulle coste di Delthar verrà condannato a morte. Ma io non lo sapevo, lo giuro! Sono stati loro» e indicò gli uomini dalla pelle color fumo «a informarmi quando...» si abbracciò, come se cercasse protezione in se stessa.
Quando quella mattina era sparita per andare a riferire i nostri ultimi spostamenti.
«Volevo avvertirvi...»
«Ma non lo hai fatto.» La gelai. «Che tu abbia venduto me è tradimento alla corona. Ma che tu abbia venduto il tuo più caro amico... è disgustoso.» Mi veniva da vomitare. «Quando tornerò sul mio trono, pagherai dieci volte la tua pena.»
«Reen...» supplicò lei.
Distolsi lo sguardo, incapace di sopportare la sua vista un secondo di più. Ecco perché mi ero ritrovata le ampolle nelle tasche. Lei sapeva che sarei stata catturata, e sapeva cosa avrebbero provato a farmi quegli uomini.
«Jared...» mi schiarii la voce, «sa?»
Lei scosse la testa.
Bene, la sua prima punizione sarebbe stata affrontare lo sguardo del fratello.
«Basta così.» Il comandante mandò un cenno agli uomini di re Noah delle Terre Libere.
«No.» Sfoderai i denti e mi parai davanti a Eden, pronta a battermi fino alla fine.
Uno di loro mi strattonò per i capelli, liberando il passaggio. Rotolai su un fianco e, quando caddi, il mantello scivolò scoprendomi parte del busto. Ma non me ne importava. Afferrai Eden e mi avvinghiai a lui.
«Reen...» mi ansimò nell'orecchio.
Era ferito e troppo stanco per difendersi, ormai. Qualcuno ci afferrò per le spalle con l'intendo di separarci.
I miei occhi, colmi di paura, incontrarono i suoi gonfi e contornati di viola.
Avevo finito le parole. Sulla mia lingua arrivò solo il sale delle mie lacrime. Nei suoi occhi, però, lessi tutto. Tutto il suo dolore, tutto il suo rimpianto, tutta la sua impotenza. E tutto il suo amore.
Riuscirono alla fine a staccarci. Scalciai, affondai le unghie, mi dimenai, gridai.
«Tornerò a prenderti» mi promise, prima che venissi trascinata fuori al gelo.
Il cuore mi sanguinava stretto in un pugno invisibile. «Ti troverò, Eden, lo giuro!»
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