Epilogo

Epilogo

Tre giorni dopo il matrimonio e l'incoronazione, Sekor e Kejah convocarono Veldhris, Freydar e Roden in una saletta privata. Quando vi giunsero, i tre amici vi trovarono anche Oolimar e Coriv.

Kejah, deliziosa padrona di casa in una semplice tunica corta di lino bianco adatta al clima canicolare, li fece accomodare. "Prego, sedetevi: questa è una riunione assolutamente informale, una riunione di amici."

Gli ospiti presero dunque posto, e Rollie, che non abbandonava mai la sua adorata padroncina, le saltò in grembo, in educato silenzio.

"Kejah e io", cominciò Sekor, "dobbiamo molto a ciascuno di voi. Senza i vostri singoli contributi, non saremmo qui, oggi. Per sdebitarci e ricompensarvi, anche se inadeguatamente, vorremmo che accettaste qualunque cosa desideriate che sia in nostro potere accordarvi."

Gli interpellati si scambiarono occhiate sbigottite.

"Sdebitarvi, Maestà?" chiese il Kirton. "Io vi ho concesso il mio aiuto di mia spontanea volontà. Non avete alcun bisogno di sdebitarvi con me."

"E nemmeno con me", interloquì Veldhris vivacemente. "Ci mancherebbe altro!"

Anche gli altri protestarono, parlando tutti assieme.

Kejah sorridendo richiese il silenzio. "Sapevamo che avreste detto così", dichiarò. "Non potevamo aspettarci altro, da amici leali e disinteressati come voi. Pertanto, Sekor e io abbiamo pensato noi stessi a cosa offrirvi, sempre che non desideriate qualcosa di diverso. Vuoi cominciare tu, marito mio?"

Sekor annuì e guardò Re Oolimar. "Maestà, voi discendete dal fido scudiero di Arcolen, Zarcon, senza il quale la mia stirpe non esisterebbe. Questo crea tra di noi un vincolo che va oltre tutti i giuramenti tra vassallo e principe. Pertanto a voi, Popolo del Fiordo, la Coppia Imperiale offre tutti i territori a nord di Zarcon fino alle Colline Grigie, e a est fino ai confini con le Maleterre della Foresta del Vespro. Sarete un regno confederato all'impero, cui dovrete obbedienza solo per quanto concerne il governo imperiale, mentre conserverete una totale indipendenza per gli affari interni."

Oolimar fissò l'imperatore a bocca aperta. Tanto territorio da quadruplicare l'estensione del regno, gli balenò per la mente. La sua gente finalmente affrancata da angusti confini, non più scarsità di cibo a causa dell'insufficiente estensione delle coltivazioni, dovuta alla presenza dei Vampiri, scomparsi con la caduta di Rakau esattamente come i suoi Draghi Neri, la pesca, il commercio, tutto incrementato... Un avvenire di ricchezza e abbondanza si apriva davanti ai suoi occhi resi tondi dallo sbalordimento.

Si alzò, ma solo per posare un ginocchio a terra davanti alla Coppia Imperiale. "Sono senza parole per tanta generosità. Le Vostre Maestà Imperiali avranno la gratitudine e l'amore eterni nel Popolo del Fiordo, che edificherà un regno prospero e fedele per la maggior gloria dell'impero, e una flotta formidabile al servizio della Stirpe Eccelsa. Questo è l'impegno che mi assumo io Oolimar della Casa di Zarcon."

Il re tornò al suo posto, ancora sbigottito.

Kejah gli sorrise incoraggiante, poi si rivolse a Coriv, tornando seria. "Kirton, per la nostra causa voi avete perduto un figlio, e io una sorella. Questo crea tra noi, come tra Oolimar e Sekor, un legame più forte che non qualunque promessa di vassallaggio. A voi quindi, Popolo dell'Unicorno, la Coppia Imperiale offre tutti i territori a sud del Lago dalle Acque Nere noti come le Brughiere Aride, dove sorge il Cerchio di Pietre che vide lo scontro tra Arcolen e Rakau. Sarete un regno confederato all'impero, totalmente indipendente quanto ad affari interni, amministrazione, giustizia e governo."

Anche Coriv rimase stupefatto a fissare l'imperatrice e, come Oolimar, subito considerò i vantaggi che tale espansione territoriale avrebbe portato al suo popolo: con le grandi falde acquifere racchiuse nel sottosuolo quale riserva idrica, le Brughiere Aride sarebbero tornate verdi e fertili come prima della Guerra dei Poteri, vasta prateria come un mare d'erba, pascolo grasso per le mandrie di cavalli e di unicorni, granaio ricchissimo per lo Shyte intero. Un'era di prosperità e pace, dopo tanti secoli di rigore e tensione, si offriva alla Kirtonia.

Imitando Oolimar, il sovrano-guerriero andò ad inginocchiarsi davanti alla Coppia Imperiale. "Non trovo le parole per ringraziarvi della vostra generosità: sono poco avvezzo ai discorsi e più all'azione. Pertanto sarà con l'azione che i kirton vi ringrazieranno, Maestà Imperiali, poiché creeremo una cavalleria invincibile al servizio dell'impero."

Il Kirton tornò a sedersi sulla sua poltrona.

Sekor lo ringraziò, come prima aveva fatto con Oolimar, poi si rivolse a Roden. "Roden Baroden, tra di noi sono necessarie ben poche parole: sei stato con noi fin dal principio, abbiamo condiviso il pericolo e il dolore, e questo ci affratella come poche persone al mondo. Ed è la tua famiglia che ha accolto e allevato, con tutto l'amore di cui era capace, mia moglie Kejah e mia cugina Veldhris. A lungo ho meditato su cosa potevo offrirti, e alla fine mi sono chiesto: cos'è che un boscaiolo ama di più? Gli alberi, naturalmente, che sceglie e taglia con cura e rispetto. Dunque, il miglior dono che potessi farti era un bosco, anzi, una foresta: la Foresta del Vespro, rimasta priva di re, poiché io sono divenuto l'imperatore. Un regno con tutte le garanzie di indipendenza dei regni confederati, naturalmente..."

Roden balzò dalla sedia, rosso per l'imbarazzo. "Sekor, non posso accettare: è troppo, per me!" proruppe, senza neanche accorgersi del sgarberia che faceva a Sekor interrompendolo, tant'era sconvolto. "Non sono che un boscaiolo... Come potrei diventare re?"

"Il tuo animo è nobile e saggio, e la tua forza ormai è leggendaria", replicò Sekor. "Quale migliore combinazione, per un capo? Del resto, hai già dimostrato le tue attitudini al comando, ricordi? All'inizio del nostro viaggio, quando hai preso in mano le redini della situazione e ci hai condotti fino a Zarcon. Neppure mio fratello Mikor ne è stato capace, e tantomeno io. Come puoi pensare di non poter diventare re?"

"E poi, mio caro Roden", intervenne Kejah, con serenità, "chi può governare meglio una terra di colui che la conosce e la ama profondamente?"

Roden scosse il capo biondo. "Ma io pensavo che, visto che Vel non sarà imperatrice, il Regno del Vespro sarebbe spettato a lei..."

S'interruppe, confuso, mentre Sekor annuiva. "Gliene avevamo già parlato, ma lei ha rifiutato."

Roden guardò la sorella adottiva, perplesso.

"Ho altri progetti", spiegò la cantante. "Accetta, fratellone."

Gli sorrise con affetto, ed anche Freydar lo incoraggiò. "Dà retta a tua sorella, amico mio."

Roden rimase un momento in forse, meditando. Sì, gli sarebbe piaciuto tornare nella sua amata foresta e portarla a nuovi splendori: eliminare le Maleterre... un modo ci doveva pur essere, se non altro con la Corona di Luce... e se non era possibile ricostruire Tamya, edificare un'altra città, più bella della prima... Gli sarebbe piaciuto, ma c'era un problema obiettivo.

"Ah, non sono sposato", osservò.

Sekor annuì. "C'è una soluzione molto semplice", lo rassicurò. "Assumerai la reggenza al posto di Rubis Fèduadil, in attesa di poter essere incoronato legittimamente una volta che avrai trovato la tua compagna e vi sarete sposati."

A questo punto, Roden non aveva più obiezioni. Andò ad inginocchiarsi davanti a Sekor e Kejah. "Sono onorato di accettare, Maestà Imperiali. Forse il Regno del Vespro non diventerà il più forte, o il più ricco, ma sarà certamente il più bello dell'impero."

Si rialzò e tornò al suo posto, sentendosi stordito, un po' intimorito, ma anche euforico.

Sekor si rivolse quindi a Veldhris. "Ebbene, volevamo offrirti il Regno del Vespro, ma non era nelle tue aspirazioni, Veldhris cara", esordì. "Con questo, hai messo Kejah e me in grave imbarazzo: sei l'unica infatti cui non abbiamo saputo trovare un dono adeguato, tu che sei la Portatrice della Corona. Freydar infatti ha espresso il desiderio di seguirti, qualunque fosse la tua decisione, e quindi di lui non dobbiamo preoccuparci. Ma tu?"

Veldhris guardò Freydar, commossa: pensava che il Principe del Fiordo desiderasse tornare a Zarcon con Oolimar e sua madre, e lei era stata disposta a seguirlo, sebbene avesse in mente qualcos'altro. Ora invece apprendeva che lui l'aveva preceduta, e che era libera di scegliere per entrambi. Ciò nonostante, per scrupolo, gli chiese: "Non vuoi tornare a Zarcon?"

Freydar ricambiò il suo sguardo e, leggendovi l'ansia per lui, per le sue esigenze, la rassicurò, posando la mano sulla sua, che teneva sul dorso di Rollie. "Zarcon è la mia patria", disse. "È il luogo dove sono nato e cresciuto, e dove vive la mia famiglia. Certamente desidero tornarvi. Ma non è più la mia casa: quella ora è con te, ovunque tu vada, perché senza di te qualunque luogo, anche il più caro al mio cuore, mi sembrerebbe vuoto e squallido."

Il lampo che colse negli occhi di Veldhris lo ricompensò appieno, qualora ve ne fosse stato bisogno, della sua rinuncia. "Tu, piuttosto: non desideri tornare a Tamya?" l'interrogò, a sua volta ansioso di compiacerla.

Veldhris scosse la tesa in segno negativo. "Se avessi voluto tornarci, avrei accettato l'offerta di Kejah e Sekor. No, ho progetti diversi", si rivolse quindi alla Coppia Imperiale. "Posso dunque chiedere io stessa?"

"Certamente, Vel", confermò Kejah. "Anzi: ci faresti un favore."

"Ebbene, se posso osare, vorrei chiedervi il Principato di Argentya" dichiarò Veldhris.

I presenti si scambiarono occhiate meravigliate, tranne Freydar, che si limitò ad osservare la cantante, in attesa.

"Argentya?" domandò Sekor, senza comprendere. "E dove sarebbe?"

"Non esiste ancora", rispose Veldhris. "È una città che intendo costruire al posto di Necrodia, su quella stessa collina, e il principato si estenderebbe su tutto il territorio circostante, con confini che stabilirete voi stessi, a vostra discrezione."

Kejah e Sekor si illuminarono, entusiasti. "È un'ottima idea!" approvò Sekor. "Ed è il minimo che possiamo fare, per la Portatrice della Corona e la sua discendenza: un principato, indipendente come tutti i regni confederati dell'impero, e una nuova città!"

"Hai scelto un bellissimo nome", commentò Kejah, rivolta alla cugina adottiva. "Ma perché proprio Argentya?"

"Per due ragioni", spiegò Veldhris sorridendo. "La prima, per simmetria con Dorea; la seconda, per onorare la memoria di Nirvor l'Argentea, la Custode della Corona, cui erigeremo una statua nella piazza principale della città", si girò verso Freydar, come sempre desiderosa di conoscerne il parere. "Che ne pensi?"

"È veramente un progetto magnifico", approvò il principe. "Sarò felice di aiutarti a realizzarlo."

"Bene!" esclamò Kejah, lieta delle conclusioni raggiunte. "Abbiamo risolto tutto. Possano i nostri doni portarvi fortuna e felicità", concluse, pronunciando l'augurio tradizionale.

Uno dopo l'altro, i convocati si congedarono e si ritirarono.

Quando rimasero soli, Kejah si accorse che Sekor era soprappensiero. "Cosa c'è, marito mio?" domandò, subito preoccupata. "Qualcosa non va nei doni che abbiamo fatto?"

L'imperatore si scosse. "No, no, niente affatto", si affrettò a rassicurarla. "Stavo solo riflettendo su una cosa che Veldhris ha detto: la sua intenzione di erigere una statua a Nirvor."

"Ebbene?" lo sollecitò la moglie, visto che lui s'era interrotto.

"Ebbene", concluse Sekor, "penso che tutti coloro che hanno partecipato alla Cerca della Corona di Luce meritino una statua, compresi noi due, a costo di peccare di immodestia."

L'imperatrice tacque per qualche istante, assimilando la proposta. "Nessuna immodestia", affermò poi. "A patto che tutti i Cercatori siano raffigurati: Veldhris, Freydar, Roden, Nirvor, Kareth, Neys, Mikor, Sekor e Kejah. Tutti."

"Sì, è giusto", concordò Sekor. "Così sia, dunque."

E così fu. Il Siniscalco Ukòmer, incaricato dalla Coppia Imperiale, ingaggiò i migliori artisti di Shyte, e l'anno seguente, nell'anniversario della Caduta del Potere Oscuro, nove statue di bronzo, ciascuna raffigurante un membro della Cerca della Corona di Luce con le sue armi e le sue vesti da viaggio, vennero collocate lungo la via principale di Dorea, che da Viale Shyte divenne, a giusto titolo, il Viale dei Nove Cercatori. E, negli anni a venire, divenne consuetudine portarvi i bambini ed insegnar loro i nomi e la storia delle persone immortalate nel bronzo, storia che venne riportata in grandi libri perché fosse tramandata tal quale, senza fantasiose aggiunte o ingiusti tagli. Un unico episodio non fu mai raccontato, perché coloro che ne erano a conoscenza si portarono il segreto nella tomba: il tradimento di Mikor Samonden, che per poco non era costato la sconfitta della Portatrice della Corona contro la Detentrice delle Quattro Pietre.

OOO

Poco per volta, gli ambasciatori presero congedo per tornare in patria. Uno degli ultimi a partire fu Coriv, riluttante a lasciare gli amici, ma ansioso di rivedere la giovane moglie Esteya, giunta ormai al sesto mese di gravidanza; lo accompagnava il Marescalco Zonev, con grande rammarico di Veldhris, che si era molto affezionata al rude ma generoso uomo d'arme.

L'ultimo ha congedarsi fu Oolimar, assieme alla madre di Freydar, che lasciava il figlio con rimpianto, ma felice della sua sorte e della compagna che si era scelto.

Con loro se ne andò anche Roden, novello Re del Vespro, in compagnia dell'ambasciatrice partita dalla Foresta alla convocazione a Dorea per l'incoronazione; il giovane era stato prontamente accettato quale nuovo sovrano, sia perché era fratello, seppure adottivo, della Portatrice della Corona, sia perché non c'erano esponenti dell'antica famiglia reale con un grado di parentela sufficientemente vicino per reclamare il diritto alla successione, e la Reggente, Rubis Fèduadil, era lieta di deporre il fardello della carica sulle ben più robuste spalle di Roden.

La separazione tra Veldhris e il fratello fu assai dolorosa per entrambi, confortata solo dalla promessa reciproca che si sarebbero rivisti almeno una volta l'anno.

Infine, fu la volta di Veldhris e Freydar di prendere congedo da Sekor e Kejah. Era l'undicesimo giorno di agosto, all'inizio del declino di un'estate eccezionale sia per condizioni meteorologiche, sia per avvenimenti.

Le due coppie si separano con i cuori colmi di una tristezza benedetta, la quieta mestizia che viene dalla conclusione di un compito portato avanti per molto tempo e con grande impegno.

"Ci rivedremo ancora?" domandò Kejah a Veldhris.

"Certamente", rispose la cantante, "ma ho la sensazione che non ci troveremo più tutti quanti insieme."

Non sbagliava: negli anni a venire, per numerosi che furono, i cinque sopravvissuti alla Cerca della Corona di Luce non si sarebbero più incontrati tutti assieme.

OOO

Il viaggio di ritorno di Veldhris e Freydar, scortati dai soldati che erano partiti con loro da Necrodia, fu privo, come all'andata, di fatti degni di nota. Ripercorsero a passo a passo la strada fatta due mesi prima, senza fretta e senza urgenza. Soltanto un solitario araldo, latore di un messaggio congiunto degli Imperatori di Shyte e della Portatrice della Corona, percorse a spron battuto l'antica pista, giungendo a Necrodia molti giorni prima dei nuovi signori della città. Subito ci fu una grande agitazione, perché le notizie e gli ordini contenuti nel messaggio causavano non pochi sconvolgimenti. Ci furono proteste e malcontento, ma ben pochi si opposero realmente e, negli ultimi giorni di agosto, quella che era stata la tenebrosa capitale della Signora dei Draghi Neri venne completamente, seppur per la fretta alquanto disordinatamente, evacuata.

Veldhris e Freydar giunsero a Necrodia il sei di settembre, sul finire del giorno. Tutto attorno alla città, alla distanza prestabilita, si estendevano gli accampamenti provvisori degli evacuati, ed anche il gruppo giunto da Dorea piantò le tende.

Subito Veldhris convocò Gòleyn, l'uomo cui aveva affidato il governo di Necrodia in sua assenza.

"Bentornata tra di noi, Principessa Veldhris", l'accolse Gòleyn, salutandola col titolo che si era scelta. "Sono ai vostri ordini."

Veldhris considerò brevemente l'uomo che le stava di fronte, i capelli scuri striati di grigio, i penetranti occhi verdi, la mascella decisa: sì, era una persona di cui ci si poteva fidare, una volta conquistata la sua lealtà, e lei, tramite la Corona di Luce, sapeva per certo di averlo fatto. "Grazie, mastro Gòleyn", disse. "Necrodia è stata completamente è sgombrata?"

"Sì, Altezza, secondo il vostro desiderio", confermo l'uomo, annuendo.

"Voglio dire, siamo assolutamente sicuri che non ci sia rimasto nessuno, in città?" insistette Veldhris.

Gòleyn si agitò sullo sgabello. "Beh, prima di far chiudere le porte ho ordinato di rastrellare la città casa per casa, ma potrebbe sempre esserci rimasto qualcuno, per motivi sentimentali o per cupidigia. Il Palazzo dell'Oscurità, infatti, come avete ordinato, è stato lasciato completamente ammobiliato, e da esso ho portato via solo il tesoro di Stato e gli effetti personali della servitù."

"Allora", intervenne Freydar, "suggerisco di mandare degli araldi in città perché avvertano gli eventuali trasgressori che, domani a mezzogiorno, Necrodia verrà distrutta."

Gòleyn sbatté le palpebre, sbalordito: niente, nel messaggio che aveva ricevuto, aveva lasciato intendere una soluzione così drastica. "Distrutta, mio signore?" domandò. "Ma... perché, e come?"

"Riguardo al come, non dimenticate che la Principessa Veldhris è la Portatrice della Corona", rispose Freydar. "Quanto al perché..."

Fece un gesto come per cedere la parola a Veldhris, e lei completò la spiegazione. "Il Principe Freydar e io abbiamo intenzione di costruire un'altra città, sulle ceneri di Necrodia. Una città che prenderà il nome di Argentya e sarà bianca e argento così come Dorea è gialla e oro; una città aperta, non chiusa da cupi bastioni, e piena di fontane e di alberi, e le case saranno luminose, e le strade ampie e dritte, e finanche i più poveri avranno un alloggio dignitoso. Una città di gente libera, non di schiavi."

L'immagine suscitata nella sua mente dalle parole di Veldhris fece brillare gli occhi di Gòleyn per la gioia e l'entusiasmo. "Darò immediate disposizioni agli araldi", disse, alzandosi. "Inoltre farò recare la notizia a tutti gli accampamenti. Posso chiedere licenza?"

Ricevuto il permesso, l'uomo salutò con un inchino ed uscì a passo di carica.

Freydar lo seguì in fretta, confabulò un istante con la guardia all'ingresso della tenda, poi rientrò.

Nel frattempo, Veldhris si era alzata e Rollie, fino ad allora seduto accanto a lei in paziente attesa, si era defilato a curiosare in giro per l'accampamento.

"Sembrava piuttosto contento", commentò scherzosamente Veldhris, riferendosi a Gòleyn.

"Pareva anche a me", concordò Freydar, sorridendole di rimando. "Quanto manca per la cena?"

"Più o meno un'ora, direi", rispose lei. "Perché, hai fame?"

"Sì, ma di te!"

Con un'unica falcata, Freydar le fu accanto e la sollevò di peso sulle braccia.

"Ehi, sei impazzito?" rise Veldhris. "Potrebbe entrare qualcuno!"

"Stavolta non te la cavi", scherzò il principe, trasportandola verso la nicchia dove, dietro un pesante tendaggio, si trovava il loro giaciglio. "Ho dato ordine alla guardia di non lasciare passare nessuno."

"Mascalzone!" lo accusò Veldhris, fingendo di opporre resistenza, ma già sentiva il calore del desiderio infiammarle il corpo. "Se ti azzardi..."

"Cosa mi fai?" indagò lui con aria maliziosa, deponendola sulle coperte.

"Questo", mormorò la cantante, annodandogli le braccia dietro la nuca ed attirandolo su di sé. "E tanto peggio per te."

Le loro labbra, già schiuse dall'impazienza, si unirono appassionatamente.

"Mmmm, se questo è il peggio, lo voglio per il resto della vita..." mormorò Freydar.

Poi non fu più tempo di parole...

OOO

Dopo cena, Veldhris e Freydar ricevettero la visita di Ylmària, la giovane schiava liberata da Veldhris il giorno dell'arrivo a Necrodia, più di quattro mesi prima.

Ylmària era fuori di sé per la gioia di rivederli; chiese notizie di Kejah, Sekor e Roden, e fu felice di apprendere della loro sorte. Poi raccontò che Zhàrima Veldhris, la sua bambina, cresceva a vista d'occhio e scoppiava di salute e vivacità. "Mia figlia è stata benedetta dalla Luce", affermò con convinzione, e Veldhris si sentì orgogliosa più che per qualunque lode, anche più diretta, che avesse mai ricevuto in vita sua: quella piccina era il simbolo vivente della rinascita di un intero mondo, e lei, Veldhris, ne era stata l'artefice.

OOO

Venne il giorno.

Il mattino passò alquanto lentamente, per le migliaia di evacuati accampati attorno a Necrodia. Mezzodì si avvicinava, ed il senso di attesa cresceva di minuto in minuto. Tutti erano affascinati dalla prospettiva di vedere la Corona di Luce all'opera e molti provavano anche una sorta di timor sacro per la dimostrazione di potere cui stavano per assistere. Ben pochi rimpiangevano la città votata alla distruzione, persino tra coloro che così perdevano ricche magioni e splendidi giardini: i nuovi Principi di Argentya avevano promesso una città più bella del loro sogno più bello, e non avevano dubbi che la Portatrice della Corona ed il suo compagno avrebbero mantenuto la loro promessa.

Ed intanto l'attesa cresceva.

Infine il sole toccò lo zenit nel cielo, percorso da soffici nubi bianche che veleggiavano veloci verso occidente. Veldhris fece la sua comparsa sulla soglia della tenda; accanto a lei c'era Freydar, armato di tutto punto, e dietro di loro veniva un soldato che tratteneva l'irrequieto Rollie.

Veldhris percorse con lo sguardo il viale che si era creato dalla tenda, attraversando tutto l'accampamento, in direzione di Necrodia, allignata sul suo colle martoriato come una maligna escrescenza. Ai lati del viale erano schierate le guardie di Necrodia, la cui uniforme rossa e nera era stata sostituita da una divisa blu e oro, ispirata ai colori dello stemma di Veldhris.

La stessa Veldhris portava quei colori, poiché aveva scelto di indossare l'abito della sua presentazione agli ambasciatori di Shyte, il giorno in cui aveva rinunciato al trono imperiale. Per lei però quell'abito aveva un altro significato: simboleggiava la sua discendenza da Arcolen il Grande, che aveva usato tale stemma per ultimo, uno stemma che dopo mille anni lei, sua erede, stava per innalzare sui pinnacoli di una nuova città.

Accompagnata da Freydar, Veldhris percorse il viale, salutata dal presentatarm delle guardie. La folla che premeva dietro di esse era silenziosa, colma d'aspettativa ed anche di un po' di timore riguardo a quanto stava per accadere. Solo qualche grido isolato, di saluto o d'incoraggiamento, si fece sentire mentre la coppia avanzava.

Giunti alla fine del viale, ad una distanza di circa mezzo chilometro dalle porte di Necrodia, Veldhris e Freydar si arrestarono. Sapevano dai rapporti della milizia che durante la notte e nella prima mattinata erano state viste dieci o dodici persone uscire dalla città, e che pertanto adesso si poteva essere ragionevolmente certi che non ci fosse più nessuno.

Veldhris guardò la nera città appollaiata sulla collina e provò rancore. Strinse i pugni.

"In questo giorno", gridò con voce stentorea, usando il potere della Corona di Luce per farsi udire da tutti, "esattamente un anno fa, Rakau distrusse la mia città, Tamya nella Foresta del Vespro, nell'intento di eliminare me, l'Erede di Arcolen, perché secondo la profezia ero destinata a sconfiggerla. Uccise tutti i miei concittadini, il mio re e la mia regina, e con essi l'uomo e la donna che mi avevano accolta e allevata come una figlia, e che io amavo come un padre e una madre. Ma l'Erede di Arcolen si salvò, e oggi, ha un anno di distanza, è venuta a distruggere la città di Rakau per edificarne un'altra che cancelli il ricordo di questa!"

Freydar, sentendo la tensione della compagna, la guardò, preoccupato, ma lei aveva già assunto l'espressione di profonda concentrazione – quello sguardo rivolto all'interno che, nella Caverna Centrale del Monte Ghiacceterni, l'aveva tanto impressionato – che indicava come stesse raccogliendo e convogliando l'energia della Corona di Luce. Difatti, un istante dopo, due strali luminosissimi scaturirono dalle Gemme Gemelle, saettarono verso le porte della città e le centrarono, polverizzandole con un boato assordante.

"Non rimarrà nessuna maceria", avvertì Veldhris ad alta voce. "Soltanto polvere e cenere."

Sollevò leggermente il capo, cambiando traiettoria, e sollecitò nuovamente la Corona, la cui bianca energia diresse verso il Palazzo dell'Oscurità. Vi fu un sordo rimbombo, una vibrazione del terreno, poi la nera costruzione esplose verso il cielo come un vulcano, lasciando ricadere una pioggia di piccoli frammenti.

"Non avremo più bisogno di mura per difenderci!" gridò Veldhris. "Sarà il Potere della Corona di Luce a custodire la nuova città!"

Di nuovo, lanciò due raggi gemelli che colpirono in sequenza tutta la parte dei bastioni visibili da quel punto. Le formidabili fortificazioni si sciolsero come burro sul fuoco, lasciando dietro di sé solo ceneri fumanti.

"Un tumore si sconfigge solo sradicandolo!" esclamò ancora Veldhris. "E una cancrena si ferma solo tagliando via la parte malata, senza remore e senza paura!"

Le Gemme Gemelle eruttano la Grande Vampa, la doppia spirale intrecciata, che andò a conficcarsi nel cuore della città. Un incendio di luce cominciò a diffondersi, sempre più rapido, sempre più fulgido, avvolgendo ed illuminando ogni edificio, casa, palazzo, magione o stamberga, strada, vicolo, ponte o scala, fogna o fosso, finanche il monolito su cui sorgeva il Palazzo dell'Oscurità appena distrutto. La terra cominciò a tremare, producendo un rombo cupo, continuo, inquietante. I presenti si strinsero gli uni agli altri, spaventati, ma anche affascinati dallo spettacolo di distruzione cui stavano assistendo.

Lentamente, con un moto innaturale, le costruzioni – case, ponti, strade – si ripiegarono su se stesse e crollarono in un nugolo di polvere scintillante.

Veldhris aveva la fronte madida di sudore: per controllare l'immensa energia che aveva scatenato, stava sostenendo uno sforzo considerevole. Tuttavia, non era come con le Quattro Pietre del Potere Oscuro, contro le quali la Grande Vampa aveva dovuto lottare per imporsi e distruggerle: adesso non c'era alcun ostacolo e pertanto lei poteva resistere molto più a lungo.

Quanti, vedendo il crollo degli edifici di Necrodia, avevano pensato che fosse finita dovettero ricredersi: dalla città ormai completamente distrutta si sollevò un'immensa colonna di fine pulviscolo e cenere, che salì turbinando in alto, sempre più in alto, fino ad colpire le bianche nuvole che veleggiavano pigramente nel cielo. D'un subito, vi fu un'esplosione di lampi, quasi che le nubi protestassero energicamente contro l'intrusione, ma la colonna di polvere continuò ad assalirle, ed esse cominciarono ad assorbirla, inglobando la polvere nelle loro minutissime gocce di pioggia. La colonna infine si esaurì, le nubi, ormai ingrigite, finirono di assimilarla, poi ripresero la rotta, sospinte dall'incessante vento di quota che le avrebbe portate a scaricare il loro fardello sulle sterili pianure ad occidente, oltre il Fimda.

E quando tutto fu cessato e Veldhris smise di irradiare energia dalla Corona di Luce, meraviglia! Il colle era privo di qualunque traccia di costruzioni: né macerie, né ruderi, né fondamenta. Solo l'assoluta mancanza di vegetazione sul terreno pietroso ricoperto di un sottile strato di polvere indicava che li, un tempo, sorgeva una città.

Un momento d'assoluto silenzio seguì il frastuono assordante dell'estirpazione di Necrodia dalla faccia del mondo.

Poi, Veldhris fece di nuovo sentire la sua voce limpida. "La Corona distrugge ciò che è iniquo e la Corona crea ciò che è buono. Non una creazione materiale, certo: non sarà col Potere Luminoso che costruiremo Argentya, bensì con le braccia e con le menti. Ma le nostre braccia e le nostre menti saranno poste sotto l'influsso della Corona di Luce, e tutto ciò che è sotto il suo influsso, crea cose belle e buone. E il Principato di Argentya sarà famoso nel mondo per lo splendore e la ricchezza delle sue città e delle sue campagne, ma anche per la cultura e la cortesia dei suoi abitanti."

Veldhris si voltò verso la folla – la sua gente, il popolo che aveva adottato e che l'aveva adottata assieme a Freydar – e sorrise: si sentiva stanca, ma soddisfatta. E la folla lo percepì, e condivise i suoi sentimenti, e lo espresse con un giubilo spontaneo e commosso.

Freydar osservò la moltitudine: cappelli e cappucci che roteavano per aria, fazzoletti e scialli agitati, grandi e piccini che si abbracciavano ridendo e piangendo, e capì che lì, nella futura Argentya, al fianco di Veldhris, sarebbe stato felice.

Il Principe di Argentya prese per mano la Principessa di Argentya, ed assieme, fianco a fianco, si incamminarono verso la collina dove sarebbe sorta la loro casa.

FINE

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