18- AUREEN
Erano due ore che ci allenavamo.
Grondavo di sudore e dalla treccia mi sbucavano ciocche increspate. Eden, invece, sembrava appena uscito da un centro benessere.
Come diavolo faceva a non scomporsi?
Feci del mio meglio per ignorare i muscoli che trasparivano dalla divisa d'addestramento che aveva indossato. Era sottile e aderente, quasi fosse pensata per fasciare il corpo come una seconda pelle. Non scesi mai più giù della vita, lo giuro.
Avevamo deciso che non avremmo attinto ai nostri poteri da Inversi. Contro le Pietre Blu dell'Annullamento, non sarebbe servita a nulla nostra magia. E poi, usufruirne ci avrebbe privato in fretta di tutte le energie. La magia degli Inversi era così rara tra gli abitanti dei regni, che non era uso allenarne le potenzialità. In Accademia, da quel che sapevo, si lavorava sulla forza e sulla resistenza. E il regno di Delthar viveva in pace da decenni, cosa che aveva contribuito a giustificare quella forma di pigrizia.
Mi soffiai un ricciolo da davanti agli occhi. «Pausa» ansimai.
«Non pensarci nemmeno.» Mi colpì il sedere col piatto della spada. «Lo decido io quando ti fermi.»
«Eden...» Mi lasciai cadere a terra. «Sono esausta.»
Lui si accucciò davanti a me. «Ed è per questo che non puoi interrompere ora.» I suoi occhi verde zaffiro sembravano gemme alla luce del sole. «È proprio la resistenza il tuo punto debole.»
«Sono la regina, comando io.»
Le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto. «Ovunque, tranne che nella palestra.» Mi porse una mano per aiutarmi a rialzarmi. «Qui sono io il capo, tesoro.»
Quando fui in piedi, sentii la testa pesante. Dondolavo per la stanchezza.
Trovai l'energia per andare avanti. Non solo perché era lui a chiedermelo. Ma anche, e soprattutto, perché non avrei più provato quella paura e quell'impotenza. L'umano che mi aveva attaccato avrebbe potuto uccidermi, e gli uomini che mi avevano sorpresa nella foresta due anni prima avrebbero potuto farmi ben di peggio. All'epoca interpretai quell'aggressione come la mia punizione per essere scappata dal castello nel cuore della notte. Comunque sia, non mi sarei mai più sentita così.
«Stai bene?» percepii preoccupazione nel suo tono. «Ti sei scurita di colpo.»
Un groppo difficile da mandare giù mi riempì la gola. Il ricordo di quella notte... non lo avevo ancora elaborato del tutto. Non volevo parlarne a me stessa, figuriamoci discuterne con lui.
Cambiai discorso. «Quando mi avrai fatto diventare abbastanza brava, ti farò pentire di avermi allenata.»
«Mi piace quando le donne mi minacciano.»
Sollevai la spada di legno e tentai di colpirlo, ma lui semplicemente la schivò.
«Andiamo, Reen, puoi fare di meglio.»
Presi la rincorsa e, quando gli fui quasi addosso, mi sfuggì un ringhio. Anche questa volta il colpo non andò a segno.
Possibile che fossi così goffa?
«Menomale che eri capace a combattere.»
Lasciai cadere la spada a terra e mi portai le mani sulle ginocchia. Tentai di riprendere fiato. «Sono solo stremata. E poi, non mi è stato mai concesso di allenarmi sul serio. Un addestratore una volta tanto non vale certo gli insegnanti che hai avuto tu in Accademia.»
Tirai su la testa e osservai la mascella indurita di Eden. Avevo toccato un tasto dolente.
«Cazzo, scusami... Non stavo...»
«No, non ti preoccupare.»
«Davvero, Eden, mi...»
«Reen, non ti preoccupare.»
Annuii.
Ero curiosa di scoprire cosa fosse accaduto di così orribile in quel luogo da non volermene parlare, ma evitai di fare domande. Ognuno di noi aveva i propri mostri.
Eden si avviò verso un tavolino accostato alla parete e mi riempì un bicchiere d'acqua dalla caraffa. L'occhio mi cadde un istante sul sedere granitico fasciato in quella stramaledetta tuta d'addestramento.
Quando risalii con lo sguardo, trovai i suoi occhi che mi fissavano. E anche un sorrisetto piuttosto arrogante. Sgranai le palpebre e mi voltai, le guance a fuoco.
«Mi stai di nuovo sbavando addosso.»
Lo stronzo non avrebbe fatto finta di nulla.
«Non dire scemenze.»
Tornò da me e mi porse il bicchiere. «Come preferisci. Ma se non vuoi ammetterlo, la prossima volta cerca di non farti beccare.»
«Cos'è? Una tecnica per irritarmi così da continuare l'allenamento?»
Bevvi tutta l'acqua in un sorso e abbandonai il bicchiere sul tavolino.
«Non so... funziona?»
Alzai una mano, pronta a colpirlo, così da dargli prova che sì, funzionava. Ma lui me la bloccò afferrandola per il polso. Sollevai anche l'altra, e lui mi fermò di nuovo.
«Mollami.»
«Altrimenti?» Mi sfidò, spingendomi contro la parete.
«Altrimenti ti prendo a calci nelle palle.»
Sgranò lievemente gli occhi, sorpreso e divertito. «Non oseresti.»
Gli dimostrai in contrario tirando su il ginocchio, ma lui riuscì a bloccarmi anche questa volta incastrando la mia gamba tra le sue. Eravamo vicinissimi, ora. Potevo sentire il suo respiro caldo sulla fronte. Una ciocca di capelli chiari gli era scivolata davanti agli occhi.
«Ahi» sussultai, quando un fremito di energia elettrica mi percorse tutta attraverso il contatto tra noi. «Avevamo detto niente magia!»
Lui mi rivolse un ghigno beffardo. «Ops.» I suoi poteri da Inverso delle tempeste erano di certo più interessanti dei miei.
L'aria si caricò di una strana tensione.
«È... un gioco pericoloso» mormorò Eden, avvicinandosi ancora di più.
Si passò la lingua tra le labbra, prima di dischiuderle. Mi ritrovai a chiedermi che sapore avessero.
«Sono d'accordo.» Una voce ruppe il qualsiasi cosa stesse accadendo, ed Eden si staccò in fretta da me. «È un gioco pericoloso, gran cavaliere Eden.» Mastro Claudius ci guardava con disprezzo.
Non seppi cosa dire. Sentivo ancora il fiato corto e la pelle scottare nei punti in cui le mani di Eden avevano tenuto ferme le mie.
«La regina non dovrebbe prestarsi a queste... sciocchezze. Non serve che si addestri. Ci siete voi a proteggerla.»
«Credo di poter decidere da sola se valga o meno la pena imparare qualcosa dai miei sudditi» ritrovai la voce. «Compreso dai vostri consigli, Mastro Claudius.»
«Se il gran cavaliere non è abbastanza saggio da dissuadervi dalle vostre idee... curiose, spero lo siate abbastanza voi da capire che certi atteggiamenti non si confanno alla corona che vi grava sulla testa.»
Eden mosse un passo in avanti. «La nostra sovrana aveva solo bisogno di scaricare un po' di tensione. Non temete, Mastro Claudius, la regina non intende indossare un'armatura.»
I due si guardarono qualche istante, l'anziano con sospetto e il giovane con piglio canzonatorio.
«Me lo auguro.» Si voltò, impettito, e se ne andò.
Un lungo attimo di silenzio.
«Ma che fai?» Lo colpii alla spalla. «Non intendo piegarmi al volere di quell'uomo. E tu continuerai ad allenarmi, intesi?»
Lui roteò gli occhi e batté tre volte con le nocche contro la mia testa. «Pronto, cervellona? Non cederemo di un millimetro con Mastro Claudius. Ma sia a te che a me conviene che lui creda di riuscire controllarci.»
«Sono la dannata regina, Eden.»
Il suo sguardo divenne serio. «Ti ricordi quado ti ho detto che quella del regnare è una partita a scacchi?»
Annuii.
«Bene, non scordarlo. E muovi le tue pedine con saggezza. Abbiamo già azzardato fin troppo.»
Ero confusa.
«Va bene.» Alzai le braccia, esasperata.
«Dove stai andando?»
«A rischiare meno da un'altra parte.»
Feci per uscire ma mi ritrovai la strada sbarrata da Valerin. Aveva le labbra dipinte di rosa e un abito d'avorio che lasciava scoperta tutta la parte alta dei seni. Era splendida, come sempre.
Mi sorrise. «Ti stavo cercando, è arrivata la sarta. Dobbiamo iniziare a lavorare sul tuo nuovo guardaroba. Ma dèi, Reen, tu puzzi!»
«Sì, be'...» Mi annusai la maglia. «Sono tutta sudata.»
«Hai bisogno di un bagno, prima. Andiamo.»
Sbuffai, ma uscii dalla palestra. «Perché diavolo in questo regno tutti continuano a darmi ordini?»
Valerin sghignazzò e mi seguì. «Ciao Eden!» Lo salutò con un tono strano e compiaciuto.
Ero stremata ma soddisfatta. Nelle ultime ore la mente mi era corsa a più riprese all'attacco del giorno prima e alla notte in cui fuggii dal castello per raggiungere il Mondo Verso. Sentivo ancora addosso l'odore fetido dei briganti e il calore tiepido del loro sangue viscido.
Non mi sarei più fatta sopraffare. Se non potevo accettare il potere della Corona, ne avrei creato uno tutto mio.
Le giornate trascorsero l'una identica all'altra. Udienze, allenamenti, riunioni.
E pressioni da parte del Consiglio.
Ma c'era talmente tanto da fare e a cui pensare che ebbi poco tempo da dedicare a quel diario che non aveva nulla da rivelarmi, se non quelle parole sbiadite e prive di senso.
E alla fine arrivò la sera del ballo.
Ero affacciata al mio balcone con in mano un bocciolo marcio di Aureenyria Santaminas quando udii bussare.
«Si può?»
«Vieni, Val. Sono qui fuori.»
Willy, intanto, comparve tra i rami degli alberi. Teneva un passerotto stretto tra le fauci. Mi raggiunse con un balzo e me lo posò ai piedi. Dopodiché, si leccò i baffi con soddisfazione.
«Bestiola crudele.» Gli accarezzai la testa.
Lui rispose facendo le fusa e strusciandosi contro la mia gamba.
Valerin arrivò seguita da una scia di profumo. Indossava un abito viola che le fasciava e metteva in mostra ogni curva. Era aderente fino alle ginocchia, poi ricadeva morbido intorno ai piedi come la corolla di un fiore.
«Reen, diamine!» Indicò la mia sottoveste chiara. «Dov'è il tuo vestito?»
«Stai tranquilla, è appeso accanto al mio letto.»
«Ma manca meno di un'ora al ballo!»
«Avevo bisogno di un po' d'aria fresca.»
«Sì, be',» mi afferrò per il gomito, «qui si gela. E non devi ammalarti. Ti prego, vieni dentro.»
Evitai di farle resistenza. Prima o poi avrei comunque dovuto mettere quel dannato vestito e andare a conoscere i miei pretendenti. La cosa mi faceva sentire come un pezzo di carne messo in mostra al mercato. Ma non avevo scelta.
«So che è difficile.» Val mi fece sedere davanti alla toletta e cominciò ad acconciarmi i capelli. «E so che avresti voglia di spaccare tutto. Al posto tuo avrei già dato fuoco al palazzo, e ti ammiro per non averlo fatto. Il popolo ha bisogno di questo... e fa schifo che debba essere proprio tu a sacrificarti.»
Sembrava sincera.
«Ma?»
«Ma non conosco nessun altro che saprebbe affrontare questa situazione a testa alta.»
Le sorrisi attraverso lo specchio. «Stai cercando di arruffianarmi?»
«Per quel che vale, nella mia testa ho torturato a morte ogni membro del consiglio che ha votato a favore di questa decisione.»
«In effetti, mi fa sentire meglio.»
Le permisi di truccarmi, profumarmi e vestirmi. E, quasi un'ora più tardi, quand'ebbe finito, mi sussurrò: «Bellissima.»
Le domestiche portarono le grandi casse contenenti tutti i gioielli della corona. Oro e pietre di ogni genere. Ma io avrei indossato qualcosa di semplice.
«Bene, andiamo a fare una strage di cuori.» Ironizzai, chiudendo in gabbia il mio.
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