22- EDEN

«Non lo so» ribadii, esausto.

Era l'ennesima volta che lo ripetevo.

Aureen stava distesa nel suo letto. Il medico le aveva preso il battito, misurato la pressione, stimolato le pupille. Ma nulla.

Valerin aveva stabilito che non si trattasse di veleni. Se la causa di tutto fosse dipeso da quello, lei lo avrebbe capito.

Che fosse opera della Corona di Tenebre?

«Ve lo avevo detto che non era una buona idea quella dell'allenamento. Una regina, una donna, che si sottopone a un simile sforzo? Cosa vi è passato per la testa?»

Mastro Claudius era alle mie spalle. Voltai piano la testa. I miei occhi incontrarono i suoi e sentii le vene del collo gonfiarsi e pulsare minacciose. Lui, invece, sbiancò.

«Mastro Claudius,» ringhiai, «uscite da questa stanza o non risponderò delle mie azioni.»

Lui serrò la mascella, ma non ribatté. Chinò il capo e si rivolse a Jared. «Mandatemi a chiamare quando si sveglia.»

Il medico scarabocchiò qualcosa. «Fatele preparare questo infuso.» Mi porse il foglio. «Tre volte al giorno. E date disposizione a una domestica affinché glielo faccia bere. Non dovrà fare altro che tirarle su la testa e...»

«Ci penso io.» Annuii.

Non l'avrei lasciata sola. Ero uscito dalla stanza giusto il tempo necessario da permettere alle domestiche di cambiarla. Sarei rimasto lì fino a quando non si fosse svegliata, tanto valeva che me ne occupassi personalmente.

«Eden, amico, restiamo nei paraggi nel caso avessi bisogno di noi.» La mano di Alec si posò sulla mia spalla prima che uscisse dalla porta.

Non chiusi occhio quella notte. Passai il tempo a rigirarmi intorno al polso il bracciale del mio gran cavalierato. Il petto di Aureen si alzava e si abbassava a ritmo regolare. Mi slacciai il colletto della camicia e mi sbracai sulla poltrona.

Dovevamo arrivare in fondo alla faccenda della Corona.

Sospirai e mi alzai, avvicinandomi al letto. Le sue labbra dischiuse erano pallide, così come la sua pelle. Una morsa mi serrò lo stomaco. I riccioli scuri erano sparsi sul cuscino. Le sollevai piano il capo per sistemarglielo. Lei gemette, un suono lieve e delicato. Ma non si svegliò. La mia mano, intanto, aveva incontrato qualcosa di duro sotto il cuscino. Lo tirai fuori e mi ritrovai davanti il diario che avevo già visto quella prima notte nelle cucine.

Tornai alla poltrona e cominciai a studiarlo. Era antico, tanto che le pagine erano rigide e secche, pronte a screpolarsi, e pressoché illeggibili. Ogni simbolo e lettera era sbiadita, fatta eccezione che per poche brevi frasi interpretabili a metà e comunque sconnesse.

Il gatto bianco e nero dai lunghi baffi, che stava acciambellato praticamente addosso ad Aureen, prese a fare le fusa. A nulla erano serviti i miei rimproveri e i miei tentativi di cacciarlo via. Era rimasto lì, pronto a soffiare a chiunque provasse ad allontanarlo da lei.

Cominciai ad apprezzare quella bestiaccia. Chiunque si battesse tanto per difendere Aureen meritava il mio rispetto.

«Questo non significa che inizi a starmi simpatico.» Mi sporsi per grattarlo dietro alle orecchie.

Lui rispose con ancora più fusa e strusciate di muso contro la mia mano.

«Sei un maledetto ammasso di pulci.» Ridacchiai quando mi salì sulle ginocchia, sedendosi sopra il diario. «E sei un maledetto ruffiano. Abbandoni la tua padrona per due coccole?» mormorai, accarezzandogli la testa.

Lui socchiuse gli occhi, estasiato.

«Credevo non ti piacesse, il mio gatto» quello di Aureen non fu più di un sussurro.

Mi alzai di scatto e Willy balzò di nuovo sul letto. Il cuore mi batteva come un pazzo e il diario cadde a terra.

«Reen.» M'inginocchiai e le presi la mano. «Numi del cielo!» Posai la fonte sulle coperte.

«Come siamo melodrammatici.» Sorrise debolmente. «Cosa è successo?»

Sollevai la testa. I miei occhi trovarono i suoi, stanchi. «Non ricordi nulla?»

Distolse lo sguardo, rivivendo qualcosa. «Mi ha parlato» rammentò alla fine.

«Chi?»

Il nocciola caldo delle sue iridi tornò su di me. «La Corona. Vuole che la indossi e che riceva il suo potere.»

Se davvero la Corona di Tenebre si era connessa a lei, forse significava che Zelveen la Traditrice era vicina. E, di conseguenza, anche la guerra. A quel punto, che Aureen si sposasse era ancora più urgente.

Le lasciai la mano e mi alzai in piedi. Camminai avanti e indietro passandomi le dita tra i capelli.

«Eden, siediti.» Obbedii all'istante. «Hai... trovato il diario.»

I miei occhi caddero a terra, sull'oggetto. Lo raccolsi con l'aria di uno che era stato preso in castagna.

«Non volevo farmi gli affari tuoi. L'ho trovato per caso.»

«Era nella stanza di mio padre... credo ci sia un collegamento con la Corona.»

«Allora dobbiamo trovare qualcuno che sappia dirci qualcosa.» Vista la nota allarmata nel suo sguardo aggiunsi: «Qualcuno di discreto

«Pensiamoci in un altro momento. Per ora, ho solo bisogno di riposare.»

«Ti serve qualcos'altro? Considerami il tuo schiavo personale per una notte.»

«Avrei una voglia matta di quelle tue tartine...»

«Che ingorda.»

«Se solo fossi un cuoco meno bravo.» Sbatté le ciglia, ma una smorfia di sofferenza le cancellò dal viso l'aria civettuola.

«Aureen,» tornai serio, «non devi indossare quella Corona. Ho visto cosa ha fatto a tuo padre. Non guarderò che accada anche a te. Resterà lì al suo posto fino a quando non avremo capito quali sono i rischi per te.»

«Zelveen è vicina, Eden. Se c'è un modo per combatterla, quello è la Corona di Tenebre.»

Serrai la mascella. Una parte di me si sarebbe presa a pugni per ciò che risposi. Ma la salvezza di Aureen valeva più qualsiasi altra cosa o sentimento.

«No, un altro modo c'è. Il matrimonio.»

«Quello già devo...»

«Acceleriamo le cose. Potresti sposarti entro la fine della settimana, prima che le corti tornino ai loro regni.»

«Ho un mese per decidere.»

La rabbia e la diffidenza nei suoi occhi mi ferirono, ma non mi mossi di un millimetro. «È più saggio procedere in questo modo.»

Voltò la testa negandomi lo sguardo. Ci stava riflettendo.

La Corona era un allarme chiaro. Zelveen era troppo vicina perché la minaccia potesse essere rimandata di un altro mese. Ci serviva un esercito.

Nessuno dei due desiderava quell'epilogo.

Ma erano lontani i giorni in cui i nostri desideri avrebbero avuto importanza.

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