3- EDEN
Una volta varcate le soglie del Mondo Inverso, ogni camuffamento svanì. Il mio aspetto umano venne sostituito da quello Inverso, e così doveva valere anche per Aureen.
Per qualche ragione, però, attesi un lungo istante prima di voltarmi verso di lei e verificare di persona.
Qualcosa nel mio stomaco si agitò. I capelli biondi dalle punte rosse erano spariti. Lunghi riccioli scuri le ricadevano ora morbidi fino alla vita, gli stessi che aveva quando tanti anni prima ero stato caricato a forza sulla carrozza e allontanato da lei e dalla nostra vita. Gli stessi del mio aspetto umano.
Il corpo esile era scomparso e adesso, davanti a me, c'era una donna Inversa con ogni curva al posto giusto e una muscolatura delineata ma sottile. Quello era il corpo di una guerriera.
Intanto che i suoi occhi castani dai riflessi dorati si riempivano del verde della foresta alle prime luci dell'alba, i miei studiavano ogni dettaglio del suo viso. La linea morbida della bocca, la leggera spruzzata di lentiggini sul naso, le lunghe ciglia nere.
Da bambina veniva chiamata da tutti "la delizia del regno". Non c'era da stupirsi che fosse diventata una bellissima donna.
Io, invece, ero un ragazzino paffutello con la faccia sempre impiastricciata. Una microscopica parte di me si chiese se lei fosse rimasta sorpresa dal mio cambiamento. Indirizzai alla svelta quei pensieri altrove.
Non mi era permesso pensare a lei in quel modo. Né a lei, né a nessun altro, a dirla tutta.
Una volta arrivati al palazzo reale i nostri rapporti si sarebbero dovuti – di nuovo – ridimensionare: lei la prossima regina, io il gran cavaliere del regno.
Il mio compito sarebbe stato quello di proteggerla e consigliarla fino alla morte. Rinunciare alla mia vita per lei, a una famiglia, o a un'esistenza lontana dal palazzo. A tutto. Era ciò che ci insegnavano in Accademia. E io non potevo essere più fiero dell'incarico che mi era stato affidato.
Il regno di Delthar, per me, veniva prima di ogni cosa. Persino prima della mia stessa vita. E a breve lei sarebbe diventata il regno di Delthar.
«Jared ci sta aspettando» ruppi il silenzio.
Lei si voltò di scatto. «Jared? Jared il Lagnone?» sgranò gli occhi.
Sollevai un angolo delle labbra al ricordo di quando da bambini non facevamo che tormentarlo fino a costringerlo alle lacrime. Povero Jared.
«Ti suggerisco di non rivangare il passato, con lui. Non gli spillerai più neanche una lacrima, ma gli farai schizzare il sangue al cervello. Ora lo chiamano "Jared il Pazzo". Fai un po' tu.»
Intorno a noi la foresta umida era silenziosa. Alle nostre spalle una leggerissima foschia tradiva il nostro passaggio all'interno del portale. A un occhio meno attento sarebbero sfuggite le increspature dell'aria, ma un Inverso adulto sapeva percepire la magia.
Aureen si guardò indietro. Lessi nel suo sguardo l'indecisione. Avrebbe potuto rituffarsi nel Mondo Verso. Invece sospirò e mosse un primo passo.
«Andiamo.»
Camminavamo spalla a spalla. Con la coda dell'occhio la vidi tastarsi nervosamente il viso. Da quanto tempo non era più se stessa? Sembrava a disagio.
La mia bocca parlò prima che potessi rendermene conto. «'Fanculo a Joyce. Aureen è molto meglio.» Forse non avrei dovuto dirlo, soprattutto a giudicare dal rossore improvviso delle sue guance.
«Non sono più abituata a questa pelle. Sono quasi tentata di tornare al mio aspetto umano... eviterei di farmi riconoscere e, di conseguenza, le occhiatacce della corte al palazzo.»
Roteai gli occhi. «Ma non eviteresti un pugnale in pieno petto. O meglio, lo eviteresti. Ma solo perché sarei costretto a sacrificarmi al posto tuo. Perciò, tesoro, se tieni anche solo un pochino alla mia, di pelle, evita di dare a chiunque un pretesto per aggredirci.»
Per quanto tra gli umani e gli Inversi non ci fosse chissà che grande differenza nell'aspetto, i Versi erano senza dubbio più... insignificanti. Anche se quel termine non poteva addirsi in nessun modo ad Aureen. Comunque, qualunque Inverso si sarebbe accorto che quella era una forma umana.
Il suo volto s'indurì. «Ecco, questo è uno dei motivi per cui me ne sono andata. Noi possiamo fare quello che ci pare, spostarci tra i due Mondi e vivere due vite, se lo desideriamo. Ma se un umano finisce per caso in uno dei regni Inversi viene ammazzato come una bestia.»
Scavalcai il tronco di un albero caduto e porsi ad Aureen una mano per aiutarla, ma lei la ignorò.
«Potresti cambiare le cose se...»
«Non terminare quella frase.»
«Pensaci: con una corona sulla testa potresti decidere tu cosa è bene o male per il regno di Delthar.»
Lei storse il naso. «Mio padre non è un uomo crudele» mormorò piano, come se anche solo nominarlo le provocasse fitte dolorose, «se fosse stata una cosa possibile, l'avrebbe già fatto. Se avesse acconsentito all'ingresso degli umani nel nostro Mondo, gli altri quattro regni confinanti dell'Inverso gli avrebbero dichiarato guerra. E così farebbero anche con me, se mai osassi cambiare le regole del gioco. Il problema, comunque, non si pone. Quella corona sulla mia testa non ci finirà mai.»
Non ne ero affatto convinto, ma decisi comunque di non replicare.
La foresta si stava pian piano svegliando. Gli uccelli cinguettavano al nostro passaggio e gli scoiattoli saltavano da un ramo all'altro senza curarsi di noi.
Gli abiti umani che indossavamo stonavano nel sapore antico di quel luogo. In meno di un'ora di cammino avremmo raggiunto la locanda. Lì avremmo incontrato Jared e ci saremmo cambiati. Io avrei affidato la mia chitarra alla locandiera e lei, come sempre, mi avrebbe promesso di lucidarla ogni sera fino a quando non fossi tornato a riprenderla. Tanto nel Mondo Verso non funzionava.
Temevo, comunque, che quel tempo avrebbe tardato ad arrivare. Avevo già avvistato diverse foglie nere come l'inchiostro e un paio di piante marce fino alle radici. E, cosa peggiore, il corpicino rigido di un passero dalle piume ora scure come la morte. Neanche i vermi gli si avvicinavano. E nell'aria si percepiva una nota oscura.
Aureen, che aveva trascorso gli ultimi due anni nel corpo di una mortale, non si era accorta di nulla. I suoi sensi Inversi erano intorpiditi. Per il momento andava bene così, non volevo essere io a doverle spiegare perché non sarebbe potuta tornare nel Mondo Verso. Suo padre avrebbe adempito anche a quell'ultimo compito da re.
Il più grande tra i re del nostro regno e non solo.
Delthar avrebbe pianto a lungo la sua morte. Soprattutto io, che gli dovevo ogni cosa.
«Sei silenzioso.»
«Neanche tu sei di molte parole.»
Senza che aprisse bocca, sentii tutto ciò che le passava per la testa: suo padre stava morendo, lei non avrebbe avuto più nessuno a cui affidarsi, forse sarebbe dovuta restare in quel mondo che tanto detestava. E probabilmente avrebbe dovuto sottomettersi ai compiti reali dai quali era fuggita.
Non me la sentivo di confermare ogni sua paura, ma il quadro che si era dipinta in testa rappresentava la pura realtà dei fatti. Tranne per una cosa: avrebbe sempre avuto qualcuno su cui contare. Anche se dopo anni di distanza non c'era più né confidenza né fiducia tra noi. Quello era il mio compito. E per ripagare re Aramis avrei fatto qualunque cosa.
«Dai qua» le sfilai dalle mani il trasportino con quel diavolo di gatto che si era portata dietro.
Lo feci più per rompere il silenzio che per altro. Non aveva certo bisogno del mio aiuto.
Willy soffiò come un indemoniato.
«Non gli piaci.» Constatò di nuovo, serrando gli occhi in due fessure. «Dovrei fidarmi del suo giudizio?»
Sghignazzai piano. «Magari ha ragione su di me. O magari è solo geloso.»
Volevo distrarla dal magone che, ne ero sicuro, le stringeva lo stomaco.
Lei inarcò un sopracciglio. «Geloso?»
Scrollai le spalle con finta indifferenza. «Forse si è accorto che da quando ci siamo incontrati non hai smesso di lanciarmi occhiatine alquanto indiscrete.»
«Ma fammi il piacere» sbuffò, risentita. «Punto numero uno: non ti stavo lanciando occhiatine indiscrete. Mi stavo solo assicurando che non volessi tendermi un qualche tipo di agguato.» Si riprese il trasportino, strattonandomelo delle mani. «Punto numero due: noi non ci siamo affatto incontrati. Tu mi stavi indiscretamente seguendo, razza di maniaco.»
Scossi la testa, divertito. Sollevai un ramo che ci intralciava il passaggio e attesi che lei passasse sotto. «Ordini di tuo padre.»
«Già, dimenticavo» marcò il sarcasmo nella voce. «Da quanto tempo mi spii?»
«Da abbastanza tempo da sapere che quel mondo non fa per te, Reen. Ti ho osservato a distanza per un po'. Poi però re Aramis si è ammalato e...»
«Come è successo?» m'interruppe, quasi timorosa di sentire la risposta.
Non ero la persona giusta per parlargliene. Scossi la testa e ripresi a camminare. Lei non insistette.
Superammo una serie di tronchi caduti e attraversammo un breve ruscello che scorreva tranquillo nella foresta. Sopra di noi si udì uno scricchiolio e poi, da un albero, scivolò giù uno scoiattolo che finì ai nostri piedi.
Aureen balzò indietro, intanto che Willy soffiava come un serpente. «Cosa diavolo...»
M'inginocchiai per studiare meglio la bestiola. Si contorceva in preda al dolore. Il pelo era opaco, rado e nero come la pece. Dalla bocca sgorgò una bolla di sangue scuro e poi rimase immobile.
«È... era malato?» Nascose il trasportino dietro la schiena con fare protettivo.
«Sì.» I miei occhi rimasero incollati al cadavere dello scoiattolo per impedirle di leggermi la bugia in faccia.
Non era una malattia, quella. Era opera di Zelveen la Traditrice. Ma, anche qui, non ero io a doverle spiegare cosa stava accadendo nel nostro mondo. Zelveen si stava muovendo in fretta, però. E altrettanto in fretta noi saremmo dovuti arrivare al palazzo reale.
«Andiamo.» Mi rialzai in piedi.
Restammo in silenzio per il resto del tragitto. Lei chiedendosi quanto sarebbe cambiata la propria vita nei giorni a seguire, io a domandarmi se il nostro mondo sarebbe sopravvissuto a ciò che stava per arrivare.
Trovammo presto il sentiero che costeggiava la boscaglia e che conduceva alla locanda. Il tetto coperto di paglia fu una vista confortante.
«Porca vacca, amico!» Jared ci venne incontro allargando le braccia. «Stavo letteralmente crepando di noia! Ma quanto ci avete messo!»
«Qualcuno non voleva farsi trovare.» Ammiccai verso la donna che camminava al mio fianco. «Aureen, ti ricordi di Jared. E Jared, lei...»
Prima che potessi completare la frase, il grosso Inverso che tutti chiamavano "il Pazzo" la strinse – la stritolò – tra le braccia e la sollevò da terra.
«Aureen!» Piroettò su se stesso. «Quanto tempo, ragazza!»
La rimise giù e le arruffò i capelli. Le si scostò, il volto contratto in una smorfia a metà tra il tramortito e il divertito.
«Dei benedetti, Jar! Dalle spazio.» Incrociai le braccia al petto godendomi la scena.
«Neanche per sogno! Saranno due secoli che non vedo questo scricciolo!»
«Non ha più molto l'aspetto dello scricciolo» commentai, lasciando vagare lo sguardo su di lei.
«Chi è, ora, che lancia occhiatine?» mi provocò Aureen.
Mi morsi il labbro divertito. «Almeno io non cerco di negarlo.»
I suoi occhi del colore della terra brulla s'incendiarono. Scoprii che mi divertiva mandarla su tutte le furie. Quando capì che non avrei smesso di sorriderle allusivo, distolse lo sguardo e alzò il mento indispettita.
«Sei... cresciuto» si rivolse poi a Jared squadrandolo da capo a piedi. «Braccia, postura, taglio di capelli... faresti invidia a un Marines» gli assestò un pugno su una spalla che non lo smosse di un millimetro.
Jared parve confuso. Non tutti gli Inversi decidevano di farsi un giro nel Mondo Verso, come avevo invece fatto io di tanto in tanto da quando avevo concluso il percorso in Accademia.
«Un corpo militare nel mondo degli umani» gli spiegai, avvicinandomi a loro.
«Jared il Lagnone è diventato un uomo» Aureen sollevò un angolo della bocca.
Cazzo...
M'irrigidii. Jar rimase in silenzio per qualche istante. Temetti che sarebbe scoppiato. Sarei dovuto intervenire prima che facesse qualcosa di folle, come di solito accadeva quando qualcuno tirava fuori quel vecchio nomignolo. Mi mossi, ma lui esplose in una risata profonda.
«Non hai paura di nulla, scricciolo» le strinse le spalle con un braccio e se l'attirò addosso. «E tu, laggiù» si rivolse a me, «rilassati. Non torcerei mai neanche un capello alla mia sovrana.»
«Io non sono la tua sovra...»
«Lo sarai» la interruppe e posò un ginocchio al suolo.
Le guance di Aureen s'imporporarono.
Decisi che era arrivato il momento di correre in suo soccorso. Afferrai il braccio di Jared e lo costrinsi a rimettersi in piedi, più con l'intenzione autoritaria che con la forza. «Tempo al tempo» lo fulminai con lo sguardo. Lui piegò lievemente la testa e fece un passo indietro.
Sentimmo rumore di zoccoli avvicinarsi. Nel giro di qualche ora la gente dei villaggi si sarebbe svegliata e quella strada avrebbe assistito al passaggio di numerosi viaggiatori. E non era il caso che trovassero l'erede al trono di Delthar in abiti umani e senza una scorta adeguata a proteggerla dagli adoratori (o detestatori) molesti. Non che ce ne fosse un reale bisogno: avrebbero dovuto passare sul mio cadavere prima di riuscire anche solo a sfiorarla. E la stazza di Jared incuteva abbastanza timore da tenere chiunque alla larga. Comunque sia, era meglio non sfidare la sorte. Non ora che la Traditrice stava intessendo trame oscure.
«Entriamo a cambiarci» ordinai, guardando Aureen. «Tu, Jar, sella i cavalli. Non possiamo fermarci a riposare.»
Re Aramis ci stava aspettando.
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