Introduzione e Prologo
...Molto, molto tempo fa, in un'era dimenticata, in un luogo sconosciuto, oltre i confini del tempo e dello spazio...
Introduzione
Dopo la caduta dell'Impero di Shyte ad opera di Rakau, Signora dei Draghi Neri, i pochi superstiti sfuggiti alla furia distruttrice del Potere Oscuro si rifugiarono in luoghi impervi e nascosti, come oasi nel deserto, isole nell'oceano, altipiani inaccessibili e profonde valli nelle montagne.
Una di queste contrade era la Foresta del Vespro, così chiamata dai suoi abitanti a causa del fitto fogliame che lasciava filtrare solo a stento la luce del sole. Essa era circondata da una fascia di arido deserto, le Maleterre, che nessuno osava attraversare, né da parte del Popolo della Foresta, che ne ignorava l'estensione, né da parte delle scarse popolazioni confinanti, che del resto avevano ben altre preoccupazioni nella loro vita errante. Questo insieme di congiunture fece sì che nessuno sospettasse mai, durante il cosiddetto Millennio di Tirannide, che lì era stato fondato il Regno del Vespro, il quale poté così prosperare in pace.
Qui, l'attività più tradizionale era la caccia, ma nelle tante radure, a parte quella della capitale Tamya che era l'unica ad ospitare interamente una città, si era sviluppata un'agricoltura abbastanza ricca, sia per la fertilità del suolo, sia per la mitezza del clima. Gli alberi stessi fornivano di che vivere con molti frutti selvatici, ghiande e noci, in parte anche coltivati. L'artigianato era multiforme ed assai attivo, ed il commercio, pur rimanendo limitato entro i confini della Foresta, era vivace ed offriva una scelta piuttosto ampia di prodotti. Comunque, l'attività più redditizia era quella del falegname, mentre la più prestigiosa era quella del boscaiolo.
La forma di governo era una diarchia ereditaria: difatti, la corona spettava al primogenito della Coppia Regnante, maschio o femmina che fosse, e l'erede doveva essere sposato prima di salire al trono, per dividere così il potere con il o la consorte. Fama della Famiglia Reale era la longevità e la saggezza, ed era accaduto assai raramente che un membro di tale famiglia morisse giovane (eccetto che per un incidente) o governasse stoltamente.
L'usanza di non far differenze tra uomini e donne era diffusa anche tra il popolo. Tutti i compiti venivano svolti sia dagli uni che dalle altre, senza alcuna diversità di trattamento o di preferenza: semplicemente, chi si sentiva portato per un determinato lavoro lo faceva, e non c'era nessuna meraviglia nel vedere donne in uniforme da soldato o uomini che si occupavano della casa.
Le dimore erano scavate all'interno dei possenti tronchi degli alberi, con qualche struttura esterna. Le piante così trattate non morivano, ma smettevano di crescere e c'erano perciò case assai antiche i cui alberi-ospiti non erano cambiati che pochissimo durante i secoli, per quanti che fossero.
Nessuno ricordava più il tempo in cui la popolazione si era stabilita nella Foresta del Vespro e solo alcune vaghe leggende narravano di un'immane battaglia combattuta tra la Luce e l'Oscurità cui era seguita una fuga disperata, ma nessuno vi dava ormai molto credito. Persino nella Famiglia Reale, che più di tutti conservava le memorie del passato, molti dubitavano della veridicità delle leggende, dimenticando che, anche nelle favole più fantasiose, c'è sempre un fondo di realtà...
Prologo
Arcolen, Imperatore di Shyte, si deterse il sudore dall'ampia fronte. I lunghi capelli neri gli spiovvero sulle spalle in ciocche disordinate mentre si liberava dell'elmo e della corazza, aiutato dal suo fido scudiero Zarcon. "Dov'è l'Imperatrice?" chiese Arcolen in tono stanco e preoccupato.
Un arazzo dell'ampia tenda che ospitava i regnanti si scostò ed apparve una bellissima donna dai lunghi capelli biondi, abbigliata in foggia maschile. "Sono qui, marito mio", gli disse, avvicinandosi con sollecitudine.
"Kyala, dolce compagna..." mormorò l'Imperatore.
Kyala fece un cenno a Zarcon, che si inchinò e lasciò la tenda. "Com'è andata oggi la battaglia?" chiese la donna, aiutando Arcolen a togliersi gli indumenti pregni di polvere e sudore. In realtà era una domanda superflua, dato che l'Imperatrice seguiva gli scontri degli eserciti personalmente ed era costantemente informata sugli sviluppi dai tre aiutanti di campo specificatamente addetti a quel compito, ma lei voleva sentirlo dalla bocca del marito.
"Non peggio degli altri giorni", rispose Arcolen, immergendosi nell'acqua calda della vasca di rame. "Non abbiamo recuperato terreno, ma nemmeno siamo arretrati. Quei maledetti Draghi Neri, però, e i caduti..."
Il tono amaro della frase lasciata in sospeso fu eloquente e Kyala si sentì stringere il cuore. In silenzio aiutò il marito ad insaponarsi ed a sciacquarsi, poi gli porse un grande telo di lino bianco ricamato in oro perché si asciugasse. Quello sarebbe stato compito dei paggi dell'Imperatore, ma Kyala li aveva dispensati fin dall'inizio della campagna di guerra. Era un modo per stare vicina al marito, per condividere i momenti di sconforto e stanchezza come avevano condiviso quelli di gloria e felicità dal giorno in cui si erano sposati, quando tutto lo Shyte era in festa e la capitale, Dorea la Grande, era coperta di fiori.
"Oggi tuo figlio ha ucciso il suo primo nemico", annunciò con malcelato orgoglio materno, tentando di distogliere Arcolen da pensieri troppo tetri.
"Davvero?" fece l'Imperatore, compiaciuto, mentre si distendeva prono su un divano. "Allora mi ha battuto, io avevo due anni più di lui quand'è toccata a me."
A quattordici anni, Rossar, unico figlio di Arcolen e Kyala ed erede al trono, dimostrava già una spiccata attitudine alle attività guerresche, ciò che lo portava a decidere rapidamente e nella direzione giusta non solo nel maneggiare la spada, ma in tutto ciò che riguardava la sua vita. Questo, unito ad un'insolita maturità di carattere, avrebbe fatto di lui, un giorno, un Imperatore forte e saggio, degno erede della Stirpe Eccelsa.
Kyala cominciò a massaggiare la schiena dolorante del marito con un olio curativo e profumato, sciogliendo i nodi che la tensione e la fatica avevano prodotto nei muscoli.
Non ancora sessantenne, Arcolen era entrato da poco, secondo i parametri dello Shyte, nel colmo della virilità, ed il suo corpo atletico e scattante ne era la prova più evidente. "Se non avessi te..." mormorò, rivolto alla moglie. "Sei quanto di più bello potessi desiderare dalla vita."
Kyala si sentì inumidire le ciglia. Erano sposati da quasi vent'anni, ma ogni dichiarazione del marito la commuoveva come la prima. "Anche tu lo sei, per me", disse sottovoce.
Arcolen si girò a mezzo, le prese un polso e la fece sedere sull'orlo del divano. Kyala notò che i suoi occhi neri, contornati dal sottile reticolo delle rughe d'espressione, erano incupiti dalla preoccupazione. "Kyala, domani al tramonto ci sarà la disfida tra me e Rakau."
L'Imperatrice impallidì mentre il suo sguardo azzurro si riempiva di sgomento.
"Oh, Arcolen...!" esclamò con voce soffocata. Respinse il marito che voleva attirarla a sé e si alzò in piedi, in preda all'angoscia. "Perché hai accettato?!" quasi gridò, e accorgendosene si sforzò di controllarsi. "Non puoi fidarti di... di quell'essere!"
"Infatti non mi fido", disse Arcolen, calmo, alzandosi a sedere e guardando attentamente la moglie. "Purtroppo, però, non ho scelta. Le perdite che abbiamo subito mi impongono di accettare il duello con Rakau. I suoi Draghi Neri sono troppo potenti per ciò che è rimasto del nostro esercito", trasse un profondo, misurato respiro. "È venuta l'ora in cui la Corona e le Pietre devono combattere tra loro."
Kyala tornò a sedersi accanto al marito e lo abbracciò, la bionda chioma sparsa sulla spalla di lui. Era una donna forte, discendente di una stirpe di guerrieri, e perciò non si sarebbe lasciata sopraffare dallo sgomento. S'impose la calma e parlò con voce ferma. "Sì, così dev'essere. Luce e Oscurità devono affrontarsi nello scontro finale."
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Il sole era basso sull'orizzonte e mandava caldi raggi obliqui sulla pianura erbosa che si stendeva davanti all'accampamento imperiale. Sembrava una qualunque bella serata di primavera inoltrata, ma non lo era. Quella sera, le potenze della Corona di Luce e della Quattro Pietre del Potere Oscuro si sarebbero scontrate. La vittoria dell'una dipendeva dall'annientamento dell'altra. Le sorti del vasto Impero di Shyte erano legato all'esito del duello.
Da una parte era Arcolen, detto il Saggio e anche il Coraggioso, Imperatore di Shyte, Portatore della Corona di Luce. Le gemme bianche che ornavano la sua fronte erano sede di un potere sconosciuto, proveniente dai primordi del mondo ed imprigionato da uno degli antenati della Famiglia Imperiale, uomo geniale di cui s'era perduta la memoria del nome e che perciò era chiamato semplicemente l'Avo Fondatore. Egli aveva forgiato la Corona come un cerchietto d'oro purissimo che si univa sulla fronte in due riccioli ascendenti e divergenti, dai quali pendevano due gioie, dette le Gemme Gemelle.
Dall'altra parte era Rakau, Signora dei Draghi Neri, Detentrice delle Quattro Pietre del Potere Oscuro che, fissate ad un collare di pelle, le cingevano il collo, nere come giaietto. Anch'esse contenevano un potere antichissimo, trovato e risvegliato a nuova vita da Rakau, che se n'era impadronita e l'aveva domato, assoggettandolo alla sua volontà. Ella era l'esatto negativo di Arcolen, sia per aspetto fisico sia per personalità: l'Imperatore di Shyte aveva capelli corvini, ardenti occhi neri e carnagione scura, mentre la Signora dei Draghi era bionda come l'oro, aveva occhi chiarissimi e una pelle candida; laddove l'uno era generoso, compassionevole, disinteressato, ardimentoso, cortese, modesto, l'altra era egoista, crudele, calcolatrice, gelida, sfrontata e arrogante.
In ogni senso, dunque, quel giorno avrebbe visto lo scontro finale tra la Luce e l'Oscurità.
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Zarcon, lo scudiero dell'Imperatore, si fece schermo agli occhi con la mano e sbirciò il cielo, in cui non navigava alcuna nuvola. "Mio signore, il sole tocca l'orizzonte", annunciò. Nessun alito di vento mitigava i caldo e il mare d'erba della pianura era immobile. Tutto pareva attesa.
Arcolen, in groppa al suo cavallo, si volse verso la moglie, che pochi minuti prima gli aveva posto la Corona sul capo, ed allungò una mano.
Kyala l'afferrò con entrambe le sue e se la portò al viso, pallido e teso. "Che gli dei ti proteggano, marito mio", mormorò. L'Imperatore le accarezzò la gota, che raramente aveva visto traccia di lacrime, e guardò lontano sulla pianura, nel punto deve s'intravedeva il Cerchio di Pietre, che sarebbe stato teatro dello scontro.
"Tornerò vincitore, o non tornerò affatto", disse con fermezza. Fissò lontano ancora per qualche attimo, poi si voltò verso il figlio. "Rossar, se la sorte mi sarà avversa, dovrai proteggere e difendere tu l'Imperatrice. Te l'affido, figliolo."
Anche se era una donna forte, Kyala non era una guerriera e, in caso di pericolo, necessitava di un difensore. Rossar era soltanto un ragazzo, ma era stato addestrato fin dalla più tenera età ed aveva già dimostrato il proprio valore in battaglia. Inoltre, se le cose si fossero volte al peggio, Arcolen non voleva che il figlio si gettasse contro Rakau per vendicarlo – a quel punto, sarebbe stato come suicidarsi – bensì che si mettesse in salvo assieme a Kyala. Sapere di essere responsabile dell'incolumità della madre lo avrebbe distolto da vani propositi di vendetta, e Arcolen avrebbe affrontato il duello con mente più serena.
Il ragazzo chinò il capo biondo e l'Imperatore vi posò la mano in un gesto benedicente. "Zarcon, lo scudo", ordinò poi, dominando l'emozione. Il giovane palafreniere gli porse lo scudo, formato da un'unica piastra rotonda d'acciaio ricoperto di smalto blu, con lo stemma della Famiglia Imperiale che riproduceva in oro la Corona di Luce. Lo stesso emblema appariva sullo stendardo che un vessillifero avrebbe portato seguendo l'Imperatore.
Arcolen toccò i fianchi del suo destriero, che si chiamava Freccia d'Argento a causa della sua velocità e del manto grigio-argento, e si avviò. Ad una certa distanza lo seguirono la portabandiera, Mindal, e lo scudiero Zarcon.
Kyala rimase immobile su Saetta d'Oro, gemello di Freccia d'Argento, ad osservare il marito e la sua esigua scorta che si allontanavano nel verde della pianura. "Che Nirvor la Custode sia con te, amore mio", mormorò a fior di labbra.
Rossar, che teneva le briglie di Saetta d'Oro ed era in piedi accanto alla staffa, l'udì ed alzò su di lei gli occhi azzurri, grandi e limpidi. "Sono certo che sarà così, madre", affermò con convinzione.
Kyala gli accarezzò i capelli dorati, uguali ai propri. Deve, deve essere così, pensò, accorata, ma non lo disse ad alta voce.
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Arcolen, Mindal e Zarcon caracollavano nella pianura, diretti al Cerchio di Pietre. S'era finalmente levata una fresca brezza che, unita al movimento della cavalcata, distendeva lo stendardo con l'emblema imperiale in tutta la sua grandezza. Mindal, una guerriera veterana dai lunghi capelli bruni striati di grigio raccolti in una treccia, apparteneva a una casata di nobile ed antica schiatta; era orgogliosa di essere stata scelta dall'Imperatore come sua accompagnatrice in quel supremo momento, anche se si sentiva alquanto urtata dalla presenza di Zarcon, scudiero di umili origini che non aveva una sola goccia di sangue nobile nelle vene.
Dal canto suo, il giovane Zarcon sapeva che l'Imperatore lo aveva voluto con sé in quel frangente perché cosciente di poter contare sulla sua assoluta fedeltà e dedizione. Infatti, egli era sinceramente affezionato ad Arcolen il quale, saputo che sua madre, una delle sarte che lavoravano a palazzo, era rimasta vedova, l'aveva presa sotto la propria protezione, assegnandola al seguito dell'Imperatrice, e poi aveva accolto il piccolo Zarcon nel proprio seguito, dapprima come paggio, poi come scudiero.
I pensieri di Arcolen erano tetri. Egli era conscio che stava andando incontro al proprio destino, dal quale dipendeva la salvezza o la rovina dello Shyte intero. Non temeva la morta di per sé: era la sorte della sua famiglia e dei popoli che componevano il suo impero che, in caso di sua sconfitta, lo riempiva di sgomento. Cosa sarebbe stato di sua moglie, l'incantevole Kyala, se lui avesse perduto? Probabilmente Rakau l'avrebbe resa sua schiava e l'avrebbe costretta nel proprio letto, giacché l'aveva concupita fin da quando non era che l'aiutante del Mago di Corte. E Kyala si sarebbe fatta uccidere, o si sarebbe uccisa lei stessa, piuttosto di finire nelle mani di Rakau. Rossar invece... Arcolen si sentì chiudere la gola per l'angoscia: suo figlio sarebbe stato trucidato, così come Zarcon, e Mindal, e tutti i suoi sudditi più fedeli. Rakau avrebbe perpetrato un massacro finché tutto lo Shyte non si fosse completamente ed incondizionatamente sottomesso...
L'Imperatore si scrollò di dosso a forza quei pensieri bui: no, per Nirvor la Custode, egli avrebbe sconfitto Rakau, a tutti i costi! Egli era Arcolen il Coraggioso, Arcolen il Saggio, Imperatore di Shyte, Portatore della Corona, e quell'ignobile creatura che si faceva chiamare Signora dei Draghi Neri sarebbe stata spezzata dalla sua forza, la forza della Luce!
Tuttavia, Arcolen aveva dato a Zarcon precise e segrete istruzioni: se qualcosa, durante il duello, avesse chiaramente denunciato la sua disfatta, lo scudiero doveva prendere Freccia d'Argento e correre via in groppa al destriero come in preda al terrore o alla pazzia, raggiungere Kyala e Rossar e tentare di trovar scampo nella fuga. Zarcon aveva protestato, voleva rimanere vicino al suo signore fino alla fine, quale che fosse, ma l'Imperatore, pur commosso dalle sue attestazioni d'affetto e lealtà, era stato irremovibile. Infine, il giovane aveva ceduto, giurando solennemente di fare quanto gli era stato ordinato.
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Dall'altra parte della pianura, un terzetto assai simile, eppure profondamente diverso, si muoveva in direzione del Cerchio di Pietre, fendendo l'erba alta e verde su grandi cavalli da guerra.
Rakau, Signora dei Draghi Neri e Detentrice delle Quattro Pietre del Potere Oscuro, era alla testa, in groppa ad uno stallone nero dal poco promettente nome di Inferno. La donna, di una decina d'anni più giovane del suo avversario, portava al collo le Quattro Pietre, da cui il sole traeva inquietanti bagliori di tenebra; anche lei imbracciava uno scudo, rettangolare e color del sangue, con dipinto in nero il collare delle Pietre. Lo stesso simbolo e gli stessi colori apparivano sul vessillo spiegato dal portabandiera, un gigante dai capelli di fiamma e gli occhi di ghiaccio di nome Molub, che trottava dietro alla sua padrona.
Dall'altra parte, sulla sinistra, cavalcava Sarma, il palafreniere strabico e malefico di Rakau, ingannevolmente piccolo e gobbo sul suo ronzino giallognolo.
Da tutti e tre emanava come un'aura di malvagità e crudeltà che pareva offuscare al suo passaggio perfino il sole. Pensieri di morte e distruzione strisciavano nelle loro menti inique, dando loro un piacere perverso.
Rakau si lisciò distrattamente la lunga treccia che le pendeva su una spalla, in cui aveva raccolto la chioma biondo oro che incorniciava il suo volto bellissimo, riflettendo sulla situazione e ripassando mentalmente tutto il piano che aveva ideato, le parole che avrebbe pronunciato, i gesti che avrebbe compiuto. L'Oscurità stava per trionfare sulla Luce, pensò con soddisfazione maligna. La Corona avrebbe ceduto al potere delle Pietre. Lo Shyte sarebbe stato suo, e così Kyala la Bella.
"Vi ricordate tutto?" domandò senza girarsi, rivolta a Molub e a Sarma.
"Sì, padrona" ripose subito il palafreniere, untuosamente.
Molub, il vessillifero, gli lanciò un'occhiata di gelido disprezzo. "Sì, signora", disse con rispetto.
Rakau sogghignò: la diversità dei suoi due accompagnatori era precisamente la ragione per cui li aveva portati: si odiavano ed erano continuamente in gara per i favori della loro padrona, così erano costretti a lavorare sempre al meglio. Rakau però sapeva che non poteva fidarsi di nessuno dei due giacché, se le cose si fossero messe male per lei, non avrebbero esitato un momento a cambiar bandiera per servire il vincitore con altrettanto zelo.
Le cose, però, non si sarebbero messe male: la Signora dei Draghi Neri aveva un asso nella manica di nome Xos.
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L'Imperatore Arcolen ed i suoi due compagni furono i primi ad arrivare al Cerchio di Pietre. Esso era un antico luogo di culto semi-dimenticato, situato quasi esattamente al centro della pianura, leggermente spostato verso sud-est; la sua edificazione si perdeva nella notte dei tempi ed era avvolta da miti e leggende. Gli imponenti pilastri di granito e gli architravi quasi perfettamente rettangolari attorniavano un cerchio di pietre piatte e, più all'interno ancora, cinque triliti disposti a ferro di cavallo. Il complesso sembrava opera di esseri tanto titanici quanto barbari, e vi aleggiava un'atmosfera di mistero ancestrale. Lì, il tempo pareva essersi fermato all'alba del mondo; si aveva l'impressione di respirare l'Eternità.
I Tre della Luce, come le leggende li avrebbero chiamati nei secoli a venire, aspettarono l'arrivo dei loro nemici, seduti immobili sui loro cavalli. Solo lo stendardo si muoveva, agitato a tratti da una folata di vento.
L'attesa non fu lunga: pochi minuti dopo, attraverso uno dei primitivi portali, i Tre dell'Oscurità fecero il loro ingresso nel Cerchio di Pietre. Gli occhi del nero stallone Inferno fiammeggiavano, colmi di aliena e perfida intelligenza, fissandosi malevoli sui destrieri degli avversari. I cavalli di Mindal e Zarcon tremarono, presi da timore; solo Freccia d'Argento rimase immobile, sfidando con sguardo calmo e saggio il rosseggiare delle pupille di Inferno.
Zarcon, nonostante tutte le sue certezze di coraggio e fedeltà all'Imperatore, stentò a dominare il terrore che gli ispiravano quei tre tenebrosi personaggi, apportatori di malefizi e crudeltà, e riuscì ad ignorare l'istinto che gli imponeva la fuga solo grazie all'affetto che nutriva per il suo signore.
Anche Mindal dovette ricorrere a tutto il suo sangue freddo di guerriera veterana per non voltare il cavallo e lanciarlo a briglia sciolta verso la sicurezza dell'esercito imperiale. Sicurezza molto relativa, ricordò con amara mestizia.
Il volto forte e virile di Arcolen rimase assolutamente impassibile, come scolpito nella roccia. Il ferreo autocontrollo cui si obbligava in simili circostanze gli permetteva di escludere dalla mente ogni pensiero o sentimento che non riguardasse direttamente il suo scopo. Adesso, questo scopo era la vittoria, e null'altro contava se non il raggiungimento di tale fine. I dubbi che avevano tormentato l'uomo erano stati scacciati dalla granitica volontà dell'Imperatore, consapevole dei suoi doveri nei confronti dei tanti popoli del suo impero.
Toccò con i talloni i fianchi di Freccia d'Argento, che si mosse ed oltrepassò il cerchio interno, il cui diametro era circa la metà di quello esterno. L'attimo dopo, Rakau lo imitò, in sella ad Inferno. I rispettivi vessilliferi e palafrenieri rimasero a fissarsi con aperto malanimo attraverso le colonne di pietra, nello spazio tra i due cerchi.
Giunti a pochi metri l'uno dall'altro, Freccia d'Argento e Inferno si fermarono senza che i loro cavalieri avessero tirato le redini. Le fiamme delle pupille dello stallone nero si estinguevano nel gelo dello sguardo dello stallone grigio-argento. I cavalieri in sella si studiarono con fredda ostilità.
Fu Rakau a rompere infine quel silenzio carico di sordo livore. "E così, finalmente ci incontriamo di nuovo, Arcolen", disse, beffarda. L'aver chiamato per nome, trattando da pari a pari colui che era stato il suo signore e padrone quando era soltanto l'assistente del Mago di Corte la riempì di soddisfazione.
Arcolen non fece una piega. "A quanto pare, è così" disse, glaciale, ristabilendo all'istante le distanze.
Rimessa bruscamente al suo posto, Rakau strinse gli occhi grigioverdi fino a ridurli a due fessure baluginanti d'odio: nessuno poteva più permettersi di trattarla così, tantomeno Arcolen! "Bene!" ringhiò con astio. "Allora diamo inizio al duello!"
Prima ancora che la frase fosse finita, un raggio di tenebra eruppe da ciascuna delle Quattro Pietre e si unì agli altri una ventina di centimetri più in là, formando un unico raggio di oscurità che colpì Arcolen in pieno petto e lo fece vacillare. Freccia d'Argento, proteggendo istintivamente il suo cavaliere, arretrò di alcuni passi, ma l'Imperatore non era stato colto completamente di sorpresa: l'istante dopo, un fascio di luce bianca scaturì da ciascuna delle Gemme Gemelle della Corona. I raggi centrarono Rakau, proiettandola all'indietro e facendola quasi cadere a terra. Anche Inferno indietreggiò di qualche passo.
La Signora dei Draghi Neri si riprese però subito e ripeté l'attacco, ma il fascio di tenebra incontrò lo scudo formato dal fulgido fuoco bianco originato dalle Gemme. Le due energie contrapposte sfrigolarono e mandarono scintille incandescenti in tutte le direzioni. Gocce di fiamma nera raggiunsero Arcolen, stille di fiamma bianca colpirono Rakau. Entrambi contendenti soppressero le grida di dolore provocate dalle bruciature e si ritrassero ulteriormente. Di nuovo, le vampe di forza oscura e luminosa si scontrarono, di nuovo le due antiche energie si annullarono a vicenda. La terza volta non andò diversamente: le potenze della Luce e dell'Oscurità si equivalevano.
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Lontano, verso est, Kyala fissava con apprensione il punto, quasi sulla linea dell'orizzonte, in cui sorgeva il Cerchio di Pietre. La sua vista, per quanto acuta, non le permetteva di scorgere i movimenti delle persone che ivi combattendo.
Rossar, al suo fianco montato su una giumenta pezzata, guardava il volto della madre, su cui scorgeva una profonda preoccupazione che ne rendeva più grave la luminosa bellezza. Sapeva che Kyala stava pregando dentro di sé e l'imitò, rivolgendo mentalmente una supplica alla Custode della Corona, Nirvor, che secondo la leggenda aveva indicato all'Avo Fondatore il modo di imprigionare il potere della Luce nelle Gemme Gemelle e poi si era assunta l'incarico di vegliare sulla Corona e sul suo uso.
Sulla Corona, non sul Portatore, pensò all'improvviso il principe. Cosa sto pregando a fare? Ma subito si pentì del suo pensiero, ritenendo irriverente: pregare, se non altro, aiutava a sopportare quell'angosciosa attesa.
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Nella luce sanguigna del sole morente, Arcolen e Rakau avevamo smesso di irradiare energia alle Gemme e dalle Pietre. Erano in un momento di stasi, lunghi minuti durante i quali i due contendenti si studiarono vicendevolmente. Sarebbe bastata una distrazione dall'una o dall'altra parte...
Rakau fece impennare Inferno: fu per Molub e Sarma il segnale di intervenire. Con un urlo rauco, i due si lanciarono al galoppo lungo il perimetro del cerchio interno, il portabandiera da una parte, lo scudiero dall'altra, verso i compagni dell'Imperatore. Sorpreso, Arcolen distolse un attimo l'attenzione da Rakau per seguire l'improvvisa mossa di Sarma e Molub; quell'attimo fu sufficiente alla Signora dei Draghi Neri per lanciare uno strale di energia oscura verso l'Imperatore di Shyte, che venne catapultato all'indietro e cadde a terra, colpito in pieno.
Intanto, la scorta di Rakau aveva raggiunto Mindal e Zarcon, impegnandoli subito in un'aspra tenzone. Sia la vessillifera che lo scudiero dell'Imperatore, però, erano degli ottimi spadaccini e più volte misero in difficoltà gli avversari. L'agilità del giovane Zarcon compensava la forza del possente Molub, mentre l'esperienza di Mindal contrastava la subdola tecnica di Sarma.
Nel cerchio interno, Arcolen si era prontamente rialzato in piedi, senza nemmeno perdere tempo a maledirsi per il suo errore: era successo, ed ora doveva rimediare.
Stringendo la spada nel pungo sinistro, poiché era mancino, l'Imperatore si preparò ad affrontare la carica di Rakau, che gli si sarebbe lanciata contro al galoppo. Tuttavia, la Signora dei Draghi Neri non lo fece: di contro, smontò da cavallo e trasse a sua volta la spada dal fodero. Inferno, non più trattenuto, si buttò addosso a Freccia d'Argento e i due stalloni cominciarono a lottare nitrendo furiosamente.
Arcolen, di fronte a Rakau, fissò brevemente l'emblema nero in campo rosso sullo scudo della sua nemica ed a sua volta mise in mostra il proprio stemma, oro su sfondo blu.
Rakau nascose un sogghigno. "Pietre e Corona sono pari, quanto a potenza", osservò in tono ameno, come se si trattasse di un conversazione da salotto. "E se ci battessimo senza di esse?"
"Sei pazza!" esclamò Arcolen, più stupito che altro. Si chiese dove l'avversaria volesse arrivare.
Rakau sollevò le sopracciglia perfettamente disegnate in un'espressione di costernata sorpresa. "Significa che rifiuti di batterti come un uomo normale? Devo dedurre che il tuo tanto decantato coraggio si basi tutto su di un fattore esterno, vale a dire la Corona...?"
"Tieniti per te i tuoi insulti", sibilò Arcolen, la mascella serrata. "Non devo rendere conto a te della misura del mio coraggio."
"A me forse no", convenne la donna, insinuante. "Ma al popolo di Shyte...?"
Punto sul vivo dal fatto che il suo valore potesse essere messo in dubbio, l'Imperatore contrasse i muscoli del volto in una smorfia di rabbia che non riuscì a controllare.
Vedendo che il suo colpo era andato a segno, Rakau sogghignò tra sé. "Se andiamo avanti così non giungeremo a nessuna conclusione", osservò in tono blando. "Domani saremo ancora qui, e dopodomani, e il giorno seguente. Non sei d'accordo?"
Il sole era sparito oltre l'orizzonte. Nel crepuscolo che avanzava inesorabile, Arcolen cominciava a faticare a distinguere i propri compagni che ancora combattevano contro i gregari di Rakau, ma udiva distintamente il clangore delle spade che cozzavano le une contro le altre o si abbattevano sugli scudi. I nitriti furibondi di Freccia d'Argento e di Inferno a tratti superavano quel rumore metallico, ricordandogli che perfino il suo fedele destriero stava lottando contro l'Oscurità.
"Che cosa proponi, allora?" domandò sospettosamente. Rakau, con grazia, inarcò ancora le sopracciglia, appena più scure dei capelli.
"Mi par di averlo già detto", rispose, in tono leggermente impaziente. "Deponiamo Pietre e Corona e combattiamo. Donna contro uomo."
La linea della bocca di Arcolen s'indurì. "Esito a definire donna una come te."
"Tieniti per te i tuoi insulti", ritorse Rakau, senza traccia di rancore.
L'Imperatore rimase a squadrare l'avversaria, che non batté ciglio. Arcolen era incerto, non perché temesse fisicamente Rakau, ma perché non si fidava di lei in alcun modo. D'altra parte, però, era vero che, continuando a duellare con la Corona e le Pietre, non avrebbero mai raggiunto un risultato. Possibile che non ci fosse altra soluzione? Doveva rischiare? Non si trattava solo della sua vita, bensì delle sorti di tutto lo Shyte...
"Va bene. Accetto", disse con improvvisa decisione. "Ma togliti il collare molto lentamente, e io mi leverò la Corona nello stesso tempo."
"D'accordo", disse Rakau, nascondendo accuratamente la propria soddisfazione. Ripose la spada nel fodero e posò lo scudo a terra, contro le proprie gambe. Con estrema lentezza, fece scattare il fermaglio del collare di pelle e se lo tolse; le Pietre, mosse nella pallida luce della sera, brillarono cupamente.
Nello stesso momento, Arcolen, deposti scudo e spada, si levava il cerchietto d'oro che gli cingeva le tempie; le Gemme Gemelle lampeggiarono, quasi a rivaleggiare di propria iniziativa con lo splendore di giaietto delle Quattro Pietre.
Depositarono Corona e collare sull'erba, al margine del cerchio interno, l'una da una parte, l'altro dalla parte opposta. Poi i contendenti tornarono ad impugnare le spade e diedero inizio al duello.
Intanto, Zarcon si stava ancora battendo contro Molub. La lotta li aveva allontanati dagli altri due, Mindal e Sarma, che dal canto loro continuavano a duellare senza sosta.
Molub era un avversario duro, considerò Zarcon dopo un'ennesima finta a vuoto; ma contava troppo sulla sola forza. Lui, più giovane e scattante, giudicava assai importante anche l'agilità, e con essa infatti era più volte sfuggito a fendenti e stoccate mortali, mettendo il gigante seriamente in difficoltà.
Mindal invece stava avendo problemi: Sarma era uno spadaccino abile quanto infido. Priva di scudo poiché doveva reggere lo stendardo imperiale, la vessillifera poteva contare solo sulla sua spada, che maneggiava con la grande perizia dovuta all'esperienza, ma non sufficientemente bene da riuscire a penetrare la guardia di Sarma. E Mindal non era disposta a lasciar cadere nella polvere le insegne della Corona di Luce, simbolo di pace e libertà, soltanto per facilitarsi; il suo dovere era chiaro, scritto col sangue di mille e mille portabandiera che l'avevano preceduta: lo stendardo sarebbe caduto solo se fosse caduta anche lei.
Nel cerchio interno, il duello tra Arcolen e Rakau era iniziato male per la Signora dei Draghi Neri: l'Imperatore era riuscito a superare la sua guardia e le aveva lasciato sulla spalla una lunga ferita sanguinante, non molto profonda ma dolorosa. La fama di eccellente spadaccino di Arcolen era decisamente ben meritata.
In quel momento, l'Imperatore balzò all'indietro, disimpegnando la lama. Si era accorto delle difficoltà dell'avversaria e ne era segretamente sollevato, perché correva voce che la Signora dei Draghi Neri fosse micidiale, con la spada. A proprio vantaggio, Arcolen aveva il fatto di essere mancino: Rakau, come tutti, era leggermente disorientata dall'inversione delle mani del rivale, mentre lui era abituato agli avversari destrimani.
Rakau attaccò ancora, ma non riuscì a superare la difesa di Arcolen, che contrattaccò con una veloce serie di fendenti. Rakau li parò a stento con lo scudo, che sotto la violenza dei colpi s'incrinò. Rivoli di sudore scorrevano sul volto di entrambi i contendenti.
Rakau si ritrasse, incalzata da Arcolen. Un fendente, una finta, un affondo: la punta della lama dell'Imperatore passò a pochi centimetri dalla testa di Rakau, che si salvò solo grazie ad un fortuito balzo laterale. Nei suoi occhi, in cui ora prevaleva il grigio con una sfumatura d'acciaio, brillavano odio e paura in egual misura.
Arretrò di alcuni passi, allontanandosi da Arcolen, e tese il braccio sinistro in fuori, rivelando la parte interna dello scudo e scoprendosi interamente. L'Imperatore ne approfittò istantaneamente, slanciandosi in avanti, pronto a colpire. Un lampo nero si sprigionò dal polso di Rakau, saettò in direzione di Arcolen e lo raggiunse. Lo scudo blu e oro, centrato in pieno, esplose in mille pezzi e l'Imperatore venne scaraventato all'indietro. La spada, divelta dal suo pugno da una forza inaudita, roteò per aria e cadde lontano, smussando la punta aguzza contro una roccia.
In quello stesso momento, Sarma superò la guardia di Mindal con una finta e la colpì dritta al cuore, uccidendola all'istante. Il bel vessillo cadde nell'erba alta lentamente, come riluttante, mentre la nobile alfiera si piegava sulla sella e si afflosciava a terra senza un grido. Il suo cavallo, un grigio pomellato, s'impennò nitrendo selvaggiamente e colpì con lo zoccolo il fianco del ronzino di Sarma, che si voltò, spaventato da quella collera improvvisa, e fuggì di gran carriera senza che il suo subdolo cavaliere riuscisse a controllarlo e a fermarlo.
Con la coda dell'occhio, Zarcon vide lo stendardo imperiale cadere con la sua portatrice. La rabbia e il dolore lo accecarono e gli fecero abbandonare ogni precauzione: attaccò il suo gigantesco avversario con un urlo, piombandogli addosso come una furia. Molub, sbalordito da quella reazione fulminea e dalla forza inaspettata, tardò un attimo a coprirsi e questo fu la sua fine: la spada di Zarcon gli staccò di netto la testa dal collo, con un unico colpo inferto con forza decuplicata dall'ira e dalla disperazione.
Ansante, lo scudiero rimase a fissare come inebetito il tronco privo di testa di Molub che, con lentezza innaturale, si reclinava di lato e cadeva di sella, trascinando con sé la bandiera rossa e nera con le insegne delle Quattro Pietre. Poi il giovane si ricordò di colpo della lotta che si stava svolgendo nel cerchio interno e girò il cavallo per andare a vedere.
La scena che gli si parò innanzi gli parve uscire da un incubo: il suo signore, l'Imperatore di Shyte, era a terra, senza scudo né spada, sanguinante da uno squarcio nel petto; Rakau era in piedi, incombente su di lui, la spada alzata in segno di vittoria.
Arcolen, riverso sull'erba e come paralizzato, aprì faticosamente gli occhi e vide sopra di sé, ombra nera contro un cielo sempre più buio, l'avversaria trionfante. Una fitta di dolore atroce gli attraversò il corpo martoriato, strappa dogli un gemito.
Tutto era perduto. Proprio quando aveva credito di avercela fatta, aveva visto le sorti del combattimento ribaltarsi completamente. Si era fidato della Signora dei Draghi Neri, ed ora tutto lo Shyte, per i secoli a venire, avrebbe dovuto scontare il suo errore.
Poi, il Portatore della Corona di Luce ebbe una visione e parlò con la preveggenza dei moribondi. "Canta pure vittoria, Rakau", disse con voce fievole ma nettamente udibile nel silenzio che era calato all'improvviso nel Cerchio di Pietre. "Essa non sarà eterna come speri... poiché ora io ti dico: prima che si compia... il Millennio di Tirannide del Potere Oscuro, dalla mia stirpe... nascerà un erede... che ti sconfiggerà usando la Corona di Luce... con maggior saggezza di me. Ricordalo sempre, Rakau: la Luce, alla fine... trionferà... sull'Oscurità..."
La sua voce si spense ed egli reclinò il capo di lato. Rakau, che lo aveva ascoltato con un crescente senso d'orrore, con improvvisa furia rovesciò la spada e l'affondò nel petto di Arcolen, una, due, tre volte, facendo scempio di quel corpo grande e forte, sfigurando quel volto altero e nobile perfino nella morte.
Zarcon, da dietro una colonna di granito, aveva assistito alla scena colmo di un terrore senza nome, inchiodato al suo posto senza riuscire a muovere un solo muscolo. Il ricordo delle ultime istruzioni del suo signore attraversò all'improvviso la nera cappa che avvolgeva la sua mente ed egli si girò, cercando freneticamente con lo sguardo il cavallo dell'Imperatore. Lo scorse ad alcune decine di metri di distanza che ancora lottava contro Inferno. Allora Zarcon si mise due dita in bocca e fischiò, emettendo le note modulate che erano il richiamo per Freccia d'Argento.
Il grande cavallo da guerra di Arcolen udì il famigliare segnale ed obbedì all'istante, piantando in asso il suo avversario che, dal canto suo, aveva udito la voce della padrona che lo chiamava e pertanto rinunciò all'inseguimento per raggiungerla.
Zarcon aveva già lanciato la propria cavalcatura al galoppo e, quando Freccia d'Argento gli si affiancò, il giovane fece appello a tutta la sua abilità di cavallerizzo e balzò da una sella all'altra. Il destriero grigio ebbe uno scatto ed aumentò la velocità, distanziando rapidamente il cavallo di Zarcon, e si gettò di gran carriera in direzione dell'accampamento imperiale.
OOO
"Xos! Xos!!" urlò Rakau, furibonda.
Una grossa figura uscì dall'ombra tra due colonne e si avvicinò. Chiunque, vedendola, sarebbe fuggito in preda al terrore più cieco: Xos aveva pressappoco la struttura di un uomo, ma era alto e grosso almeno il doppio. Le braccia erano lunghe fin quasi a terra e ricoperte di un fitto pelo nero che si diradava man mano che si avvicinava al tronco; le mani avevano quattro dita grosse e corte fornite di artigli e le gambe erano incurvate all'esterno, pelose come le braccia. Ma era la testa la cosa più orrenda, perché non era la testa di un uomo, bensì quella di un lupo, con zanne bianche digrignate in un terribile ringhio, occhi gialli e malvagi, grandi orecchie appuntite. "Non è andata esattamente come prevedevi, mi sembra", disse il mostro, la voce rauca e ringhiante.
Rakau ebbe un gesto di stizza. "Il risultato è identico, ed è solo questo che conta", disse a denti stretti. "Ma visto che non ti sei reso utile qui, ti ordino di raggiungere l'accampamento nemico e di uccidere Rossar, il figlio di Arcolen. Non credo ad una parola di quanto ha detto prima di morire, ma non voglio rischiare: niente eredi!"
"Ti ricordo che non puoi darmi ordini!" sbottò Xos con un ringhio minaccioso. "Le Quattro Pietre non possono nulla contro di me e io mi sono unito a te di mia spontanea volontà: altrettanto posso mollarti."
Suo malgrado intimorita, Rakau fece marcia indietro. "Hai ragione, tu che sei il mio alleato più prezioso", disse, blandendolo. "Però, se non vuoi correre il rischio che un giorno o l'altro qualcuno prenda la Corona di Luce e ti spazzi via dalla faccia del mondo, sarà meglio che tu faccia come ho detto."
Xos contrasse le labbra sulle zanne in un ghigno orrendo. "Non ci sarò nessun erede, sta tranquilla."
Con un potente balzo in avanti, l'uomo-lupo ricadde su mani e piedi e prese a correre come il vento, seguendo le tracce di Freccia d'Argento.
Rimasto sola nel Cerchio di Pietre, Rakau si riallacciò il collare e si mise a cercare la Corona di Luce, dando un calcio alle false Pietre che aveva abbandonato al suolo al posto di quelle vere.
OOO
Fu una sensazione di pericolo, di un terribile pericolo, che fece voltare Zarcon sulla sella di Freccia d'Argento. Quando vide la cosa che lo inseguiva, sentì la pelle che gli si aggricciava sulla schiena e gridò un incitamento al destriero. Questi non ne aveva davvero bisogno: la terra parve volare via sotto di loro a velocità tale che non si riusciva a distinguere nulla; ma la cosa là dietro non veniva distanziata.
Quando giunse in vista dell'accampamento, Zarcon vide la confusione che vi era scoppiata al suo apparire e con spavento notò l'Imperatrice e Rossar slanciarsi al galoppo incontro a lui. "Fuggite! Fuggite!" urlò con quanto fiato aveva in gola.
Freccia d'Argento raggiunse il cavallo di Kyala; l'Imperatrice fece voltare Saetta d'Oro e prese ad inseguire lo scudiero. "Dov'è mio marito?!" gli gridò.
Zarcon, che aveva rallentato, l'udì a stento e non volle rispondere.
"Dov'è Arcolen?!" gridò ancora Kyala, in tono imperioso. Ormai i due cavalli galoppavano fianco a fianco, seguiti a distanza da Rossar sulla sua cavalla pezzata.
"Ho l'ordine di portarvi in salvo", disse Zarcon, evitando di rispondere direttamente. "Dovete venire con me, Maestà, e vostro figlio con voi."
L'Imperatrice sbiancò. "È morto, vero?" gridò con angoscia. Senza attendere risposta, fermò il suo destriero e lo fece girare bruscamente, tanto da farlo nitrire in protesta.
Zarcon percorse alcune decine di metri prima di riuscire a frenare il proprio cavallo. "Non fate pazzie, Maestà!" urlò, ma Kyala non lo udì: stava fissando, colma d'orrore, la mostruosa figura semiumana che si stava avventando su suo figlio. "Rossar, attento!!"
Troppo tardi: la giumenta del principe, lungi dall'essere veloce come Freccia d'Argento e Saetta d'Oro, era stata distanziata ed ora correva nella pianura nitrendo atterrita dalla presenza spaventosa che sentiva alle spalle, impazzita e senza controllo. Rossar, aggrappato alla criniera, stentava a mantenersi in groppa, egli stesso terrorizzato.
Impietrita, Kyala non poté muoversi per qualche secondo, il tempo necessario perché Zarcon la raggiungesse ed afferrasse le briglie di Saetta d'Oro. Al colmo dell'angoscia, vide la nera mostruosità balzare addosso a Rossar e gettarlo a terra mentre la giumenta fuggiva all'impazzata. Kyala urlò e fece per slanciarsi verso il figlio, ma Zarcon, con presenza di spirito, tirò le redini dall'altra parte e costrinse Saetta d'Oro a seguirlo.
"Lasciami!" strillò l'Imperatrice, folle di disperazione. "Mio figlio!!"
"È finita per lui!" gridò lo scudiero, con cruda verità. "Dobbiamo salvarci almeno noi!"
"No, no!!"
L'opposizione di Kyala non sortì alcun effetto. Sordo alle suppliche, conscio solo del suo dovere e con la mente riecheggiante delle ultime parole che Arcolen aveva rivolto a Rakau, Zarcon lanciò Freccia d'Argento al galoppo, costringendo l'Imperatrice a seguirlo su Saetta d'Oro. I due cavalli gemelli corsero alla velocità del fulmine, dirigendosi verso sud e scomparendo oltre l'orizzonte in una nuvola di polvere.
OOO
Quella stessa notte, gli eserciti di Rakau, spalleggiati dai terribili Draghi Neri, piombarono sulle forze dell'Impero, allo sbando dopo la morte di Arcolen, e le distrussero completamente.
Rakau poteva dirsi soddisfatta: aveva ucciso il suo peggior nemico, l'uomo che più odiava al mondo; la minaccia della sua ridicola profezia – già, perché si era sentita prendere dal panico? Non c'era ragione... - era stata debellata con l'assassinio di Rossar; e tra poco Kyala la Bella sarebbe stata sua. Unico cruccio: la sparizione della Corona. Dopo la partenza di Xos, Rakau l'aveva cerata a lungo alla luce di una torcia, portatagli dallo scudiero Sarma che finalmente era riuscito a controllare il suo ronzino impazzito. Eppure, la Corona non era ricomparsa. Sarma aveva suggerito che forse Nirvor la Custode se l'era ripresa. Comunque, la cosa non era poi così importante, né urgente, dato che solo il discendenti del leggendario Avo Fondatore potevano usare il potere contenuto nelle Gemme Gemelle, e l'ultimo erede era stato eliminato. Avrebbe cercato più tardi, con maggior calma.
Un portaordini, trafelato e senza elmo, entrò nella tenda che Rakau si era fatta erigere ai margini dei resti dell'accampamento imperiale e s'inchinò profondamente. "Suprema Signora, ho notizie dell'Imperatrice Kyala."
Gli occhi di Rakau brillarono. "Bene! Dov'è?"
"Mi... mi dispiace, Signora", balbettò il portaordini. "Non è... più qui."
La Signora dei Draghi Neri balzò in piedi e prese il povero soldato per la collottola; lo scosse con violenza, sfoggiando la sua forza, che era pari a quella di un uomo robusto.
"Come sarebbe a dire non è più qui?" sbraitò. "E dov'è, allora?!"
Il malcapitato si afflosciò ai suoi piedi, pieno di spavento. "Chiedo perdono, Signora! Un soldato nemico, prima di venire ucciso dalle torture, ha confessato d'aver visto l'Imperatrice e un certo scudiero di nome Zarcon fuggire a cavallo verso nord."
"Verso nord, hai detto? Allora presto, fai allestire una pattuglia e lanciala al loro inseguimento! Subito!!"
Il portaordini tardò a muoversi e Rakau gli sferrò un calcio. "Avanti, bastardo, datti da fare!" strillò. "L'Imperatrice deve essere qui entro domani sera o ti darò in pasto ai miei Draghi!"
Terrorizzato, il soldato strisciò fuori dalla tenda e corse a trasmettere gli ordini di Rakau a chi di dovere.
OOO
Quante volte il sole era sorto e tramontato dal giorno della morte di Arcolen? Zarcon non lo sapeva più. La sua fuga con l'Imperatrice era senza speranza, poiché se c'era davvero da credere alle parole del moribondo Arcolen, la speranza era morta con Rossar; eppure egli continuava ad andare avanti ed a trascinare Kyala con sé. Ancora senza una meta, i due vagavano a caso; Zarcon era completamente assorbito dalla costante preoccupazione dell'inseguimento e così metteva ogni cura nell'evitare di lasciar tracce del loro passaggio e nell'aggirare i villaggi che incontravano sul loro cammino. Questo comportava naturalmente anche la ricerca del cibo e dell'acqua ad ogni sosta, compito a cui Kyala non prendeva parte, anche perché mangiava pochissimo.
Dalla morte del marito e del figlio, l'Imperatrice era caduta in uno stato di apatia totale. Non parlava mai, nemmeno per rispondere alle ansiose domande del fido scudiero, ed il suo sguardo era vuoto e lontano. Pareva aver completamente perduto la voglia di vivere e, nonostante le attenzioni e le cure di Zarcon, deperiva ogni giorno di più. Nulla poteva restituirle Rossar e Arcolen, che erano la sua vita, perciò lei non poteva continuare a vivere. Presto – Zarcon lo intuiva con agghiacciante certezza – Kyala si sarebbe coricata per dormire e non si sarebbe alzata mai più.
Continuarono così per settimane. Avanti, sempre avanti, senza sosta, senza speranza. Le parole della profezia ossessionavano il giovane scudiero, parole ormai senza senso.
Una mattina, svegliandosi, Zarcon non trovò l'Imperatrice al suo fianco e si allarmò. Saltò in piedi e corse all'albero dove la sera prima aveva legato i cavalli, ma entrambi erano ancora lì. Quindi Kyala non poteva essere molto lontana.
Un suono soffocato lo indusse a precipitarsi al ruscello che scorreva poco distante. Inginocchiata sulla riva, l'Imperatrice era china sull'acqua e quando si avvicinò, Zarcon vide che era stata male.
"Maestà... che avete?" chiese sgomento, inginocchiandosi accanto a lei. Kyala alzò il viso verso il giovane, un volto pallido e smagrito ma sempre splendido, in cui gli occhi azzurri apparivano enormi. Con un sussulto, Zarcon notò che avevano riacquistato parte della loro originale brillantezza.
"Sono incinta, Zarcon", disse l'Imperatrice. Lo scudiero ci mise qualche istante a comprendere che era stata proprio lei a parlare, dopo quasi un mese di mutismo assoluto, e un momento in più per capire il significato della frase. "Aspetto un altro figlio dall'Imperatore", continuò Kyala sottovoce. "Un nuovo erede al trono, l'erede della Stirpe Eccelsa."
Zarcon rabbrividì: la profezia di Arcolen riassumeva di colpo il suo valore, le parole che lo avevano ossessionato riacquistavano il loro senso.
Un erede... in grado di sconfiggere Rakau.
Prima che si compia il Millennio di Tirannide del Potere Oscuro...
Sarebbero dovuti trascorrere dieci secoli, ma la speranza non sarebbe morta: un giorno, la Luce sarebbe tornata a splendere sullo Shyte.
Un giorno...
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