35- EDEN
Dovevo trovare un modo per liberarci della Corona.
Aureen, sotto la sua influenza, era diventata... qualcosa che non era lei. E mi faceva paura la glaciale follia con la quale aveva permesso che quella cosa prendesse il sopravvento. E poi, era diventata più forte. Molto più forte. Non osavo immaginare cosa sarebbe successo se avesse indossato la Corona. Probabilmente sarebbe diventata invincibile. E non ero certo che fosse una cosa positiva. Non quando l'avevo vista perdere il controllo di se stessa e lasciare che quell'oggetto compisse il proprio volere usando lei, che il potere che sprigionava le fluisse nelle vene.
Lo scrigno non costituiva una barriera troppo efficace. Si prospettava un viaggio lungo e faticoso davanti a noi. Più del previsto.
«Eden» mi sentii chiamare sopra al frastuono del temporale.
La pioggia cadeva con sempre più insistenza, mitragliando le strade buie e deserte.
Ero stanco da morire. Avevo attinto troppo al mio potere, e ora le gambe mi sembravano fatte di gelatina. Ma non potevo mollare la presa su Aureen, che dopo quello che era accaduto ai cancelli sembrava svuotata di energia e aveva bisogno di essere sorretta. Persino voltare lo sguardo alle mie spalle, però, mi costò un'enorme fatica.
Jared teneva Valerin tra le braccia. La ragazza era svenuta per tutto il sangue che aveva perso. La freccia ancora le sbucava dalla coscia.
«Non andremo lontano, ci stanno dietro!» Il viso delicato di Alec s'indurì. I capelli neri gli gocciolavano incollati alla fonte.
Nonostante il fracasso del temporale, potevo udire le grida delle guardie che erano partite al nostro inseguimento. Dovevamo nasconderci. Non solo perché altrimenti ci avrebbero catturati, ma anche perché le vie della città non erano sicure per la regina di Delthar.
Un lampo squarciò la notte e proiettò le lunghe ombre dei nostri inseguitori sulle mura dei vicoli.
«Conosco un posto, statemi dietro.» Ripresi quindi la fuga. «Reen, ce la fai?»
Non rispose, ma si aggrappò più forte al mio braccio.
Non mi sorprese che le mie gambe ricordassero il percorso. Quante volte avevo corso col cuore in gola con i miei nemici alle calcagna? Quante volte avevo trovato nel bordello alla fine della strada il mio rifugio? Le luci della casa erano tutte accese. Sperai di non incontrare guardie, lì dentro. Sapevo che erano frequentatori assidui, ma dovevamo correre quel rischio.
Da quando re Aramis mi aveva accolto al palazzo, ero tornato solo una volta. Miss Tammy mi aveva stretto al suo petto abbondante e mi aveva fatto giurare che non avrei messo mai più piede lì dentro.
«Non è posto per te, tesoro mio. Vali più di questo schifo» aveva detto.
Obbedii e non tornai mai, nonostante sentissi la sua mancanza. Mi era però stato detto che Miss Tammy era diventata la matrona del bordello. Non mi avrebbe negato un aiuto.
Non mi preoccupai di bussare. Semplicemente, mi fiondai contro la porta e la spalancai. Il calore della casa m'investì insieme al profumo da quattro soldi delle puttane più giovani che giravano nude. Una nube d'incenso mi pizzicò le narici.
Aureen tossì e tentò di mettersi dritta. Jared arricciò le labbra e Alec sgranò gli occhi. Dalle lanterne appese alle pareti proveniva una luce soffusa. Un tipo stravagante al pianoforte suonava una musica d'atmosfera, interrotta dai gemiti e dagli ansiti che riempivano l'ambiente.
«Cosa ci facciamo qui?» Aureen non sembrava troppo convinta del luogo.
Avanzammo lungo i tappeti scarlatti, e tra divani e poltrone di velluto scuro. Le spesse tende erano tirate e sui tavolini giacevano i resti dei liquori scadenti.
Uomini con la bava alla bocca la fissavano come se non avessero mai visto una donna prima. «Ignorali» suggerii a Reen. Quantomeno, erano troppo accecati dai vizzi per riconoscerla.
«Ehi, bambina...» biascicò un Inverso ubriaco, afferrandola per il braccio.
«Mollami» sibilò lei.
«Non le vuoi due monete, ragazzina?» Le rivolse un sorriso vacuo. Gli mancavano almeno tre denti, e gli altri erano di una tonalità giallastra.
Ritrovai un po' di energia, e la mia mano finì sulla sua gola. Strinsi le dita fino a fargli gonfiare le vene del collo e lo sbattei al muro. «Hai sentito la bambina? Mollala.» Non riconobbi il suono cavernoso della mia stessa voce.
«L'ho la-lasciata» farfugliò, afferrandosi alla mi presa.
Il volto gli divenne prima rosso poi violaceo. I capillari intorno alle iridi si gonfiarono, minacciando di scoppiare. Solo quando avvertii che le sue forze lo stavano abbandonando, lo lasciai cadere a terra sul sedere.
Nella sala, intanto, era calato silenzio. Avevamo l'attenzione di tutti addosso. Persino il pianista aveva smesso di suonare.
Rumore di tacchi sul parquet. «Che succede qui?»
Miss Tammy non era cambiata di una virgola. Aveva gli stessi occhi grigi pieni d'inquietudine, gli stessi boccoli acconciati sulla testa, la stessa espressione materna. Era solo diventata più severa. I lineamenti erano più affilati e la linea della bocca più dura.
Mi passò il suo sguardo addosso ma rimase impassibile. Non mi aveva riconosciuto. Mi guardò con la diffidenza che solo una donna del suo mestiere poteva rivolgere a un uomo. Una fitta mi contorse lo stomaco, serrai la mascella. Fu quando i suoi occhi caddero su Aureen che nel suo volto cambiò qualcosa. Dischiuse lievemente le labbra, come se volesse dire qualcosa. Ma non uscì alcun suono dalla sua bocca.
«Scusateci l'intrusione, Miss.» Alec le prese una mano tra le sue e le baciò il dorso. Finse noncuranza come se non avessimo appena annientato un gruppo di soldati e come se una di noi non fosse rimasta ferita.
La matrona tornò su di me. E, vedendomi accanto alla regina di Delthar, capì chi ero. Le sopracciglia le si aggrottarono in un'espressione triste e un velo di lacrime le lucidò le iridi. Accennai un sorriso, ma avrei solo voluto colmare la distanza tra noi e lasciare che mi stringesse. Non era la mia madre naturale, quella uccisa dalle truppe delle Terre Libere. Ma questo non cambiava ciò che provavo per lei.
Si schiarì la gola. «Signori, seguitemi.»
Attraversammo il primo salotto. Nonostante fossero passati due decenni dall'ultima volta che ero stato lì, ero comunque abituato a quel che accadeva tra le mura. Cosa che non si poteva dire di Aureen, che sbarrò gli occhi quando oltrepassammo una camera dalla porta aperta nella quale si stava svolgendo una... certa attività.
«Oh dèi...» mormorò diventando rossa come un pomodoro.
Miss Tammy ci condusse nella sua stanza, la stessa nella quale avevo ucciso il suo aggressore, e chiuse la porta interrompendo d'improvviso tutti i suoni della casa.
I nostri occhi si trovarono.
Tentennai sui miei stessi piedi, ma alla fine cedetti all'impulso, la raggiunsi e l'abbracciai. Era sempre stata così minuta? Ora, il mio corpo la copriva del tutto e mi sembrava di stringere un mucchietto d'ossa.
La sentii tremare contro il mio petto, ma non pianse. «Eden, Eden...»
«Mi siete mancata da matti.»
Le sue dita artigliarono il tessuto della mia divisa sulla schiena. «Avevi promesso che non saresti mai tornato.»
Mi allontanai di poco, quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi. «E avrei mantenuto la promessa, se non fosse stata una questione di vita o di morte.»
Tirò su col naso e i suoi occhi plumbei tornarono su Aureen, la quale si guardava attorno con occhi spalancati. Se al mondo esisteva qualcosa in grado di mettere in imbarazzo la regina, si trovava in quella stanza. Quadri raffiguranti scene erotiche, oli dal chiaro utilizzo, catene che pendevano dalle pareti.
«Altezza, sono desolata per questa accoglienza. Avrei certo preferito fare la vostra conoscenza in contesti... diversi.»
Aureen si riprese scuotendo la testa. «Oh... no, no. Non mortificatevi. Vi sono grata del rifugio che ci offrite.»
Lei sollevò un sopracciglio e tornò su di me. «Rifugio? Che succede? Qualcuno minaccia la corona?»
Le accarezzai una spalla. «Sedetevi, Miss. Abbiamo una storia da raccontarvi. E dobbiamo fare in fretta.»
«Prima ditemi che le è successo.» Si avvicinò a Valerin che giaceva tra le braccia del fratello.
«Ha bisogno di cure. Al più presto.» L'urgenza nella voce di Jared convinse Miss Tammy a chiamare una delle ragazze che si premurò di medicarle la ferita nel più assoluto silenzio.
Quando la freccia venne estratta, Val emise un gemito di sofferenza. Il sangue scuro colò sul tappeto, proprio come quellanotte.
Immagini del tizzone che sbucava dal petto della guardia che avevo colpito mi accecarono per un istante.
La matrona lasciò che Val venisse adagiata sul suo letto. Dopodiché partii con il resoconto di quanto avvenuto fino a quel momento, interrotto dai vari interventi di Aureen e Alec. Ma non accennando alla Corona.
«Ci sono delle guardie con una delle mie ragazze al piano di sopra.» Ci informò con aria grave. «E potete scommetterci: qualcuno riferirà loro che siete qui.»
«Ci serve il vostro aiuto, Miss. Dobbiamo lasciare la città. So che vi sto chiedendo molto, ma...»
«Niente "ma", Eden. Farò quel che serve.» Una sua mano, ora segnata dall'età, raggiunse la mia guancia e l'accarezzò. «Restate qui e cercate di rimanerci finché non sarò di ritorno. Vado a procurarvi delle provviste e a farvi sellare i cavalli.»
«Non possiamo accettare tanta generosità» intervenne Aureen. «È stato già troppo da parte nostra chiedervi asilo. Valerin aveva urgentemente bisogno di cure. Ma non possiamo approfittare ulteriormente. Vi metterete nei guai.»
Miss Tammy apprezzò sul serio quanto detto. Le sorrise, ma nei suoi occhi brillava la determinazione. «Altezza, permettetemi di essere franca: voi avete bisogno di aiuto e io ho intenzione di darvelo. Avrei voluto fare di più per Eden anni fa,» mi lanciò un'occhiata triste che mi spezzò il cuore, «perciò concedetemi di recuperare ora.»
«Signora, vi tortureranno. Quando scopriranno che siamo passati di qua, non lasceranno che...»
«Rispetto la vostra autorità, Maestà. Ma lo farò comunque.»
Aureen si zittì.
«Miss, vi dobbiamo la vita.» Le afferrai entrambe le mani e gliele baciai.
«Una volta fosti tu a salvare me. È arrivato il mio turno di ripagare quel debito.»
In quella stanza, solo io e lei sapevamo a cosa si riferisse. Il suono dei cassetti che sbatacchiavano mentre l'Inverso la prendeva con la forza era impresso a vita nella mia memoria.
Una morsa mi attanagliava lo stomaco all'idea di averla messa in pericolo presentandomi lì. Ma avevo fatto un giuramento: la vita di Aureen veniva prima di quella di chiunque altro. Prima della mia, persino. E non avevo altri che avrebbero potuto soccorrerci.
«Grazie.»
«Non si ringrazia una madre, Eden.» Mi tirò stretto a lei. Aveva ancora lo stesso, dolce profumo di tanti anni prima. «Aspettatemi qui.» Ripeté e uscì dalla stanza richiudendosi piano la porta alle spalle.
Quando tornò, un paio di servette reggevano diverse sacche ricolme di cibo e altre provviste di vario genere.
Alec mosse un passo verso Miss Tammy. Non si fidava delle ragazze. «Diranno di averci visti qui, quando verranno a interrogarvi.»
«Non ho intenzione di mentire al riguardo.» La matrona intrecciò le dita davanti alla gonna. «Non servirebbe a nulla.»
«Non tenterete neanche di salvarvi?» Aureen era sbiancata.
«Questo è solo un cerchio che si chiude. Ed è per questo che non voglio sapere dove andrete e cosa farete. Non vi tradirò.»
Il silenzio venne rotto da tonfi e grida.
«Sono qui.» Jared recuperò la sorella dal letto a baldacchino.
Miss Tammy mi strinse la mano. I suoi occhi erano colmi di amore e preoccupazione. «Uscite dalla finestra. Troverete tre cavalli ad aspettarvi.»
«Miss...»
«Vai, Eden.»
Mi morsi l'interno della guancia e obbedii. Aperta la finestra, una folata di gelo ci investì. La pioggia non aveva smesso di cadere. La strinsi un'ultima volta, poi raggiunsi gli altri senza voltarmi a guardarla.
Saltammo giù nello stesso istante in cui udii Miss Tammy accogliere i nuovi ospiti che avevano fatto irruzione nella sua stanza.
«Signori, posso offrirvi i miei servigi?»
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