Il colore della magia

La trilogia di Terry Pratchett, che si apre con il volume Il colore della magia, è un'originalissima opera fantasy sul Mondo Disco, un mondo che non segue le regole della fisica, ma quelle della magia. L'emblema del mondo è proprio la sua curiosa struttura: un disco retto da quattro elefanti in groppa a una gigantesca tartaruga, la quale nuota negli abissi dell'universo indisturbata dalla vita che trasporta.

Ricca di colpi di scena, riferimenti letterari, personaggi indimenticabili e, ovviamente, magia, la saga del Mondo Disco non si fa mancare nulla. Gestisce in maniera magistrale il susseguirsi di avvenimenti e con fine umorismo racconta le vicende di un mago fallito e del primo turista del Mondo Disco.

Sebbene l'Universo di Pratchett sia contrapposto al nostro, spesso si incontrano delle stoccate e critiche raffinate sul funzionamento del mondo in cui viviamo.

L'eroismo inteso come fama e forza bruta, l'economia che guida il mondo, la tradizione brandita come spada per escludere dai privilegi una fetta ben nota di popolazione, gli dei menefreghisti che giocano a dadi con le vite dei personaggi, sono alcuni dei temi che più spesso si impongono nella storia. Non mancano i riferimenti ai fantasy tradizionali, a situazioni classiche, che però prendono una piega diversa, al deus ex machina, a stereotipi riscritti, fanciulle in pericolo che la pensano diversamente sull'essere salvate.

Eppure i personaggi si fanno amare, colpiscono con la propria comicità e, per quanto strano, con il realismo.

Invece di discutere a fondo dei temi che la saga vorrebbe proporre, mi preme dire due parole, invece, sull'importanza della lettura. Non tanto della lettura di questa opera in particolare, quanto della lettura più vasta e generale. Viene spesso detto che in Italia ci sono più aspiranti scrittori che lettori, e questo, tristemente, mi sembra particolarmente vero fra gli stessi aspiranti scrittori. Lungi da me fare una predica sul dover leggere molto, come un vecchio professore. Direi però che è assurdo cimentarsi a scrivere, inorgoglirsi di fronte alle lodi e recensioni positive, correre alla ricerca di un editore credendo di aver scritto un capolavoro, pretendere di essere pubblicati e chiudersi a riccio scagliando aculei contro chiunque si degni di commentare negativamente, con un bagaglio di dieci libri letti all'anno. Possiamo credere di aver scritto un capolavoro, possiamo perfino averlo fatto, ma riflettendoci, in cosa consiste un capolavoro?

In aver toccato temi importanti? In aver vinto premi? In aver incontrato qualcuno che ce l'abbia detto? In aver applicato a memoria le regole grammaticali? Nel credere di averlo fatto? O nell'avervi dedicato vent'anni della propria vita?

Nessuna delle opzioni è un segno certo e indelebile che identifica fra mille proprio quel capolavoro che tutti stavamo aspettando.

E per chi desidera semplicemente pubblicare un libro, che non fosse neppure un capolavoro, ma un impulso a scrivere per essere letti, ce n'è veramente bisogno? Abbiamo veramente bisogno di un testo in più, fra i milioni già pubblicati dagli albori della stampa, e altri milioni che aspettano di venire alla luce nei prossimi anni?

Se proprio volete togliervi questo sfizio, avete l'obbligo morale di non scrivere da ignoranti, di leggere e informarvi, di non fare più danno di quanto già è stato fatto dalle parole.

E per chi crede di aver creato un capolavoro, è assai probabile, che capolavori simili siano in circolazione da anni, pure in abbondanza. 

Per chi ama il fantasy e si compiace di averne scritto uno o due, invito a leggere Il colore della magia, e dirmi se ne è all'altezza.

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