Capitolo XXIV: Dorea la Grande
Capitolo XXIV: Dorea la Grande
Il viaggio verso Dorea fu privo di fatti degni di nota. Gli oltre seicento chilometri che separavano la città dei draghi dall'antica capitale dell'Impero di Shyte vennero percorsi con calma, ed ogni giorno si susseguiva uguale all'altro, mentre la primavera esplodeva ed andava maturando nell'estate.
Percorsero territori diversissimi l'uno dall'altro: dapprima, l'opulenta campagna che circondava Necrodia, ora all'improvviso priva di quella tensione che, avvicinandosi alla città un mese prima, Veldhris aveva percepito; poi lentamente il paesaggio cambiò, ondulandosi in colline variamente ripide ed alquanto rocciose, quasi prive di vegetazione; bruscamente sbucarono nelle praterie a nord delle Colline Grigie, che intravidero in distanza, sulla loro destra, ed i cinque superstiti della compagnia partita da Zarcon confrontarono il succoso verde dell'erba alta di giugno con lo smorto color zenzero che avevano visto a novembre in quello stesso luogo.
Veldhris sembrava serena, piena della consueta gioia di vivere, e ammirava ad occhi spalancati, con lo stesso entusiasmo di sempre, tutte le meraviglie che la natura offriva al suo sguardo. Al principio, esprimendo i suoi sentimenti, cantava spesso, la sera quando bivaccavano. Tuttavia, mano a mano che il viaggio proseguiva, avvicinandoli alla meta, tali manifestazioni si fecero sempre più rare, fino a scomparire del tutto. Non sembrava esserci alcuna ragione per il suo apparente turbamento ed il suo sorriso era luminoso come sempre, ma Freydar notava con inquietudine che il suo sguardo si faceva sempre più spesso assente, velato di una preoccupazione segreta e profonda: un grave dilemma si era acceso nell'animo di Veldhris, ma non ne parlava. Freydar rispettava il suo silenzio, attendendo che fosse lei a confidarsi, ma i giorni trascorrevano senza che Veldhris gli aprisse il suo cuore.
Gli occhi dei cavalieri della scorta comandati da Zonev, il Maresciallo della Kirtonia che aveva chiesto ed ottenuto di accompagnare Veldhris a Dorea, erano colmi di curiosità: non si erano mai allontanati tanto da Necrodia, e scoprivano paesaggi che non avevano finora nemmeno sospettato. Zonev stesso, che non si era mai spinto tanto a meridione, si osservava attorno meravigliato.
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Una sera, nella comoda tenda che divideva con Freydar – ormai ufficialmente il suo compagno – coricandosi al suo fianco Veldhris chiese: "Hai notato il simbolismo che permea ogni cosa, in questo viaggio?"
Freydar, steso sul loro giaciglio condiviso, incrociò le mani sotto la nuca, pensieroso. "Ogni mattino ci incamminiamo nella direzione del sole che sorge", rispose dopo un momento. "Come se andassimo verso un nuovo giorno, una nuova era. Ed è così, infatti", aggiunse, girando il capo per guardare Veldhris. "L'intero Shyte sta per risvegliarsi a un nuovo giorno, ora che il Potere Oscuro è stato abbattuto e che sta per essere rifondato l'antico impero."
"Sì, hai ragione", riconobbe la cantante, improvvisamente rabbuiata, "ma pensavo anche alla natura, che quando ci siamo messi in cerca della Corona di Luce stava morendo, e adesso, dopo la vittoria sull'Oscurità, è in pieno rigoglio, come a partecipare al trionfo e alla gioia di tutti noi."
Freydar notò come lei avesse detto noi: era un modo, uno dei tanti, che aveva per condividere, con lui per primo e con il resto del mondo poi, tutte le sue gioie e le sue soddisfazioni. Non altrettanto si poteva dire delle sue pene e delle sue delusioni, di cui era molto gelosa o, più probabilmente, con cui non voleva pesare sugli altri, senza rendersi conto che, così facendo, lo faceva sentire escluso, respinto. Era la sensazione che Freydar provava da diversi giorni, ormai, cui decise improvvisamente di mettere fine. "Tu mi nascondi qualcosa", l'accusò, mettendosi a sedere bruscamente.
Rollie, che divideva con loro la tenda, saltò in piedi spaventato dal brusco moto dell'uomo.
Veldhris guardò smarrita il suo compagno. "Ma..." comincio, sbalordita dal suo tono secco.
"No", la troncò Freydar, risoluto. "Inutile che neghi: ti conosco ormai troppo bene per non accorgermi di ogni minimo cambiamento del tuo umore. Hai qualcosa che ti rode", continuò poi, più dolcemente. "Vorrei che ti confidassi con me. Forse ti preoccupi di non essermi di peso, ma ti assicuro che non è così. Che razza di uomo sarei, se non fossi capace di sopportare la condivisione di un cruccio della mia compagna?"
Anche Veldhris si drizzò a sedere. Gli accarezzò la guancia barbuta, sorridendo. "Sì, hai ragione. Con la scusa di non volerti angustiare con i miei problemi, finisce che ti angustio ugualmente, e allora è più giusto che tu sappia".
Gli raccontò quindi tutto: le incertezze, i dubbi, e ansie, i rimorsi che la tormentavano.
Alla fine, lui si grattò la barba come faceva sempre quando era molto perplesso. "Un bel problema", riconobbe infine.
"E l'unica soluzione è troppo drastica perché io possa accettarla, per non parlare delle conseguenze, che sarebbero incalcolabili", concluse Veldhris con un sospiro rassegnato. "Come mi mancano i consigli di Nirvor!"
"Ci vorrebbe qualcuno di preparato e degno, che appartenesse alla tua stessa discendenza", rifletté Freydar ad alta voce.
"Già", fu d'accordo lei. Alzò di colpo lo sguardo, mentre anche il Principe del Fiordo le lanciava un'occhiata: entrambi erano stati folgorati dallo stesso pensiero.
"Ci sono!" esultò Veldhris. "Chi meglio di lui?"
Freydar le afferrò le mani. "Sei proprio sicura di quello che vuoi fare?"
Lei annuì con solennità. "Assolutamente sicura."
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Durante il lungo viaggio, Sekor, nuovo Signore della Foresta del Vespro, ebbe modo di approfondire la conoscenza con Kejah Lyaradil. Parve naturale ai due giovani avvicinarsi e conversare molto più di quanto non avessero fatto finora, poiché ormai si erano lasciati alle spalle tutte le preoccupazioni e le pene. Sekor, accettato il fatto che Veldhris amava un altro, si accorgeva ora per la prima volta di quanto Kejah in realtà gli piacesse, non solo come persona, come aveva pensato qualche tempo addietro, ma anche come donna.
Dal canto suo, Kejah era felicissima delle attenzioni del principe, ma si sforzava di non farsi illusioni. Ciò nonostante, attendendo un chiarimento della situazione, cercava di godersi quei magici momenti, lasciando tempo al tempo: qualunque cosa stesse nascendo tra loro due, doveva prima maturare per svelare di quale natura fosse.
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E venne il giorno in cui una delle guide indicò a Veldhris un punto sull'orizzonte davanti a loro. "Oltre quelle colline si trova Dora la Grande", annunciò.
Veldhris tirò le briglie di Luce d'Estate per contemplare i verdi colli boscosi, di là dei quali si trovava l'antica capitale dell'impero di Shyte, sulle rive dell'oceano che in quel punto rientrava in un ampio golfo dalle acque tranquille.
Il sole declinante alle spalle della compagnia, prontamente arrestatasi imitando Veldhris, disegnava lunghe ombre ondeggianti nel mare d'erba alta che si estendeva a perdita d'occhio tutt'attorno.
"Vai, Luce d'Estate!" gridò Veldhris all'improvviso, prorompendo in una risata di trionfo.
Senza bisogno di sproni, l'unicorna balzò in avanti e si slanciò, veloce come il vento, verso le colline.
Dopo un primo istante di sbalordimento, Freydar spronò Mistero, lanciandolo a briglia sciolta dietro Veldhris: non aveva molte speranze di raggiungerla, dato che Luce d'Estate era di gran lunga più veloce del più veloce dei destrieri, ma il capitano sapeva che Veldhris avrebbe voluto averlo vicino a sé, di lì a poco, quando, per la prima volta, avrebbe posato gli occhi sull'antichissima città degli Imperatori di Shyte.
Gli altri rimasero un momento interdetti per quel duplice abbandono improvviso, e Rollie abbaiò indignato. Poi, Sekor fece cenno di proseguire, ricalcando con calma le orme dei due compagni partiti di gran carriera.
Non ci volle molto perché Luce d'Estate raggiungesse le falde dei colli e cominciasse a scalarle, addentrandosi tra gli alberi. Stando attenta a dove posava gli zoccoli, l'unicorna ascese il pendio, da quel lato meno ripido che dall'altro, e nel volgere di pochi minuti fu sulla cresta. Qui trovò una radura pianeggiante che, come una terrazza, si protendeva ad est in direzione della città. Veldhris fu stupita, come già le era accaduto più volte, di come Luce d'Estate avesse indovinato i suoi desideri: cominciava seriamente a sospettare che l'unicorna fosse telepatica, o perlomeno empatica.
Poi vide la città e non poté pensare più ad altro.
Molte volte, durante il suo lungo periplo nelle terre dello Shyte, aveva cercato di immaginare l'antica capitale dell'impero, ma nulla, né le leggende, né la sua fantasia, l'aveva preparata alla visione che le si presentò.
Era tardo pomeriggio, ed i raggi obliqui del sole declinante inondavano la grande città, accendendola di caldi riflessi dorati. Era priva di mura o bastioni, poiché un tempo, custodita dal Potere della Corona di Luce, non aveva avuto bisogno di una simile protezione, ed in seguito Rakau non si era certo preoccupata di procurare una difesa a quella che era stata la capitale del suo acerrimo nemico, Arcolen. Solo due grandi archi di pietra privi di portali indicavano l'ingresso alla città, l'uno a nord-ovest, l'altro a sud est.
Incoronata da colline, Dorea sorgeva di fronte all'oceano, accompagnata da un grande porto, di cui molti moli e molte banchine stavano cadendo in rovina, inutilizzati da secoli. Poche navi vi erano infatti ancorate, e tutte di dimensioni alquanto modeste.
Le spiagge erano indorate dal sole, così come le costruzioni della città: edifici aggraziati, aerei ponti, guglie aguzze, snelle torri, archi rampanti, strade dal tracciato regolare, giardini rigogliosi, fontane e bacini d'acqua spumeggiante, immersi in un bagno d'oro. Dall'agglomerato urbano proveniva il sommesso brusio di molteplici e ferventi attività, brusio che ricordò a Veldhris il rumoreggiare di Tamya, la sua città nella Foresta del Vespro, tanto lontana nel tempo e nello spazio, un rumoreggiare ben diverso da quello che aveva udito a Necrodia, dove tutto era imposizione e necessità. Qui invece, come a Tamya, c'era gioia, e serenità, e sentimenti solari, ma anche una sensazione di novità e scoperta: difatti, era da ben poco che a Dorea si respirava quell'aria distesa, dopo secoli di tensione e tristezza sotto il giogo del Potere Oscuro.
Era il dodicesimo giorno di giugno.
"È bellissima" commentò Freydar, che si era fermato accanto a Veldhris.
Immersa nella contemplazione della città splendente nel sole, la cantante non lo aveva nemmeno udito avvicinarsi, e del resto Luce d'Estate, che conosceva ormai assai bene sia il cavaliere sia il destriero che montava, non si era mossa al loro approssimarsi. "È più bella di qualunque città io abbia mai visto", riconobbe Veldhris, gli occhi ancora puntati davanti a sé. "Mi ricorda Tamya, e anche Zarcon, sebbene non saprei dire in che modo."
"Appartiene alla Luce", considerò Freydar. "Come Tamya e Zarcon. È stata appena sfiorata dall'Oscurità, molto meno che non Kirton, che si reggeva in bilico tra le due forze e perciò era più cupa e triste."
"Sì, hai ragione", fu d'accordo Veldhris. "Andiamo."
Spronò gentilmente Luce d'Estate e l'unicorna si mosse, ma Freydar le afferrò le briglie e la trattenne. "No, aspetta. Mandiamo prima un messaggero ad annunciare il tuo arrivo a Dorea: l'Erede di Arcolen deve ricevere un'accoglienza adeguata."
"Non ci tengo a un benvenuto in pompa magna", obiettò Veldhris, arricciando il naso nel suo modo delizioso. "E poi è inutile."
"Tu forse non ci tieni, ma è probabile che agli abitanti di Dorea importi invece molto ricevere in modo appropriato la Portatrice della Corona di Luce, che riporta la pace e la libertà dopo il Millennio di Tirannide del Potere Oscuro", replicò Freydar, ragionevolmente. "Non pensi a loro?"
Veldhris tacque, riflettendo. Non amava affatto le grandi cerimonie, ma Freydar aveva indubbiamente ragione: la Portatrice della Corona non apparteneva soltanto a se stessa, bensì anche a tutte quelle persone che, per un intero millennio, avevano atteso il suo arrivo. "Va bene", acconsentì infine.
Attesero il resto della compagnia, che li raggiunse nel giro di una decina di minuti. Tutti smontarono da cavallo per sgranchirsi le membra, eccetto un soldato che fu mandato quale messaggero ad annunciare alla città ai loro piedi l'arrivo dell'Erede di Arcolen.
"Forse ci sarà da aspettare", disse Roden, rivolto a Veldhris. "Bisognerà dar loro il tempo di preparare il benvenuto."
"Non credo", fu l'opinione di Zonev. "Da Necrodia abbiamo inviato qui un emissario, che deve essere arrivato almeno dieci giorni fa, o anche più. Hanno avuto tutto il tempo per i preparativi."
Difatti, poco dopo videro le strade riempirsi di gente festante, e nel giro di pochi minuti stendardi e labari blu e oro vennero issati sui tetti e sui pinnacoli, e festoni di fiori e nastri multicolori furono gettati da una finestra all'altra lungo tutta la via principale, che attraversava Dorea da nord-ovest a sud-est raccordando i due grandi archi d'ingresso e che passava davanti ad un grande palazzo color oro circondato da un immenso parco, situato su di un piccolo rialzo del terreno quasi esattamente al centro della città: evidentemente, erano giorni che tutto era pronto, e si attendeva l'arrivo della Portatrice della Corona di ora in ora.
A conferma di ciò, l'araldo tornò accompagnato da un doreano ben vestito, che dava subito un'impressione di distinzione. Giunto alla presenza di Veldhris, che aveva indossato la Corona di Luce per farsi più agevolmente riconoscere, l'uomo scese da cavallo e s'inchinò davanti a lei. "Sono il Siniscalco di Dorea", si presentò. "A nome mio e di tutti i miei concittadini, vi porgo il benvenuto nella vostra antica capitale. Ukòmer è il mio nome, e in tempi più felici i miei antenati solevano servire la Casa degli Imperatori di Shyte quali Maestri di Palazzo. Non ho parole per esprimervi, Altezza, la mia emozione e la mia fierezza nell'offrirvi ora, dopo tanti secoli, i miei servigi."
Ukòmer tornò ad inchinarsi, ma tale era la sua emozione che vacillò e per poco non cadde in ginocchio, impedito solo dal pronto intervento di Zonev, che era il più vicino.
"Vi ringrazio, Siniscalco Ukòmer", disse Veldhris, come sempre alquanto a disagio dinnanzi alle manifestazioni di deferenza, cui però doveva rassegnarsi. "L'Erede di Arcolen sarà fiera di porre piede in Dorea la Grande."
"Più fiera ancora sarà Dorea di accogliervi, Altezza", asserì Ukòmer, con entusiasmo. "Quando il messo recante il Sigillo della Corona è arrivato, dieci giorni or sono, confermando la caduta del Potere Oscuro così come l'avevamo indovinata vedendo disintegrarsi il Drago Nero posto a guardia della città, ebbene, allora c'è stato un tripudio che, credo, soltanto adesso, col vostro arrivo, si replicherà, e mai più." Si volse verso Dorea e l'indicò con un ampio gesto. "Vedete? È tutto pronto per accogliere la Portatrice della Corona." Tornò ad inchinarsi, ora più padrone di sé. "Volete graziosamente accompagnarmi, Altezza, voi e i vostri compagni?"
"Certamente", accettò subito Veldhris. "Vi prego, fateci strada."
Rimontarono tutti a cavallo e, guidati da Ukòmer, discesero il colle per dirigersi verso la città.
La folla festante gremiva i marciapiedi, a stento trattenuta dal cordone di guardie d'onore, schierate sul presentatarm lungo tutto il percorso dell'ingresso in città fino alle porte del palazzo d'oro visto da Veldhris dall'alto della collina, palazzo che era stato la residenza imperiale.
Grida di gioioso benvenuto ed applausi entusiastici salutarono l'ingresso in Dorea di Veldhris Yuniadil, erede di Arcolen e Portatrice della Corona di Luce, e dei suoi amici e compagni. Un poco intimidita, Veldhris non sapeva come reagire e si limitò a cavalcare a fianco di Ukòmer, guardandosi intorno quasi incredula che tanto tripudio fosse rivolto proprio a lei.
Sekor si accorse del suo imbarazzo e spronò lievemente Nevesole per portarsi accanto alla cugina. "Ricambia i saluti", le suggerì. "Li sentirai più vicini a te."
Ricordandosi di colpo come si comportavano i membri della Famiglia Reale a Tamya in occasioni simili, Veldhris seguì il consiglio del principe, cominciando ad agitare il braccio in segno di saluto ed a lanciare sorrisi alla folla ed ai soldati schierati. E difatti, come d'incanto, tutta quella gente estranea le parve improvvisamente amica, familiare.
"Viva l'Erede di Arcolen! Lunga vita alla Portatrice della Corona!" gridava la folla in festa, lanciando fiori dalle finestre. "Mirate l'Apportatrice di Luce!"
Bimbi venivano sollevati sulle spalle degli adulti affinché vedessero l'incarnazione della millenaria Profezia di Arcolen, vecchi si facevano strada per posare gli stanchi occhi sulla Corona di Luce, donne e uomini d'ogni età e condizione acclamavano gioiosamente la futura Imperatrice, e tutti guardavano con meraviglia l'Unicorno d'Oro che cavalcava.
Finalmente giunsero dinanzi al grande palazzo dorato, dove solleciti palafrenieri aiutarono i cavalieri a smontare, assicurando loro che avrebbero provveduto affinché i destrieri ricevessero il miglior trattamento. Accolsero con esclamazioni meravigliate la cavalcatura di Veldhris, un Unicorno d'Oro che per essi era esistito finora solo nelle leggende. A tutta prima, Luce d'Estate si dimostrò scontrosa, rifiutando di farsi toccare e portar via, poi Veldhris le parlò dolcemente ed essa concesse ai palafrenieri di condurla via per le briglie assieme alle altre cavalcature.
Una grande scalinata di marmo bianco, interrotta da tre pianerottoli ed affiancata da balaustre adorne di statue e vasi colmi di piante in fiore, conduceva fino al portone d'ingresso del palazzo. In fondo ed in cima, come anche sui pianerottoli, guardie d'onore presentavano le armi.
Su cenno di Ukòmer, si fecero avanti quattro paggi che reggevano un mantello di serica stoffa blu notte dai bordi d'oro, ricamato da una miriade di puntini, sempre d'oro: i colori degli Imperatori di Shyte.
"Anticamente", spiegò Ukòmer a Veldhris, che guardava senza capire, "i Portatori della Corona solevano indossare un mantello come questo per le cerimonie ufficiali. Pensando che potesse farvi piacere indossarne uno simile, l'ho fatto confezionare."
Veldhris s'illuminò. "Ma certo, Siniscalco, chi non vorrebbe indossare una simile meraviglia?"
I paggi l'aiutarono a posare il mantello sulle spalle; pur avendo uno strascico lungo almeno un paio di metri, l'indumento era inaspettatamente leggero. Due dei valletti rimasero a reggerlo per evitare che s'impigliasse ed intralciasse chi lo portava, mentre gli altri due si ritirarono.
Il siniscalco fece per muoversi, ma Veldhris lo trattenne. "Perdonate, Mastro Ukòmer", disse. "Non conosco il cerimoniale, ma desidererei che voi camminate davanti a me guidandomi, e che al mio fianco venissero il Principe Sekor, anch'egli discendente di Arcolen il Saggio, e il Principe Freydar, discendente di Zarcon lo Scudiero."
I due giovani uomini non gli erano stati presentati, ma conoscendone i nomi perché gli erano stati comunicati dall'emissario venuto da Necrodia, Ukòmer fu ben lieto di fare come Veldhris gli chiedeva. Così, prendendo il suo bastone da siniscalco, che è un paggio gli porgeva, si avviò su per l'ampio scalone, seguito da Veldhris con Freydar alla sua destra e Sekor alla sua sinistra. Venivano poi Roden e Kejah, ed i soldati della scorta, Zonev in testa, si accodarono in fila per due.
Salirono dunque l'imponente scalinata fino a giungere sullo spiazzo antistante alle porte del palazzo, ancora chiuse. Sulla sinistra dei grandiosi battenti di ferro sbalzato e dorato si trovava un gigantesco gong di bronzo, a fianco del quale attendeva un battitore con un martello dalla testa imbottita, di grandezza adeguata al gong.
A pochi metri dal portale, il siniscalco si arrestò, imitato la Veldhris e dagli altri. "Aprite le porte di Palazzo Shyte!" tuonò con voce possente. "Aprite all'Erede di Arcolen!"
Il battitore sollevò il pesante martello e lo abbatté sul gong. Risuonò una nota profonda, potente, vibrante... bronzea. I battenti del portone si aprirono lentamente verso l'interno.
Il corteo tornò a muoversi e sfilò tra due ali di guardie d'onore sull'attenti con le armi presentate.
Veldhris Yuniadil, Portatrice della Corona di Luce e per mille anni attesa Erede di Arcolen, quel tripudiante giorno poneva piede nell'atavica dimora della Stirpe Eccelsa.
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Nei giorni che seguirono, Veldhris, Freydar e gli altri poterono riposare dal lungo viaggio da Necrodia a Dorea, che era durato quasi quattro settimane poiché se l'erano presa alquanto comoda. Li attendeva però un'altra impresa, prima di poter dire concluse le loro fatiche: il conclave di tutti gli ambasciatori invitati da ogni parte dello Shyte, fissato di lì a tre settimane, e poi l'incoronazione.
Nel frattempo, i superstiti della Cerca della Corona di Luce si godettero la pace e le comodità di Palazzo Shyte, mantenuto intatto nei secoli dalle efficienti cure della servitù che, in mancanza degli Imperatori, avevano trovato un padrone nei Siniscalchi, che si erano succeduti – eletti a distanza di dieci anni – a capo della città. Rakau non aveva mai voluto porre piede in Dorea, né vi aveva inviato i suoi eserciti per saccheggiarla o distruggerla, limitandosi a farla sorvegliare dai suoi Draghi Neri ed a riscuotere consistenti tasse, senza interferire punto nella vita dei cittadini: sconfitto Arcolen e perduta Kyala, la Signora dei Draghi non provava alcun interesse per la capitale del suo nemico, poiché aveva ricchezze in confronto alle quali quelle di Dorea non erano che briciole; né aveva bisogno di raderla al suolo, dato che un'unica città non poteva certo arrecarle fastidi. Aveva avuto ragione, poiché in mille anni Dorea non si era mai fatta sentire, quasi fosse morta, scomparsa dalla faccia del mondo. Rakau aveva pensato che fosse per vigliaccheria e indolenza, mentre in realtà era soltanto profonda, totale fiducia nella Profezia di Arcolen, la diffusione della quale la Signora dei Draghi non era riuscita ad impedire, fiducia di cui ora Veldhris e compagni beneficiavano vivendo a palazzo come se vi avessero sempre abitato.
Di giorno, i compagni curiosavano in giro, esplorando la reggia, i giardini e la città; consumavano i loro pasti in modo informale, in una saletta privata o nei loro appartamenti, ed occupavano il tempo con i loro svaghi preferiti.
Un giorno – era passata una settimana dal loro arrivo – Sekor e Kejah si stavano dilettando al tiro al bersaglio con gli archi in un angolo del parco. Per quanto Sekor fosse un ottimo arciere, Kejah era una tiratrice troppo eccezionale perché lui sperasse di starle alla pari.
Mentre la cacciatrice si stava preparando a scoccare una nuova freccia, Sekor trasse di tasca un fazzoletto per asciugarsi il sudore dalla fronte, ma il pezzetto di stoffa gli cadde di mano e lui si chinò a raccoglierlo.
Kejah colse il movimento con la coda dell'occhio; la vista del solido posteriore del principe, avvolto da aderenti brache di tela, le fece trattenere il respiro ed allentare la presa sulla corda. La freccia partì ugualmente dalle sue dita improvvisamente prive di forza, ma non raggiunse il paglione e si piantò invece per terra. "Accidenti!" brontolò a voce abbastanza alta da permettere a Sekor di udirla.
Ignaro di essere la causa del suo disappunto, il principe si sollevò e, asciugandosi la fronte, cercò con lo sguardo il motivo dell'esclamazione di Kejah. Scorse la freccia tra l'erba e guardò la cacciatrice, assai sorpreso. "Che è successo?"
Con sua ancora maggior sorpresa, la vide arrossire. "Niente, mi sono distratta..." la udì borbottare. La sua espressione corrucciata era alquanto buffa, e assolutamente adorabile, e Sekor si sentì intenerito e stranamente felice. "Succede anche a me", disse per consolarla, ma era una bugia, perché non gli era invece mai accaduto. Cavallerescamente, andò a prendere la freccia, svellendola dal terreno, e tornò a rendergliela.
"Grazie", disse Kejah sorridendogli con gratitudine. Le loro mani si sfiorarono mentre la freccia passava dall'uno all'altra e la cacciatrice ebbe un sussulto. Imbarazzata, sogguardò Sekor per scoprire se l'aveva notato, ma lui si era già girato e stava scegliendo una nuova freccia dalla sua faretra postata per terra. Si tranquillizzò, senza sospettare che, in realtà, il principe s'era accorto del suo tremito, ma poiché lui stesso aveva avuto un sobbalzo, non era del tutto certo se fosse stata soltanto la propria immaginazione.
Scoccano cinque dardi a testa. Sekor fini per primo ed attese Kejah, osservandone affascinato i movimenti, precisi ed aggraziati ad un tempo. Com'è bella, gli saettò per la mente. D'un tratto, si rese conto di più cose contemporaneamente: che considerava Kejah bella non solo fisicamente; che stava bene con lei ancor più di come si era mai sentito con Veldhris; che quel pomeriggio a Necrodia, quando l'aveva difesa dal soldataccio che l'aveva apostrofata, i suoi sentimenti erano di gelosia... la profonda, furiosa gelosia del maschio che rivendica la propria femmina di fronte a un rivale; e ancora, che al solo pensiero di prenderla tra le braccia e di gustare le delizie del suo corpo si sentiva venir meno. E poi ancora, che desiderava averla al suo fianco per il resto della sua vita. "Kejah..." gli sfuggì, senza che neppure se ne rendesse conto.
Lei depose l'arco, avendo finito di tirare, e voltò il viso verso di lui per sorridergli. "Si?"
Sekor rimase a contemplarla incantato. E, guardando in quegli occhi, luminosi come verdi gemme attraversate dal sole, la frase gli salì spontanea alle labbra. "Io ti amo."
Il sorriso si spense sulle labbra di Kejah, che formarono una "O" di silenziosa sorpresa.
Equivocando la sua reazione, Sekor si affrettò ad aggiungere: "Perdonami, non avrei dovuto essere così precipitoso. Dovevo farti la corte, riempirti di attenzioni, darti il tempo di capire le mie intenzioni e, magari, di ricambiarmi, opp..."
S'interruppe di botto, perché Kejah gli era saltata al collo ed aveva posato la bocca sulla sua, impedendogli di continuare. Sbalordito, il principe rimase immobile per un istante, ma, sentendo la piccola lingua di lei sfiorargli le labbra, mollò l'arco che ancora teneva in mano e l'abbracciò strettamente, schiudendo la bocca per ricambiarla con trasporto. Pur sapendola alta quasi quanto lui e forte ed intrepida, in quel momento saturo d'emozione la sentì piccola e debole e fragile, abbandonata contro il suo petto. Il cuore gli batteva forte, impazzito, mentre le accarezzava piano la schiena.
Infine si lasciarono le labbra e si guardarono in viso, raggianti, gli occhi simili a stelle.
"Scusa la brusca interruzione", ridacchiò Kejah, sentendosi allegra come una bimba. "Se non facevo così non la smettevi più di parlare, e io invece stavo morendo dalla voglia di baciarti."
Sekor scoppiò a ridere. "Ah, ma allora non sono stato affatto precipitoso, al contrario!"
"Infatti", confermò lei, guardandolo con aria maliziosa. "Sono settimane che aspetto, fin da quando abbiamo lasciato Necrodia", quel nome infausto le fece calare un'ombra sul viso. Abbassò gli occhi, velandone lo splendore con le palpebre, e chiese quasi sottovoce: "E Veldhris?"
Anche il principe torno serio: già, e Veldhris? Erano settimane che non pensava più a lei, se non occasionalmente, e mai con i sentimenti di prima. "Le ho voluto molto bene", ammise, e Kejah deglutì a vuoto. "Gliene voglio tuttora, e gliene vorrò sempre, penso. Credo di esserne stato anche innamorato... ma non ne sono più tanto sicuro, se confronto quello che provavo per lei con quelli che provo per te adesso."
Kejah continuava a tenere gli occhi bassi, così lui le sollevò il mento con un dito per costringerla a guardarlo. "Non mi credi?" l'interrogò, preoccupato: per nulla al mondo era disposto a farle del male, ed era pronto a tutto per conquistare la sua fiducia oltre che il suo amore.
Kejah lo guardò negli occhi, due laghi azzurri e limpidi in cui si poteva vedere in profondità. Sorrise, lentamente, con convinzione. "Sì, ti credo."
"Allora sposami!" proruppe lui. "Voglio fare di te la mia regina, la Signora della Foresta del Vespro."
Fu la volta di Kejah di restare sbalordita: di tutto si era potuta aspettare dalla vita, ma non che un principe e futuro re le chiedesse di sposarlo! "Ma... Sono solo una cacciatrice, senza una goccia di sangue nobile nelle vene", obiettò, con poca convinzione perché il ceto sociale non era mai stato un ostacolo al matrimonio, nella Foresta del Vespro.
"Non è la nobiltà del sangue quella che conta", replicò infatti Sekor, "bensì quella del cuore. Oolimar e la stirpe di Zarcon ne sono un esempio. Pensi forse che Freydar sia meno nobile di me?
Kejah scosse il capo fulvo. "No, certo che no. È solo che..." Esitò. "Sarò immensamente felice di diventare tua moglie", buttò fuori di getto. "Se il talamo nuziale darà responso favorevole", aggiunse, strizzandogli un occhio ma arrossendo lievemente: era difatti consuetudine, presso il Popolo della Foresta, che una coppia di fidanzati andasse a vivere assieme per qualche tempo, solitamente nella casa che intendevano abitare dopo le nozze; in caso di rottura, la casa rimaneva all'uomo e le suppellettili alla donna, o viceversa. Tale periodo di prova veniva chiamato responso del talamo nuziale, sottintendendo un accordo delle anime oltre che dei corpi.
Sekor comprese al volo ed ebbe un sorrisetto malizioso. "Si può verificare subito", mormorò, afferrando Kejah e sollevandola in braccio.
Lei scalciò ridendo, aggrappandosi al collo del principe e lasciandosi trasportare verso il palazzo, dove entrarono da una delle porte di servizio. Chi li vide, e non furono esattamente in pochi poiché Palazzo Shyte era tutto un andirivieni di gente indaffarata, scosse il capo divertito ed un po' invidioso di tanta raggiante felicità.
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In quel torno di tempo cominciarono ad arrivare gli ambasciatori ed i legati delle province e dei regni, nuovi ed originari, che si estendevano nei territori dell'antico Impero di Shyte, che avevano conosciuto la Tirannide del Potere Oscuro e l'avevano subita, o le erano sfuggiti nascondendosi, come le otto Contrade Libere.
Per il Regno del Vespro giunse Rubis Fèduadil, cugina di secondo grado del defunto Re Samon e parente più prossima che Sekor rammentasse, cui il principe, oltre che al messaggio ufficiale dell'Erede di Arcolen, aveva inviato anche una missiva personale. L'ancor giovane donna – non raggiungeva infatti il cinquantesimo anno d'età – riabbracciò piangendo il giovane cugino creduto morto nella distruzione di Tamya.
Chiedendo notizie della sua patria, Veldhris venne a sapere che la capitale, distrutta oltre ogni speranza di ricostruzione, era stata abbandonata, e che a nuova capitale era stata eletta Steena, la seconda città del regno; nuovo capo, col titolo di reggente, era stata scelta proprio lei, Rubis Fèduadil, in quanto parente più prossima della Famiglia Reale. Tuttavia, ora che Sekor poteva rivendicare il titolo di Re del Vespro, tutto sarebbe tornato come prima, nella misura del possibile.
Per il Regno del Fiordo giunse Oolimar in persona, accompagnato dai due figlioletti e dalla madre di Freydar, sua prima cugina. Da lei, Freydar apprese che sua sorella Alorya aveva sposato Doran, e Veldhris ricordò che, partendo da Zarcon a metà dell'ottobre dell'anno precedente, i due si erano appena fidanzati col consenso del capitano. Allora la cosa – dover chiedere il permesso del capofamiglia per sposarsi – le era parsa irritante, abituata com'era alla libertà decisionale che nella Foresta del Vespro si raggiungeva ufficialmente con i vent'anni, ma che era ufficiosamente riconosciuta molto prima. Solo in seguito aveva imparato che non aveva alcun diritto di giudicare gli usi ed i costumi altrui.
Per il Regno di Kirtonia giunse nientemeno che Coriv, il quale fu felice di ritrovare il fedele Zonev ad accoglierlo. Il Kirton approvò in pieno la decisione del suo marescalco di donare a Veldhris l'Unicorna d'Oro scampata al sacrificio.
Il re-guerriero chiese maggiori ragguagli sulla triste fine del figlio Neys e della sua sposa Kareth, e portò la consolante notizia che la sua giovane seconda moglie Esteya era in attesa di un figlio, motivo per cui era rimasta a Kirton. Veldhris ne fu assai lieta, e pensò che la vita era ben strana: prima toglieva, e poi dava. A lei aveva tolto la famiglia e la casa, e le aveva dato un nome e l'amore; a Coriv aveva tolto un figlio, ed ora gliene dava un'altro; a Sekor aveva tolto un amore, e ne aveva dato un'altro... Non era un segreto infatti che il Signore della Foresta del Vespro e Kejah avevano scoperto di amarsi.
Giunsero poi molti altri rappresentanti di popoli e tribù che abitavano nei territori dell'impero, ed anche quelli di tutte le rimanenti Contrade Libere, che con la Foresta ed il Fiordo erano stati i rifugi del Potere Luminoso durante il Millennio di Tirannide: Aniltar, profondamente nascosta sotto i Monti Parran, un centinaio di chilometri a nord-nord-ovest di Dorea; Mulòria, in un'alta valle soleggiata degli stessi monti, duecento e più chilometri a volo d'uccello a nord-est di Aniltar; Faiza, isola al largo delle coste orientali dello Shyte, che era la Contrada Libera la cui ubicazione era conosciuta da Oolimar; Còrat, nebbioso sito sulle alte coste nordiche dell'oceano; Repa, su un altipiano delle Montagne Senzanome, nel punto in cui, ad est, la catena curvava verso nord; Lede, nelle ampie zone paludose al delta del fiume Nader, che sboccava nell'omonima laguna quasi esattamente a metà strada tra la Foresta del Vespro e Dorea. Veldhris aveva appreso l'ubicazione di ciascuna di esse grazie alla Corona di Luce, le cui infinite applicazioni la lasciavano ogni giorno più sbalordita: cominciava seriamente a dubitare che le avrebbe mai conosciute tutte.
Tutti gli ambasciatori ed inviati da ogni angolo dello Shyte furono pregati di accamparsi sui colli retrostanti Dorea, in attesa del grande conclave fissato per il cinque di luglio. Molti approfittarono di quell'attesa per conoscere i propri vicini, ed in quei giorni si strinsero nuove amicizie, se ne rinnovarono di antiche, fiorirono accordi commerciali, nacquero progetti comuni di scambi scientifici e culturali: un vero e proprio nuovo amalgama dei popoli dello Shyte, da troppo tempo divisi.
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E finalmente giunse il quinto giorno del mese di luglio. Un'alba luminosa salutò la città, i cui abitanti si stavano già dando da fare come formiche in un formicaio, apportando gli ultimi ritocchi ai preparativi per accogliere gli ambasciatori. Le bandiere e gli stendardi con le insegne della Corona di Luce garrivano al vento su tutte le torri ed i pinnacoli di Dorea, ed un labaro, di pesante e prezioso velluto, era stato appeso all'architrave del grande arco privo di portali che fungeva da ingresso alla città dal lato nordoccidentale.
Alle otto cominciò la sfilata dei cortei diretti a Palazzo Shyte, ciascuno portando in testa il proprio vessillo. Per non far torto a nessuno, Veldhris aveva stabilito l'ordine d'entrata prendendo i nomi di regni e province e seguendo l'alfabeto. Pertanto, Aniltar fu il primo ad entrare reggendo il proprio stendardo, una stalagmite ed una stalattite d'argento su fondo marrone, e l'ultimo fu Zarcon, con il suo stemma di cielo e di mare. Scorgendolo dalla sua stanza dove stava finendo di prepararsi, Veldhris sorrise rammentando i giorni passati nella città di corallo, ospite di Oolimar; in uno scrigno, tra gli splendidi gioielli recati in dono dagli ambasciatori, c'era anche il medaglione donatole dal Re del Fiordo, materialmente forse meno prezioso di altri, ma per lei di valore infinitamente superiore, essendo il simbolo della prima amicizia che si era vista offrire da uno straniero.
Alle dieci, tutti gli ambasciatori, inviati e legati, circa una trentina, erano riuniti nella vasta sala del trono, situata al centro di Palazzo Shyte, sul lato opposto all'ingresso principale, che era quello varcato da Veldhris e compagni il giorno del loro arrivo. Tutti fremevano d'mpazienza e d'aspettativa e di curiosità, ed era tutto un vociferare, supporre, rimuginare e scambiarsi opinioni.
Tuttavia, quando d'un tratto s'udì uno squillar di trombe d'argento, tutti tacquero e corsero ai propri posti, seggi di prezioso legno di mogano intarsiato situati lungo le due pareti laterali, suddivisi in due file di quindici posti ciascuna: sessanta in tutto. Quella era infatti la sala dove un tempo soleva riunirsi il Consiglio della Corona a deliberare con la Coppia Imperiale. Ora gli ambasciatori, appena la metà dei consiglieri previsti, occupavano le prime file, in ordine inverso rispetto all'entrata, sicché Oolimar di Zarcon si trovava nel primo posto alla destra dell'alto trono, mentre la regina Zamìra di Aniltar era seduta nell'ultimo seggio sulla sinistra.
L'araldo, secondo le istruzioni ricevute, procedette con l'annuncio: "Sua Altezza Imperiale la principessa Veldhris Yuniadil, Portatrice della Corona di Luce."
Trenta paia d'occhi si volsero, pieni d'aspettativa, verso le porte principali della sala. Due valletti stavano spingendo i battenti verso l'esterno. Tutti tesero il collo per vedere meglio.
Ci fu un movimento di là dalla soglia, poi apparvero, affiancati, Freydar e Roden, l'uno nell'alta uniforme dei guerrieri di Zarcon con le insegne del suo grado e lo spadone appeso al fianco, e l'altro nella divisa di gala della Gilda dei Boscaioli con la grande ascia appesa dietro la schiena; li seguivano Sekor e Kejah, il primo abbigliato in modo confacente al suo rango, con lo stemma della Famiglia Reale di Tamya – l'Albero Albino – ricamato sul petto e la snella spada alla cintola, la seconda vestita nell'uniforme festiva della Gilda dei Cacciatori, con l'arco appeso in spalla assieme alla faretra. In tutta la sala erano gli unici ad essere armati, dato che persino le guardie d'onore presenti, su ordine di Veldhris, erano disarmate.
I quattro giovani si schierarono due per lato l'uno di fronte all'altro e, in perfetta sincronia, presentarono le armi, secondo il cerimoniale previsto per simili occasioni, del quale Ukòmer li aveva dettagliatamente informati.
"Eccola!" bisbigliò qualcuno, ma in quel silenzio quasi sovrannaturale lo udirono in tutta la sala.
Sulla soglia era apparsa Veldhris, l'Erede di Arcolen.
Indossava un lungo abito che riprendeva i colori dello stemma imperiale, di rasatello blu notte bordato d'oro; una cintura d'oro tempestata di zaffiri le cingeva i fianchi, scendendo sul davanti in un listello uguale lungo fino alle ginocchia; l'ampia scollatura, che lasciava scoperte le spalle, era impreziosita da una splendida collana, pure d'oro e zaffiri, accompagnata da un paio di orecchini di ugual fattura.
Naturalmente, però, era la Corona di Luce ad attrarre l'attenzione più di ogni altra cosa.
Portate con disinvolta fierezza, le Gemme Gemelle sfolgoravano del loro fuoco interiore sulla fronte di Veldhris, abbagliando i presenti, incatenando i loro occhi, rapendo i loro cuori.
Fu Coriv, il rude e generoso sovrano-guerriero, il primo a riprendersi. "Sia reso omaggio all'Imperatrice di Shyte!" tuonò e, dando l'esempio, posò un ginocchio a terra, chinando il capo e toccandosi la fronte con la destra, per poi risollevare lo sguardo e posare la mano aperta sul cuore.
Tutti imitarono il fiero Re dell'Unicorno, inginocchiandosi e rendendo l'omaggio imperiale alla Portatrice della Corona.
Veldhris, emozionata ma esteriormente serena, avanzò nella lunga sala, seguita a tre passi di distanza dai suoi amici, che mantenevano lo schieramento. Man mano che procedeva, gli ambasciatori e legati si risollevava, tenendosi rispettosamente in piedi. Tutti gli occhi seguivano affascinati la figura femminile che, con eleganza eppure con semplicità, avanzava sul tappeto blu frangiato d'oro che dall'ingresso portava al trono.
Giunta alla pedana di sei scalini su cui si trovava l'alto seggio imperiale, Veldhris esitò impercettibilmente: aveva il diritto di sedervisi? Poi penso di sì, poiché lei era pur sempre l'Erede di Arcolen, sebbene non fosse ancora l'Imperatrice di Shyte, e pertanto salì i sei gradini, ampi e profondi, prendendo posto sulla sinistra, in posizione femminile: il trono infatti era stato progettato per due persone, la Coppia Imperiale, che regnava assieme in diarchia, la forma di governo istituita poi a Tamya dalla Famiglia Reale, inconsapevole erede della Stirpe Eccelsa.
A fianco della Portatrice della Corona, uno scalino più in basso, sedettero Freydar e Sekor sulla destra, Roden e Kejah sulla sinistra, sulle sedie per loro volute da Veldhris.
Gli ambasciatori attesero in rispettoso silenzio.
Veldhris parlò; la sua voce si alzò pacata, ma decisa. "In questo fausto giorno", disse, "sono felice della presenza dei rappresentanti di tanti popoli diversi attorno alla mia persona. Prego, sedete."
I presenti obbedirono, prendendo posto ciascuno sul proprio seggio.
Veldhris lanciò un'occhiata a Sekor, col quale aveva elaborato gran parte del discorso che intendeva tenere, ma il principe stava guardando Kejah. Veldhris sorrise tra sé: era veramente felice per quei due. Senza altri indugi, riprese a parlare. "La vostra presenza oggi, qui, in questa antica dimora, suggella la caduta del Potere Oscuro, che mille anni or sono, nella persona di Rakau, sconfisse con l'inganno Arcolen, ultimo Imperatore di Shyte. Morendo, egli profetizzò l'avvento di un suo erede che avrebbe sconfitto la Signora dei Draghi Neri usando la Corona di Luce, e Rakau, per preservarsi, fece uccidere l'unico figlio di Arcolen, Rossar. L'Imperatrice Kyala, però, riuscì a fuggire con il fido scudiero Zarcon; ancora non lo sapeva, ma l'imperatrice portava in seno un altro figlio di Arcolen, una bambina il cui nome fu Nidal. A tempo debito, Nidal si sposò ed ebbe un figlio, Deegor, che una volta adulto volle lasciare il fiordo nascosto dove la nonna e Zarcon avevano fondato un regno, per cercare altre terre, lasciando il comando all'ormai anziano Zarcon e ai suoi discendenti. Ebbene, il Regno del Fiordo continuò a prosperare sotto la stirpe di Zarcon lo Scudiero, e Re Oolimar, assieme a suo cugino il Principe Freydar, sono suoi discendenti diretti."
Veldhris s'interruppe un istante per guardare Freydar ed Oolimar, che furono bersagliati da occhiate incuriosite, sebbene tutti i presenti fossero al corrente, chi più chi meno, delle loro vicende e di quelle della loro Contrada Libera.
"Nidal e Deegor", proseguì Veldhris, "fondarono un altro regno nascosto, il Regno della Foresta del Vespro, che prosperò in pace e serenità. A poco a poco le storie antiche e la Profezia di Arcolen caddero nell'oblio e furono considerate leggende e favole. Ma la Stirpe Eccelsa continuò senza interruzioni, discendendo per lunghi secoli di primogenito in primogenito fino a me, l'Erede di Arcolen, e a Sekor Samonden, mio cugino."
L'attenzione del pubblico si spostò sul principe e poi nuovamente sull'oratrice, che proseguì imperterrita. "Siete stati convocati e siete giunti da terre tanto lontane desiderosi di veder ristabilito un impero sotto la guida della Stirpe Eccelsa. Siete qui riuniti per assistere all'incoronazione e per prestare giuramento, con l'assicurazione dell'autonomia che era consuetudine accordare ai tempi dell'antico impero. Tali, perlomeno, mi auguro siano i vostri intenti, altrimenti le vostre richieste saranno esaminate con spirito obiettivo. Nessun timore dovrà impedirvi di esprimervi."
Nuovamente Veldhris tacque, in attesa. Nessuno parlò, vuoi per l'emozione del momento, vuoi perché effettivamente non vi era alcuna obiezione: da troppo tempo ormai l'unico desiderio di tutti i popoli di Shyte era stato semplicemente di veder ricostituito l'impero così com'era in passato, senza che ad alcuno fosse balenata l'idea di cambiare qualcosa dell'antico ordinamento.
"Allora", riprese Veldhris, "desidero che adesso prestiate giuramento di fedeltà e vassallaggio al trono degli Imperatori di Shyte... sul quale io, Portatrice della Corona, non siederò quale imperatrice."
Ci fu un istante di assoluta paralisi. Tutto tacque, e persino l'aria parve immobile, cristallizzata in un attimo al di fuori del tempo. Poi le parole dell'Erede di Arcolen penetrarono nelle menti ed assunsero significato. Tutti gli occhi si dilatarono, alcune bocche si spalancarono, qualcuno balzò dal seggio come punto da una vespa. Anche Roden, Kejah e Sekor la fissarono, allibiti. L'unico a non reagire fu Freydar, che era già a conoscenza dei propositi della compagna.
Veldhris troncò qualsiasi protesta alzandosi i piedi e sollevando le braccia in un imperioso cenno di far silenzio.
Nessuno osò fiatare.
Assicuratasi che non sarebbe stata interrotta, la cantante riprese il discorso. "Non sono adatta ad assumermi questo ruolo", spiegò. "Non ho ricevuto l'educazione necessaria, né sento di averne l'inclinazione. Per essere sincera, ho paura. Chiamatela pura codardia, se vi fa piacere. Tuttavia, lo Shyte ha bisogno di qualcuno che abbia fermezza, capacità e saggezza sufficienti per guidarlo fuori dai bui secoli della dominazione del Potere Oscuro, virtù che il solo possesso della Corona di Luce non conferisce. Io non sono all'altezza di un simile compito, sebbene le mie gesta possono forse far apparire il contrario. Dobbiamo tener presente che sconfiggere Rakau era il mio destino, e non una mia scelta. Scelta che ora invece posso, e per il bene dello Shyte devo, compiere: dargli una guida capace di riportare l'antico impero alla gloria e alla prosperità di un tempo, un fardello che le mie spalle sono troppo deboli per sopportare." Veldhris si volse verso Sekor, che la stava guardando, come tutti i presenti eccetto Freydar, ad occhi sgranati. "Sekor, cugino mio", disse, "tu hai le qualità necessarie per riuscire. Hai ricevuto un'educazione adeguata, e la tua indole è quella di un capo saggio e determinato: ciò di cui lo Shyte ha bisogno adesso. Tu che sei dello stesso mio sangue, discendente come me di Arcolen il Grande, a tua volta quindi membro della Stirpe Eccelsa, vuoi accettare l'incarico che ti lascio, e portarlo sulle spalle tue e della tua casata?"
Smarrito, sconvolto, Sekor si alzò vacillando dalla sedia. Fissò Veldhris incredulo, ancora incerto di aver inteso bene. "Vuoi dire..." cominciò con voce roca. S'interruppe e si schiarì la gola, incapace di raccogliere le idee. "Ma la C... Corona di Luce?" balbettò infine.
"Finora Imperatore e Portatore sono sempre stati la stessa persona", disse Veldhris. "D'ora innanzi, non lo saranno più. Poiché la Corona di Luce passa di primogenito in primogenito, essa rimarrà a me e ai miei discendenti, mentre il trono di Shyte sarà tuo e della tua progenie."
Sekor guardò altrove e si passò una mano sugli occhi, come a snebbiarsi la vista offuscata. Lui, Imperatore di Shyte? Ma se non era stato destinato a diventare nemmeno il Re del Vespro! E poi, non voleva defraudare Veldhris del suo diritto di primogenitura...
Tornò a guardarla, deciso a persuaderla di ritornare sulla sua decisione. Qualcosa negli occhi di lei lo bloccò: era un'invocazione d'aiuto. Veldhris non avrebbe cambiato idea, perché aveva veramente paura. Un tempo aveva avuto paura di non riuscire a sconfiggere Rakau, ma era andata avanti perché quello era stato solo un dubbio; ma ora, la sua era una certezza. Non ci sarebbe stato nulla da fare: se lui rifiutava, l'avrebbe costretta a diventare l'imperatrice, perché non c'era nessun altro della Stirpe Eccelsa, e lei si sarebbe spezzata in due nel tentativo di non fallire il suo compito, perché aveva ragione affermando di non esserne all'altezza. Era stata all'altezza di essere la profetizzata Erede di Arcolen, la Portatrice della Corona di Luce capace di distruggere le Quattro Pietre del Potere Oscuro, ma non per essere imperatrice.
"Va bene" disse pertanto, udendo la propria voce come da una grande distanza. "Accetto."
Il sollievo e la gratitudine che lesse negli occhi di Veldhris lo convinsero, più che tante parole, della giustezza della sua decisione.
Veldhris gli tese una mano, e Sekor avanzando d'un passo gliela prese. La cantante lo tirò accanto a sé, alla destra del trono, e lo fece sedere su di esso. Poi si alzò e discese i gradini della predella; voltandosi verso di lui, pose un ginocchio a terra chinando il capo e toccandosi la fronte, quindi risollevò gli occhi e si portò la mano al cuore, nell'omaggio imperiale. "Ti saluto, Sekor Samonden, Imperatore di Shyte", disse con voce squillante. "Io giuro fedeltà e obbedienza, in tempi di ricchezza e in tempi di povertà, in pace e in guerra, al trono degli Imperatori di Shyte. Così in fede ho parlato io, Veldhris Yuniadil, Portatrice della Corona di Luce."
Si rialzò con grazia, risalì la scalinata e prese posto sul seggio lasciato vuoto da Sekor.
Allora si alzò Freydar. Discese i gradini facendo un cenno d'incoraggiamento ad Oolimar, che si affrettò a raggiungere il cugino; assieme, i due si genuflesse davanti a Sekor ed il Re del Fiordo proferì l'antico e solenne giuramento di vassallaggio e fedeltà, che Veldhris aveva appena formulato, a nome suo e del suo popolo.
Quindi, nell'ordine che era stato stabilito in precedenza e che rispecchiava l'ubicazione dei seggi, ad uno ad uno tutti gli ambasciatori e legati seguirono l'esempio, chi con voce esitante, non ancora ripresosi dallo sbalordimento o dal dubbio, chi con convinzione, come Coriv, che conosceva ed apprezzava Sekor fin dal loro incontro in Kirtonia.
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Poiché tutte le decisioni da prendere in materia di politica dovevano essere rimandate a dopo l'incoronazione, che avrebbe ufficialmente consacrato Sekor quale Imperatore di Shyte, il conclave venne sciolto poco dopo che tutti ebbero prestato giuramento dinnanzi al trono.
Sekor si alzò ed uscì, percorrendo il lungo tappeto blu seguito da Veldhris al braccio di Freydar e da Kejah al braccio di Roden; gli ambasciatori si inchinarono al suo passaggio, rimanendo poi rispettosamente in piedi, liberi di uscire o di restare dopo il congedo dell'imperatore.
Appena fuori della sala del trono, Veldhris si scusò con Sekor. "Mi sento è esausta: ero tesissima, lì davanti a tutti quegli ambasciatori. E con quello che avevo da dire, poi! Mi permetti di ritirarmi?"
Sekor la guardò dritta negli occhi. "Voglio che sia chiara una cosa, Veldhris: imperatore o no, io resto sempre Sekor, tu cugino e amico. Non dovrai mai chiedermi il permesso per nulla, se non negli affari di stato."
La cantante gli sorrise; gli fece quindi un semplice cenno di saluto e prese allontanandosi accompagnata da Freydar, che non si esentò dal rivolgere un inchino a Sekor, ricambiato da un'occhiataccia.
"Lo stesso vale per tutti voi, beninteso", disse il neo Imperatore, rivolgendosi a Roden e a Kejah. "Siamo d'accordo?"
"D'accordo", confermò il gigante della Foresta.
Kejah non rispose, limitandosi ad annuire. Aveva un'espressione così triste che a Sekor si strinse il cuore. Aprì bocca per porle una preoccupata domanda, non comprendendo la ragione della sua scontentezza, ma in quella arrivò un messaggero. "Perdonate, Maestà..."
Sekor si giro verso il soldato. "Sì, cosa c'è?"
"Il Siniscalco Ukòmer chiede un colloquio a voi e alla Portatrice della Corona. Riguarda l'incoronazione, e dice che è urgente."
Sekor di volse a guardare Kejah per scusarsi, ma si accorse che la cacciatrice si era allontanata, come da accordi senza chiedere il permesso. Roden invece era rimasto.
"Ma dov'è andata?" domandò Sekor, meravigliato.
"Ha detto che si ritirava nel suo appartamento", rispose Roden, fissandolo: non ignorava il sentimento che univa l'amico e la cugina e, da come Sekor avrebbe reagito in quel momento, il boscaiolo avrebbe capito se, nei confronti di Kejah, sarebbe prevalso l'imperatore o l'innamorato.
Sekor si rivolse al messo. "Dì al siniscalco che sono spiacente, ma affari ancor più urgenti richiedono la mia attenzione. Pregalo di attendere la mia convocazione."
Detto questo, partì di gran carriera lungo il corridoio in direzione delle stanze di Kejah, lasciando il messaggero sbalordito.
Roden sorrise: era prevalso l'innamorato, e conoscendo il senso del dovere di Sekor, la cosa era significativa. No, decisamente non aveva alcun bisogno di preoccuparsi per Kejah.
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Sekor giunse come un turbine di vento davanti alla porta delle stanze di Kejah, quasi travolgendo la cameriera che le era stata messa a disposizione.
La donna, ancora ignara dell'inaspettata conclusione del conclave degli ambasciatori che aveva portato Sekor sul trono, gli sbarrò il passo. "Non potete entrare: la signora desidera rimanere sola."
Per un istante, il principe fu tentato di spingere semplicemente da parte l'inserviente ed entrare senz'altro, ma si trattenne in tempo: non poteva trattare così rudemente l'innocente donna, né tantomeno insultare Kejah ignorandone i desideri. Si rivolse pertanto alla servitrice. "Ti prego, dì alla signora che ho bisogno di lei. Qualunque cosa possa accadere, avrò sempre bisogno di lei. Ma se proprio non vuole vedermi, allora mi siederò qui sulla soglia e aspetterò finché diventerò vecchio e curvo. Dille esattamente così, hai capito bene?"
Vedendo il grande turbamento che era in lui, la donna, che si chiamava Tanéa, si commosse e si affrettò ad annuire, correndo poi fino alla porta della camera di Kejah, alla quale bussò discretamente.
"Chi è?" giunse dall'interno una voce alterata.
Tanéa comprese che Kejah stava piangendo e le dispiacque, poiché si era affezionata a quella giovane donna dal carattere dolce ed allegro.
"Signora, sono Tanéa", disse. "C'è qui il Principe Sekor. Vi manda a dire che ha bisogno di voi, qualunque cosa accada, e che se non volete vederlo, si siederà sulla soglia dell'appartamento fino a diventare vecchio e curvo. Mi ha detto proprio così, signora!"
Attraverso la porta filtrò un singhiozzo soffocato. Per un istante, Tanéa temette che Kejah si rifiutasse di ricevere Sekor e si domandò come avrebbe potuto convincerla, dato che disapprovava che due innamorati, dopo aver bisticciato, si tenessero il muso senza spiegazioni. Tale pensava infatti fosse la ragione del comportamento dei due giovani.
"Fallo entrare", udì invece Kejah dire.
Sollevata, Tanéa tornò di corsa da Sekor. "Andate, andate, Altezza, la signora ha detto..."
S'interruppe, poiché stava parlando all'aria: come un fulmine, Sekor s'era già dileguato. Tanéa sorrise, scuotendo indulgente il capo e ricordando con una punta di nostalgia i tempi passati, quando anche lei era stata una ragazza innamorata.
Sekor bussò brevemente alla porta delle stanze di Kejah, poi senza attendere entrò. La cacciatrice aveva tentato di sistemarsi, ma le tracce delle lacrime sul suo volto erano ancora evidenti; l'arco e la faretra erano stati gettati per terra vicino alla porta, e sul letto c'era ancora l'impronta del suo corpo.
Vedendo tutto ciò, Sekor si sentì preda dell'angoscia. Lanciando un'esclamazione soffocata, corse incontro a Kejah e l'abbracciò. Lei si aggrappò alle sue spalle. "Cuor mio, perché? Perché queste lacrime?" l'interrogò Sekor, scosso.
Kejah scrollò il capo e nuove lacrime spuntarono nei suoi occhi, impedendole di parlare.
Sekor la strinse a sé, attendendo pazientemente che la cacciatrice riuscisse a dominarsi.
Infine, Kejah si fece forza e spiegò quello che l'angustiava. "Stai per diventare l'Imperatore di Shyte, Sekor... Mi hai chiesto di sposarti, e io ho accettato, ma allora tu eri soltanto il Signore della Foresta... Io sarei diventata regina, e la cosa non mi spaventava, con te al mio fianco e in un luogo che conosco fin dalla nascita... Ma adesso... adesso tu sarai imperatore, e se Veldhris, che è più forte di tutti noi messi assieme, se nemmeno lei si è sentita di diventare imperatrice, come posso farlo io...?"
Sekor si sentì indicibilmente sollevato: dunque, era solo questo? Poiché l'aveva ritenuta adatta a divenire Regina del Vespro, non era stato neppure sfiorato dal dubbio che lei non fosse in grado di assumere il ruolo di Imperatrice di Shyte. "Non è questione di forza", le disse pertanto. "È questione di adattamento. Veldhris non si sarebbe mai adattata al ruolo di imperatrice. Già le è stato molto difficile adattarsi al ruolo di Erede di Arcolen e poi a quello di Portatrice della Corona. Non poteva chiedere di più a se stessa, costringendosi ad adattarsi anche a quello di imperatrice. Per te il compito sarà più facile, perché dovrai adattarti a un solo ruolo nuovo, e non a tre di seguito, come Veldhris. Sempre che tu lo voglia, naturalmente..." concluse, scrutandola ansioso.
Vedendo il suo timore, Kejah scosse il capo, affrettandosi a rassicurarlo. "Non è che non voglia. Non chiedo di meglio che rimanere al tuo fianco, sempre e comunque, ma non sono sicura di riuscirci, come imperatrice..."
"Potrò aiutarti io", disse Sekor, sollevato. "Potrò farlo come non avrai mai potuto con Veldhris."
Kejah però aveva già preso la sua decisione: se n'era resa conto nell'istante in cui aveva pronunciato l'ultima frase, che riecheggiava delle parole della formula nuziale. Ora le ripeté, guardando il principe negli occhi. "Là dove sarai tu, anch'io sarò."
Riconoscendo le parole, Sekor si commosse e l'abbraccio strettamente, e lei ricambiò la stretta, sentendo svanire in sé come neve al sole l'orribile sensazione d'inadeguatezza che l'aveva attanagliata: dopotutto, essere Regina del Vespro o Imperatrice di Shyte non le faceva molta differenza, purché Sekor non l'abbandonasse mai. Piuttosto la morte, pensò, improvvisamente comprendendo il desiderio dell'adorata gemella Kareth di seguire la sorte di Neys, suo marito.
Ma Sekor non l'avrebbe mai abbandonata, e negli anni a venire, lunghi e colmi d'ogni benedizione, gliel'avrebbe dimostrato.
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Nel tardo pomeriggio, Sekor ricevette il Siniscalco Ukòmer assieme a Veldhris.
Ukòmer esitò brevemente, poi s'inchinò prima di fronte a Sekor e successivamente a Veldhris, facendo infine una smorfia alquanto imbarazzata. "L'etichetta di corte non prevede una simile situazione", spiegò, allargando le braccia in un gesto frustrato. "Teoricamente, il Portatore della Corona è sempre anche l'Imperatore di Shyte, e viceversa, ma adesso cambia tutto. A chi si deve rivolgere prima la riverenza? Si può rendere l'omaggio imperiale anche al Portatore della Corona, sebbene non sia l'Imperatore? E via di questo passo. Una faccenda piuttosto delicata."
"Eppure di facile soluzione", dichiarò Veldhris, sentendosi alquanto divertita da quell'imbarazzo. "È la Coppia Imperiale che regna e il Portatore della Corona le deve obbedienza e fedeltà. Pertanto, cancellate la definizione Portatore della Corona dai vostri libri di etichetta, e rendete l'omaggio prima alla Coppia Imperiale, quando essa è presente, oppure a chi è di rango più elevato tra coloro che incontrate. Come regola mi pare più che sufficiente."
Ukòmer accennò di sì con la testa e parlò lentamente. "Sono d'accordo, in linea di massima, Altezza, ma il Portatore della Corona, secondo me, ha diritto a un trattamento speciale, che lo distingua dagli altri principi e re dello Shyte, perché non è solo un membro della Stirpe Eccelsa, ma appunto anche il Portatore della Corona. Elaborerò un nuovo cerimoniale e credo che..."
"Non penso siate qui per discorrere del galateo, non è vero, Siniscalco?" chiese Sekor sorridendo, interrompendolo garbatamente. "Accomodatevi e spiegateci di cosa volevate parlarci."
Confuso, Ukòmer tacque. "È vero! Sto divagando", ammise, prendendo posto sulla poltrona che Sekor gli indicava. "Maestà, si tratta di un problema collegato, ma di ordine più pratico: finora, gli Imperatori di Shyte sono sempre stati incoronati con la Corona di Luce. Adesso però è chiaramente impossibile, dato che il Portatore e l'Imperatore non sono più la stessa persona."
Veldhris aggrottò la fronte. "Perdonate la mia ignoranza, Mastro Ukòmer, ma solitamente non si incoronava una coppia, la Coppia Imperiale?"
"Sì, certo, perché la forma di governo è la diarchia, non la monarchia."
"Dunque se il Portatore veniva incoronato con la Corona di Luce, con che cosa si incoronava l'imperatrice?"
"Per l'imperatrice c'era il Diadema Imperiale di Shyte, naturalmente."
"E nel caso che la Portatrice fosse una donna, non c'era una corona anche per l'imperatore?" concluse Veldhris.
Ukòmer sgranò gli occhi, comprendendo infine dove lei volesse arrivare. "Ma certo! Era così semplice che non c'ero arrivato... La Tiara Imperiale di Shyte!" poi guardo Sekor, dubbioso. "Ma sarà sufficiente? Voglio dire, il lignaggio della Tiara e del Diadema Imperiali è altissimo, ma la Corona di Luce è un'altra cosa."
Sekor sorrise della preoccupazione del siniscalco, che giudicava eccessiva: lui non avrebbe dovuto neanche cingere la corona del Regno del Vespro, figuriamoci quella di Shyte! "Appunto, e un'altra cosa, concordo", disse. "Appartiene a Veldhris e alla sua discendenza. La Tiara e il Diadema Imperiali andranno benissimo, e sono molto di più di quanto mi aspettassi dalla vita sei mesi fa, o anche meno."
Ukòmer assenti. "D'accordo, Sire. Una questione è quindi risolta."
"Volete dire che ce n'è un'altra?" indagò Veldhris, poiché il siniscalco non accennava a proseguire.
L'uomo si schiarì la gola, imbarazzato. "Esatto, Altezza, ma vedete... È una questione un po' delicata."
"In che senso?" incalzò la cantante, dato che Ukòmer c'era nuovamente interrotto.
"Ecco, nel senso che coinvolge la vita privata di Sua Maestà", spiegò il siniscalco. "Lo Shyte è retto dalla diarchia di una Coppia Imperiale, mentre voi, Sire... Cioè, non avete..."
S'impappinò e tacque, rosso come un peperone.
Sekor però aveva capito perfettamente. "Intendete dire che io non sono sposato, mentre dovrei esserlo, per essere incoronato secondo la legge."
"Ebbene, poiché mi avete risparmiato l'imbarazzo di dirvelo, sì, Sire, è così", confermò il siniscalco, annuendo.
Sekor sorrise, sentendosi all'improvviso felice come un bambino. "Ma non è affatto un problema, amico mio! Ho chiesto a Kejah Lyaradil di sposarmi, e lei ha accettato."
Veldhris lancio un'esclamazione di gioiosa sorpresa e gettò le braccia al collo del giovane uomo, stampandogli un grosso bacio sulla guancia. "Evviva, cugino, ti sei deciso! Felicitazioni!"
Sekor scoppiò a ridere, facendo eco alla risata di Veldhris.
Anche Ukòmer, trascinato da quell'allegria, sorrise e si alzò, soddisfattissimo. Rese omaggio a Sekor. "Allora è tutto risolto, Maestà. Permettetemi ora di organizzare la doppia cerimonia. Chiedo licenza."
"Andate, andate, mio buon Ukòmer", lo congedò Sekor, senza smettere di sorridere a trentadue denti. "Grazie."
Ukòmer tornò ad inchinarsi, poi uscì. Bene, bene, pensò. Un imperatore gentile, e un'imperatrice bellissima, ed entrambi intelligenti e coraggiosi: una coppia degna dell'antico impero.
OOO
I preparativi per l'impegnativa doppia cerimonia si svolsero in un clima frenetico, ma perfettamente ordinato, sotto la supervisione del Siniscalco Ukòmer, che in soli dieci giorni organizzò tutto fin nei minimi particolari.
In passato, ai tempi dell'Antico Impero – il nome era ormai assurto alla dignità di maiuscola, in contrapposizione all'imminenza del Nuovo Impero – era accaduto assai raramente che si celebrasse assieme un matrimonio ed un'incoronazione, essendo che la longevità delle genti di Shyte lasciava molto tempo agli eredi di scegliersi un compagno. Se uno dei componenti della Coppia Imperiale rimaneva prematuramente vedovo, continuava a regnare come Reggente, finché il primogenito non si sposava e poteva quindi accedere al trono con il consorte, ed era stato in questi casi che si era assistito ad una doppia cerimonia come quella che stava per essere celebrata. Quindi, alla già grande eccitazione per un'incoronazione attesa da mille anni si aggiungeva l'emozione per un matrimonio tra due personaggi già popolari come Sekor e Kejah, e i doreani attesero trepidanti il quindici di luglio, giorno fissato per la doppia cerimonia.
OOO
Ed il gran giorno finalmente giunse. Il sole sorse in un'alba tripudiante, luminosissima, preannunciando una splendida giornata estiva.
I due riti concatenati si svolsero nella sala del trono, alla presenza di tutti i rappresentanti dei popoli di Shyte, dei loro seguiti e degli esponenti più in vista della popolazione cittadina.
Ed in quel giorno, il quindicesimo dell'ardente mese di luglio, Sekor Samonden e Kejah Lyaradil divennero marito e moglie dinnanzi al mondo. E dopo di ciò, Oolimar Re di Zarcon recò a Veldhris Yuniadil, Portatrice della Corona di Luce, il Diadema e la Tiara Imperiali, che lei pose sul capo degli sposi, ed essi divennero i nuovi Imperatori di Shyte. Nei tempi a venire, per proclama imperiale, sarebbe sempre stato privilegio dei Re di Zarcon recare la Tiara ed il Diadema di Shyte alla cerimonia di incoronazione, e sarebbe sempre spettato ai Portatori della Corona di Luce consacrare gli Imperatori di Shyte.
Grandi festeggiamenti seguirono la doppia cerimonia, sia a Palazzo Shyte, sia nelle strade e nelle piazze di tutta Dorea. Veloci messaggeri portarono la notizia in ogni angolo del ricostituito impero, e tutti furono felici, poiché tutto è bene quel che finisce bene.
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