15- AUREEN
Non riuscivo a smettere di rigirarmi nel letto. Neanche le familiari e confortanti fusa di Willy riuscivano a placare la mia ansia. E nemmeno la mia rabbia.
Non la volevo la Corona di Tenebre.
Non lo volevo un regno.
Non lo volevo un marito.
Mi maledissi. Se fossi tornata a casa prima, forse mio padre avrebbe avuto modo di dirmi qualcosa di più sulla questione che riguardava la Traditrice. Se ne avessi saputo di più, forse avrei potuto trovare in fretta una soluzione ed evitare le pressioni del consiglio.
C'erano non pochi libri nella mia stanza, ma nessuno di questi accennava alla guerra tra Zelveen e Bernilde la Coraggiosa che era avvenuta mille anni prima.
E anche se avessi frugato nella biblioteca principale, non avrei trovato un granché. Non si sapeva molto della guerra che le divise, ma si vociferava che Zelveen, in preda all'ira, avesse dato fuoco agli archivi del castello, impedendo che la storia della dinastia dei Delthar arrivasse fino a noi. Quando la mia antenata sconfisse la minaccia della Signora dell'Oscurità, i fedeli di quest'ultima massacrarono ogni traccia della storia. E continuarono a farlo per generazioni. Perlomeno quelli che non fuggirono nel Mondo Verso .
Forse, però, nello studio di re Aramis avrei trovato qualche risposta. Non avrei preso sonno finché non me ne fossi assicurata.
Mi arresi all'agitazione che mi teneva sveglia e scostai bruscamente le coperte.
Mi tirai giù dal letto e, dopo essermi procurata un lume, mi riversai nel corridoio.
L'aria era tiepida, nonostante il buio freddo del cielo.
Quando arrivai agli appartamenti di mio padre, un respiro tremante mi abbandonò le labbra. C'era ancora il suo profumo, lì. Il sentore di morte e malattia era scomparso insieme al suo corpo. Avvicinai la fiamma della mia candela ai candelabri, e una luce calda illuminò i grandi arazzi alle pareti, la scrivania sotto la finestra e il letto a baldacchino ben più grande del normale.
Quel silenzio estraneo mi mise angoscia. E un pulsare lieve alle tempie mi costrinse a socchiudere gli occhi per qualche istante.
Sospirai. Neanche se avessi atteso avrei sentito la voce profonda di mio padre chiedermi: «Cosa c'è che ti turba, bambina?», come aveva fatto tutte le volte che, nel cuore della notte, mi ero infilata accanto a lui sotto le coperte. Non mi avrebbe accarezzato i capelli con quella sua manona e non avrebbe trovato una soluzione.
«Devo cavarmela da sola, eh, papà?» mormorai, posando i palmi sul suo scrittoio.
Cominciai a frugare, sperando di trovare qualche indizio su quella faccenda. Partii dai cassetti, poi scoperchiai i doppi fondi, tastai con le dita lungo le gambe del mobile e poi sui lati.
Sul comodino c'era uno scrigno d'argento, ma aprendolo lo trovai vuoto. Non lo avevo mai visto prima di allora, in effetti... e che non contenesse nulla avrebbe dovuto risultarmi strano. Ma ero troppo occupata a cercare un indizio qualsiasi sulla Corona per farci caso
Passai alla libreria. Dai libri che scrollai, però, uscì solo la polvere. Ispezionai ovunque, senza avere successo.
Guardai verso l'alto. «Dammi una mano.»
Aspettai un po', ma l'intervento divino nel quale speravo non arrivò.
Mi sdraiai su un fianco sul letto, poi mi avvicinai le ginocchia al petto. Come avrei fatto a sopportare tutto quel peso? Come ne sarei uscita illesa? Non volevo piangere ancora, eppure le lacrime che mi pizzicarono gli occhi non vollero saperne nulla. Ero sola. Nel Mondo Verso quella sensazione non mi aveva mai provocato grande turbamento. Forse perché sapevo che se avessi voluto tornare indietro, avrei sempre potuto contare sul perdono di mio padre. Se la corte non mi avesse accolta, lo avrebbe fatto il suo abbraccio.
Ora, invece, non mi rimanevano che quelle lacrime che mi offuscavano la vista.
Mi voltai sulla schiena, scossa dai singhiozzi, e urtai con una mano il candelabro posato sul comodino. Una delle candele si piegò di lato e cadde a terra. Mi alzai di scatto, asciugandomi in fretta la faccia. La candela caduta non si spense, ma rotolò sotto il letto. Mi accucciai, pronta a recuperarla prima che il fuoco attecchisse. Allungai una mano ma non riuscii a raggiungerla. Dovetti perciò appiattirmi sulla schiena e scivolare sotto, afferrandomi alle doghe e trascinandomi verso il centro.
Le mie dita si aggrapparono ancora una volta, sfiorando però qualcosa di diverso. Sollevai gli occhi e mi ritrovai faccia a faccia con un... diario?
Quello era un diario. Lo capii dalle dimensioni modeste e dalla cordicella di cuoio che lo teneva chiuso.
Feci per liberarlo, ma il peso del materasso lo incastrava tra quest'ultimo e le doghe. Intanto la cera della candela colava a gocce sul pavimento. L'afferrai, le soffiai sopra e scivolai fuori da quel nascondiglio.
Quando mi tirai in piedi, la mia vestaglia era stropicciata, così come i miei capelli. Feci forza sulle braccia e sollevai il materasso. Pesava da morire, ma riuscii a spingerlo di lato. Il diario dalla copertina marroncina, scurita dal tempo, era proprio lì.
Lo recuperai e provai a leggerne il titolo inciso, ma le parole erano troppo sbiadite perché fossero leggibili. Con attenzione, per evitare le che pagine mi si sbriciolassero tra le mani, ne scorsi alcune ma anche queste erano illeggibili.
Sei curiosa, Regina di Tenebre.
Una voce di ghiaccio mi si arrampicò sulla schiena. Sussultai e il diario mi cadde di mano, finendo sul tappeto. Mi voltai, ma non trovai nessuno alle mie spalle.
Rimasi immobile e in silenzio.
Non udendola più, mi convinsi di averla immaginata. Ma non mi sentivo troppo a mio agio lì da sola. Raccolsi quindi il diario, soffiai sulle candele e fuggii via. Procedetti a passo spedito lungo il corridoio, guardandomi di tanto in tanto alle spalle.
Non puoi fuggire da me.
Mi bloccai di colpo, tutti i peli dritti come pali. Le luci delle fiaccole disegnavano inquietanti immagini sulle pareti.
Non rifiutarmi, io posso renderti invincibile.
«Chi sei?» la mia voce incerta risuonò tra le pareti deserte.
Tu sai chi sono. Raggiungimi.
A quel punto, nonostante il terrore, realizzai.
Forse, per impedire a Mastro Claudius di impormi le sue idee, bastava avere più potere di lui.
Posso aiutarti... sibilò la Corona.
Eden non sarebbe stato affatto d'accordo che ci andassi da sola, ma se lo avessi informato avrebbe cercato di fermarmi.
Ero l'ultima Delthar di sangue reale. E se quel che mi aveva rivelato Eden era vero, la Corona aveva scelto me. Non voleva farmi del male, voleva darmi la sua forza. Non mi resi conto che era stata una voce che aveva ben poco di pacifico a convincermene.
Non ero del tutto in me quando mossi i primi passi per raggiungere le segrete. Ero animata da una strana sensazione che però non tentai di contrastare.
L'angoscia era sparita. C'era solo il fisico bisogno di obbedire.
La luce della luna filtrava in deboli raggi dagli alti archi di pietra del corridoio.
I personaggi dei quadri appesi alle pareti parevano seguire ogni mio movimento con giudizio. Un dipinto in particolare catturò la mia attenzione: ritraeva la regina Bernilde e Zelveen la Traditrice, prima che questa diventasse nemica del regno. La prima aveva uno sguardo fiero, lunghi capelli biondi e indossava un'armatura di fuoco che dava idea di coraggio e purezza. La seconda, i cui scuri capelli ricci incorniciavano quel viso affilato, aveva uno sguardo ben più ambiguo.
Venni scossa dai brividi e ripresi la strada che conduceva alle cucine, pronta a varcare la soglia della porta che affacciava sulla scalinata. Poi avrei sceso un gradino alla volta, lasciandomi guidare dal richiamo delle tenebre.
I miei sensi da Inversa si stavano finalmente risvegliando. E il profumo di dolci appena sfornati mi arrivò diretto dalle narici allo stomaco, il quale gorgogliò.
Quell'odore invitante mi riscosse.
Cosa stavo facendo?
Volevo il potere della Corona, ma non avevo dimenticato il piccolo corpo di mio padre che tremava nel letto troppo grande per lui. Ero nella merda fino al collo, ma era ancora troppo presto per correre quel rischio.
E che quell'oggetto riuscisse a comunicare con me, non presagiva nulla di buono. Era una magia molto, molto sbagliata. Presi un respiro violento, come se fino a quel momento avessi trattenuto il fiato.
Ero stata sul punto di raggiungere la Corona e indossarla come lei mi aveva comandato. E non ero affatto mossa dalla mia volontà.
Dèi, ma cosa mi è successo? Pensai.
Al di là delle porte della cucina, si udì un suono. Saltai sul posto, tesa come una corda di violino. Quando mi intrufolai dentro, invece che scappare a gambe levate verso la mia stanza, impiegai un istante a scordare il panico di poco prima.
Eden era ricoperto di farina dalla testa ai piedi.
Non si accorse subito di me, perciò ne approfittai per studiarlo qualche momento.
Si era arrotolato le maniche e impastava con forza un panetto di pastafrolla dall'aria invitante. I muscoli sotto gli avambracci si muovevano scattanti, mettendo in risalto le vene leggermente in rilievo.
Mi salì un certo languorino. Per i dolci che cuocevano in forno, certo.
La fronte aggrottata esprimeva tutta la sua concentrazione. Una ciocca chiara gli era ricaduta sulla fronte. Si passò distrattamente la lingua sul labbro superiore.
«Non immaginavo sapessi cucinare» ruppi il silenzio.
Lui non sussultò. Ma la sua mano scattò all'impugnatura della lama che teneva nella cinta prima che potesse realizzare che ero solo io.
«Oh» disse.
Soltanto oh.
Mi guardava con due occhi che avrebbero potuto inghiottirmi. O forse, ero io che mi sentivo annegare in quei laghi gemelli.
Mi avvicinai al bancone, passai un dito sulla glassa di una delle tante tortine allineate e me lo infilai in bocca. I suoi occhi volarono alle mie labbra e io mi sentii esposta.
«Sei tu che prepari il dolce dopo i pasti?»
Lui rimase in silenzio qualche istante, osservandomi. Poi riprese a impastare. «Mi aiuta a scaricare i nervi.»
«Molti uomini ricorrono alla box, in questi casi.»
«Non questo uomo.» Scrollò le spalle e represse un sorrisino.
Mi appoggiai al ripiano con entrambi i gomiti e mi servii di altra glassa.
«Sei molto diverso da quando eri piccolo.» Avevo pensato a voce alta, perciò subito mi scaldai per l'imbarazzo. «Voglio dire, un tempo non facevi che ficcare le dita nella marmellata.»
Gliela servii su un piatto d'argento, ma me ne accorsi troppo tardi. «E ora sei tu quella con le dita nella marmellata.»
«Pff... Questa non è marmellata, comunque.» Mi misi dritta e mi diressi ai forni.
C'era qualcosa di irruento nel suo sguardo. Dolce ma irruento. «Cos'hai lì?» Indicò il diario che tenevo sottobraccio.
Scrollai le spalle fingendo indifferenza. Non volevo parlargliene, ero in qualche modo gelosa di quel segreto che mi teneva legata a mio padre. E... alla Corona, la cui coscienza riprese a pulsarmi nelle tempie.
«Perciò... devo sposarmi» cambiai discorso.
Con quelle ultime parole avevo fatto calare il gelo.
«Sì. Ho provveduto a selezionare alcuni candidati. Al ballo della prossima luna, sarai libera di scegliere colui che preferisci.»
«Oh, perciò qualche libertà la ho ancora» feci, con amaro sarcasmo.
«I giuramenti sono giuramenti.» Qualcosa mi disse che quelle parole erano più per se stesso che per me.
«Be', che schifo.» Sollevai un cucchiaio sporco di cioccolato. Soppesai se leccarlo o meno. Ma alla fine, con un movimento deciso, schizzai il viso di Eden.
Sollevò piano lo sguardo. Era più serio che mai. Lo avevo fatto arrabbiare? «Non avresti dovuto farlo» mi minacciò, con voce cavernosa.
Io, che non sarei stata in grado di fuggire neanche di fronte a un bufalo, tirai fuori il petto con aria di sfida. «Ah no? Sono la regina.»
Prima che potessi calcolare la mossa successiva, lui raccolse un pungo di farina e con un balzo mi raggiunse al di là del bancone.
Mi strinse a sé, premendo l'avambraccio contro il mio petto, e mi ricoprì di farina.
Ridacchiai e lui fece altrettanto. Ma volevo liberarmi, così gli morsi il braccio. Eden, però, non mi lasciò.
«Mollami.» Mi divincolai, pronta alla guerra. «Eden mollami o giuro che ti faccio fuori.»
Con la mano libera, quella sporca di farina, mi afferrò il mento e mi costrinse a voltare la testa di lato. I nostri occhi s'incrociarono subito, come magneti.
«Nessuno fa fuori Eden di Delthar» la voce bassa mi vibrò contro la schiena.
Il mio sguardo cadde sulle sue labbra e il suo sulle mie. Nonostante mi desse ai nervi, e ancora non avessi mandato giù la sua assenza per tutti quegli anni, non potevo fingere di non sentire l'alchimia che scorreva tra noi da sempre.
Poi, però, lui allentò la presa. «Vai a riposare, Altezza. Domani ci attende una lunga giornata.»
Senza darmi il tempo di replicare, afferrò un canovaccio per pulirsi le mani e se lo poggiò poi alla spalla.
Tornò al lavoro senza più degnarmi di un'occhiata.
Era delusione o sollievo quello che sentivo nel petto?
Quando fui di nuovo nella mia camera, avevo il fiato corto. Mi appoggiai alla porta e mi portai una mano alla fronte.
Avevo cose ben più serie a cui pensare. Non potevo certo cominciare a fantasticare. Capii che quel desiderio che avevo provato poco prima giù nelle cucine, era nato dall'inconscio bisogno di trovare una fuga. Nulla più di quello.
Mi sedetti sul letto e aprii il diario srotolando la cordicella. Mi domandai se la Corona mi avrebbe chiamata nuovamente a sé. Le pagine vecchie e ingiallite non mi sarebbero state di grande aiuto. Scritte e simboli erano così sbiaditi che sarebbe stato impossibile interpretarli. Mi chiesi se quel diario fosse solo un cimelio di qualche genere, che mio padre aveva custodito per valore affettivo. Ma non spiegava come mai lo avesse tenuto nascosto.
Continuai a scorrere le pagine, fino a quando alcune parole ben più visibili di altre catturarono la mia attenzione. Non componevano una frase intera, e il senso restava vago. Se non del tutto astratto.... Ma il cuore prese comunque a battermi con violenza.
Apparterrò alla Signora dell'Oscurità solo quando mi ruberà...
sua pari che siederà sul trono. Come in passato, così...
Rilessi quell'estratto più volte. La Signora dell'Oscurità non poteva che essere Zelveen. Doveva rubare che cosa, la Corona? E cosa era successo nel passato?
Ma soprattutto: a chi apparteneva quel diario?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top