11- AUREEN
Lo sentivo nelle vene il richiamo della Corona di Tenebre.
Pulsava come un secondo cuore. E più mi allontanavo dal castello a bordo della carrozza dai vetri oscurati, più diventava forte. Quasi doloroso.
«State bene, Altezza?» Mastro Claudius, seduto di fronte a me, mi analizzava con occhio indagatorio.
Annuii, ignorando le fitte sempre più intense alle tempie.
Con la coda dell'occhio mi accorsi che Eden, al mio fianco, mi stava studiando.
Le vie della città erano più pulite che mai. Il popolo, in rispettoso silenzio, ci osservava curioso. Non era difficile immaginare cosa stesse pensando: soffrivano tutti per la dipartita del re tanto amato ed erano preoccupati per l'ascesa di quella figlia tanto ingrata e tanto sconsiderata.
Il dolore alla testa si accompagnò a quello allo stomaco. Iniziai a sudare freddo. «Manca l'aria, qui dentro.»
«Fermate la carrozza» ordinò Eden.
Intanto il cuore aveva preso a battermi a un ritmo incontrollato. Mi tremavano le mani e sentivo la bocca farsi sempre più amara.
«Non siate sciocco, gran cavaliere Eden» lo rimbeccò Claudius, «è solo un colpo di calore. Sua Maestà non può raggiungere a piedi il tempio degli dèi.»
Eden colpì tre volte il tettuccio dell'abitacolo per richiamare l'attenzione del cocchiere. «Fermate la carrozza, ho detto. Subito.»
Con uno scossone la vettura si arrestò.
«Che follia! Fermarsi in mezzo a queste vie con tutti i pericoli che si annidano a ogni angolo!»
La voce del Mastro mi arrivò lontana, ovattata. E a quel punto avevo iniziato a perdere la sensibilità alle dita.
«Sta avendo un attacco di panico.» Una ciocca di capelli biondi scivolò sulla fronte di Eden. Gli occhi, come due laghi di smeraldo, brillavano minacciosi. «Deve scendere dalla carrozza e prendere aria.»
«Sì, e camminare per le strade disseminate di gentaglia pronta ad attaccarla? O a rapirla per i propri tornaconti?»
«Vi posso assicurare, Mastro Claudius, che finché ci sarò io al fianco della mia sovrana, nessuno oserà anche solo pensare di torcerle un capello.»
I due si guardarono torvi. «Non credo stiate aspettando il mio consenso, allora.»
«Affatto» ribatté Eden.
Mi prese per mano e, dopo aver spalancato la porticina, mi tirò piano dietro di lui. Non mi preoccupai del fatto che avessi le mani sudate, o del fatto che decine e decine di occhi mi fissavano incuriosite. E neanche che il popolo si accorgesse del mio turbamento. Forse un po' di dolore in bella mostra mi avrebbe redenta, per alcuni.
Lui mi strinse con un braccio intorno alle spalle, aiutandomi a restare in piedi. Si portò poi due dita alla bocca e fischiò. Subito, una delle guardie che apriva la fila a dorso di cavallo ci raggiunse al piccolo trotto.
Avevo la vista sfocata, ma riconobbi Jared dal tono profondo della voce. «Che succede?»
«Lasciaci il cavallo, Jar. Per favore.»
Lui non se lo fece ripetere due volte e, con un balzo, smontò.
Eden se ne fregò della gente che ci stava guardando e si chinò così che i nostri occhi fossero alla stessa altezza. Mi aggrappai alla luminosità di quell'anello dorato che gli circondava la pupilla. Trovai un po' di calma.
«Pensi di farcela?»
Annuii.
Sapevamo entrambi che non avevo altra scelta. Perciò strinsi i denti e lasciai che mi aiutasse a salire sul dorso del cavallo. Lui montò dietro di me. Con un braccio mi tirò contro di lui, così che potessi appoggiare la testa sulla sua spalla, e con la mano libera afferrò le briglie.
«Ora segui me» mi mormorò a un orecchio. «Prendi un bel respiro e trattieni il fiato per qualche secondo.»
Provai a fare come mi diceva, ma l'aria mi si spezzava in gola.
«Bene, ora lascia andare.»
Svuotai i polmoni. L'intorpidimento e la tachicardia non erano spariti, ma fui finalmente in grado di tenerli sotto controllo.
«Un'altra volta.»
Feci come diceva e, dopo un paio di respiri mi sentii meglio. La testa mi pulsava e lo stomaco mi si attorcigliava sempre di più, intanto che ci avvicinavamo al tempio. Ma ritrovai la calma. Una voce dentro di me mi suggeriva che se fossi tornata indietro, mi sarei sentita meglio. Avevo davvero bisogno di qualcosa. Forse della...
«Vuoi parlarne?»
«Non so cosa sia successo.»
«Non era solo un attacco di panico, vero?»
«No. Era... la Corona, credo.»
Lo sentii irrigidirsi.
«Sembra non voglia che mi allontani da lei.»
«Ha senso.»
«Ha senso?»
«Sì, se la minaccia di Zelveen è sempre più vicina, mi sembra naturale che la Corona tema che tu lasci il regno.»
«È cosciente, quindi?»
«Non so, ma di sicuro la magia che la anima è molto potente.»
Non dissi nulla. Mi concentrai al meglio per contrastare le fitte che mi fulminavano le tempie. Buttai qualche occhiata sui marciapiedi della via. Una vera folla assisteva alla nostra sfilata, ma si poteva quasi credere che non ci fosse nessuno, tanto erano silenziosi.
Una piccola Inversa dai lunghi boccoli d'oro m'indicò. La mamma, svelta, le abbassò la mano. Sembrava temesse delle conseguenze per quel gesto. Io, però, le sorrisi.
«Questa gente ha paura» constatai.
«Non sono abituati a vedere dei reali in giro per la città. L'ultima volta è successo alla morte di tua madre.»
Un ingombrante groppo mi s'incastrò in gola.
«Mio padre... lui ignorava il popolo?»
«No. Ma devi capire, Reen, che un re non governa mai da solo. Intorno al suo tavolo siedono un sacco di persone» abbassò ulteriormente il tono e sentii il suo respiro caldo tra i capelli. «Persone come Claudius. Un regno governato da un'unica figura sarebbe una dittatura. Se invece il potere è distribuito a più elementi, si raggiunge un equilibrio.»
«Dovrò rendere conto di ogni mio passo, perciò?»
«Sì, dovrai. Perché per far sì che quell'equilibrio non si rompa, devi fare in modo che nessuno sia troppo scontento. Il tuo vero potere risiederà nel gestire ogni elemento del tuo tavolo. Sarai la regina degli scacchi: il tuo gioco si baserà sulla tua posizione, e la tua posizione sarà determinata dalle torri, dagli alfieri e dai pedoni. Ogni pezzo sulla scacchiera ha un ruolo, e ogni ruolo è importante.»
«Sento risalire il panico.» Mi sventolai il viso con una mano.
Percepii Eden sorridere. «Non temere, ci sarò io ad aiutarti.»
Voltai un po' la testa così che potessi guardarlo negli occhi. «Ma tu non sei il re che la regina deve proteggere.» Un velo buio gli si posò un istante sugli occhi, quando alzai il viso per osservarlo. Poi tornò a sorridere, anche se notai che ora era più rigido.
«No» concordò. «Io sono un semplice pedone.»
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