Capitolo XXIII: L'alba di una nuova era
Capitolo XXIII: L'alba di una nuova era
La notizia del trionfale compimento della Profezia di Arcolen dilagò per tutta Necrodia come l'onda montante di un fiume in piena. In capo ad un'ora dall'istante in cui la Grande Vampa aveva disintegrato Rakau e le Quattro Pietre, non c'era uomo o donna, vecchio o bambino, povero o ricco in tutta la città che non sapesse cos'era accaduto al Palazzo dell'Oscurità. Ci furono scene di gioia e di panico nelle strette viuzze della tenebrosa capitale dell'ormai decaduto regno di Rakau, ma furono episodi sporadici: quello che prevalse, infatti, fu un senso di profonda incertezza. Tutti si chiedevano come sarebbe stata la vita di ciascuno, adesso che stava per essere ripristinato l'antico e glorioso Impero di Shyte e che la Stirpe Eccelsa stava per tornare al potere. La Portatrice della Corona, l'Erede di Arcolen venuta secondo la profezia dell'ultimo Imperatore, avrebbe punito le numerose efferatezze dei favoriti e dei cortigiani di Rakau... oppure si sarebbe alleata con loro?
Lacerati tra la sfiducia e la disillusione create da secoli di soprusi e violenze da una parte e la speranza di un avvenire migliore dall'altra, gli abitanti di Necrodia decisero di attendere gli eventi prima di abbandonarsi alla gioia o alla disperazione, ed una grande folla silenziosa andò radunandosi spontaneamente al cancello, ai piedi del monolito su cui era costruito il Palazzo dell'Oscurità.
Le sentinelle poste a guardia del grande cancello, tuttora spalancato sulla precipitosa fuga degli invitati alla Cerimonia della Fusione, vedendo quel l'assembramento, quieto ma vibrante d'aspettativa, si guardarono le une con le altre senza sapere cosa fare. Privi di ordini superiori, abituati ad obbedire senza pensare, si trovavano adesso completamente impreparati ad affrontare la situazione. Così, deposero semplicemente le armi e disertarono, unendosi alla folla in attesa. Sebbene i cancelli rimanessero in tal modo incustoditi, nessuno osò avventurarsi su per le strette rampe d'accesso, e restarono tutti col naso per aria, in attesa.
OOO
Veldhris era distesa sul letto della sua camera, attorniata dagli amici, con Rollie accucciato al suo fianco. Kejah l'aveva aiutata a spogliarsi dell'abito e dei gioielli, poi a sciogliersi i capelli ed a ripulirsi il viso dal pesante belletto. In tutto il palazzo non era rimasta anima viva, né invitati, né servi, né armigeri.
Gli uomini si erano ritirati con discrezione, ma Veldhris li aveva fatti richiamare da Kejah: era stanca, ma riteneva che la loro presenza, più che la loro assenza, l'avrebbe aiutata a rilassarsi.
Così, adesso erano tutti lì, attorno a lei, con Freydar seduto sul letto a tenerle una mano e gli altri seduti o in piedi in vari punti della stanza.
"Sto già molto meglio. Anzi, comincio ad aver fame", dichiarò Veldhris, cercando di rassicurare gli amici che vedeva tuttora preoccupati.
"Scenderò nelle cucine a cercare da mangiare", si offrì Roden.
Veldhris scosse il capo. "No, non subito. Penso che vorrete delle spiegazioni."
Si strinse addosso la vestaglia azzurra che aveva indossato, preparandosi a raccontare la sua impresa, ma Freydar le posò un dito sulle labbra. "La spiegazione può attendere", disse con gentile fermezza. "Hai bisogno di riprenderti, e in fretta, e la fame non aiuta di sicuro. Roden, andiamo."
Senza attendere una replica, il capitano marciò fuori dalla stanza, seguito dal gigante della Foresta.
Veldhris rimase a fissare la porta con l'espressione sognante delle innamorate, e Sekor, notandolo, si stupì di non provare più quel dolore lancinante al petto che per settimane lo aveva afflitto. Il suo viso espressivo rifletté quello stupore; Kejah se ne avvide e, non conoscendone l'origine, ne rimase perplessa. Nella sala del trono, poco prima, lo aveva sentito così vicino... Dov'era, adesso?
Roden e Freydar tornarono una ventina di minuti dopo, reggendo due vassoi ricolmi di prelibatezze. Non avevano faticato a trovare le cucine, guidati dagli effluvi delle pietanze in preparazione per il banchetto che avrebbe dovuto seguire alla Cerimonia della Fusione. Sebbene fossero state abbandonate al loro destino, le vivande avevano continuato a cuocere e i due giovani avevano arraffato quelle che non erano bruciate, assieme ad alcune bottiglie di buon vino.
Pranzarono allegramente, rilassati, e dopo Veldhris si sentì davvero molto meglio: dopotutto, non mangiava dalla sera prima, dato che aveva saltato la colazione, tant'era nervosa, quel mattino.
"Te la senti di parlare?" domandò Kejah, cautamente.
"Oh, si", rispose Veldhris, annuendo. "Adesso sì, davvero."
"Abbiamo dubitato tutti di te, credo", esordi la cugina adottiva, posando il bicchiere sul vassoio il cui contenuto aveva diviso con Sekor e Roden. "Sei stata così convincente!" aggiunse con un pallido sorriso, "Ma come hai fatto a ingannare Rakau? Donna Nirvor diceva che leggeva nelle menti."
"È vero", confermò Veldhris, tornando ad appoggiarsi ai cuscini. "Era quello l'ostacolo maggiore. A tutta prima, scoprendolo, mi sono sentita perduta, come davanti a un muro insormontabile. Mi sono resa conto che non era possibile scavalcarlo... ma poi ho capito che potevo aggirarlo."
Rivolse lo sguardo a Kejah, ma con la mano cercò Freydar, che era tornato a sedersi accanto a lei. Gli posò la destra sulla coscia, e lui le coprì le dita con le proprie, stringendole lievemente per farle sentire la sua presenza e la sua partecipazione. Veldhris ricambiò la stretta, e nello stesso tempo accarezzò Rollie. "Non ho ingannato Rakau, dichiarò, con gravità. "Ho ingannato me stessa."
Tutti compresero e si lanciarono occhiate sconcertate.
Veldhris guardò Freydar, scoprendo che il capitano non aveva distolto lo sguardo da lei.
Il Principe del Fiordo si portò la sua mano alle labbra e vi depose un bacio. "Sei riuscita in un'impresa della quale nessuno di noi sarebbe stato capace", disse solennemente, con ammirazione. "Sei straordinaria."
Nei suoi occhi c'era tanta venerazione che Veldhris si sentì toccata nel più profondo dell'anima. Lacrime imperlarono le sue ciglia e Freydar si sentì commosso dalla commozione di lei.
In quel mentre Roden, lanciando un'occhiata fuori dalla finestra, vide la folla che si era andata radunando ai piedi della rocca; i cancelli gli erano preclusi dalla vista, ma non faticò a comprendere dove si concentrava quel l'assembramento. Avvertì subito la sorella adottiva.
Veldhris decise all'istante. "Qualcuno deve scendere a rassicurare quella gente."
"Non certo tu!" protestò Freydar, "Non puoi ancora affrontare uno sforzo simile."
Veldhris, che si era bruscamente rizzata a sedere, si lasciò ricadere sui cuscini, riconoscendo che il Principe del Fiordo aveva ragione. "Sekor?" chiamò. Il giovane si avvicinò. "Sekor, cugino mio", esordì la cantante, seria in volto. "Per parentela di sangue e educazione, tu sei il più adatto a farmi da portavoce. Ti prego, va' giù e rassicura quella gente. Sono certa che saprai trovare le parole più indicate, meglio di me, probabilmente. Roden e Freydar ti faranno da scorta."
Guardò il fratello e l'amante per avere il loro consenso ed i due giovani uomini assentirono: la sua decisione di investire il cugino del compito di farle da messaggero era giusta e diplomaticamente accorta.
Così, i tre uomini discesero le tortuose scale fino al livello delle formidabili cancellate, rimaste spalancate dopo la defezione delle milizie
Scorgendoli avvicinarsi, con le armi in pugno ma abbassate, un soldato che gli aveva visti prigionieri a palazzo esclamò: "Sono i compagni dell'Erede di Arcolen!"
Un brusio si levò dalla calca in un crescendo di voci eccitate.
Sekor, spalleggiato da Freydar e da Roden, si fermò sulla soglia dei cancelli e sollevò le braccia, la spada con la punta rivolta in basso in segno di non ostilità, per chiedere il silenzio. Poco poco a poco, la folla si zittì.
"Io sono Sekor Sàmonden, Signore della Foresta del Vespro", si presentò il principe, parlando a voce alta e chiara ed adottando per la prima volta il titolo che, dopo la morte del fratello, ormai gli spettava. "Sono cugino di Veldhris Yùniadil, Portatrice della Corona e Erede di Arcolen. Ho l'incarico di dirvi, a suo nome, che non avete nulla da temere. L'Oscurità è stata debellata con la caduta di Rakau. L'antico Impero di Shyte verrà restaurato sotto il governo della Luce. I deboli, gli oppressi, gli innocenti e i meritevoli saranno premiati e aiutati. Chi ha da temere, da questo momento in poi, sono i prepotenti, gli oppressori, i colpevoli e gli indegni. Ma sarà soltanto la giustizia della Portatrice della Corona a colpirli: che nessuno si erga dunque a giudice di nessun altro."
Fece una pausa in attesa di eventuali proteste cui controbattere con calma fermezza, ma non ve ne furono: la sorpresa, lo stupore erano troppo grandi.
"Tornate alle vostre case e attendete il domani con fiducia", concluse il principe. "Voi, soldati!" chiamò poi, rivolto ai militari mescolati alla folla. "Volete rendervi utili alla Portatrice della Corona?"
I soldati, una dozzina in tutto, si guardarono in faccia, colpiti dal modo di esprimersi del Signore della Foresta, il cui accento esotico confermava la provenienza lontana. Aveva chiesto se volevano rendersi utili alla Portatrice della Corona: non l'aveva ordinato. Se quello era un inizio, non poteva essere più promettente.
Si fece avanti un sergente, comandante del picchetto di guardia. "Saremo felici di rendere un servizio all'Erede di Arcolen", dichiarò. "Dite pure, Sire."
Sekor annuì senza nascondere la propria soddisfazione. "La Principessa Veldhris vi chiede di custodire i cancelli del palazzo e le porte della città: nessuno deve entrare o uscire da qui o da Necrodia fino a nuove disposizioni."
Questo sì che era un ordine, decise il sergente, ma espresso con un linguaggio tanto garbato da poter essere preso per una gentile richiesta, alla quale però nessuno si sarebbe sognato di rispondere di no. "Manderò una staffetta a avvertire i miei commilitoni delle porte, Sire", disse. Con pochi ordini concisi, fece disporre i suoi uomini e richiudere i cancelli. Un soldato partì di corsa alla volta delle porte della città, fendendo la folla che aveva cominciato a disperdersi lentamente, mormorando favorevolmente impressionata commenti sugli ambasciatori dell'Erede di Arcolen.
Sekor fece un cenno di approvazione al sergente, poi con i suoi compagni tornò verso il nero palazzo, rinfoderando le armi. Il sole del primo pomeriggio splendeva alto nel cielo ormai completamente sgombro di nubi, scaldando l'aria e riempiendola degli effluvi della primavera.
"Hai fatto un buon lavoro", riconobbe Freydar, rivolto a Sekor. "Hai dominato la folla trovando le parole e i gesti che voleva sentirsi rivolgere. Veldhris ha scelto bene, nominandoti suo portavoce."
Sekor guardò l'uomo che gli camminava a fianco. Non lo sentiva più come un rivale, anzi, comprendeva per la prima volta che in lui avrebbe potuto trovare un vero amico, fidato e sincero. Si fermò. "Fino a poche ore fa, se lei avesse concesso a te un simile privilegio, sarai impazzito di gelosia", dichiarò, guardando Freydar dritto negli occhi, con fermezza. "La tua lode mi fa vergognare di me stesso. Ma se ciò può servire a riparare agli sbagli che ho commesso, vorrei offrirvi la mia amicizia, a te e a Roden."
Tese la destra a Freydar, che la osservò esitante. "Vuoi stringere la mano dell'uomo che ha ucciso tuo fratello?" domandò, guardandolo interrogativamente.
"Voglio stringere la mano di un uomo coraggioso, leale verso chi ama", affermò Sekor. "Deploro la morte di Mikor come fratello, ma non come persona."
Freydar esitò ancora per un istante, poi afferrò la mano che gli veniva porta e la scosse.
Roden fece lo stesso, lieto di come le cose andavano sistemandosi fra loro tre: dopotutto, Sekor gli era sempre piaciuto, ed era felice di averlo come amico.
OOO
E venne la sera.
Molti servitori, rassicurati dalle voci che correvano in città, erano tornati a palazzo, dove erano stati lasciati passare dalle intransigenti guardie del cancello solo dopo specifica dispensa di Sekor. Fu così che un piccolo esercito di camerieri, cuochi, sguatteri e valletti si occupo dei cinque stranieri, rimasti padroni della reggia, preparando delle stanze per ciascuno di loro ed una cena varia ma leggera.
Veldhris andò a dormire presto, ancora provata dalle fatiche della giornata, ma anche gli altri non tardarono ad imitarla.
Roden, un po' diffidente di tutta quella gente sconosciuta che circolava per il palazzo, prese Freydar in disparte. "Pensi che possiamo fidarci a lasciare Veldhris da sola?"
"Credo di sì", rispose il capitano. "Ma forse è meglio non correre rischi inutili: veglierò io su di lei."
Il gigante della Foresta annuì prima di scomparire nella sua stanza, poco lontana da quella della sorella. Sekor e Kejah si erano già ritirati nelle rispettive camere, così Freydar tornò indisturbato sui suoi passi ed entrò silenziosamente da Veldhris. Nella luce argentata della luna che entrava dalla finestra lasciata aperta, la vide distesa sul letto, i capelli sparsi sul cuscino, il volto finalmente del tutto rilassato in un sonno ristoratore, e si sentì il cuore pieno di una tenerezza infinita: quella era la sua donna, forte e fragile, dura e dolce ad un tempo, la sua compagna, colei con la quale voleva trascorrere la sua vita.
Rollie, accucciato in un angolo della stanza, alzò appena la testa per guardare Freydar, e riconoscendolo scodinzolò brevemente in segno di saluto prima di tornare a dormire.
Freydar si spogliò senza fare rumore, poi s'infilò con precauzione sotto le lenzuola, attento a non svegliare Veldhris.
La cantante però lo senti, istintivamente più che coscientemente, e socchiuse gli occhi. "Freydar...?" mormorò.
Lui le posò un dito sulle labbra. "Ssshhh... non parlare", sussurrò, abbracciandola delicatamente. "Dormi, amor mio. Riposati."
Veldhris si accoccolò tra le sue braccia, grata per la sua presenza, e tornò ad addormentarsi.
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Fu la prima luce dell'alba a risvegliarla. Veldhris sospirò prima di aprire gli occhi, poi si stiracchiò un poco nel tentativo di sgranchirsi. Dormire abbracciati à bellissimo, pensò con divertito corruccio, ma bisogna farne le spese.
I suoi movimenti, pur lievi, svegliarono Freydar, che come sempre dormiva con un occhio solo.
Si guardarono, ma non dissero una parola: spontaneamente, si tesero l'uno verso l'altra e le loro braccia si afferrarono, avvinghiandosi strettamente. Bastò loro toccarsi perché gli ultimi residui di sonno venissero cancellati ed il fuoco della passione divampasse. Si ritrovavano con gratitudine e con stupore, quasi con incredulità: le prove subite, rischiando di distruggere il loro amore, lo avevano rinsaldato e reso più consapevole, più maturo.
Stringendo Veldhris a sé, Freydar percepì un tenue sentore di vaniglia che la sera prima, troppo stanco e stravolto dagli avvenimenti della giornata, non aveva notato. Quel profumo gli mandò segnali eccitanti al cervello; prima che se ne rendesse conto, aveva posato una mano sul fianco di Veldhris, sotto il lenzuolo. Attraverso la sottile stoffa della camicia da notte, percepì il calore della pelle di lei.
Veldhris sentì un lento brivido che partiva dal punto in cui Freydar la stava accarezzando, su lungo il fianco e giù lungo la gamba. Scostò il lenzuolo, rivelando la camicia da notte di sottilissima batista che indossava, trasparente al punto che si vedeva l'ombra delle areole che coronavano i suoi seni. "Ti piace quel che vedi, capitano?" gli chiese con voce bassa e seducente. La luce che filtrava dalle cortine che coprivano le finestre era molto tenue, ma sufficiente perché potesse distinguere i lineamenti del bel volto di Freydar; incontrando il suo sguardo, gli rivolse un sorriso assassino.
"Mi piace eccome!" ammise Freydar, sorridendole di rimando. "Anzi, vorrei sapere se non fosse possibile vedere di più..."
Così dicendo riprese ad accarezzarla, passandole la mano dietro, sui glutei.
"Tutto quello che vuoi, amor mio", gli rispose lei, circondandogli il collo con le braccia.
Freydar si sporse verso di lei, infilò la mano sotto la camicia da notte, posandogliela sull'addome, poi risalì lungo il suo corpo fino a circondarle un seno. Chiuse pollice ed indice attorno ad un capezzolo, cominciando a strofinarlo in modo squisito, e calò la bocca su quella di lei.
Veldhris emise un leggero gemito mentre il capezzolo stimolato s'induriva istantaneamente; schiuse le labbra al bacio di Freydar, protendendo la lingua ad incontrare quella di lui. Adorava baciarlo: la sua bocca era calda e tenera, e le suscitava sensazioni inenarrabili.
Freydar le abbassò la camicia da notte dalle spalle, scoprendole il seno; interrompendo il bacio, mosse la bocca lungo il suo collo e il suo petto, accarezzandone la serica pelle con le labbra e la lingua fino a raggiungere l'altro capezzolo. Lo prese in bocca, succhiandolo gentilmente e poi mordicchiandolo. Veldhris ansimò, e qualche istante dopo emise una lieve esclamazione, quando sentì le dita di Freydar insinuarsi tra le sue cosce. Le schiuse prontamente per permettergli di toccarla meglio, bramando spudoratamente il piacere che lui sapeva darle.
Freydar l'accarezzò intimamente, percorrendo le soffici pieghe dell'accesso alla sua femminilità con dita sapienti. Poi s'inginocchiò tra le gambe di Veldhris ed abbassò la testa; già alla distanza di alcuni centimetri, percepì con le labbra il calore umido del suo fiore di donna, schiuso davanti ai suoi occhi. "Bellissima...", mormorò, prima di posarvi la bocca.
"Ohhhh, Freydar..." sospirò lei, fremendo mentre la lingua di lui percorreva la sua apertura e poi si fermava a stuzzicare il punto più sensibile in una celestiale tortura.
Freydar gustò deliziato il suo sapore mentre sentiva le dita di lei affondargli nei capelli al ritmo della sua lingua.
Veldhris pensò di essere sul punto di incendiarsi, tant'era il calore che percepiva in tutto il corpo. Desiderava ardentemente sentire Freydar dentro di sé, e decise di prendere l'iniziativa.
Gli prese la testa tra le mani e si ritrasse dalla sua bocca. Freydar sollevò uno sguardo interrogativo su di lei, che gli rivolse un sorriso ammaliante per rassicurarlo. Lo fece raddrizzare finché non fu in ginocchio sul letto, poi afferrò la sua virilità in piena erezione, chiudendo le dita attorno ad essa e cominciando ad accarezzarlo.
Freydar emise un ansito di piacere, che si trasformò in un rantolo quando Veldhris si chinò e cominciò a succhiarlo golosamente. "Oh, Vel...", gemette, chiudendo gli occhi.
Sorridendo tra sé per l'orgoglio di riuscire a dargli tanto piacere, la giovane donna lo fece adagiare sulla schiena e gli si mise cavalcioni.
"Vuoi venire con me, capitano?" gli sussurrò maliziosamente.
Lui la guardò, seduta sopra di lui, nuda ad eccezione della camicia da notte attorno alla vita, e pensò che era la visione più erotica che avesse mai avuto in vita sua. "Voglio sempre venire con te, bellezza", le rispose con voce rauca, stando allo scherzo, ma poi non seppe trattenersi dall'aggiungere: "Per tutta la vita..."
Veldhris sentì la gola che le si chiudeva per la commozione: non si era aspettata che lui concludesse quello scambio di battute sfacciate in un modo tanto romantico. "Anch'io lo voglio", mormorò, la voce leggermente tremolante. "Oh, quanto lo voglio..."
Lo afferrò nuovamente e lo posizionò contro la propria apertura; ondeggiò un poco fino a trovare l'angolazione giusta, e poi si calò piano su di lui.
Freydar non riuscì a rimanere passivo e le andò incontro, afferrandola per i fianchi mentre sollevava il bacino a colmarla.
Veldhris si mosse, dondolando avanti ed indietro fino a trovare la posizione migliore per entrambi, sollevando ed abbassando il corpo.
Freydar rispose colpo su colpo, scivolando su e giù dentro di lei; sollevò le mani per accarezzarle il seno, cui in quella posizione aveva libero accesso. Sentiva le sue pareti interne che lo stringevano, stimolandolo deliziosamente, e ben presto fu prossimo all'orgasmo; pensando che fosse troppo presto per lei, aprì bocca per chiederle di rallentare, ma in quella Veldhris cominciò a tendersi nei prodromi del climax. Allora Freydar si concentrò per controllarsi, e poco dopo il suo sforzo fu ricompensato: con sua grande gioia, vide Veldhris gettare la testa indietro, gli occhi chiusi, e la udì emettere un lungo gemito di godimento. Le sue contrazioni lo fecero decollare in un attimo, ed il suo verso di piacere fece eco a quello di lei appena pochi istanti più tardi, mentre erompeva dentro di lei con un getto violento.
Col cuore che batteva all'impazzata, Veldhris si lasciò andare sul petto di Freydar, che la circondò con le braccia; si tennero stretti fino a quando i loro sensi sconvolti non tornarono ad una relativa normalità.
Poi, Freydar le mise un dito sotto il mento e le fece sollevare il viso verso il suo per baciarla sulle labbra. "Grazie", le bisbigliò.
Per un attimo, Veldhris lo fissò con sguardo smarrito, senza capire. Poi gli occhi le si riempirono di lacrime. "Ho solo cercato di farti capire quanto ti amo", dichiarò sottovoce.
Anche Freydar sentì gli occhi che gli si inumidivano: non era la prima volta che Veldhris affermava di amarlo, ma l'emozione che provò fu non di meno profonda. Aveva davvero trovato la sua donna, la donna della sua vita, la donna a lui destinata.
Le mise una mano dietro la nuca e le prese nuovamente la bocca in un bacio intensissimo, interminabile, col quale cercò di comunicarle tutta la vastità del suo sentimento d'amore per lei. Veldhris lo ricambiò con abbandono totale.
Rimasero a letto ancora a lungo, vezzeggiandosi e mormorandosi parole dolci.
Il sole era già alto quando finalmente si separarono, strappandosi a malincuore l'uno dalle braccia dell'altra.
Infilandosi la vestaglia, Veldhris gettò uno sguardo allo specchio e rimase a metà del gesto di annodarsi la cintura in vita, stupefatta da quanto vedeva.
La persona che la fissava di rimando era molto diversa da quella che aveva conosciuto fino allora. La semplice cantante della Foresta del Vespro si era evoluta, gli orizzonti della sua mente si erano enormemente dilatati, la sua personalità era maturata. Aveva accettato di compiere un'impresa che riteneva molto al di sopra delle proprie capacità, ma era riuscita a portarla a termine vittoriosamente perfino se non ci aveva creduto fino in fondo.
In realtà, era stato proprio per questo che ce l'aveva fatta, rammentò con un tremito. Per lungo tempo avrebbe continuato a rabbrividire di raccapriccio al pensiero di quanto vicina fosse stata, in realtà, a cadere vittima del fascino ammaliante di Rakau.
Equivocando il motivo per cui Veldhris si stava così insistentemente fissando nello specchio, Freydar andò ad abbracciarla da dietro. "Non ti preoccupare, sei bellissima, come sempre", disse sottovoce, interrompendo il flusso dei suoi pensieri, guardandola nello specchio e sorridendole con aria complice. "Sei qui con me", mormorò, affondando il viso nella massa serica e profumata dei suoi capelli. "Cosa posso chiedere di più alla vita?"
Veldhris chiuse gli occhi e reclinò il capo all'indietro sulla spalla di Freydar, sopraffatta. E lei, cosa poteva desiderare di più? Sospirò. "Dobbiamo andare", disse con rammarico.
Freydar fece eco al suo sospiro e la lasciò andare. "Dovrò abituarmi, vero?" borbottò, un po' per scherzo, un po' no. "Dopotutto, sei la futura Imperatrice."
Veldhris si girò di scatto per guardarlo, quasi spaventata, ma lui stava ridendo: era un modo per dimostrarle la propria disponibilità e devozione, poiché l'avrebbe seguita ovunque e comunque, senza pensare a se stesso. Vedendo che l'aveva turbata, però, tornò subito serio. "Qualcosa non va?" chiese, prendendole le mani tra le sue.
Giudicando eccessiva la propria reazione, Veldhris si scrollò di dosso la sensazione di panico che, per un istante, l'aveva assalita e sorrise. "No, niente, solo che non riesco a abituarmi all'idea. Ho appena cominciato a accettare il fatto di essere l'Erede di Arcolen e la Portatrice della Corona, e già devo pensare a me stessa come Imperatrice di Shyte. Capirai, fino a pochi mesi fa ero soltanto una cantante..."
"Tu non sei mai stata soltanto", ribatté Freydar, solo parzialmente rassicurato dal suo tono leggero: intuiva che Veldhris era preoccupata, ma che probabilmente non sapeva nemmeno lei esattamente da che cosa. Così, non insistette.
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Veldhris si calò nel ruolo di padrona della città, che le era piombato addosso così all'improvviso, con apparente naturalezza e facilità. Per prima cosa, quel mattino stesso, mandò a prendere Ylmària con una portantina. "Tiratela fuori da quella stamberga e portatela a palazzo con tutti i riguardi", raccomandò ai lettighieri. "E voi vegliate che non accada nulla a lei e alla sua bambina", aggiunse, rivolta alla scorta formata da quattro soldati. Tutti assentirono e si congedarono, uscendo dalla stanza che lei si era scelta come gabinetto di lavoro. "Freydar?" chiamò poi. Il Principe del Fiordo era stato nominato da Veldhris capo militare della città. Ora le si avvicinò. "Freydar, fai liberare tutti i prigionieri delle segrete e delle torri. Assicurati che abbiano adeguata assistenza: cibo, vestiario, cure mediche, tutto quello che può loro occorrere. Se però c'è tra loro qualcuno che veramente ha commesso qualche crimine, lascialo dov'è: il colonnello Kotàris ti saprà dire."
"Non ci sono criminali comuni a palazzo", intervenne il colonnello, che si era presentato quella mattina a Veldhris offrendole i suoi servigi. "Rakau vi teneva solo i prigionieri politici, uomini e donne che hanno avuto l'unico torto di lamentarsi a voce troppo alta."
A Veldhris, il colonnello dai capelli scuri striati di bianco alle tempie aveva subito ispirato fiducia: era un alto ufficiale che aveva prestato servizio agli ordini Rakau, era vero, ma questo non aveva intaccato la sua naturale rettitudine e probità, sebbene spesso avesse dovuto eseguire ordini odiosi, accettati per pura necessità di sopravvivenza. La Corona di Luce, che ora Veldhris indossava in continuazione, le confermava la sua prima impressione.
"Va bene, allora lasciateli andare tutti", decise.
Il principe e il colonnello annuirono e si eclissarono.
"Non sarebbe meglio proclamare la legge marziale?" suggerì la maggiore Nara, un'ufficiale amica di Kotàris che, assieme ad altri due, si era messa a disposizione di Veldhris.
"No, disse la cantante. "Finché le porte della città restano chiuse, non c'è pericolo che qualcuno scappi", fece una pausa, riflettendo. "Passando ad altro: vorrei che tutti i ministri, camerlenghi, plenipotenziari, consiglieri, o che altro, del vecchio regime, buoni o cattivi che fossero, vengano convocati per domani mattina a palazzo, nella sala del trono."
"Ci penserò io, se volete", si offrì la capitana Vara. Veldhris annui e Vara lasciò la stanza.
"Potrei suggerirvi, Altezza, di permettere che i rifornimenti dalla campagna entrino in città?" chiese il capitano Mòrag, l'ultimo degli ufficiali.
Veldhris tacque, meditando sul problema.
"È un rischio, disse Sekor. "Finché non siamo sicuri che tutto l'esercito è con noi, non sarebbe saggio lasciare andare e venire quelli che potrebbero essere sì innocui villici, ma anche nemici o fuggitivi."
"Verissimo", approvò Veldhris, grata al Principe del Vespro di aver così ben espresso dubbi che erano anche i suoi. "Per oggi, almeno, lasciamo le porte sprangate. Nessuno deve entrare o uscire." Le venne in mente qualcos'altro. "Con una sola eccezione", aggiunse quindi. "Se dovesse presentarsi uno straniero dalla barba rossa di nome Zonev, Maliscalco di Kirtonia, conducetelo immediatamente alla mia presenza, in qualunque momento."
"Me ne occuperò io stesso", si offri la maggiore Nara che, su cenno del Portatrice della Corona, prese congedo.
"Capitano Mòrag, per voi ho un incarico delicato, e forse pericoloso", disse Veldhris, rivolta all'ultimo ufficiale rimasto nella stanza. "Ho bisogno di qualcuno che gode della fiducia dei soldati, e mi hanno riferito che voi siete molto benvoluto per il vostro senso di giustizia e per la vostra onestà."
"Vi ringrazio, Altezza", replicò Mòrag. "Ho sempre cercato di essere imparziale e di non infierire in caso di punizioni."
"Bene", approvò Veldhris. "Vorrei che andaste tra i vostri uomini e li rassicuraste, cercando di individuare quegli elementi che potrebbero costituire un pericolo per l'attuale situazione, ancora molto precaria, e quelli invece che senza ombra di dubbio possono aiutarci a ristabilire l'ordine e la libertà in questo posto da troppo tempo sotto la tirannide dell'Oscurità. Non sarà un processo facile, né breve", mormorò, più rivolta a se stessa che al capitano. "Dovremo procedere un po' per volta."
"Sì, e per prima cosa dovremmo epurare la città da tutti i fedelissimi di Rakau", affermò Roden, accarezzando l'impugnatura della sua ascia.
Il capitano Mòrag fissò ammirato la formidabile arma e sogghignò. "Sarò lieto di darvi una mano, Baroden."
"Niente violenze inutili", li ammonì Veldhris, severa. "Ogni condanna sarà il frutto di un equo processo."
Mòrag s'irrigidì sull'attenti. "Naturalmente, Altezza."
Anche lui prese infine congedo e Veldhris sospirò. "Mi sembra di avere la testa che scoppia. Non avevo idea che governare fosse così complicato."
"Sono solo i primi tempi", la consolò Sekor. "Poi la situazione si normalizzerà e tu ti ci abituerai."
"Questo è tutto da vedere", brontolò la cantante, scuotendo il capo.
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Ylmària arrivò sulla lettiga verso la fine della mattinata e Veldhris apprese commossa della strana nascita della piccola Zhàrima Veldhris, che aveva scelto proprio l'istante del trionfo della Luce sull'Oscurità per venire al mondo.
"Una bambina intelligente", commentò Roden, che si era innamorato istantaneamente della neonata.
"Un segno del destino, forse", fu l'opinione di Kejah, "che sarà luminoso come il suo nome."
Veldhris lasciò che la puerpera riposasse e diede ordine che le preparassero una lista dei dignitari governativi di Rakau, che Vara stava convocando per il giorno dopo; una lista che, come ebbe modo di constatare, comprendeva quasi cinquanta nomi tra uomini e donne di varie età ed estrazione sociale, dagli aristocratici ai mercanti.
A metà pomeriggio arrivò Zonev, proveniente dalla fattoria in cui aveva trovato rifugio per sé e per i cavalli.
"Maliscalco, come sono felice di rivedervi!" lo accolse Veldhris, andandogli incontro a braccia aperte.
Zonev si rialzò dal profondo inchino che le aveva rivolto ed accettò confuso l'abbraccio della Portatrice della Corona, mentre Rollie zampettava contento tutt'intorno a lui: infatti, nel periodo in cui Veldhris lo aveva affidato al maliscalco mentre si recava al Monte Ghiacceterni, il cagnolino e Zonev avevano stretto amicizia.
"Ho lasciato i cavalli in custodia a un contadino che vive a pochi chilometri da Necrodia", raccontò Zonev, accarezzando la testolina di Rollie. "Un brav'uomo, fidato e volonteroso."
"Merita una ricompensa, allora", decise Veldhris. "Ma vi prego, sedetevi. Ditemi, com'è stato il vostro viaggio?"
"Niente di particolare, non ho avuto alcuna difficoltà a distaccarmi di nascosto dalla mandria diretta a sud-ovest, verso la città-fortezza di Pàral. Piuttosto, e voi? I vostri amici?"
"Stiamo tutti bene", rispose Veldhris. "Purtroppo, Nirvor l'Argentea e Mikor Sàmonden non sono più tra noi. Proprio stasera ci saranno le esequie di mio cugino."
Zonev assunse un'espressione di cordoglio. "Mi dispiace immensamente. È per questo dunque che avete nominato il Principe Sekor vostro portavoce e non lui, come mi è stato riferito."
Veldhris annui, anche se sapeva perfettamente che, se fosse stato ancora in vita, non avrebbe mai nominato Mikor suo ambasciatore; ma si era ripromessa di preservare la memoria del defunto Signore della Foresta e quindi lei per prima non avrebbe parlato male di lui.
Qualcuno bussò alla porta della saletta privata in cui Veldhris aveva ricevuto il Maliscalco di Kirtonia. "Avanti!" invitò.
Un paggio fece capolino. "Ci sono il Capitano Freydar e il Colonnello Kotàris."
"Falli entrare."
Il Principe del Fiordo entrò, seguito dal colonnello.
Zonev si alzò. "Capitano Freydar, è un vero piacere rivedervi", dichiarò, andandogli incontro con la mano tesa. Si salutarono come vecchi compagni d'arme.
"Vi presento il Colonnello Kotàris", esordì Freydar. "Non appena ha saputo della vostra presenza a palazzo, ha chiesto di vedervi."
Zonev guardò interrogativamente Kotàris, e tra i due scattò subito la scintilla della comprensione reciproca.
"Infatti, la Principessa Veldhris mi aveva annunciato la vostra venuta e vi attendevo", disse il colonnello. "Poiché si tratta di una questione che riguarda i kirton, ho pensato di rivolgermi a voi come rappresentante del vostro popolo."
"Di cosa si tratta?" indagò Zonev, sempre più perplesso.
"Dell'ultimo Unicorno d'Oro che Rakau ha ricevuto in tributo dalla Kirtonia", spiegò Kotàris. "È ancora vivo, dato che l'anniversario della presa del potere di Rakau scadeva soltanto tra una decina di giorni, e ritengo sia giusto e doveroso restituirlo ai kirton."
Zonev s'illuminò e, per la prima volta, Veldhris comprese appieno il significato che gli Unicorni d'Oro rivestivano per la sua gente: erano il loro simbolo, il simbolo della loro libertà, del loro orgoglio, del loro coraggio, della loro dignità, e fino a quando questo simbolo fosse stato sacrificato, umiliato, infangato, i kirton si sarebbero sentiti sconfitti e defraudati. La restituzione di un unicorno destinato al sacrificio diveniva dunque un gesto denso di significato: era la restituzione materiale dell'orgoglio, della dignità, del coraggio e della libertà al Popolo dell'Unicorno.
"Vi ringrazio infinitamente, colonnello Kotàris", disse Zonev, scuotendo vigorosamente la mano dell'ufficiale. "Non ho parole per esprimervi la gratitudine mia e del mio popolo. Posso vedere l'unicorno?"
"Certamente, vi porto alle scuderie."
Zonev si rivolse a Veldhris. "Altezza, volete farmi l'onore di accompagnarmi?"
Veldhris si alzò, mentre Rollie balzava dal suo grembo. "Molto volentieri, maliscalco."
Kotàris accompagnò dunque Zonev, Freydar e Veldhris, seguita dall'immancabile Rollie, all'angolo sudorientale del Palazzo dell'Oscurità, dove alcune stanze al pianterreno erano state adattate a scuderie, l'unico posto in tutta Necrodia dove si custodissero cavalcature. Davanti alla scuderia c'era un cortile quadrato chiuso da alte mura, del tutto simili alla cinta che circondava il parco, ed era per tale ragione che Veldhris non l'aveva mai visto durante le sue quotidiane passeggiate.
Un palafreniere li introdusse nella scuderia, guidandoli alla nicchia dove si trovava l'Unicorno d'Oro. Vedendolo, Veldhris rimase col fiato mozzo: era un destriero superbo, dalla lunga criniera bionda che copriva il collo orgoglioso e dal manto serico color del miele, che assumeva riflessi d'oro nel disegnare i rilievi dei muscoli dei fianchi e del petto; gli occhi erano insolitamente grandi, neri ed alteri; il lungo, affusolato corno ritorto che gli ornava la fronte sembrava un pezzo d'oro e cristallo lucente.
Affascinata, Veldhris si avvicinò lentamente all'unicorno, mentre Rollie rimaneva indietro, come intimorito o forse, per una volta, rispettoso. Il destriero girò la testa e guardò la cantante con sguardo insondabile. Con lentezza, Veldhris allungò una mano per toccare il lungo muso dell'unicorno, le cui narici fremettero in uno sbuffo silenzioso.
"Fate attenzione, Altezza, gli unicorni non amano essere toccati", l'avvertì Zonev.
Veldhris non lo udì nemmeno: fissava la cavalcatura negli occhi leggendovi un'intelligenza straordinaria, quasi umana, e continuò ad allungare la mano. L'unicorno non si ritrasse, anzi avanzò d'un passo per sporgere il collo verso la cantante, che infine gli posò la mano sul muso. Sbalorditi, gli altri videro l'unicorno abbassare il collo e posare delicatamente la testa sulla spalla di Veldhris, accettandone la carezza.
Un largo sorriso apparve sul ruvido volto di Zonev, che si avvicinò alla nicchia e l'aprì. "Principessa Veldhris", richiamò l'attenzione della cantante, che si voltò a guardarlo con aria interrogativa, come risvegliandosi da un sogno. "Principessa Veldhris", ripeté Zonev, "A nome della Kirtonia, desidero offrirvi in dono questa giumenta di Unicorno d'Oro quale segno della nostra gratitudine e fedeltà."
Gli occhi della cantante si dilatano per la sorpresa. "Non posso accettare un dono simile!" protestò vivacemente. "È troppo prezioso!"
Zonev si ritrovò a sorridere intenerito, lui rude soldato abituato alla dura vita del guerriero. Com'è fresca e spontanea questa giovane donna, pensò. Le auguro di non cambiare mai.
"Appartiene al vostro popolo, maliscalco", stava dicendo Veldhris, parlando della giumenta di unicorno.
Zonev scosse il capo fulvo. "In realtà, un Unicorno d'Oro non appartiene a niente e a nessuno tranne che a se stesso", spiegò. "Lui soltanto si sceglie il proprio cavaliere, il quale non sarà suo padrone, ma suo amico. Gli sarà fedele per tutta la vita, senza mai permettere ad altri di cavalcarlo, e morirà nello stesso istante del suo amico, perché ne seguirà la sorte qualunque essa sia, sempre. Non si tratta quindi di un vero e proprio dono, ma di rispettare quello che sembra essere il desiderio di questa unicorna."
Veldhris esitava ancora, conscia dell'importanza di quel gesto. Lanciò un'occhiata a Freydar, in cerca di un consiglio, ed il capitano annuì impercettibilmente. "Sono commossa, Maliscalco Zonev", disse allora . "Non ho parole per ringraziarvi, e accetto solo perché parrebbe che l'unicorna mi abbia scelta quale amica per la vita. Sarò orgogliosa di cavalcarla", accarezzo ancora il lungo, elegante collo dello splendido animale, poi chiese. "Sapete se ha un nome?"
"Non attribuiamo nomi agli unicorni finché non si sono scelti un amico", rispose Zonev. "Potete mettere gliene uno voi stessa, Altezza."
Veldhris non ebbe bisogno di lunghe meditazioni. "Luce d'Estate", decise.
La giumenta di unicorno sbuffò piano, scrollando soddisfatta la lunga criniera bionda: pareva quasi aver capito l'omaggio contenuto nel nome che la sua amica le aveva dato. Poi abbassò il muso verso Rollie, che si era avvicinato annusando incuriosito, ed il cagnolino si mise improvvisamente a scodinzolare, mentre Luce d'Estate si lasciava conoscere: i due animali, a quanto pareva, avevano simpatizzato.
Freydar sorrise: la vena poetica di Veldhris non si era esaurita con l'assunzione del grave fardello di governatrice di una città e presto di un immenso impero. Sperò solo che non cambiasse mai e che la sua spontaneità rimanesse intatta, qualunque cosa dovesse accadere. Senza saperlo, stava riecheggiando il pensiero di Zonev.
OOO
Il sole era sorto, caldo ed amichevole in quel mattino di primavera; ma nella sala del trono, nel cupo palazzo in cima al monolito al centro di Necrodia, covava tempesta.
Fuori della sala del trono, nell'enorme atrio, attendevano i plenipotenziari, camerlenghi e ministri del passato il regime, imperiosamente convocati dall'Erede di Arcolen. Il silenzio regnava tra di loro, sebbene negli animi si agitassero diversi sentimenti – paura, curiosità, rabbia, sollievo – giacché una schiera di soldati armati fino ai denti li sorvegliava. Il capitano Mòrag, incaricato da Veldhris di individuare le persone di cui ci si poteva fidare, aveva scelto personalmente i militari ed ora ne era a capo. Fissava con aria corrucciata e per niente promettente i collaboratori di Rakau: erano complici, volontari od involontari, della scomparsa tiranna e delle sue efferatezze; eppure, tra di loro, così come tra i soldati, ve n'erano alcuni di incorrotti.
Finalmente le porte della sala del trono si aprirono per lasciarli passare, ma il gruppo esitò.
"Muoversi, canaglia!" abbaiò Mòrag senza tanti complimenti, e si divertì a punzecchiare con la lancia il sedere del dignitario più vicino. Questi lanciò un grido soffocato e fece un salto in avanti, e la compagnia di politicanti si mosse ondeggiando, ponendo infine piede nel salone dalle colonne nere.
I due troni gemelli erano stati rimossi dal podio. Al loro posto ora si trovava una poltrona dall'alto schienale, su cui era seduta una giovane donna, abbigliata in un abito di seta color verde acqua dal taglio semplice. Non portava gioielli, tranne la splendente Corona di Luce sul capo.
In piedi ai lati della poltrona c'erano due uomini, entrambi alti e belli, l'uno biondo, l'altro bruno, che parevano vigilare sull'incolumità della Portatrice della Corona: le loro lunghe spade non erano sguainate, ma i mantelli erano stati gettati indietro per metterle in evidenza.
Non c'erano sedie, nel vasto salone: Veldhris non voleva che i complici della Signora dei Draghi Neri si sentissero troppo a loro agio davanti a quella che, dopotutto, per loro non era altro che una semplice donna.
"Di tutto mi aspettavo, ma non una ragazza così giovane", borbottò infatti uno dei camerlenghi, osservandola di sottecchi. Il suo commento fu ripetuto e ripreso a più voci, ma il mormorio si spense non appena la Portatrice della Corona sollevò una mano per zittirli: volenti o nolenti, era lei adesso la padrona, e loro non potevano far altro che obbedire.
"Vi ho convocati", cominciò, e la sua voce, che mantenne su un volume normale, venne amplificata e potenziata dalla mirabile acustica della sala, tanto che tutti l'udirono distintamente, "per comunicarvi quale sarà la vostra sorte, voi che siete stati complici della mia nemica, l'assassina e usurpatrice di Arcolen il Saggio, di cui io sono l'erede. Questi che vedete al mio fianco sono Sekor Sàmonden, mio cugino e portavoce, e Freydar del Fiordo, della stirpe di Zarcon lo Scudiero, mio capo delle milizie. Essi veglieranno affinché i miei ordini vengano eseguiti alla lettera."
Tacque un istante, scrutando senza ombra di timore o timidezza i suoi interlocutori. Improvvisamente balenò in molti il sospetto di trovarsi di fronte, nonostante le apparenze, ad un avversario più duro e forte di tutti loro messi insieme: la figura seduta sulla poltrona, d'aspetto ingannevolmente modesto, era circondata da un'aura di dignitoso potere che essi non avevano mai potuto vedere in Rakau, e questo li impressionava: per la prima volta, vedevano il diritto al potere, distinto dal possesso del potere.
"Tutti voi", riprese Veldhris, "da questo momento decadete da tutte le vostre cariche e siete messi agli arresti domiciliari in attesa di processo."
"Cosa?" urlò una voce femminile dal fondo del gruppo. "Non permetterò che mi si faccia un simile affronto, Erede di Arcolen o no!"
"Silenzio!" tuonò Freydar, facendo un passo avanti con aria minacciosa e posando una mano sull'elsa della spada. "Nessuno osi interrompere la Portatrice della Corona!"
Ci fu un breve tafferuglio nelle ultime file, poi tutto si acquietò: probabilmente colei che aveva parlato voleva ribattere, ma ne era stata dissuasa dagli altri.
Ristabilito un rispettoso silenzio, Veldhris proseguì come se niente fosse. "Ciascuno di voi verrà equamente processato e giudicato. Non vi permetterò di sottrarvi a tale giudizio, ma nemmeno che vi si sottoponga a inutili violenze o angherie. Sarete trattati con dignità e rispetto, se lo meriterete, altrimenti sarete gettati nelle prigioni dove finora hanno marcito quelli che vi davano fastidio per aver preteso un trattamento simile. Coloro però che avranno il coraggio di affrontare la Prova della Corona e la supereranno, saranno liberi di andarsene o di rimanere, poiché ho saputo che alcuni tra di voi non sono del tutto corrotti."
Tacque di nuovo, in attesa. Nessuno si mosse.
"Chi non ha macchie sulla propria coscienza, non abbia paura di presentarsi", disse Sekor, rivolto all'assemblea esitante. "L'Erede di Arcolen ha bisogno di amici, e sarà lieta di trovarne tra di voi. Le sue dure parole sono rivolte solo ai colpevoli, non agli innocenti."
A questo punto si fece avanti un vecchio canuto, dalla lunga chioma e dalla barba fluente, abbigliato con una semplice tunica azzurra dalle decorazioni bianche. Uscì dal gruppo di camerlenghi e si avvicinò alcuni passi, compiendo un profondo inchino dinnanzi all'Erede di Arcolen. "Altezza Imperiale, io ero il tesoriere di Rakau e mi occupavo delle finanze dello Stato. Forse avrete bisogno di me, e forse no: in ogni caso, vi offro i miei servigi. Sappiate che non amavo Rakau, e che se lavoravo per lei, era solo per la salute della mia famiglia. Io sono disposto a sottopormi alla Prova della Corona."
Si fece avanti una donna piuttosto giovane e bella. "Rakau mi aveva nominata sua plenipotenziaria al commercio per la mia abilità negli affari. Mio padre, che era un facoltoso mercante, è morto pieno di debiti, ma io, sua unica erede, ho ricostruito il suo patrimonio e anzi l'ho raddoppiato in pochi anni. Ho accettato l'incarico perché, più che un'offerta, era un ordine, e non potevo rifiutarmi senza incorrere nelle ire di Rakau. Dovevo pensare ai miei figli", aggiunse sottovoce, come desiderosa di confidarsi esclusivamente con Veldhris, da donna a donna. "Anch'io sono disposta a sottopormi alla Prova della Corona", concluse.
"Ebbene, anch'io", si fece sentire una terza voce, appartenente questa ad un uomo di mezza età, piuttosto in carne ma vigoroso e dall'aria decisa. "Ero ministro dell'edilizia, poiché ho studiato ingegneria e le mie costruzioni sono note per la loro solidezza, tanto che Rakau ha voluto farmi progettare molti forti e castelli lungo le sue frontiere. Se avrete bisogno di costruire nuove città, e palazzi, e acquedotti, e giardini, Altezza, sono a vostra completa disposizione."
Si presentarono ancora altri cinque personaggi, tutti dignitari più o meno importanti che avevano lavorato per Rakau non per tornaconto personale, ma per necessità di sopravvivenza.
La Prova della Corona, come l'aveva chiamata Veldhris, altro non era che l'inconscia prova cui aveva sottoposto Sekor subito dopo la distruzione di Rakau, quando il principe aveva invocato il suo perdono per la propria follia, prova che aveva poi ripetuto con Kotàris e gli altri ufficiali.
Non ebbe bisogno di scartare nessuno degli otto camerlenghi, cinque uomini e tre donne, che avevano accettato la prova, e tutti chiesero ed ottennero di rimanere al suo servizio.
Tutti gli altri dignitari e consiglieri furono portati via dalle guardie, che li condussero alle loro dimore, sorvegliandoli affinché non tentassero la fuga.
Una delle prime disposizioni che Veldhris emanò, in ricordo dell'ignobile trattamento subito da Ylmària, fu di abolire la schiavitù. Consigliata da Syntàla, la plenipotenziaria al commercio che aveva riavuto la sua carica, abbassò tutti i prezzi, dal materiale grezzo al prodotto finito, e su suggerimento di Vànar, il vecchio tesoriere anche lui reinvestito dell'incarico, eliminò tutte le tasse, avvisando che ne avrebbe istituite di più eque dopo l'incoronazione. I poveri, ma anche i più benestanti, accolsero queste novità con giubilo, poiché il carico fiscale del passato regime era stato pesantissimo per tutti.
Sistemate dunque le cose più urgenti e indispensabili, Veldhris affidò il governo provvisorio della città nelle mani di Gòleyn, quella che tra coloro che avevano superato la Prova della Corona si era rivelato la statista più accorta, e nominò ambasciatori affinché si recassero in ogni angolo dello Shyte portando la conferma della venuta dell'Erede di Arcolen, della sconfitta di Rakau e dell'imminente rifondazione dell'Impero. Ogni regno ed ogni libera popolazione era invitata a mandare emissari a Dorea la Grande, dove avrebbe avuto luogo l'incoronazione. A ciascuno degli ambasciatori fu consegnato il Sigillo di Shyte, l'antico simbolo di pace degli Imperatori, in possesso del quale chiunque era sotto la personale protezione del Portatore della Corona, un simbolo che era ricordato perfino dall'immemore popolo della Foresta del Vespro, dove le antiche storie erano state quasi del tutto dimenticate.
OOO
All'alba del diciottesimo giorno di maggio, una compagnia di cinque elementi ammantati, accompagnata da un cagnolino saltellante, lasciò alla chetichella il Palazzo dell'Oscurità, discese in fretta le rampe d'accesso, si fece aprire senza discussioni i cancelli ed attraversò la città ancora in gran parte addormentata. Nella piazza antistante alle porte d'ingresso di Necrodia, i cinque s'incontrarono con un manipolo di dieci cavalieri armati, soldati a giudicare dal portamento, ma senza uniforme, che tenevano per le briglie un unicorno femmina e sei cavalli, di cui due da soma. La figura più piccola prese in braccio il cagnolino e montò in groppa all'unicorna, gli altri si issarono sulle selle delle rispettive cavalcature, poi tutti insieme, scortati dei dieci cavalieri in arme, si diressero alle porte.
Il ponte levatoio venne abbassato e le griglie sollevate senza alcuna obiezione, così com'era avvenuto ai cancelli del Palazzo dell'Oscurità, ed i quindici viandanti lasciarono la città.
Imboccarono la bianca strada che si lanciava dritta verso il sole sorgente, e soltanto allora Veldhris scostò il cappuccio del mantello da viaggio, gettandolo indietro e liberando la sua lunga chioma bruna. Si girò a guardare Freydar, che cavalcava al suo fianco, e gli lanciò un sorriso trionfante: erano in viaggio per Dorea, finalmente!
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