42- EDEN
Dal bagliore che vidi negli occhi dei soldati, intuii che Claudius e re Dorian avessero promesso loro una bella somma per trovarci.
«Merda» imprecò Alec tra i denti.
«Devo ammettere che non mi aspettavo che sareste arrivati tanto lontano.» L'uomo a capo del gruppo mosse un passo, mentre sfiorava con l'indice il pomolo della daga ancora nel fodero.
Aureen aveva già estratto il pugnale assicurato alla coscia. Io, invece, avevo puntato subito la spada in avanti. Pronto a smembrarli a uno a uno, pur di tenere la mia regina al sicuro.
Eravamo riusciti a battere un intero plotone di umani sotto il controllo di Zelveen, e ne eravamo usciti senza un graffio. Cosa potevano essere una decina di soldati Inversi, in fondo?
Quantomeno, era ciò che continuavo a ripetermi intanto che pensavo a una strategia.
Sì, avevamo affrontato di peggio. Ma l'arco di Alec era rimasto alla locanda, Val e Jared non sarebbero accorsi in nostro aiuto, e certo non avrei lasciato che Aureen affrontasse quella minaccia. Avrei dovuto vedermela da solo.
«Alec. Prendi Aureen e vai.»
«Cosa?» Sentii lei protestare dietro di me. «No, io resto.»
«Alec» lo ammonii ancora, affatto disposto a essere comprensivo. «Li tengo occupati, voi andate ad avvisare Jar.»
Alle mie spalle percepii una lotta. Reen si stava senz'altro ribellando ad Alec che cercava di portarla via.
«Ormai non avete possibilità di sfuggirci» ridacchiò l'uomo davanti a me.
Mi concessi di distogliere lo sguardo per lanciare ai miei compagni un'occhiata. «Via. Ora» ordinai con voce dura.
Lei mi avrebbe odiato per quella scelta. Decidere io per lei... ma non l'avrei persa per questo.
Lanciai ad Alec la sacca con la Corona.
«Scusa, Altezza.» Dopodiché Alec la sollevò di peso e se la mise in spalla.
Lei urlò. Scalciò e batté i pugni sulla sua schiena. Sollevò gli occhi sui miei e pregai che quella non fosse l'ultima volta che li avrei visti, che la rabbia non fosse l'ultima cosa che avrei visto sul suo volto. E la paura. Le grida si affievolirono non appena svoltarono l'angolo
La guardia mi rivolse un ghigno. Un dente d'oro scintillò alla luce di un lampione. Mandò un cenno a due dei suoi uomini. «Ragazzi, prendeteli.»
Questi, fecero per partire all'inseguimento. Ma avrebbero dovuto passare sul mio cadavere, prima. Mi sporsi di lato e li affrontai. Con un unico, veloce colpo della spada, aprii a entrambi la pancia. Non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto che le budella gli erano fuoriuscite dal corpo, prima di cadere a terra in un tanfo di morte e di merda.
Meno otto. Potevo farcela.
Richiamai il mio potere Inverso, ma solo per abbatterne un altro, quello che si avvicinava con una scure alzata verso di me. Non potevo abusare delle mie energie, se desideravo tenerli occupati e permettere ad Aureen di raggiungere un luogo sicuro. Il lampo di un fulmine e l'uomo che colpii sfrigolò a terra.
L'euforia della guerra mi pervase, sentii il sangue pomparmi nelle vene. Tranciai una gamba a uno di loro e ferii la spalla all'altro. Le urla riempirono il silenzio della notte. Prima che potessi finirli, mi ritrovai addosso il resto del gruppo, fatta eccezione per il capo che guardava lo spettacolo con mani giunte.
«Vorrà dire che dovrò pensarci io a recuperare la cagna di re Dorian» decise.
Ruggii, intanto che lanciavo gomitate, calci e colpi di spada. Ma, per quanto fossi forte e determinato, ero comunque uno solo. Il pomolo di una daga mi colpì alla tempia e vidi le stelle. Strinsi i denti deglutendo il sapore del sangue che mi scorreva sulla lingua e continuai a lottare. Nonostante fossi impegnato a non farmi uccidere, vidi con la coda dell'occhio il capitano partire all'inseguimento.
Trafissi un cuore, poi colpii un naso, mandando uno degli uomini a sbandare all'indietro. Ero del tutto preso dall'urgenza e dall'adrenalina che mi pompava nelle vene da non mi accorgermi del pugnale che volava verso la mia coscia, squarciandola.
Un grido mi sfuggì dalle labbra. Il dolore era bruciante. Ma non bastava a convincermi ad arrendermi.
Ma erano riusciti a sopraffarmi. Tentai di evocare l'energia della mia magia, ma questa non rispose.
Nessuno fa fuori Eden di Delthar.
Quella voce lontana del mio passato mi sorresse ancora una volta, aiutandomi a non cadere sulle ginocchia. Tre. Ne mancavano solo tre.
Il sangue mi colava sul volto per una botta alla testa, tanto da rendermi difficile vedere. Ma tenni comunque gli occhi ben aperti; così, quando una spanda davanti ai miei occhi disegnò un mezzo arco, pronta a investirmi, fui in grado d'intercettarne la traiettoria con la mia. Scintille volarono nell'aria. I muscoli mi tremavano come non mai.
Grugnii per lo sforzo e tornai alla carica, tenendo il peso del corpo sulla gamba sana. Fui veloce. Abbastanza da decapitare la guardia più vicina e, subito dopo, da infilzare gli ultimi due in un unico colpo. Entrambi boccheggiarono, vomitando sangue. Poi sfilai la lama di netto e questi caddero a terra.
Alla fine di quella lotta, la strada era lucida e coperta di liquido caldo e sciropposo.
Partii in una corsa zoppicante, ma riuscii a reggere solo per i primi venti metri. Ma poi la gamba ferita cominciò a tremare. Mi aggrappai a lampioni, rientranze nelle pareti esterne delle case, alle panchine. La disperazione divenne il motore principale che mi spingeva a continuare a trascinarmi.
Dietro di me, una lunga scia di sangue. Ne stavo perdendo decisamente troppo.
La vista mi si offuscò, sbattei le palpebre nel tentativo di recuperarla. Strinsi i denti e, con un grugnito, continuai a muovermi. A quella velocità, non sarei riuscito a raggiungerli in tempo. Mi restava giusto la speranza che Alec fosse riuscito ad arrivare a Jared.
Iniziò a scendere una pioggerella sottile che in breve tempo divenne un acquazzone. Scivolavo a ogni passo, ma non ero ancora pronto a darmi per vinto.
Crollai però sul ginocchio e una fitta di dolore mi si propagò dalla gamba a tutto il corpo.
«Numi del... cielo» imprecai, sentendo i polmoni svuotarsi di tutta l'aria.
Mi afferrai a un muretto e mi tirai su. Pregai che quella tempesta intralciasse il comandante nel suo inseguimento. Ma, sotto il frastuono della pioggia che cadeva al suolo cancellando le tracce del mio sangue, udii un urlo familiare. E capii che l'aveva raggiunta. Mi si rizzarono tutti i peli del corpo e il cuore prese a correre come non riuscivano a fare le mie gambe.
Mi strappai un lembo della maglia in tutta fretta e me lo strinsi forte intorno alla coscia. Avrebbe fatto un male cane. Mi morsi la lingua.
Poi, superata una schiera di abitazioni fatiscenti, raggiunsi una piazza. Alec era a terra con la fronte spaccata. Ma il torace si alzava e si abbassava ancora.
Aureen, invece, era intrappolata dal braccio del comandante, il quale mi guardava con un sorrisetto annoiato. «Ce ne hai messo di tempo.» Sulle punte delle sue dita brillavano lievi fiammelle.
Un Inverso del sole.
Come lo era stato re Aramis ma, sperai, meno potente.
«Lasciala.»
«Altrimenti? Cosa mi farai?» mi stuzzicò, trasformando quelle piccole fiaccole in un fuoco più intenso che gli galleggiava sul palmo della mano. Al calore di quella fiamma, Aureen strinse gli occhi. «Sarai morto prima che il sole sorga. E lei,» strinse ancor di più l'avambraccio sul petto di Aureen e le solleticò il collo con la punta di un pugnale, «sarà tra le braccia del suo promesso sposo.»
Sentii una fitta alla mascella per quanto forte la strinsi.
Aureen si teneva aggrappata a quel braccio che non accennava a lasciarla andare. Spalancò la bocca e richiuse il morso sulla carne dell'uomo.
Strinse, resistendo alla guardia che la strattonava per i capelli.
Strinse, sopportando il sangue che le colava sul mento.
Strinse, accettando i colpi che le piovvero sulla testa.
Tutta quella tenacia mi fece ritrovare la forza di muovermi verso di lei, nonostante la vista mi si offuscasse a ogni passo.
Il fuoco dell'Inverso si affievolì fino a spegnersi. Alla fine cacciò un grido di dolore e spinse via Aureen, per poi assestarle un calcio al centro della schiena che la mandò lunga sull'asfalto.
Dalle vie che si diramavano dalla piazza, apparvero altre guardie in livrea reale. Non sarei mai riuscito a batterle. Eravamo in trappola. Non potevo contare sull'intervento dei cittadini: quegli uomini indossavano lo stemma della corona. Non li avrebbero messi in discussione.
Reen, posata con le mani sui ciottoli del terreno ormai viscidi per la pioggia, sollevò la testa e i suoi occhi calamitarono i miei. Poi li diresse di lato. Accanto ad Alec riverso a terra, giaceva la sacca con la Corona.
«No, Reen...» riuscii solo a sussurrare, poi crollai a terra ormai privo di forza.
Lei raggiunse la sacca e vi frugò all'interno. E aprì la scatola. Vidi brillare la luce della Pietra Blu dell'Annullamento, e le spire di fumo che si propagavano dalla Corona.
La guardia alle sue spalle, premendosi la ferita sull'avambraccio, fece per raggiungerla. Ma lei aveva aperto lo scrigno. Le sue pupille si dilatarono. Nemmeno la Pietra riuscì a sopprimere il potere di quell'antico, infausto oggetto.
«Reen» tentai di urlare, ma la mia voce fu poco più di un sussurro.
Aureen non si voltò a valutare la minaccia, aveva occhi solo per la Corona. E io solo per lei, perciò mi accorsi tardi del calcio che mi colpì alla tempia mandandomi disteso al suolo.
La pioggia mi separava da lei come un muro d'acqua. Altro calcio, questa volta alle costole. Poi alla ferita sulla coscia, alla schiena, alla nuca.
Non chiusi gli occhi quando una guardia la tirò indietro per i capelli, impedendo alla sua mano protesa di raggiungere la Corona.
«Ti prego.» Non so a quale dio mi stessi rivolgendo.
«Supplicare non ti servirà a nulla, bastardo» mi rispose qualcuno.
Poi un urlo squarciò la notte, accompagnato da un lampo di luce azzurrognola.
Sentii la terra tremare e uno strano calore mi avvolse le membra. Gli uomini che mi circondavano caddero a terra liberandomi la visuale su Aureen. Era di nuovo in piedi, gli occhi rovesciati, la bocca spalancata e le braccia allargate. Dai suoi palmi, fuoriuscivano spire di fumo azzurro.
Quello era il potere della Corona, che dallo scrigno riversava in lei parte di quell'energia tentatrice.
Mi voltai a pancia in sotto e cominciai a strisciare. Sentivo i ciottoli sotto di me, intanto che superavo i corpi delle guardie e quello del loro capitano.
«Reen...» gracchiai, aggrappandomi alle sporgenze per tirarmi in avanti.
Un'altra ondata di magia la percorse in tutto il corpo. I capelli le si sollevarono come sott'acqua. Tremai, perché quel potere l'avrebbe sopraffatta.
«Reen, fermati.»
Dalla sua bocca uscì un grido che non aveva nulla di umano. E il sangue le colò dal naso come la prima volta.
«Reen» tentai ancora, con respiro sincopato.
Un altro lampo di luce seguito da un sonoro schiocco e tutto finì.
La magia se ne tornò all'interno dello scrigno, come risucchiata, e lei cadde a terra.
Rimasi immobile un istante, paralizzato all'idea che forse non si sarebbe rialzata. Ma quando scorsi il suo petto che si sollevava sotto la pioggia, il sollievo mi pervase. Ripresi a strisciare, determinato a raggiungerla.
«Eccoli, sono loro!»
Voci mi arrivarono come ovattate. Inclinai lievemente la testa e vidi un nuovo gruppo di guardie reali riversarsi nella piazza.
«Ma che cazzo?» imprecò uno di loro, osservando i compagni morti a terra.
Allungai la mano e le mie dita s'intrecciarono a quelle di Aureen. Non sarei riuscito a salvarla. Non sarei riuscito a impedirgli di portarla via.
«Prendetela» ordinò qualcuno.
Il rumore dei passi si confuse con quello della pioggia. Strinsi la presa, anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla.
«No» provai a gridare, tenendo stretta la mano di Aureen, ma non mi uscì altro che un rantolo.
«Fine dei giochi, bastardo.»
Un nuovo colpo mi arrivò alla testa, ma quasi non sentii il dolore. Il respiro mi mancò però per un lungo attimo e la vista mi sfarfallò.
Artigliai il suolo quando una guardia la sollevò da terra e la portò via.
«Il primo giro lo offro io!» esultò, pronta a festeggiare.
«Reen...»
Mi voltai sulla schiena, tossendo. Il cielo nero mi vomitava addosso tutta la sua furia, soffocandomi. Con la spalla sfiorai lo scrigno che avevano ignorato. Girai piano la testa e guardai un angolo che sbucava dal tessuto della sacca.
La Corona.
La Corona mi avrebbe riportato da lei.
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