12. Nella tela del ragno

Londra, 19 gennaio 2012.

Contrariamente alle aspettative di Adele, la folle idea di Nicholas riguardante la lettera "strappalacrime" da consegnare al consiglio dell'University College aveva funzionato: non si poteva negare, inoltre, che la carriera accademica di quella ragazza - specie per quanto riguardava le discipline letterarie - fosse così invidiabile da costituire un netto vantaggio nella conquista dei primi posti in graduatoria. Anche Nicholas, dal suo canto, era riuscito ad essere nuovamente ammesso: gli strascichi del suo passato avevano influito notevolmente sulla commissione, ma alla fine la buona volontà e il suo completo recupero avevano avuto la meglio sulla scelta finale. Il loro desiderio, dunque, si era finalmente avverato: potevano entrambi dirsi due studenti ufficiali dell'università dei loro sogni.

I primi mesi furono particolarmente coinvolgenti: la nuova routine, i corsi da seguire e l'enorme mole di appunti da studiare li avevano investiti come un treno in corsa. Nonostante si trovassero nello stesso dormitorio, a stento riuscivano ad incontrarsi per prendere un caffè alle macchinette a gettoni: tutto aveva un nuovo sapore e forse, quella ventata di cambiamento era ciò di cui entrambi avevano realmente bisogno. Quell'atmosfera di serenità, tuttavia, subì ben presto un violento arresto: un pomeriggio, mentre si trovavano a chiacchierare nell'immenso cortile che dava su i loro appartamenti, un ragazzo vestito con abiti scuri si scagliò contro Nicholas, strattonandolo per un braccio.

«Stronzo!», gridò, sferrandogli un pugno in pieno viso «mi avete illuso per tutto questo tempo!».

Adele, sconcertata, accorse rapidamente al suo fianco, tentando di fermare la furia dello sconosciuto.

«Chi cazzo sei?», farfugliò Nicholas, sfiorandosi la ferita sullo zigomo con le dita tremanti.

«Il coglione che tu ed Hannah avete tentato di ingannare», tuonò nuovamente, avvicinandosi pericolosamente al suo viso.

A quelle parole, Adele scrutò confusa lo sguardo di Nicholas, incapace di replicare. La relazione con Hannah era già terminata da diversi anni e in tutto quel tempo il suo amico non ne aveva più fatto menzione, neanche quando insieme rievocavano gli anni del liceo.

«Si può sapere di che diavolo stai parlando?», squillò Adele, furiosa.

«Vallo a chiedere al tuo amichetto», continuò imperterrito il ragazzo, massaggiandosi la mano dolorante «dovresti vergognarti di frequentare un uomo come lui».

«Potresti smetterla di parlare per frasi fatte e andare dritto al punto?», chiese ancora una volta Adele, esasperata, tentando di sorreggere Nicholas.

Il ragazzo sospirò pesantemente, rivolgendo lo sguardo altrove.

«Il bambino di cui Hannah mi ha fatto credere di essere il padre non è nient'altro che di questo stronzo», esclamò rabbioso.

Adele rimase senza fiato, mentre il mondo attorno a lei prendeva a girare come una trottola. Nicholas, dal suo canto, rimase immobile con il naso e il volto sanguinante, scoppiando poi in una risata isterica e stridula quanto il suono di una chitarra scordata.

«Di che diavolo stai parlando, io ed Hannah ci siamo lasciati più di un anno e mezzo fa», proseguì «non so più niente di lei».

«Vuoi davvero farmi credere di non esserne coinvolto?», ribatté il ragazzo.

«Ti sto dicendo la verità», ribadì Nicholas.

A quelle parole, lo sconosciuto rimase il silenzio, camminando nervosamente per il cortile.

«Ti conviene parlare con Hannah», farfugliò poi «ti sta nascondendo molte cose» e così dicendo si allontanò frettolosamente dal cortile, lasciando i due ragazzi privi di fiato.

Quella notte nessuno dei due riuscì a chiudere occhio: Nicholas si rivoltò nel letto come un forsennato, ripensando alle assurdità fuoriuscite dalla bocca di quel pazzo. Non poteva credere che Hannah gli avesse tenuto nascosta una cosa simile: d'altra parte, era molto difficile che quel ragazzo lo avesse puntato per sbaglio, fra tutte le persone presenti in quella facoltà. Incapace di respirare, guizzò così fuori dalle coperte, dirigendosi verso il bagno alla ricerca di acqua fresca: se soltanto avesse potuto, avrebbe consumato un intero pacco di sigarette o molto probabilmente - in compagnia di Michael e in nome dei vecchi tempi - sarebbe passato a qualcosa di molto più forte. Il Nicholas del presente, tuttavia, stava cercando con tutte le sue forze di cambiare, di essere un uomo migliore: l'acqua ghiacciata e calcarea del rubinetto, dunque, era l'unico elemento al quale poteva appigliarsi in quella notte concitata. Adele, dal suo canto, stava cercando di calmare i suoi nervi a fior di pelle con una bollente tisana notturna: la sua compagna di stanza Megan era crollata in un sonno profondo e non era stata minimamente sfiorata neppure dal fischio del bollitore. Così, mentre scrutava con sguardo perso le luci provenienti dagli altri appartamenti, Adele si lasciò cullare dal calore della sua tazza, cercando nel suo contenuto delle risposte inesistenti.

L'indomani mattina Nicholas tentò più volte di contattare Hannah, invano: il numero memorizzato sul suo cellulare risultava inesistente e di quel ragazzo incontrato la sera prima nessuno sembrava possedere alcuna informazione.

«Calmati, Nic, troveremo una soluzione», si affrettò a replicare Adele, mangiucchiandosi nervosamente le dita della mano destra.

Entrambi, quella mattina, avevano deciso di saltare le lezioni: chiaramente, c'era un problema più grande da risolvere.

«Come?», gridò Nicholas, sprofondando poi sul suo letto «non ho la minima idea di come rintracciarla, non la sento da anni».

Adele rimase in silenzio, osservando distrattamente la carta da parati sul muro posto vicino alla finestra. Poi, improvvisamente, la sua mente venne attraversata da un lampo di genio.

«Ma certo, Abigail!», squillò, alzandosi di scatto dalla sedia della scrivania.

«Chi?», ripeté il ragazzo, confuso.

«Abigail, la mia amica del corso di scrittura», precisò Adele «abbiamo frequentato lo stesso college a Londra».

«E cosa c'entra con Hannah?», chiese, scompigliandosi i capelli con le mani.

«Le loro madri sono cugine di secondo grado o qualcosa del genere», replicò la ragazza, digitando in maniera concitata sulla tastiera del cellulare «di certo saprà darci le informazioni di cui abbiamo bisogno».

Nicholas annuii, improvvisamente sollevato. Poi, senza proferire parola, prese ad osservare i lineamenti del suo volto, estasiato. Nel corso degli anni, Adele era diventata ancora più bella di quanto riuscisse a ricordare: i suoi occhi erano diventati ancora più scuri e profondi, mentre i suoi zigomi perfettamente disegnati spiccavano per la loro eterea delicatezza. Non c'era neanche un singolo aspetto del suo essere che Nicholas non conoscesse a memoria: anche a distanza di chilometri sarebbe stato in grado di descriverla in tutte le sue infinite espressioni. Non poteva dunque credere che il destino stesse giocando loro l'ennesimo contropiede: quel rapporto era come una giostra impazzita dalla quale era impossibile scendere, mentre entrambi avrebbero pagato oro per poter toccare il terreno, anche solo per qualche istante.

«Bingo», gridò Adele, battendo le mani «è tornata a vivere dai suoi genitori a Nottingham».

Il ragazzo rimase in silenzio, prendendosi la testa tra le mani. Adele, sospirando, accorse rapidamente al suo fianco, accarezzandogli i capelli.

«Vengo con te, se può esserti d'aiuto», mormorò.

«No, non ho intenzione di coinvolgerti nel mio ennesimo pasticcio», biascicò Nicholas «devo trovare il coraggio di andare da solo».

Adele annuii, terrorizzata dall'idea che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta nella quale trascorrevano del tempo da soli. Le probabilità che quello sconosciuto stesse dicendo la verità avevano il loro peso e non potevano essere escluse a priori. Al tempo stesso, tuttavia, il solo pensiero che Nicholas potesse diventare padre le chiudeva lo stomaco in una morsa così forte da toglierle l'aria.

«Qualsiasi cosa succeda, lo sai», sussurrò, cercando di prendere fiato «puoi sempre contare su di me».

Nicholas annuii, alzando la testa ed incontrando i suoi occhi velati di lacrime. 

«Vorrei tornare indietro nel tempo», sibilò poi, di getto «e recuperare tutto il tempo che abbiamo perso».

A quelle parole la ragazza distolse lo sguardo, incrociando le braccia al petto.

«Questa è la vita, Nic», replicò Adele «non si può controllare».

«Avrei potuto prendere delle decisioni diverse», si affrettò a rispondere.

«Nicholas...», mormorò nuovamente la ragazza, scuotendo la testa. 

«Se avessi compreso i miei sentimenti per tempo, se fossi stato più chiaro, for-», tentò di continuare. 

«Cosa?», squillò Adele, paonazza «cosa sarebbe cambiato?». 

Nicholas, dal suo canto, rimase immobile per qualche istante, per poi raccogliere le labbra di Adele in un bacio tanto dolce quanto straziante. A quel contatto, il cuore di entrambi prese a battere all'impazzata, unendosi in una danza di suoni, colori e sapori. Tutto attorno a loro si spense ed esattamente come all'interno di un cortometraggio, un raggio di sole illuminò i loro corpi, facendo riflettere le loro ombre sul pavimento usurato di quella minuscola stanza universitaria. 

«Questo», sussurrò il ragazzo, tentando di riprendere fiato «avremmo potuto avere questo».

Adele rimase immobile sul letto del suo amico, incapace di muoversi: poi, dopo alcuni istanti di totale incoscienza, corse fuori da quella stanza, precipitandosi nella sua un attimo prima di scoppiare in un pianto disperato. La vita poteva essere estremamente crudele, a volte. 

Il giorno successivo Nicholas arrivò a Nottingham con il primo treno disponibile e dopo aver sistemato le valigie da suo padre, si recò con il cuore in gola presso l'abitazione dei genitori di Hannah, una deliziosa casetta di mattoni rossi non molto distante dalla sua. Mentre percorreva lentamente il vialetto che conduceva all'ingresso, le sue gambe iniziarono a vacillare, facendolo inciampare tra il ciottolato. Imprecando, atterrò con entrambe le mani sull'erba, sporcandosi i jeans inamidati: sfortunatamente, il rumore della sua caduta attirò l'attenzione del signor Rogers, il quale accorse alla porta con fare accigliato.

«Nicholas?», squillò, allargando le braccia «va tutto bene?».

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, tentando di ricomporsi: non era esattamente così che aveva immaginato quel momento.

«Sì signor Rogers, mi scusi», balbettò, scrollandosi i sassolini di dosso.

«Posso aiutarti?», continuò poi, palesemente confuso.

«Stavo cercando Hannah», replicò Nicholas con voce spezzata «so che è tornata a vivere da voi».

A quella richiesta il signor Rogers distolse lo sguardo, incerto sul da farsi.

«Hannah al momento non è in casa», esclamò, assumendo un'espressione severa, la quale non fece altro che insospettirlo ancora di più.

«Posso aspettare» ribadì il ragazzo, risoluto.

«Non credo sia una buona idea», proseguì l'anziano signore.

«Papà, ci penso io», tuonò Hannah, fuoriuscendo dalla porta d'ingresso.

Senza replicare ulteriormente, l'uomo rientrò in casa, lasciandoli soli su quel giardino che li aveva visti più volte protagonisti delle loro effusioni. Incrociando le braccia al petto, la ragazza prese poi ad osservarlo con fare interrogativo, attendendo un suo segnale.

«É inutile che mi guardi così», esclamò Nicholas «sai benissimo perché sono qui».

«Sinceramente non so a cosa ti riferisci», replicò spiccatamente Hannah «sono anni che non ci vediamo, né sentiamo».

«É venuto un ragazzo ieri in facoltà», tuonò «un ragazzo che non solo mi ha sferrato un bel pugno in faccia, ma mi ha anche detto che sono il padre di tuo figlio».

Hannah rimase in silenzio, trattenendo a stento il tremolio delle mani. Poi, senza dire nulla, si appoggiò alla panchina poco distante, continuando a mantenere le braccia incrociate. Nicholas la osservò per qualche istante, notando quanto fosse cambiata in tutti quegli anni: i suoi suoi soliti capelli lunghi e biondi si presentavano ora in un caschetto corto e le sue forme un tempo particolarmente definite apparivano in quel momento più piene, nascoste da una larga tuta di cotone.

«Voglio soltanto sapere se c'entro qualcosa in tutto questo oppure no», sibilò Nicholas, avvicinandosi lentamente alla sua figura.

«Credi di averne il diritto?», replicò in maniera sprezzante «mi hai lasciata senza darmi una spiegazione».

«Questo non è vero, lo sai», continuò il ragazzo «non facevamo altro che litigare, era diventato un inferno».

«Ma io ti amavo, Nicholas», gridò «e avrei fatto di tutto per continuare a stare con te».

«Hannah, ti prego», sospirò, trascinandosi una mano sul volto.

«Il giorno che mi hai lasciato ho scoperto di essere incinta», proseguì imperterrita «ho cercato di contattarti, ma non hai mai risposto alle mie chiamate».

A quelle parole la testa di Nicholas prese a girare come una giostra, impedendogli di ragionare lucidamente.

«E quando finalmente mi sono decisa a parlarti, ti ho visto», squillò «eri con Adele da Becky's, mano nella mano».

Il ragazzo si sforzò di ricordare, ritornando con la mente a quel momento: Adele era appena rientrata da Londra per le vacanze natalizie e Nicholas aveva deciso di andarla a prendere alla stazione, regalandole un mazzo di fiori bianchi.

«Sapevo che io e nostro figlio non avremmo mai potuto competere con lei», sibilò ancora «e non potevo permettere che anche lui provasse le stesse cose che ha provato sua madre per tutta la sua maledetta adolescenza».

Nicholas si appoggiò al muro poco distante, tentando di prendere fiato, invano.

«Mi stai dicendo che i-», balbettò.

«Sì, Nicholas», squillò Hannah, esausta «hai un figlio».









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Spazio autrice 💌

Non so se dopo questo capitolo avrò ancora qualche lettore/lettrice disposta a seguire la mia storia 🤣

Mi rendo conto che è decisamente un plot-twist, ma credetemi se vi dico che questa è soltanto una piccola parte di ciò che accadrà in seguito! Quindi sconvolte o meno, abbiate pietà e soprattutto fiducia in me! So quello che faccio 😂

Fatemi pure sapere nei commenti quanto vi ho turbato da 1 a 10.000 e noi ci rivediamo mercoledì prossimo, sempre su questi schermi!

Laura 💜

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