45- AUREEN

Aprii gli occhi.

Ero stanchissima, come se avessi tenuto sulle spalle una montagna di corsa. Ma stavo bene, ero viva.

Studiai le venature d'umidità che incidevano la roccia della caverna. Voltai piano la testa guardandomi intorno e scoprendomi sola. Mi alzai di scatto. Un fulmineo pulsare delle tempie mi costrinse a massaggiarmele finché non scomparve. Sulle mie gambe si era ammucchiato il mantello che mi aveva tenuta al caldo.

Il mantello di Eden.

Le braci di un fuoco ormai assopito illuminavano fiocamente l'ambiente. Tutti i ricordi mi tornarono addosso come uno schiaffo in pieno viso. Mi tastai la tasca e trovai le ampolle ancora lì, perfettamente intatte.

I miei occhi trovarono la sacca che conteneva lo scrigno dall'altra parte delle braci, ma non ebbi il tempo di farmi tentare, perché una figura alta e scolpita direttamente nella roccia apparve all'entrata della grotta. Eden teneva della legna tra le braccia e mi guardava con aria stupefatta.

Lasciò cadere i ciocchi a terra e mi raggiunse. «Dèi benedetti, stai bene?» Le sue mani ruvide trovarono le mie guance.

«Mi hai trovata.»

Un'espressione dolce gli si dipinse in volto. «Ti troverò sempre, Reen.»

Un brivido mi scosse tutta, così lui si alzò e andò a sistemare la legna sui tizzoni.

«Scommetto che hai fame.» Tirò fuori dalla sacca uno scoiattolo stecchito.

Il mio stomaco brontolò in risposta. Arrossii.

Lui si voltò a guardarmi e sorrise divertito. «Direi di sì. È un buon segno.»

Ma prima mi porse un tronchetto scavato e chiuso sul fondo che avrei usato come bicchiere.

«Bevi.»

«Dèi» mugugnai, mandando giù l'acqua piovana.

«Con calma, fai piccoli sorsi. Hai dormito per due giorni, il tuo stomaco sarà sottosopra.»

Quasi sputai tutto. «Due giorni?»

«La Corona ti consuma... Non voglio immaginare cosa potrebbe accaderti, indossandola.»

«Dove sono gli altri?»

«Ancora alla locanda, immagino. Li ho lasciati indietro per muovermi più in fretta. Anche se...» si massaggiò la coscia fasciata, reprimendo una smorfia di sofferenza. Il tessuto era sporco di sangue.

«Saresti potuto morire» mi vibrò la voce, e per qualche ragione suonai arrabbiata.

«Anche tu.»

I nostri sguardi s'incontrarono.

«Reen...»

Non riuscii a ignorare la fitta di delusione che mi attraversò il petto quando decise di mordersi la lingua. Stava per dirmi qualcosa, ma ancora una volta si era trattenuto.

«Quindi, lo hai avvelenato?»

Eravamo a dorso del suo cavallo, al mattino seguente, e gli stavo raccontando tutto quel che era accaduto da quando ci eravamo separati.

Tirai fuori le due ampolle dalla tasca. «Non ringrazierò mai Val abbastanza.»

«Ne sa una più del diavolo.»

Le foglie degli alberi sopra di noi dondolavano cullate dal vento. Faceva freddo, ma la sensazione dell'aria sulla pelle era rigenerante. I brividi mi vennero per un altro motivo, molto più profondo e terribile.

Lui mi strofinò un braccio con la mano. «Hai freddo?»

Scossi la testa.

«Se solo potessi, li riporterei in vita tutti quanti per ucciderli di nuovo.»

«Non voglio sentirmi mai più in quel modo.»

Lo sentii irrigidirsi per l'impotenza.

«Fermiamoci» decise.

«Che succede?»

Lui saltò giù dal cavallo. La sua gamba stava guarendo bene, ma ci sarebbe voluto un po' prima che lo squarcio si rimarginasse e smettesse di sibilare ogni volta che vi caricava il peso.

Mi porse una mano per aiutarmi a scendere. «Potrei dirti che non ti sentirai così mai più perché ci sarò sempre io a proteggerti. Ma non è ciò di cui hai bisogno.»

«No?» L'afferrai e smontai dal cavallo.

«No.» Si portò entrambe le mani dietro la testa e sfilò le spade dai foderi assicurati alla sua schiena. Dopodiché me ne porse una. «Ti serve sapere che non hai bisogno di nessuno che ti salvi. Perché puoi farlo da sola.»

Lui mi fece un cenno d'incoraggiamento e io allungai lentamente la mano verso l'impugnatura.

«In posizione.»

«Qui?» Mi guardai attorno.

«Niente scuse, Altezza. Mettiti in posizione.»

Il suo sorrisetto mi diede una scarica dritta alla pancia, ma obbedii. Non aspettai che attaccasse, partii io per prima sollevando la spada e calandola con tutta la forza che avevo. Lui intercettò il colpo e lo parò senza difficoltà. Il clangore del metallo spaventò gli uccelli appollaiati sugli alberi, i quali volarono via cinguettando e gracchiando.

I nostri volti erano a un respiro di distanza. Le lame incrociate tra noi luccicavano alla luce opaca del giorno.

«Da adesso in poi tu non avrai più paura.»

Mi torchiò per due ore buone, prima di tornare in groppa al cavallo. Ero esausta e sudata, ma quasi felice. Mi sentivo fiduciosa.

Il vento era diventato violento. Ci sbatteva in faccia senza pietà, sferzandoci addosso come lame d'aria. I miei capelli frustavano l'aria, impazziti, e il cavallo faceva sempre più fatica a proseguire. Eden avrebbe potuto usare il suo potere di Inverso delle tempeste immobilizzare l'aria intorno a noi costruendoci uno scudo, ma sarebbe stato un inutile spreco di energie. E comunque, avrebbe retto per poco.

«Dobbiamo trovare un rifugio» urlò per sovrastare il trambusto.

Annuii e mi tenni stretta alla sella. Impiegammo del tempo, ma alla fine scorgemmo tra gli alberi un miracolo a forma di vecchia catapecchia abbandonata. Ci dirigemmo lì in fretta. Non potevamo lasciare quel povero cavallo alle intemperie, perciò ce lo tirammo dentro. Mi venne da sorridere quando nitrì dal sollievo. Gli accarezzai il muso gelido e lui sbuffò un ringraziamento.

Poi Eden si chiuse la porta alle spalle. C'erano spifferi dappertutto, ma era sicuramente meglio che starsene lì fuori.

Incapace di dare un freno alla mia curiosità, mi feci un giro della casa. C'era un apio salone con un camino e un divano accostato a una parete, e dal quale sbucavano delle molle dall'aria minacciosa. Un tappeto logoro attutì il rumore dei miei passi. Raggiunsi una piccola stanza che aveva tutta l'aria di essere stata una sala da tè, un tempo. Quando provai a salire il gradino che portava al piano di sopra, Eden mi afferrò la mano e mi tirò indietro.

«Se non vuoi romperti una di quelle tue belle gambe, evita le scale. Cederebbero anche sotto il peso di un topolino.»

Roteai gli occhi e mi diressi verso il salone.

Il cavallo rimase nel corridoio all'ingresso, Eden gli aveva legato intorno al muso una sacca con dell'erba.

C'era un silenzio teso, tra noi. Come se in quella casupola avessimo trovato il coraggio di guardarci con un po' più di audacia.

«Vediamo di riscaldarci un po'» ruppe il ghiaccio lui, spaccando una vecchia sedia di legno e buttandola nel camino.

Trattenni una risata, ma lui se ne accorse.

«Che c'è?» Accucciato di fronte al fuocherello che stava pian piano nascendo, si girò a guardami.

Scossi la testa, incapace di smettere di sorridergli.

Lui sollevò un sopracciglio. «Sputa il rospo.»

Mossi un passo verso di lui, nascondendo le mani dietro alla schiena. «No, davvero.»

Si alzò in piedi, sbuffando con aria divertita. «Vuoi che ti costringa a parlare? Ti ricordo che sono cresciuto in Accademia, so come far parlare i miei prigionieri.»

Feci un altro passo avanti, trovandomi a pochissima distanza dal suo petto. «Ah, quindi sono tua prigioniera?»

«Sono abbastanza sicuro che in realtà sia io il tuo prigioniero.»

Oh, be'...

«Su, parla» mi incoraggiò non spostandosi di un millimetro.

«Mi sembri in imbarazzo».

«In imbarazzo?» mi guardò con viva curiosità negli occhi.

«Sì... in soggezione.» Stavo perdendo tutta la spavalderia, perciò gonfiai il petto e mi finsi audace. «Ti rendo nervoso, Eden?»

«Sì.»

In quel suo sguardo d'improvviso serio avrei potuto annegarci volentieri.

Parlammo nello stesso momento.

«Eden, io...»

«Mi arrendo.»

Scossi la testa, confusa. Il cuore mi batteva all'impazzata.

«Mi arrendo» ripeté, questa volta con più sicurezza. «Avevamo scommesso che uno dei due prima o poi avrebbe ceduto. Ebbene, hai vinto.»

Dischiusi le labbra, incapace di smettere di guardarlo e incapace di articolare una qualsiasi risposta intelligente.

«Non voglio che tu sposi il principe Zaden. Non voglio che tu sposi proprio nessuno. Ho provato a mettere in gabbia il mio cuore, te lo giuro. Ci ho provato con tutto me stesso, ma quando ti sono vicino io mi sento l'uomo che sono veramente. Ed è tremendo da parte mia, perché è esattamente come chiederti di scegliere me al posto del regno che ti ha affidato tuo padre. E so che non hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te, ma io vorrei poterlo fare. Mi sei in testa, Aureen. Anzi, mi sei dappertutto. Non riesco a prendere una decisione senza pensare a te, non riesco ad addormentarmi senza fantasticare su di te, non riesco a respirare quando non mi sei a fianco. E neanche quando ci sei, in realtà. Aureen, mi dispiace, ma io non posso rinunciare a te. E non voglio farlo.»

Boccheggiai, alla ricerca di qualcosa da dire all'altezza della sua dichiarazione.

«Ti prego, di' qualcosa.»

I suoi occhi mi guardavano imploranti e pieni di paura.

«Sta' zitto e baciami.»

Gli portai una mano alla nuca e lo attirai a me.

Poi, finalmente, le nostre bocche si schiantarono l'una sull'altra.

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