Capitolo XVIII: Lungo il fiume
Parte Quarta: L'Acqua (Veldhris)
Capitolo XVIII: Lungo il fiume
"Manca ancora molto?" domandò Veldhris, cercando di non dar retta ai piedi doloranti così da dominare l'impulso di togliersi gli stivali per dar loro sollievo.
Roden, che stava consultando con Freydar una mappa dei luoghi disegnata su pergamena, la guardò con simpatia. "No, non molto: dovremmo esserci prima del tramonto."
"Meno male!" sospirò la cantante. Si sentiva sfinita: quella tappa del lungo viaggio che li stava portando a sud era stata faticosissima, ma per il resto priva di avvenimenti degni di nota. Avevano lasciato il Monte Ghiacceterni senza incidenti e le slitte a vela avevano funzionato a meraviglia, sospinte da un vento costante forte abbastanza da farle filare come cavalli al trotto, tanto che in tre giorni di viaggio avevano coperto una distanza che a piedi avrebbe richiesto otto giorni. Al tramonto del terzo avevano raggiunto le sorgenti del fiume Fimda, laddove la catena delle Montagne Senzanome, correndo ora verso nord, si abbassava sensibilmente, per infine perdersi nelle sconfinate pianure un centinaio di chilometri più a settentrione. Il neonato Fimda scorreva in una valle alta ma ampia, che poterono facilmente superare lasciandosi alle spalle il famigerato Deserto di Neve. Da qui, per otto giorni, avevano disceso il corso d'acqua, che era andato via via ingrossandosi fino a diventare un fiume largo e tranquillo, seguendone i meandri come un sicuro indicatore della strada da percorrere per arrivare a Rela, il villaggio kirton dove il Maliscalco Zonev ed i suoi uomini gli attendevano.
Non essendo abituata a percorrere lunghi tratti a piedi, Veldhris era quella che aveva risentito di più della fatica, ma non si era mai lamentata né aveva preteso soste supplementari, marciando sempre con stoica determinazione. Ora però il sollievo nell'apprendere che la meta non era più molto lontana era talmente forte da farle quasi dimenticare la fatica.
Poco dopo, disperse le ceneri del piccolo fuoco e cancellate le tracce della loro sosta per il pranzo, i superstiti della compagnia partita da Kirton ripresero la via. Come previsto da Roden, raggiunsero il villaggio sulla sponda sinistra del Fimda prima che il sole tramontasse: le giornate si erano considerevolmente allungate da quando, un mese e mezzo prima, avevano lasciato la capitale della Terra degli Unicorni. Dopo il gelo perenne e feroce del Deserto di Neve, a quella latitudine, anche se molto settentrionale, pareva loro che la primavera stesse sopraggiungendo a grandi passi, sebbene il disgelo non fosse ancora cominciato.
Non avevano nemmeno posto piede nel villaggio, una ventina di casupole in tutto, che già Zonev in persona correva loro incontro, seguito da due soldati della scorta che aveva accompagnato gli allora nove viandanti fino al Valico di Forrascura.
"Bentornati tra noi!" li accolse il maliscalco, festosamente, e s'inchinò a Veldhris con grande rispetto, imitato dai suoi soldati. La cantante non portava la Corona, temendo che il suo riapparire giungesse troppo presto alle orecchie di Rakau, ma Zonev sapeva che era una principessa di altissimo rango e la trattava quindi come tale.
"Grazie, Maliscalco Zonev", disse Veldhris, sorridendogli, sinceramente contenta di rivedere l'onesto e coraggioso uomo d'arme, e chinò lievemente il capo in risposta al suo omaggio, in un atteggiamento molto regale ma non altezzoso, bensì del tutto spontaneo.
Zonev scorse rapidamente il gruppo ed aggrottò le folte sopracciglia color rame dorato, perplesso. "Il Giovane Kirton e la sua nobile sposa sono rimasti indietro?" s'informò, non senza ansia.
Veldhris esitò: in che modo poteva comunicargli i tragici avvenimenti del Valico di Forrascura e della Caverna Centrale? "Sì, infatti", rispose infine in tono piatto, preferendo rimandare il momento delle spiegazioni a più tardi. "Siamo tutti molto affaticati", aggiunse per prevenire altre domande.
Zonev assentì, mentre l'espressione preoccupata si accentuava; non osò tuttavia chiedere ulteriori notizie ed accompagnò il gruppetto verso il centro del villaggio. La gente si faceva sulla soglia, incuriosita all'apparire degli ospiti attesi dal maliscalco giunto dall'est, ma nessuno notò niente di particolarmente strano in essi, dato che Nirvor aveva nascosto il suo aspetto eccezionale sotto le pieghe del grande mantello di pelliccia.
Zonev li scortò con i suoi due soldati fin dentro la casa che era stata loro assegnata, una costruzione estremamente semplice ma contenente tutte le comodità, compreso il bagno di vapore tipico dei kirton, chiamato sauna.
"Spero che i proprietari non abbiano dovuto sloggiare per darci la loro casa", disse Veldhris in tono preoccupato, rivolgendosi a Zonev.
"Veramente è stata lo stesso proprietario, il Borgomastro Mavec, a offrire il suo alloggio", raccontò il maliscalco. "È vedovo, e le sue cinque figlie abitano con i mariti, sicché lui si è sistemato presso una di loro lasciando a vostra completa disposizione la sua casa."
Veldhris osservò la grande stanza rettangolare riscaldata dal fuoco nell'enorme caminetto, dove qualcuno aveva messo cuocere in un calderone di rame quella che, a giudicare dal profumo, era zuppa di pane, patate e verze.
"È stato molto generoso da parte sua", disse infine. "Vorrei ringraziarlo."
"Certamente. Potrete incontrarlo domani. Il borgomastro ne sarà grandemente onorato."
In quel momento, da una delle stanze che si aprivano sui tre lati del grande locale centrale, apparve una giovane donna di forse trent'anni, con lunghi capelli biondo cenere che scendevano sulla schiena in due grosse trecce.
"Questa è Tavia", la presentò Zonev mentre lei s'inchinava rispettosamente. "Si occuperà di voi per tutto il tempo del vostro soggiorno a Rela."
Veldhris sorrise grata alla donna, che ricambiò con cordialità, ispirando subito simpatia e fiducia.
"Ora vi lascio", concluse Zonev, inchinandosi. "Immagino che vogliate riposarvi..."
Vedendo la preoccupazione negli occhi del maliscalco, turbato per l'assenza del suo principe, Veldhris decise di parlargli quanto prima. "Vi prego, maliscalco, tornate tra un paio d'ore: ci sono cose che dovete sapere al più presto."
"Come desiderate, Altezza", rispose Zonev in tono formale, ma impaziente di sapere; si accomiatò poi cortesemente ed uscì, seguito dai suoi soldati.
La sauna era già pronta, come anche dei comodi e caldi vestiti da casa, dono di Coriv e portati a Rela da Zonev. Prima le donne e poi gli uomini utilizzarono quindi il bagno kirton, traendone un grande beneficio psicofisico, poi si cambiarono e si sedettero a tavola, dove divorarono la densa zuppa, variazione molto apprezzata alla dieta solida che per più di un mese erano stati costretti a seguire. La sola Nirvor rimase nella stanza assegnatale, attendendo che Tavia se ne andasse prima di uscirne.
Puntuale, poco prima delle otto, arrivò Zonev. Tavia aveva già rigovernato ed era tornata a casa, così i viandanti poterono parlare liberamente col maliscalco.
Veldhris, ritenendo di aver rimandato abbastanza, affrontò direttamente la preoccupazione principale dell'uomo d'arme. "Maliscalco, prima, alla vostra domanda se Neys e Kareth erano rimasti indietro, ho risposto di sì", esordì sommessamente. "Ebbene, è vero: sono rimasti indietro, ma per sempre, purtroppo."
La costernazione si dipinse sul volto barbuto di Zonev. L'espressione mesta di Veldhris non gli lasciava dubbi, tuttavia balbettò: "Volete forse dire che sono... morti? Ma..."
S'interruppe, incapace di proseguire.
Veldhris inspiro lentamente, in profondità. "Sono addolorata, Maliscalco Zonev", disse. "Lo siamo tutti, perché abbiamo perduto due persone che amavamo."
Zonev si era ripreso, ma stringeva le mani a pugno, tanto che le nocche erano diventate bianche. "Com'è successo?" domandò, rauco.
"Per Neys è stato un incidente: è caduto in un burrone, al Valico di Forrascura. Lo abbiamo sepolto lassù, nella neve. Per quanto riguarda Kareth, è stata assalita e uccisa da Xos il Lupo. Ora giace nella più splendida delle Cento Caverne... laddove abbiamo recuperato la Corona di Luce."
Un moto di sorpresa scosse i compagni della cantante, che non aveva loro detto quello che aveva intenzione di rivelare al maliscalco.
Dal canto suo, questi fissava Veldhris senza parole, perduto nell'enormità di quanto aveva appreso. "La Corona riconquistata... e il mio principe e la sua sposa morti", riuscì infine a mormorare. "La vostra cerca è costata un caro prezzo."
Non era un'accusa, solo una constatazione piena di tristezza.
Veldhris annuì con fermezza. "Me ne rendo conto, credetemi. È per questo che la vittoria su Rakau si rende sempre più necessaria e urgente. Potete dire questo al Kirton, quando lo rivedrete: il giorno in cui la Signora dei Draghi Neri dovrà affrontare l'Erede di Arcolen, questa penserà a Neys, che ha sacrificato la sua vita per aiutarla. Certo non ripagherà il Re dell'Unicorno della perdita di suo figlio ma, almeno spero, potrà attenuare la sua amarezza."
Zonev assentì gravemente. Gli riferirò le vostre parole, Principessa Veldhris."
Veldhris si fidava istintivamente del Maliscalco del Confine Meridionale, scelto del resto da Coriv perché lo sapeva fedele al regno e nemico del Potere Oscuro, tuttavia la prudenza le impose di dirgli: "Inutile farvi presente che tutto questo è strettamente confidenziale, vero?"
"Certamente."
Zonev si fermò ancora per più di un'ora, desideroso di conoscere i particolari di tutto il viaggio onde riferirli al suo re, poi prese congedo e svanì nella notte fredda.
OOO
Il giorno seguente, Veldhris ritrovò con gioia immensa il suo cagnolino, Rollie, che era rimasto affidato alle cure degli uomini di Zonev, conquistandoli tutti con la sua vivacità e la sua intelligenza. Era rimasto tranquillamente ad attendere la sua padroncina, ma quando la vide le sue entusiastiche dimostrazioni d'affetto rivelarono chiaramente che la separazione gli era pesata molto.
Ritrovarono naturalmente anche i loro cavalli, e rivedendoli Veldhris si chiese improvvisamente dove sarebbero andati, lei ed i suoi compagni, dopo Necrodia... dopo la sconfitta di Rakau. Tornare a casa per lei non aveva senso, dato che la sua casa non esisteva più. Forse poteva andare a Zarcon, dove Re Oolimar l'avrebbe certamente accolta come una della famiglia, e lì ci sarebbe stato anche Freydar. Ma... lei era destinata a diventare l'Imperatrice di Shyte. Dove doveva recarsi la futura Imperatrice?
"Dorea!" mormorò all'improvviso, facendo sbuffare per la sorpresa il castrato dal pelo fulvo che Coriv le aveva donato. Per tranquillizzare il cavallo, che si chiamava Doner, Veldhris gli accarezzò il lungo muso elegante, ripromettendosi di parlare con i compagni della sua idea.
Lo fece infatti a pranzo e gli altri furono d'accordo: dopo Necrodia, si sarebbero recati a Dorea, l'antica capitale dell'Impero. Il problema di dove sarebbero andati invece se fallivano non si poneva nemmeno: in tal caso, nessuno di loro avrebbe vissuto abbastanza per andare in qualunque posto.
Nel pomeriggio misero Zonev al corrente dei loro progetti ed il maliscalco pensò subito al lato pratico. "Ci sono oltre cinquecentocinquanta chilometri a volo d'uccello tra Necrodia e Dorea: non potete certo farli a piedi."
"Ci procureremo dei cavalli a Necrodia", disse Freydar, che a sua volta aveva già pensato al problema. "Ce ne saranno parecchi, immagino."
"Non certo in città", ribatté Nirvor. "È così congestionata che i cavalli sono stati proibiti da molto tempo, ormai, e i carri possono circolare solo in determinate ore del giorno, trainati da buoi o al massimo da muli. Quanto alle persone, i poveri vanno a piedi, mentre i ricchi si fanno portare su lettighe o carretti a mano. Gli unici cavalli che ho visto a Necrodia sono gli Unicorni d'Oro della Kirtonia, e non sono mai vissuti a lungo tra quelle mura maledette."
A quell'accenno, Zonev era impallidito di rabbia. "Questo mi ricorda", disse con voce sorda, "che anche quest'anno, per non suscitare sospetti, abbiamo dovuto mandare a Rakau la giumenta di unicorno più bella perché la immoli al sacrificio celebrativo dell'anniversario della sua presa del potere. E fra non molto partirà un gruppo di ragazze e ragazzi tra i più belli del regno, affinché qui porci dei suoi ufficiali e lei stessa ne facciano quello che vogliono."
Parve soffocare e dovette interrompersi.
Veldhris era costernata: si era dimenticata del pesante tributo che i kirton dovevano pagare per la loro indipendenza.
Prima che potesse dire qualcosa, però, Zonev si riprese e proseguì. "Alcuni di loro ci vanno volentieri: provengono da famiglie collaborazioniste, oppure sono poverissimi e pensano di poter così migliorare la propria condizione. Altri trovano la forza di sacrificarsi per il bene del regno. Altri ancora, invece, non sopportano l'infamia e si uccidono. Ma nessuno, nessuno fugge!" esclamò impetuosamente, gli occhi che lanciavano fiamme. "Pur di non nuocere alla loro patria, tutti i prescelti partono. Salvo poi togliersi la vita lungo la strada, come la figlia di mia sorella", concluse con indicibile amarezza.
Veldhris era sbiancata: l'indignazione e la pietà tumultuavano nel suo animo generoso, soffocandola. "Tutto questo finirà al più presto!" proruppe infine, quasi faticando a parlare tant'era sconvolta. "Ve lo giuro, maliscalco: l'onta secolare che la Kirtonia è costretta a subire verrà cancellata, vendicata!"
Zonev si passò una mano sulla fronte, cercando di ritrovare la calma. "Sì, ne sono certo, Altezza, e ve ne ringrazio", disse poi. "Ma sarà difficile dimenticare."
"Non vi chiedo di dimenticare", dichiaro lei, sorprendendolo. "Anzi al contrario: vi chiedo di ricordare. Ogni cosa, ogni particolare dovrà venir rammentato da voi, dai vostri figli e dei figli dei vostri figli, per tutto il tempo di là da venire... perché il mondo non dimentichi per un solo istante la sempre incombente minaccia dell'Oscurità, che non potrà mai venir completamente sradicata e bandita, e si tenga pronto in ogni momento a affrontarla, senza mai lasciarsi sorprendere e sopraffare."
Il Maliscalco del Confine Meridionale guardò la giovane donna che gli stava seduta di fronte con un nuovo rispetto, pieno di stupore. Quando gli aveva rivelato di essere la Portatrice della Corona, l'Erede di Arcolen, aveva stentato a crederci: lei era l'attesa Erede profetizzata da Arcolen il Saggio? Ma ora, finalmente, comprendeva perché era così. "Avete ragione, Principessa Veldhris", annuì lentamente. "Dimostrate grande saggezza."
Veldhris lo guardò a sua volta sorpresa. "Beh, io non l'avrei chiamata così", disse sinceramente. "È semplicemente il mio modo di sentire, di reagire."
Gettò un'occhiata circolare ai presenti ed incontrò, fra gli altri, lo sguardo di Freydar. Non ne fu certa, ma vi vide luccicare un orgoglio sorridente; significava che era fiero di lei? E perché mai avrebbe dovuto esserlo? Confusa, tornò a concentrarsi su Zonev, che stava dicendo: "Comunque, prima del tributo umano partirà una mandria di cavalli, scelti tra gli esemplari migliori, destinata all'esercito di Rakau. Non raggiungerà Necrodia, bensì una città-fortezza a un centinaio di chilometri a sudovest, da dove verrà smistata ai vari distaccamenti disseminati nello Shyte. Tuttavia arriverà abbastanza vicino a Necrodia per poter staccare inosservati pochi cavalli – i vostri – e portarli da un contadino che, con una buona mancia, li custodirà senza far troppe domande."
"Quand'è prevista la partenza della mandria?" si informò Freydar, sporgendosi verso il maliscalco.
"Tra venti giorni. Partendo domani o posdomani con i vostri cavalli, potrei giungere a Kirton in tempo per avvertire il mio re dell'accaduto e ripartire con la mandria. Aspetterò la caduta del Potere Oscuro presso il contadino che terrà i cavalli e poi verrò a cercarvi."
"Mi pare una buona soluzione", disse Freydar, guardando interrogativamente Veldhris. Questa annui, quindi discussero ancora alcuni particolari per definire bene le loro mosse; poi, Zonev si congedò per andare a distribuire gli ordini ai suoi guerrieri.
Come avevano stabilito, il giorno seguente tre dei soldati partirono per Kirton con i destrieri dei viandanti, mentre il maliscalco avrebbe atteso che Veldhris ed i suoi compagni avessero lasciato Rela alla volta di Necrodia prima di seguirli con l'altra metà della scorta.
Quello stesso giorno, un abile fabbro riparò la grande spada di Freydar, riforgiandone a nuovo la larga lama e rendendola affilata come non mai, con grande soddisfazione del proprietario. Anche l'ascia di Roden venne rimessa a nuovo ed il filo tornò ad essere tagliente e micidiale. Vennero fabbricate poi altre frecce per Sekor e per Kejah, le cui faretre erano ormai quasi vuote. Persino la snella spada di Mikor venne ritoccata, mentre i pugnali di Veldhris non abbisognavano di alcun intervento.
I viandanti si prepararono quindi alla partenza: Zonev aveva loro procurato tre imbarcazioni di corteccia, lunghe e leggere, chiamate canoe, provviste di due pagaie ciascuna, su cui avrebbero navigato lungo il corso del Fimda fin nei pressi di Necrodia, che sorgeva su di una collina distante una decina di chilometri dal fiume, sulla riva di un importante affluente. Su queste imbarcazioni, stivarono tutto il necessario al viaggio: tre nuove tende come riparo, coperte, abiti di ricambio più leggeri – poiché si avviavano a sud e la bella stagione si avvicinava rapidamente – provviste in abbondanza, pentole, gavette, cucchiai di legno, rotoli di corda, una scatoletta di sale, pietre focaie con relative esche, aghi e fili, forbici, persino calzatura leggere ed alcuni pettini. Facendo l'inventario, Veldhris non trovò nulla da aggiungere e si dichiarò soddisfatta di quanto avevano imbarcato.
La sera faticò un poco ad addormentarsi, turbata all'idea che l'indomani sarebbe cominciata l'ultima tappa del suo viaggio, ma il giorno seguente preferirono rimandare la partenza a causa del tempo, che si era messo al brutto con una pioggia torrenziale che durò fin quasi a sera.
Era l'alba del quinto giorno di aprile, un'alba fredda ma limpida, quella che sorse su Rela quando i viandanti lasciarono il villaggio, congedandosi dal Maliscalco Zonev e dal Borgomastro Mavec, un energico vegliardo dalla barba bianca e riccioluta, che augurarono loro buona fortuna con la tradizionale formula kirton: "Che la vostra buona stella vi accompagni sempre!"
Sbracciandosi per salutare, i sette si allontanarono dalla riva lasciandosi trasportare dalla corrente e ben presto persero di vista i due uomini, dopodiché posero mano ai remi.
La navigazione, nei primi giorni, fu priva di episodi rimarchevoli: il Fimda scorreva sempre ampio e tranquillo, a parte il tratto delle rapide che superarono il quarto giorno, sbarcando e portando in spalla le canoe per un paio di chilometri prima di rimetterle in acqua e proseguire.
Ai lati del fiume scorrevano le rive deserte, in un continuo rincorrersi di paesaggi sempre diversi: boschi, acquitrini, lande desolate, pascoli rivestiti del primo verde primaverile, gole dalle pareti ripide e glabre, canneti e colline. Le giornate passavano tranquille l'una uguale all'altra, circondando i viandanti di un'illusoria sensazione di pace. I più percettivi soltanto avvertivano in quella quiete quasi innaturale l'addensarsi delle forze che si sarebbero scatenate nel conflitto di poteri che doveva avvenire di lì a poco, un conflitto il cui esito, quale che fosse stato, avrebbe determinato d'avvento una nuova era.
Di giorno navigavano incessantemente, pur senza forzare troppo la già ragguardevole velocità determinata dalla corrente, con una sola sosta per il pranzo e per smuovere le membra aggranchite. La sera si accampavano, sull'una o sull'altra riva a seconda della convenienza, cenavano e conversavano un poco, poi andavano a dormire. Nirvor rimaneva presso le braci del fuoco o camminava nei dintorni del bivacco, vegliando sempre sul sonno dei compagni.
In quei giorni di tranquillità che precedevano la bufera, Freydar ebbe modo di riflettere a lungo. L'oggetto delle sue elucubrazioni era certamente spesso quanto li attendeva nel prossimo futuro, ma ancor più spesso si trattava di Veldhris Yuniadil, che per lui rappresentava un vero e proprio enigma.
Per quanto si sforzasse, non riusciva a renderla prevedibile: riflettendo sugli episodi vissuti insieme, si accorgeva di quanto complessa e varia fosse la sua personalità. A volte appariva di un candore inaspettato, in netto contrasto con la perspicacia che spesso dimostrava, cui si aggiungeva un realismo che qualche volta aveva sfiorato il cinismo. In certi momenti era dolcissima, come quando coccolava il suo adorato Rollie o vezzeggiava i bambini, mentre altre volte era dura e gelida, come quando controbatteva sferzante alle pedanti obiezioni di Mikor. Oppure appariva tanto allegra da sembrare quasi un'oca giuliva, per poi subito immergersi in discorsi gravi in cui rivelava una maturità straordinaria. Le sue canzoni manifestavano una sensibilità eccezionale, eppure niente al mondo pareva impressionarla durevolmente, nel bene o nel male. Ed ancora, a volte sembrava una persona debole, bisognosa di protezione, e poi la si vedeva affrontare con incredibile coraggio e determinazione i pericoli più spaventosi. E come a volte sembrava regalmente altera, vera erede di imperatori, altrettanto spesso era semplice e disarmante. Inoltre, era una delle persone più espansive che conoscesse, eppure spesso i suoi sentimenti rimanevano celati a tutti, persino a chi le era più vicino. Trasmetteva una sensazione di intensa, naturale sensualità, ma la controllava attentamente. Insomma, la sua personalità rifuggiva qualsiasi classificazione, qualsiasi definizione globale, ed era così piena di sfaccettature che Freydar si domandava affascinato se sarebbe bastata una vita intera per conoscerne ogni lato. In lei convivevano aspetti caratteriali così diversi che c'era da chiedersi quali fossero i principali. Vero era che in ogni essere coabitano tutte le caratteristiche dell'animo, buone e cattive, solo che alcune prevalgono sulle altre. Accadeva invece che in Veldhris tutte queste caratteristiche avessero le stesse importanza, sebbene fosse indubbio che bontà, lealtà e generosità non sarebbero mai venute meno in lei.
Non era una persona qualsiasi, questo era certo: era tutte le persone insieme e, nel contempo, nessuna. Perché lei era unica.
Concludendo, lui la stimava moltissimo.
E ne era perdutamente innamorato.
Lo constatava con una sorta di stupore gioioso, di meravigliata scoperta di un qualcosa che, ora che lo capiva, aveva sempre saputo in fondo al cuore e che lo rendeva stranamente debole nei suoi confronti, costringendolo a far forza su se stesso per comportarsi con lei come sempre, come prima di sapere. Non poteva però impedirsi di lanciarle lunghi sguardi quasi indagatori, alla ricerca di un segno, di un incoraggiamento – sguardi che spesso venivano ricambiati con uguale intensità. Un senso di attesa li pervase entrambi, via via aumentando con l'andare delle ore e dei giorni. Si cercavano, si interpellavano, si rispondevano con gli occhi, eppure nessuno dei due si decideva a fare il primo passo.
Non ci volle molto, nonostante i loro sforzi, perché il resto della compagnia si accorgesse dei loro maneggi. Tutti però facevano finta di niente, chi pensando giustamente che non fossero affari loro, chi attendendo sospettosamente lo sviluppo della faccenda, chi cercando disperatamente di ignorarla.
Quest'ultimo, Sekor, si era infatti letteralmente tuffato in una sorta di limbo emotivo: la sua mente ed il suo cuore erano come bloccati davanti all'evidenza di quello che andava inesorabilmente maturando tra Veldhris e Freydar, un estremo tentativo di sfuggire alla sofferenza. Per reazione al vuoto che tale blocco causava in lui, rivolse la propria attenzione a Kejah Lyaradil, con la discrezione che lo caratterizzava, tanto che la cacciatrice non si accorse affatto d'essere ad un tratto fatto oggetto di esame da parte del biondo Principe del Vespro, mentre il saperlo l'avrebbe resa immensamente felice, riattizzando in lei la speranza.
Sekor confrontava istintivamente Kejah a Veldhris, con una punta di meraviglia per la prima e senza rimpianto per la seconda, condizione questa forzosamente raggiunta grazie al suo inconscio blocco e perciò destinata, presto o tardi, a crollare miseramente. Comunque, paragonando le due giovani donne, scopriva affinità e differenze che finora non aveva notato perché, pur conoscendole entrambe da ugual tempo, non conosceva affatto Kejah.
Per esempio, erano entrambe vivaci ed allegre, ma, mentre Veldhris era più riflessiva, tendendo maggiormente ad essere grave, Kejah, pur essendo più leggera, era quella che se la prendeva di più.
Poi, entrambe erano schiette, trasparenti, ma Kejah lo era di più, perché in Veldhris esistevano misteriose zone d'ombra, completamente opache, che le rendevano capace, all'occorrenza, di fingere molto meglio della cugina.
Tutte e due erano donne forti, però, mentre l'apparenza Kejah era la più tenace, in realtà, sotto la patina di fragilità, era Veldhris la meno vulnerabile.
L'una e l'altra, poi, erano incapaci di far del male volontariamente, tranne forse in casi estremi, ma qualcosa gli diceva che per Veldhris, in un certo qual modo, sarebbe stato più facile riuscirci.
Ancora, entrambe erano affascinanti, ma ciascuna modo suo, poiché il fascino di ciascuna nasceva da fonti completamente diverse: in Veldhris, dalla sua profonda serenità interiore, in Kejah, dal suo entusiastico amore per la vita. Non che alla prima mancasse l'entusiasmo o alla seconda la serenità, ma c'era una netta prevalenza dell'uno o dell'altra in ognuna.
E per finire, solo apparentemente Kejah era più capace di difendersi di Veldhris, a prescindere dalle armi di cui potevano disporre: tra le due, la più pericolosa era la seconda, proprio a causa della sua apparenza disarmante.
Con sorpresa, Sekor scoprì che Kejah Lyaradil gli piaceva, come persona e come donna. Tuttavia, il pensiero di potersi un giorno innamorare di lei non lo sfiorò neppure, perché il suo sentimento d'amore per Veldhris perdurava cocciutamente nel suo cuore.
Mikor osservava taciturno il comportamento del fratello minore ed attendeva l'evolversi della situazione, che prevedeva potesse avere, alla fine, un risvolto a lui favorevole. Teso come sempre soltanto ai suoi scopi personali, chiuso nel suo profondo egoismo, non si curava minimamente del tormento che Sekor doveva sopportare in quei giorni.
Andò avanti così per dieci giorni, per Veldhris e Freydar in un crescendo di tensione emotiva e sessuale che, pian piano, si avvicinava al livello di guardia, finché alla fine entrambi non ne poterono più e reagirono.
OOO
L'undicesimo giorno di navigazione dovettero nuovamente sbarcare e percorrere un tratto a piedi sulla riva destra, canoe in spalla, per superare una cascata incoronata da pericolose rocce affioranti. Al termine, essendo quasi notte, non rimisero le barche in acqua e si accamparono invece tra gli alberi che fiancheggiavano il Fimda da entrambe le parti. Il fiume, dopo un lungo percorso tortuoso in pianura, si faceva ora strada attraverso un terreno ondulato da dolci colline boscose, che via via proseguendo verso sud andavano ammantandosi sempre di più del tenero verde primaverile. La vegetazione era cambiata: ora non c'erano più soltanto gli alteri pini e le maestose conifere del settentrione, ma anche vecchie querce, folti cipressi, larici chiari, platani, noccioli e salici, olmi e faggi, castagni nodosi e persino pioppi e lecci. Spuntavano i primi fiori durante le giornate che man mano si facevano sempre più calde, ed ormai da una settimana i viaggiatori si erano lasciati alle spalle le ultimissime tracce di neve. Qui la primavera era già arrivata, facendo sbocciare gemme e cantare gli uccelli, e rendendo più dolci le notti.
Quella sera, cenarono e conversarono come al solito, seduti in cerchio attorno al fuoco che scoppiettava allegro, e cantarono anche dolcemente alcune canzoni della Foresta del Vespro e del Fiordo di Zarcon. Poi si ritirarono nelle tende per dormire, tranne naturalmente Nirvor, che rimase a vegliare accanto alle braci morenti.
Veldhris si sentiva troppo nervosa per riuscire a dormire e nemmeno la rassicurante presenza di Rollie, accucciato accanto a lei, la tranquillizzava. Pertanto, dopo un po', decise di far due passi al chiaro di luna, cosa che avrebbe potuto permettersi senza pericolo alcuno, perché erano ancora lontani dai territori direttamente soggetti a Rakau. Giacché contemplare le stelle aveva sempre avuto su di lei un effetto misteriosamente calmante, Veldhris pensò di raggiungere la piccola radura intravista al tramonto mentre cercava legna da ardere, ad alcune centinaia di metri dal campo; presa con sé una coperta, lasciò silenziosamente la tenda, facendo attenzione a non disturbare Kejah, il cui respiro lieve e regolare denunciava un sonno quieto e profondo. Con Rollie alle calcagna, si avviò ma, accorgendosi di Nirvor che la seguiva con lo sguardo, si fermò brevemente per comunicarle le proprie intenzioni. Quindi si allontanò tra gli alberi non più spogli, aprendosi la strada nel rado sottobosco con il solo chiarore lunare a rischiararle il cammino.
Senza fretta, raggiunse la radura percorsa dal sottile nastro d'argento di un ruscelletto che, poco distante, nasceva gorgogliando per gettarsi nel Fimda. Qui, la cantante stese la coperta sull'erba tenera e si sdraiò, mettendosi ad osservare la volta stellata, dove sullo sfondo di velluto nero del cielo tremolavano i misteriosi brillanti bianchi che tanto l'affascinavano. Rollie rimase un poco con la padroncina, poi la sua irrefrenabile curiosità lo indusse a lasciarla per tuffarsi nel bosco notturno, a caccia di novità.
Al campo, Freydar guardava ancora il punto in cui Veldhris era scomparsa, inghiottita dalla notte. L'aveva vista uscire dalla sua tenda poco dopo che lui stesso era strisciato fuori dalla propria, attento a non svegliare l'amico Roden con cui la divideva, ed ora esitava, incerto sul da farsi. L'istinto gli suggeriva di seguirla, di aprirle il proprio cuore, poiché quella era una notte favorevole, ma un oscuro timore lo tratteneva... l'inconfessata paura di essere respinto. Sorrise ironicamente: guerriero esperto, capitano della guardia di Zarcon, era capace di affrontare mostri spaventosi, e non aveva il coraggio di affrontare la possibilità di un eventuale rifiuto? Obiettivamente, era ridicolo. Inoltre, era chiaro che lei lo voleva quanto lui voleva lei: glielo aveva letto negli occhi, lo aveva percepito nei suoi baci, delle sue carezze. La sola possibilità che lei lo rifiutasse, però, lo faceva esitare, ed allora rimaneva lì, prigioniero della propria indecisione.
"Che cosa aspetti, principe Freydar?" chiese una voce sommessa poco lontana da lui.
Freydar sussultò, colto di sorpresa, accorgendosi solo allora della presenza al suo fianco di Nirvor. Si rimproverò la propria disattenzione: che soldato era, se lasciava avvicinarsi qualcuno senza rendersene conto? Però, pensò poi, forse la cosa era giustificabile, se si teneva conto che Nirvor non era qualcuno, ma un essere ultraterreno dotato di facoltà sovrumane, come quella di muoversi senza il minimo rumore.
Nel buio lattescente della notte illuminata dalla luna appena calante, il Principe del Fiordo incontrò lo sguardo carico di saggezza millenaria della sua interlocutrice, e non riuscì a spiccicar parola.
"So quello che si agita nel tuo cuore", proseguì la Custode della Corona sottovoce. "Va' da lei. Ti sta aspettando, anche se non lo sa."
Freydar esitava ancora, in bilico tra speranza e dubbio.
"Va'!" ripeté l'Argentea, quasi perentoria.
Il capitano finalmente si decise. Rapido, si girò ed attraversò il bivacco, seguendo le orme di Veldhris.
Sentendo il rumore di qualcuno che si avvicinava – ramoscelli spostati e suolo calpestato – Veldhris stranamente non si allarmò. Del resto Rollie, dopo aver annusato brevemente l'aria, non si mise ad abbaiare; invece, vedendo di chi si trattava, emise un breve latrato di saluto e poi tornò a dedicarsi alle proprie esplorazioni.
Veldhris si rizzò a sedere, limitandosi a guardare Freydar venirle vicino senza staccargli gli occhi di dosso, con uno sguardo divorante che, lui ne era certo, rifletteva il suo stesso sguardo.
Si fermò davanti a lei, che tenne il viso sollevato chiedendosi vagamente come mai la comparsa del principe non le giungesse inaspettata.
Osservando il viso di lei nel chiaro di luna, Freydar pensò che sembrava una fata dei boschi, i lineamenti affinati dalla magica luce dell'astro notturno, aureolati dalla massa di capelli scuri, che in quel momento portava sciolti.
"Mi aspettavi?"
Non era una vera domanda: Veldhris si rese conto che lui conosceva già la risposta. Tuttavia annuì lentamente. "Si."
Il monosillabo parve sfuggirle con un sospiro colmo di languore.
Freydar sentì un brivido caldo corrergli lungo la schiena. Si sedette accanto a lei e le prese il viso tra le mani. Per un lungo momento rimasero a fissarsi senza parlare, perduti l'uno negli occhi dell'altra. Poi, molto dolcemente, con voce bassa ma chiara, lui parlò: "Ti amo, Veldhris."
I grandi occhi di lei mandarono un lampo. "Lo so", mormorò in un soffio, incespicando sull'iniziale. "Anch'io."
Stavolta furono gli occhi azzurri di Freydar a mandare un lampo. Le sue mani scivolarono in basso, la presero per le spalle, la trassero a sé, impazienti.
Veldhris accostò il viso a quello di lui, fissandolo con uno sguardo eloquente, appassionato.
Freydar si sentì fremere e la strinse forte contro di sé, poi chinò la testa e, mentre lei gli annodava le braccia attorno al collo, le prese la bocca.
Labbra contro labbra, lingua contro lingua. Dapprima esplorazione esitante di un terreno ancora quasi sconosciuto, timida ricerca; poi, via via aumentando d'intensità, espressione sempre più ardente di passione, muta confessione di desiderio, sollecito e risposta e di nuovo sollecito, finché il sangue non divampò nelle loro vene in un incendio inarrestabile ed i loro corpi fremettero d'impazienza, strumento ed offerta spontanea ai riti eterni dell'amore.
Freydar interruppe il bacio per guardare Veldhris in viso. Con la punta delle dita, le accarezzò la guancia. "Ti voglio nella mia vita, per sempre, fino alla fine del tempo", mormorò. "Perché ti amo come non ho mai amato nessun'altra donna, come non credevo fosse possibile amare, e farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti e sostenerti..."
Veldhris si sentì profondamente toccata da quella dichiarazione di devozione assoluta. Con un'esclamazione soffocata, lo strinse più forte e sollevò il viso verso il suo, offrendogli le labbra, gli occhi socchiusi su uno sguardo perduto che colpì Freydar in profondità. Esitò, quasi senza fiato per l'emozione; poi abbassò la testa e posò la bocca sulla bocca di lei in un bacio che voleva essere gentile, ma Veldhris gli rispose con un'intensità tale da infiammarlo ancor più di prima e lasciandolo tremante di desiderio.
Si baciarono profondamente, avidamente, aggrappandosi l'uno all'altra come se fossero sul punto di annegare e ciascuno rappresentasse per l'altro un'ancora di salvezza. Veldhris sentiva nella bocca la lingua di Freydar che ne esplorava ogni angolo, e le viscere le si torcevano per l'emozione e per il desiderio. Lo voleva, lo voleva con tutta se stessa, perché lo amava, e lui l'amava, e questa era la sola cosa che contasse.
Con mani tremanti, gli sfilò camicia dai pantaloni e vi fece scivolare sotto le mani, accarezzandogli la schiena. Sentendo le sue dita sulla pelle, Freydar rabbrividì. Si scostò leggermente per poter infilare una mano tra i loro corpi avvinghiati e sciolse i lacci che trattenevano i lembi della camicia di lei, poi le tolse l'indumento.
Sotto, Veldhris portava una camiciola di cotone leggero. Freydar si abbassò sulle soffici rotondità che nascondeva, sfiorandole con le labbra mentre cominciava a scostare l'indumento dalle sue spalle. Un momento dopo le scoprì il seno, ne catturò un capezzolo turgido con la bocca e cominciò a titillarlo con la lingua; Veldhris gemette di piacere, affondandogli le unghie nella schiena. Cominciò a sollevargli la camicia, desiderosa di toglierla di mezzo, e Freydar si scostò per permetterle di sfilargliela dalla testa. Poi tornò a chinarsi su di lei e lentamente la sospinse sulla coperta. Le aprì i pantaloni, poi, con l'aiuto di Veldhris, li fece scivolare lungo le sue gambe, e infine poté contemplarla senza veli, in tutta la sua bellezza. I riccioli scuri che coprivano la sua femminilità attirarono irresistibilmente lo sguardo di Freydar, che sentì la gola inaridirsi.
Veldhris, notandolo, si sentì allo stesso tempo lusingata ed intimidita, perché non era abituata ad essere l'oggetto di un'ammirazione così palese. Per distrarlo da sé, ma anche perché impaziente, cominciò ad armeggiare con la cintura delle sue brache, e poco dopo anche Freydar era completamente svestito. Fu la volta di Veldhris di rimanere a fissare con scoperta ammirazione il suo fisico prestante; il suo sguardo sfiorò l'ampio torace, le braccia muscolose, il ventre piatto, fino a posarsi sulla giunzione delle lunghe gambe, dove torreggiava il simbolo della sua mascolinità. Si passò la punta della lingua sulle labbra aride, inconsapevole del potere erotico di quel gesto, ed allungò una mano.
Sentendosi toccare, a Freydar sfuggì un ansito di piacere. Era una sensazione travolgente, tuttavia scoprì di smaniare di contraccambiare, accarezzandola fino a farla vibrare come uno strumento ben accordato.
Veldhris vide l'adorazione nei suoi occhi e deglutì a vuoto, sopraffatta ed incredula di poter essere l'oggetto di un desiderio così sconfinato. Poi Freydar le insinuò una mano tra le gambe e lei istintivamente le schiuse; sentì le sue dita risalirle l'interno delle cosce, carezzevoli come piume, facendola rabbrividire, e poi giungere al caldo centro del suo corpo. Trattenne il fiato mentre lui tentava gentilmente i petali roridi della sua intimità, ed un tremito irrefrenabile la scosse.
Freydar non riusciva più a connettere, la vista gli si offuscava e gli mancava il respiro. Il calore che emanava dal morbido fiore femminile che stava accarezzando gli disse che Veldhris era già pronta per lui, ma si trattenne; realizzando la fantasia erotica aveva spesso animato i suoi sogni, chinò la testa tra le cosce di Veldhris e cominciò a lambirla.
Veldhris non riuscì a reprimere un piccolo singulto quando la lingua di Freydar percorse l'accesso al suo scrigno di donna, e poi sussultò violentemente quando la sentì penetrare in lei, rovente come un tizzone, saettando su e giù ad un ritmo conturbante. Il piacere salì vertiginosamente nelle sue viscere e capì d'esser già sull'orlo del culmine.
Si ritrasse. "No!" ansimò, "Ti prego..."
Freydar comprese che Veldhris non poteva più aspettare; d'altronde, anche lui non ce la faceva più. Staccò la bocca dal suo centro bollente e le baciò il ventre, il seno, il petto, adagiandosi piano sopra di lei. Per un momento, fu quasi sopraffatto dal selvaggio desiderio di farla sua senza altri indugi, ma strinse i denti e si trattenne, cominciando invece a stuzzicare la femminilità di Veldhris con la punta della sua virilità.
Tuttavia, non aveva fatto i conti con il desiderio di lei, che era bruciante quanto il suo: Veldhris posò le mani sui glutei di Freydar, inducendolo a fermarsi, poi mosse il bacino fino a sentire che era nella posizione giusta e si spinse verso l'alto.
Freydar sentì che cominciava a entrare nel suo calore umido. Allora si spinse più dentro, con delicatezza, e scivolò completamente in lei. Considerò che avrebbe dovuto muoversi molto lentamente, se non voleva rischiare di raggiungere subito la vetta.
Veldhris gemette di sollievo e di piacere mentre Freydar scivolava senza sforzo dentro di lei; le parve che fosse molto più grande di quello che aveva creduto, ma comprese che questo era dovuto anche al fatto che era da tanto tempo che non faceva più l'amore e che il suo corpo doveva adattarsi. Gli era grata per la sua delicatezza e sentì d'amarlo più che mai. Lo incoraggiò a muoversi, e quando lui lo fece sospirò nuovamente di piacere.
Era talmente eccitata che bastarono poche spinte perché, all'improvviso, si trovasse nuovamente vicino al vertice. Spalancò gli occhi per lo stupore; non fece neppure in tempo ad accennare a trattenersi, che il piacere esplose nelle sue profondità, strappandole un lungo gemito d'incredulo godimento.
La sua reazione colse Freydar impreparato, ed un secondo dopo, sull'onda degli spasmi di Veldhris, anche lui raggiunse il culmine; l'improvviso, inaspettato sfogo gli strappò un basso lamento.
Veldhris ansimò cercando di riprendere fiato; si sentiva frastornata, ed anche leggermente in imbarazzo.
"Mi... mi dispiace", mormorò, quasi balbettando, "Io... non ero mai... arrivata tanto in fretta."
Freydar aveva ancora il respiro corto; sorrise: l'evidente impaccio di lei lo inteneriva indicibilmente.
"Stai scherzando?" le domandò a bassa voce, "Come uomo, mi sento tremendamente lusingato. E comunque, non è che io ci abbia messo molto di più."
Veldhris scoppiò in una breve risatina e Freydar socchiuse gli occhi, godendosi i sussulti del suo corpo sotto il proprio.
"Oh, beh, credo che gli unici più veloci di noi possano essere solo due coniglietti in calore!" scherzò lei; la sua uscita fece ridere anche Freydar, che pensò che adorava il suo senso dell'umorismo, così come adorava tutto il resto di lei.
OOO
Notte interminabile. Brevi sonni interrotti da appassionati risvegli. Carezze lievi, baci teneri, che ben presto si trasformavano, assumevano volontà propria, esigendo di più, ancora di più...
In quelle ore fuori dal mondo, Veldhris e Freydar si immersero insieme, con brama sempre rinnovata, nella folle girandola delle sensazioni fisiche ed emotive dell'amplesso, godendo profondamente l'uno dell'altra, non soltanto con i loro corpi, ma anche con le loro anime.
La naturale sensualità di Veldhris si esprimeva liberamente, come dono spontaneo ed incondizionato di sé, che si incontrava, fondendosi e completandosi, con la sensualità di Freydar. I loro corpi parevano creati appositamente l'uno per l'altro, accordandosi in modo perfetto, armonizzando come se si conoscessero da sempre, e le vette dell'estasi raggiunte insieme non facevano che aprire sempre nuovi orizzonti, ancor più promettenti.
Quando infine, esausti, scivolarono dolcemente nell'ultimo sonno prima del sorgere del sole, avevano entrambi gli occhi pieni di lacrime d'intensa commozione; continuarono a tenersi stretti, i capelli di Veldhris sparsi sulla spalla di Freydar, riluttanti ad allontanarsi anche di poco l'uno dall'altra.
OOO
Fu così che li sorprese il primo chiarore dell'alba, avvolti nella coperta e nel mantello di lui.
Veldhris socchiuse gli occhi, con riluttanza. Senti le braccia di Freydar attorno a sé e sollevò il viso per contemplarlo nel sonno, appassionatamente. Fu quasi spaventata dall'intensità del sentimento che provava per lui e che sapeva non avrebbe mai smesso di provare, e richiuse brevemente gli occhi, sopraffatta. D'un tratto le parve di capire le ragioni di Kareth, il suo rifiuto di vivere senza Neys, senza nemmeno una parte di lui: il solo pensiero che esisteva la possibilità di perdere Freydar la terrorizzava, la rendeva debole.
Scacciò con decisione quell'idea: niente doveva guastarle quel momento splendido, il primo risveglio accanto all'uomo che amava più di se stessa.
Si mosse leggermente. Le piaceva la sensazione della propria pelle nuda contro la pelle nuda di lui. Maledisse il fatto che fosse già quasi giorno e sperò ardentemente che il sole cambiasse idea e non si affacciasse dall'orlo del mondo, ma naturalmente non servì a nulla.
Con un sospiro rassegnato, Veldhris si sciolse dolcemente dall'abbraccio di Freydar, attenta a non svegliarlo: in tal caso, infatti, dubitava di riuscire a rientrare al campo di soppiatto come intendeva fare.
S'infilò velocemente la camicia ed i pantaloni, poi, con il resto dei vestiti stretti sotto braccio e gli stivali in mano, si allontanò, tuffandosi silenziosamente nella vegetazione in direzione del bivacco. Prima di arrivarci, tuttavia, si fermò e finì di vestirsi, passandosi quindi più volte le dita nella folta capigliatura bruna per sistemarla almeno un po'. Un istante dopo fu lieta della propria prudenza, perché ponendo piede nel piccolo accampamento si imbatté in Mikor, che stava uscendo dalla tenda che divideva col fratello.
Il Signore della Foresta del Vespro le lanciò un'occhiata indecifrabile. "Sei mattiniera, stamani", osservò in tono dubbioso." Il sole non è ancora sorto."
"Se è per questo, anche tu ti sei alzato prima del solito", ribatté Veldhris senza fermarsi. "Cos'è, ci vuole il permesso per svegliarsi presto?" aggiunse in tono pungente. Senza degnarlo di spiegazioni che non gli doveva, la cantante s'infilò nella propria tenda, dove svegliò Kejah.
La cacciatrice si stiracchiò sbadigliando. "Già ora di alzarsi?" sospirò.
"Ho bisogno della tua riserva di erbe medicinali", disse Veldhris a bassa voce.
La cugina adottiva si rizzò di scatto a sedere, allarmata. "Stai male?"
"No, no", si affrettò a rassicurarla la cantante. "Mi serve della radice di helor", spiegò.
Gli occhi di Kejah si sgranarono per la sorpresa, poi lentamente un largo sorriso, forse il primo così spontaneo dalla morte della gemella, le illuminò il viso di maliziosa allegria. "Così, ti sei finalmente decisa!" esclamò.
Veldhris arrossì. "Per favore, parla piano!" sibilò urgentemente. "Se permetti, vorrei che questo restasse tra di noi."
Kejah tornò subito seria. "Hai perfettamente ragione", riconobbe. "Aspetta solo un attimo."
Ginocchioni, strisciò fino allo zaino e ne pescò il sacchetto delle erbe. Un sacchettino ancor più piccolo conteneva la radice triturata di helor, da cui Kejah prelevò un paio di pizzichi, che gettò in una tazza, aggiungendo poi poca acqua.
Veldhris prese la tazza e, preparandosi mentalmente al gusto molto amaro che sapeva le avrebbe riempito la bocca, buttò giù d'un fiato il contenuto. Solitamente, nella comodità della propria dimora, avrebbe aggiunto del miele per addolcire il sapore abbastanza da renderlo più gradevole, ma in quelle circostanze non era possibile.
"Tieni", le disse Kejah, passandole il sacchetto. "Così puoi fare da sola. Ce n'è abbastanza per venti giorni, ma prima che finisca, ne raccoglierò ancora", le sorrise. "Allora, com'è stato?" domandò in tono complice.
Lo sguardo di Veldhris s'illanguidì. "Un sogno", confessò sottovoce. "Proprio come pensavo che sarebbe stato."
"Ne sono contenta", le disse Kejah, sinceramente. "Ho sempre pensato che Freydar ti avrebbe resa felice."
Veldhris annuì lentamente, l'espressione ancora vaga, poi sollevò di scatto la testa per guardare la cugina. "Com'è che pensavi questo?"
Kejah ridacchiò. "È un pezzo che gli fai gli occhi dolci di nascosto, ma credo che ti abbia attratta fin dall'inizio, vero?"
La cantante confermò con un cenno. "Santi numi, era così evidente?" mormorò.
Kejah ridacchiò di nuovo. "Oh, sicuro, ma solo a chi voleva vedere. Io l'ho capito perché ti conosco bene e sono donna come te, e lo stesso Kareth. Adesso qualcosa mi dice che anche Roden l'ha notato, ma è un ragazzo che si fa gli affari propri e tace..."
Veldhris fece una smorfia di disappunto. "Ovviamente anche Nirvor lo sa... a quanto pare, ormai lo sanno tutti!"
Ripensò stizzita all'incontro con Mikor poco prima: il suo segreto era davvero ben poco segreto! Persino Sekor doveva essersene accorto: aveva notato il comportamento del principe nei suoi confronti, quell'evitare di guardarla negli occhi che ora le appariva chiaramente con un tentativo di sfuggire alla realtà, la realtà in cui lei amava un altro uomo. Lo stava facendo soffrire ancora, immeritatamente, e se ne rammaricava molto, poiché gli era sinceramente affezionata.
"Non ti preoccupare", tentò di tranquillizzarla Kejah, vedendola tanto impensierita. "Siamo tutti amici, no?"
Veldhris non poté trattenere un sospiro. "Lo spero davvero", mormorò, cogitabonda.
OOO
Il viaggio lungo il fiume continuò, all'apparenza privo di novità come prima. Ogni notte, con molta discrezione, Veldhris e Freydar sgattaiolavano fuori dal campo per appartarsi, incapaci di stare lontani l'uno dall'altra, e rientravano un paio d'ore dopo, sotto l'occhio benevolo e complice di Nirvor, furtivi come amanti clandestini. Era infatti preciso desiderio di Veldhris tenere almeno l'apparenza del segreto, comprendendo oscuramente che, se fosse stato di dominio pubblico, potevano derivarne complicazioni indesiderate: un vero e proprio presentimento, come quelli già provati in passato, la metteva in guardia.
Un pomeriggio – erano passati cinque giorni – dal cielo corrucciato fin dal primo mattino cadde una fitta pioggia, che ben preso li costrinse a prendere riva ed a cercar riparo sotto una sporgenza rocciosa. Si trovavano ora in un territorio spoglio di vegetazione, tranne qualche albero vecchio e bitorzoluto, irto di glabre e ripide colline pietrose separate da profondi valloni, spesso percorsi da tumultuosi affluenti del Fimda.
I viandanti rimasero bloccati sotto la sporgenza a guardare la pioggia cadere a rovesci, perdendosi senza dar sollievo all'arido terreno.
"Accidenti al tempo!" brontolò Roden, di malumore. "Spero che non duri a lungo."
"No, è solo un acquazzone", lo rassicurò Freydar. "Violento ma passeggero."
Le sue previsioni si rivelarono esatte: meno di un'ora dopo, le grosse gocce d'acqua cessarono di cadere scrosciando dal cielo, i venti di quota stracciarono le nubi ed apparvero squarci di azzurro serale. Era ormai troppo tardi perché valesse la pena di proseguire, così decisero di accamparsi lì e si suddivisero i compiti: chi erigeva le tende, chi cercava legna sufficientemente asciutta per il fuoco, chi pensava alla cena. Il sole, ormai prossimo al tramonto, irradiava una luce obliqua, calda ed affettuosa, che ben presto, riflettendosi nell'aria ancora umida di pioggia, creò un bellissimo arcobaleno dai contorni nettissimi, quasi una striscia di sette colori spennellata nel cielo.
Ammaliata da quell'apparizione, Veldhris dimenticò il compito di cercare legna che si era assunta con Roden, compito arduo a causa della scarsità di vegetazione, e rimase a contemplare lo splendido arco multicolore che brillava sullo sfondo azzurro del cielo serale. Come attratta da un incantesimo, lasciò cadere i pochi rami raccolti, facendo sobbalzare Rollie per la sorpresa, e si avviò verso la collina spoglia dietro alla quale l'arcobaleno pareva sorgere, incurvandosi maestosamente verso l'alto.
Stranamente, man mano che proseguiva, con l'immancabile Rollie alle calcagna, Veldhris poté notare che l'iridata striscia s'ingrandiva, quasi fosse qualcosa di palpabile, solido, non un'aerea illusione ottica.
Giunta sul crinale del colle, Veldhris guardò giù nella valle tra di esso ed il seguente, dove il suo sguardo incredulo scorse un sottile spruzzo d'acqua cangiante e luminescente che, dalla fonte nella parete rocciosa, si riversava in una vasca triangolare di pietra traslucida: l'arcobaleno nasceva da lì. Soffregandosi gli occhi per accertarsi di non essere preda di un'allucinazione, Veldhris discese incespicando la china del colle, da quel versante meno ripida che da quello che aveva asceso, e seguita dal suo cagnolino insolitamente silenzioso si avvicinò alla fantastica fonte. Il suono dell'acqua corrente suggeriva un'idea di freschezza riposante, e la cantante s'inginocchiò ai piedi dell'arcobaleno, sul bordo della piccola vasca dal candore alabastrino. Affascinata, rimase ad ammirare piena di meraviglia l'acqua cangiante, chiedendosi se non si trattasse di qualche fonte magica. Infine non resistette alla tentazione di toccarla, allungò una mano e la tuffò nell'acqua, che era fredda ma non gelida. Ripiegò le dita a coppa e si chinò, portandosi quell'acqua dal brillio multicolore alla bocca.
"Non bere!"
Rollie mandò un guaito spaventato e Veldhris sobbalzò, rovesciandosi addosso l'acqua raccolta; allarmata, cercò con lo sguardo il proprietario della voce che aveva udito.
Di fronte a lei, dall'altra parte della pozza, si ergeva un'alta figura ammantata di nero, con un ampio cappuccio dall'ombra impenetrabile che ne celava il volto.
"Quell'acqua è veleno per chiunque, tranne che per pochi eletti", proseguì la misteriosa apparizione con voce fredda.
Veldhris si accorse di non udire le parole con le orecchie, ma che essi si formavano direttamente nella sua mente. Un brivido di timore la scosse, ma Rollie sembrava tranquillo, dopo l'iniziale spavento, tanto da non ringhiare nemmeno, come faceva sempre quando vedeva la sua padroncina in pericolo.
Prendendo coraggio, Veldhris chiese all'apparizione: "Chi sei?"
L'altro la squadrò per un istante prima di rispondere. "Il mio nome è Rovrin il Dorato. Sono il Custode della Fonte della Mente Chiara, detta anche Fonte dell'Arcobaleno."
Veldhris aggrottò le sopracciglia: non aveva mai sentito quel nome. Se Roden fosse stato con lei, l'avrebbe informata che Rovrin era menzionato nelle antiche leggende esattamente con il titolo che si era attribuito.
"Io sono Veldhris Yuniadil", si presentò, ancora incerta.
Si sentì quasi obbligata a dirlo. Più tardi avrebbe compreso che era stato Rovrin a sollecitarla telepaticamente. Ora, non riuscendo a frenare la propria curiosità, domandò: "Chi dunque può bere a questa fonte?"
La figura ammantata di nero parve perplessa, come chiedendosi che importanza potesse mai avere per lei saperlo o meno. Decise infine di rispondere, in tono indifferente, chinando la testa a scrutare le acque cangianti nella vasca triangolare da cui nasceva l'arcobaleno, come disinteressandosi della donna. "Solo chi appartiene alla Stirpe Eccelsa e porta la Corona di Luce. Sto attendendo l'Erede di Arcolen, l'ultima persona che bevve da questa fonte, più di mille anni fa."
Veldhris inghiotti a vuoto, allibita, gli occhi sgranati: quell'incontro assumeva di colpo la consistenza di una predestinazione. Esitò, poi disse con fermezza: "Io sono l'Erede di Arcolen, la nuova Portatrice della Corona."
Rovrin risollevò di scatto la testa e tornò a fissare Veldhris; con un movimento lento e deliberato, spinse indietro il cappuccio, rivelando un volto dai lineamenti cesellati. La sua fronte era corrugata. "Dimostralo", disse seccamente, sempre parlando senza muovere le labbra.
Per un momento, Veldhris non seppe come rispondere a quella richiesta, peraltro del tutto legittima. Poi le sovvenne il Segno della Corona. Raddrizzò la schiena e, come le aveva insegnato Nirvor, fece comparire il triangolo rovesciato tra le sopracciglia.
Per un lungo momento, Rovrin rimase immobile, come folgorato; poi, fu scosso da un fremito. La sua espressione corrucciata si distese, trasformandosi lentamente in un sorriso. Gettò improvvisamente il mantello a terra, rivelando una figura snella, una lunga chioma di sottili capelli simili a fili d'oro luminosi e obliqui occhi dorati, abbigliato con una corta tunica di stoffa d'oro. Veldhris trattenne a stento un grido di sorpresa: l'uomo assomigliava in modo incredibile a Nirvor, tanto da poterne essere il gemello. E Rovrin, solo ora se ne rendeva conto, era il rovescio nel nome della Custode della Corona.
Con suo sommo stupore, la cantante vide Rovrin farle una profonda riverenza. "Altezza Imperiale", disse l'essere ultraterreno senza muovere le labbra. "Sono felice di potervi finalmente incontrare, dopo una così lunga attesa. Avete ritrovato la Corona di Luce: la Profezia di Arcolen sta per compiersi. Vi prego, bevete: la chiarezza di mente che acquisirete sarà un aiuto per sconfiggere la Signora dei Draghi Neri."
"La Fonte mi renderà più saggia?" chiese Veldhris.
"No", fu la risposta, pacata e grave. "Saggezza e chiarezza di mente non sono la stessa cosa, avendo origini diverse: la prima deriva dall'esperienza, la seconda dalla lucidità di pensiero. L'acqua della Fonte vi permetterà di discernere la verità nella vostra mente, senza incertezza né inganno. Potrete così formulare pensieri nitidi in ogni situazione, a dispetto di qualsiasi circostanza, perfino dei vostri stessi sentimenti."
Lo sguardo di Veldhris vagò da Rovrin alla vasca d'acqua cangiante.
"Bevete senza timore, Erede di Arcolen, Campionessa della Luce", la esortò l'essere ultraterreno. "La vostra missione ne trarrà sicuro vantaggio, e così voi stessa."
Lentamente, Veldhris tornò a chinarsi sull'acqua, vi immerse le mani congiunte a coppa e bevve. Le parve che una linfa vitale e freschissima le scorresse giù per la gola, espandendosi all'altezza del plesso solare in tutto il corpo. Un'impressione di rinnovamento delle sue forze fisiche e mentali la pervase. Alzò lo sguardo per cercare Rovrin e dirgli di quella sensazione meravigliosa e ringraziarlo, ma non lo trovò: così com'era apparso, il Custode della Fonte dell'Arcobaleno era sparito, dileguandosi senza lasciar traccia.
OOO
Era quasi buio quando tornò all'accampamento, seguita al trotto da Rollie.
"Dove sei stata, Vel?!" quasi l'aggredì Kejah. "Sei svanita come nebbia al sole!"
"Ci hai fatti preoccupare moltissimo", rincarò la dose Roden.
Freydar si limitò a lanciarle un'occhiata di rimprovero, ma dalla sua espressione Veldhris comprese che era stato terribilmente in ansia e provò rimorso: era vero, non avrebbe dovuto allontanarsi per così tanto tempo senza avvertire nessuno.
"Mi dispiace", disse pertanto, afflitta. "Io... sono stata chiamata. Era Rovrin il Dorato."
L'unica a non mostrare eccessiva meraviglia fu Nirvor.
Roden si girò di scatto dove, fino a pochi minuti prima, l'arcobaleno aveva scintillato e dove ora permaneva come un alone di luce multicolore. "Vuoi dire... che hai incontrato il Custode della Fonte della Mente Chiara?" domandò, sbalordito.
"Proprio così", confermò Veldhris.
Nirvor annuì, gli occhi d'argento pensosi. "Sì, qualcosa mi diceva che quell'arcobaleno era opera sua", dichiarò. "Avrei voluto avvertirti, ma eri già sparita. Un tempo, quando la Corona passava a un nuovo Portatore, Rovrin segnalava così la propria presenza. Sparì dopo la sconfitta di Arcolen ma, con l'approssimarsi della fine del Millennio di Tirannide, ha cominciato a ricomparire. Non sapendo dove trovare l'Erede profetizzato, appariva un giorno qui, il giorno dopo lontanissimo. È stato un colpo di fortuna che tu ti sia imbattuta in lui. A dire il vero, non ci speravo affatto, per questo non te ne ho mai parlato", fece una breve pausa. "Hai bevuto l'acqua, vero?" domandò a bassa voce.
"Sì", rispose Veldhris, e non volle aggiungere altro.
OOO
Quella notte, Veldhris preferì rinunciare al romantico ed appassionato incontro con Freydar: si sentiva troppo turbata da quanto aveva appreso in quelle poche ore, da quando aveva bevuto alla Fonte della Mente Chiara. Come Rovrin le aveva detto, ora i suoi pensieri erano molto più nitidi. Per esempio, qualora ve ne fosse stato bisogno, aveva trovato piena conferma della sincerità e profondità del suo amore per Freydar, come anche dell'affetto fraterno che nutriva per Roden, Kejah e Sekor.
A sorpresa lei era giunta invece la rivelazione di un certo timore che, senza saperlo, provava verso il Nirvor, un timore che nasceva dalla consapevolezza dell'abissale differenza tra di lei e la Custode della Corona, o più in generale tra gli esseri terreni ed ultraterreni. La riverenza e la fiducia per l'Argentea erano quindi lievemente inquinate da questa paura inconscia, l'invincibile diffidenza dell'animo umano per tutto ciò che è diverso e palesemente più potente. Sapeva però anche di esserle sinceramente affezionata ed immensamente grata, cosa che controbilanciava ampiamente il timore.
Altra sgradevole sorpresa le era venuta dalla scoperta di una sorta di attrazione che nutriva per Mikor, un'attrazione fisica del tutto insospettata, che presumibilmente nasceva dal suo istinto che rispondeva in modo automatico all'aura di sensualità animalesca di cui Mikor era dotato. Un'attrazione che ora Veldhris poteva ammettere senza falsi pudori, e che veniva compensata da una repulsione altrettanto forte, se non fosse esistita la quale lei si sarebbe forse gettata tra le braccia del Signore della Foresta del Vespro per soddisfare quel desiderio meramente carnale. Con tutta probabilità, lo stesso discorso valeva per Mikor; era questa l'origine reale dei loro conflitti, a prescindere dalla gelosia del principe nei suoi confronti.
C'era però qualcosa che l'aveva veramente atterrita: la scoperta di un'ancora più strana, aberrante attrazione – una curiosità impaziente, quasi anelante – per Rakau e per tutto quello che costei rappresentava. Un'attrazione questa finora tenuta nascosta alla sua consapevolezza dal tutt'altro che biasimevole timore per la terrificante battaglia che l'attendeva, ma non per questo meno reale, meno vera. A disagio, Veldhris si chiedeva cosa potesse mai significare: ricordava ancora le parole di Nirvor l'Argentea, all'indomani dell'avventura nel Regno Sotterraneo, quando l'aveva messa in guardia contro la sete di potere che avrebbe potuto nascere persino in lei, l'Erede di Arcolen, la paladina delle Potenze Luminose, una volta in possesso della Corona. Allora aveva considerato quella possibilità come remotissima, ma ora, di colpo, le appariva molto concreta. Il fatto di aver superato l'esame delle voci non la rassicurava: dopotutto, non le era stata rivelata la ragione per cui era stata considerata adatta. Poteva essere per la bontà d'animo, l'altruismo, il coraggio... oppure soltanto per la capacità di domare il Potere Luminoso contenuto nelle Gemme Gemelle. In tal caso, il rischio che il potere le desse alla testa prendeva più consistenza. Forse riconosceva in Rakau una creatura simile a lei stessa, che perciò l'attraeva sottilmente, subdolamente?
Non voleva neanche considerare una simile possibilità, era troppo orribile!
Tuttavia, quella scandalosa attrazione permaneva, facendola dubitare di se stessa.
Forse, in fondo avrebbe fatto meglio a non bere dalla Fonte dell'Arcobaleno... ?
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