2- AUREEN
«Tu... vivi qui?» Eden non represse un brivido di ribrezzo.
«Metti giù» gli schiaffeggiai la mano con cui teneva alzato un calzino.
Nel mio umilissimo monolocale regnava il caos. Panni sporchi sparsi ovunque, stoviglie incrostate abbandonate nel lavabo, bustoni dell'immondizia che dimenticavo puntualmente di portare di sotto. E neanche l'odore era il massimo: un miscuglio di biancheria da lavare e cibo bruciato.
Eden si aggirò per l'appartamento con aria sconvolta. Doveva essere traumatico scoprire in che condizioni vivesse la principessa di Delthar. Dalle suntuose stanze del palazzo reale, al lerciume di un alloggio umano del Mondo Verso.
Per me, che non avevo mai sopportato la compostezza della vita reale, era il lusso più sfrenato.
Lo guardai aggirarsi tendando d'ignorare il dolore che mi pervadeva il petto. Era bello. Molto bello. In entrambi i suoi aspetti: quello da umano, quello da Inverso. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, scossi veloce la testa.
«Willy!» Alzai al massimo le ottave della voce e mi battei le mani sulle cosce. «Qui, biscottino della mamma! Dove sei?»
«Cosa stai facendo?»
«Willino, vieni qui!» feci schioccare più volte la lingua contro i denti. «Non mi muovo senza il mio gatto» sentenziai.
Ser Eden di Delthar si portò esausto una mano alla fronte. «Fantastico.»
Willy sbucò da dietro una torre di cuscini ammucchiati sul pavimento. Stringeva tra i denti un... topo. Eden scartò all'indietro lasciandosi sfuggire un urletto.
«Ma che bravo il mio cacciatore!» mi complimentai quando mollò la preda ormai stecchita. Si leccò i lunghi baffi bianchi con aria soddisfatta.
Gli occhi del gatto, che dal verde viravano al giallo, si posarono sul cavaliere Inverso alle mie spalle. Scoprì i denti e gli soffiò.
«Non gli piaci» sorrisi soddisfatta.
Eden socchiuse gli occhi in due fessure.
Recuperai il trasportino sotto un mucchio di panni da lavare e Willy ci si lasciò infilare senza proteste. Non avevo molto da portarmi dietro. Sarei comunque tornata in quell'appartamento nel giro di qualche giorno, una volta appurato che mio padre stava alla grande. Ingoiai un groppo amato.
Le usanze del Mondo Verso erano poi completamente diverse da quelle del Mondo Inverso, mi sarei procurata lì dei pantaloni della mia taglia. Perciò niente valige inutili. Non mi sarei portata niente, tanto dall'altra parte del portale la tecnologia umana non funzionava.
Sospirai guardandomi attorno e afferrai la maniglia del trasportino. «Bene, possiamo andare.»
Il nodo che avevo mandato giù s'inspessì nel mio petto. Il mio aspetto umano sarebbe sparito una volta varcato il portale. Niente più capelli biondi dalle punte rosse, niente più pelle pallida, niente più braccia esili e gambe sottili.
Mi voltai di scatto. Eden aveva riassunto il suo aspetto Inverso. Per qualche ragione il cuore mi schizzò in gola.
«Come hai fatto a riconoscermi?»
Un angolo della bocca gli guizzò verso l'alto. «Ho trascorso gli ultimi diciannove anni in attesa di rincontrarti. Un aspetto diverso non mi avrebbe ingannato.»
«Un tantino inquietante.»
«Sì, be', gli occhi sono gli stessi» m'indicò con l'indice.
Non avevano nulla di speciale i miei occhi. Erano marroni, tutto qui. Forse erano lievemente più luminosi di quelli mortali, come se l'iride fosse illuminata dalla luce del sole anche di notte. Ma nel Mondo Inverso non si trattava di nulla di particolare.
Scrollai le spalle.
«Diamoci una mossa.»
Ci inoltrammo per le vie della città senza fiatare. Eden, tornato al suo aspetto umano, rispettò il mio bisogno di silenzio.
«Non sarà facile» disse però dopo un po'. «Ma ce la farai, Aureen.»
Deglutii. Senza accorgermene avevo stretto i pugni fino a far sbiancare le nocche.
«Sai perché lo so?» mi si mise al fianco e mi sfilò il trasportino dalla mano. Willy soffiò irritato. «Hai sempre voluto indossare un'armatura, Reen.»
Il suo sorriso perspicace mi provocò i brividi su tutta la schiena. Li cacciai in fretta. «Ti stupisci?» tentai di ironizzare.
«Affatto. Quando eravamo bambini costringevi me a interpretare la parte della fanciulla in pericolo.»
Non riuscii a reprimere un sorriso. «Te lo ricordi.»
«Le umiliazioni non si scordano facilmente.»
Attraversammo una serie di incroci e superammo un alto palazzo la cui punta sembrava solleticare il cielo. Eden teneva ancora la tracolla con la chitarra rosso fuoco allacciata al collo.
«Dove hai imparato a suonare?»
Sollevò le spalle con aria indifferente. «Ce l'ho nel sangue, credo. In Accademia mi chiamavano "l'Usignolo".»
«Cazzate.»
«Tesoro, ho una voce che te la sogni.»
Era vero. Lo avevo sentito cantare al locale. Non riuscivo a credere che l'Eden di sei anni che si scaccolava senza ritegno fosse diventato... così.
«Ricordami di regalarti uno specchio alla prima occasione» superai un barbone che dormiva sul marciapiede, «così potrai baciare il tuo riflesso quanto ti pare.»
Sorrise, e quando gli angoli della bocca gli si piegarono verso l'alto due piccole increspature gli accentuarono le guance.
«In effetti mi chiamavano anche "Inverso più affascinante di tutti i regni".»
Roteai gli occhi. «A questa non credo neanche un po'. Avevate parecchio tempo per fare i cazzoni in Accademia, non è vero?»
Lui, però, si rabbuiò. Doveva aver visto cose atroci in quel posto. E forse ne aveva persino subite alcune. Mi pentii subito della sparata.
«Scusami...»
Lui sventolò in aria una mano. «Niente di cui scusarti. Guarda,» ci fermammo davanti alla scalinata che conduceva a uno dei più importanti musei della città, «siamo arrivati.»
Chiaramente non era aperto al pubblico. Ma noi saremmo entrati comunque. Il portale che ci avrebbe condotti al Mondo Inverso si trovava proprio lì.
L'ingresso era chiuso con un chiavistello. Niente che la magia non potesse aggirare. Eden strinse il lucchetto tra le dita e dopo un secondo si udì un leggero clic. Era un trucchetto semplice.
«Pronta?»
Annuii.
Lui rovesciò la testa all'indietro. Una scarica elettrica si propagò dalla sua pelle. Un ronzio riempì l'aria che sfrigolò quando i lampioni del marciapiede si fulminarono. Willy rizzò il pelo e si agitò nella sua gabbietta.
Eden era un Inverso delle tempeste e aveva appena fatto saltare la corrente in tutto il quartiere. Eravamo ora immersi nelle ombre e, all'interno, le telecamere non ci avrebbero rilevati.
«Ottimo» sussurrai, ammirata.
Lui sembrò gradire.
Aprimmo il portone di uno spiraglio e ci infilammo in fretta all'interno del museo.
Erano passati due anni dall'ultima volta in cui avevo messo piede in quel luogo. Precisamente da quando ero arrivata nel Mondo Verso stanca e impaurita. Ma determinata a decidere come vivere la mia vita.
Non c'era stato nessuno con me a impedire alle telecamere di rilevarmi, ma i miei poterei da Inversa delle nebbie si erano occupati del lavoro sporco, camuffandomi a occhi indiscreti.
Esistevano cinque tipi di poteri Inversi: delle tempeste, delle nebbie, della flora, dei ruscelli e del sole. Io, ovviamente, mi trovavo nella categoria più inutile. Ma potevo comunque considerarmi fortunata, dal momento che erano pochi quelli della mia specie che erano stati benedetti dagli dèi con un dono. Non che, comunque, avesse chissà quale importanza. In ogni abitante dell'altro mondo scorreva una scintilla di magia. E qualcuno, come noi, era stato più fortunato. Ma i privilegiati erano così pochi che nelle scuole non era nemmeno previsto un qualche tipo di insegnamento. Persino io, la principessa, non avevo mai avuto insegnanti al riguardo. Quel poco che sapevo fare me lo aveva insegnato mio padre...
Superammo una serie di corridoi fino ad arrivare a quello giusto. Il nostro obiettivo era un piccolo quadro che solitamente passava inosservato. Rappresentava un paesaggio boschivo: una breve cascata vista attraverso i rami di un salice piangente, illuminata da un raggio di sole che penetrava tra il folto della foresta.
«Eccolo» mormorò Eden.
Sembrava felice di tornare nel nostro mondo. Io, invece, avevo il batticuore. Per non darmi il tempo di rifletterci troppo, le sue dita si strinsero intorno alle mie. Mi tirò dietro di sé e attraversammo il quadro.
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