Capitolo XVII: La Corona di Luce
Capitolo XVII: La Corona di Luce
"Che cos'è, in nome degli dei?!" urlò Sekor nel cupo, ossessivo tuonare di mille tamburi che pareva provenire da ogni dove.
"Siamo stati scoperti!" rispose Nirvor, anche lei gridando per farsi udire in quel frastuono infernale. "Svelti, seguitemi!"
Corsero a perdifiato dietro alla loro guida, tanto veloci da minacciare di spegnere le torce; persino Kareth tenne il passo, momentaneamente senza sforzo, spinta dall'ancestrale timore della minaccia ignota che si sente incombere su di sé.
Dopo un centinaio di lunghi passi ed varie curve a gomito, si trovarono all'improvviso di fronte ad alcune figure semiumane armate di grandi scimitarre ricurve.
Nirvor, che procedeva in testa, si fermò di botto, mentre i raccapriccianti armigeri di Xos arretravano istintivamente, spaventati da quelli inaspettata e per loro terribile apparizione di luce. Erano in otto, dotati di un'armatura dipinta di nero; nelle mani unghiate scintillavano sanguigne le scimitarre, illuminate da lanterne rosse appese a ganci nel soffitto.
I compagni di Nirvor si ammassarono dietro di lei, fissando inorriditi quei grugni dall'apparenza bestiale, ferina, e per un lungo momento non poterono muoversi, incerti sul da farsi. I tamburi continuavano a rullare ossessivamente, assordanti.
Vedendoli indecisi, gli armigeri si fecero coraggio a vicenda lanciandosi versacci gutturali e presero ad avanzare, pronti all'assalto, gli occhi gialli luccicanti di brama di uccidere.
Il contrattacco dei viandanti venne dalla persona che meno ci si poteva aspettare: con un unico movimento fluido, sorprendente nella sua precisione nonostante la velocità, Veldhris si fece saltare in mano uno dei pugnali e lo lanciò con forza. La lama penetrò nella gola indifesa dello sgherro semiumano più vicino, squarciando la carne e facendone fiottare un disgustoso, denso icore verdognolo. Per un istante, la scena parve congelarsi: Veldhris con il braccio teso, l'armigero con il pugnale conficcato nella gola, i suoi compagni che lo fissavano disorientati, gli amici della cantante sbalorditi.
Con innaturale lentezza, lo sgherro morto o morente cadde al suolo, rallentando sensibilmente l'avanzata dei suoi compari.
Freydar si scrollò di dosso lo stupore e, tratta dal fodero la sua spada, soverchiando l'assordante tuonare dei tamburi lanciò il suo urlo da battaglia. "Per Zarcon del Fiordo!!"
Brandendo la grande lama, si catapultò in avanti, piombando in mezzo ai nemici come una furia.
"Tamya! Tamya!"
Il nuovo grido di battaglia parve far tremare la roccia stessa, prorompendo dal possente petto di Roden mentre si precipitava, ascia in pugno, in sostegno dell'amico. Mikor lo imitò, seguito a ruota da Sekor, ed i due fratelli si buttarono nella mischia roteando le loro spade.
La lotta infuriò cruenta, ma si risolse nel giro di pochi secondi: alla fine, tutti e otto gli sgherri semiumani giacevano a terra morti, chi con il ventre squarciato dalla grande scure di Roden, chi con la testa fesa dal pesante spadone di Freydar, chi con il grugno lacerato dalle esiziali punte delle lame di Sekor e di Mikor.
Sconvolta da quello spettacolo brutale, Veldhris distolse gli occhi. Non era intervenuta nel corpo a corpo, non possedendo né l'addestramento, né la forza fisica per sostenere uno scontro simile; Kareth e Kejah si erano astenute dall'usare gli archi nel timore di colpire gli amici. Nirvor stessa aveva evitato l'uso della sua magia rivelatrice.
I quattro combattenti pulirono velocemente le loro armi e le riposero, tornando verso le compagne. Freydar si avvicinò a Veldhris e, rivolgendosi a lei come avrebbe fatto con re Oolimar, le annunciò: "Il nemico è stato sbaragliato. Abbiamo riportato una vittoria completa." Poi, vedendola pallida e con lo sguardo a terra, la prese per le spalle. "È tutto finito, Veldy", aggiunse a bassa voce, rassicurante.
Lei alzò lo sguardo di colpo, le pupille oscure come tempesta. "Finito?!" esclamò. "Ma se deve ancora cominciare!" Accorgendosi della durezza del proprio tono, assolutamente fuori luogo, vergognandosene volse gli occhi altrove, e si accorse del sangue che colava sul braccio di Freydar. "Ma sei ferito!" proruppe, spaventata.
Sentendosi respinto, il principe aveva fatto un passo indietro; ora si passò una mano sulla ferita, ostentando indifferenza. "Solo un graffio, per fortuna", dichiarò, noncurante.
Veldhris si avvide che aveva ragione e si sentì terribilmente sollevata. Per mascherare il suo fin troppo evidente stato d'animo, si rivolse agli altri con ansia leggermente esagerata. "E voi, state tutti bene?"
Ottenne risposte rassicuranti: solo Sekor aveva riportato una ferita, poco profonda poiché il colpo era giunto di striscio. Dal taglio usciva però sangue in abbondanza e Kejah, prontamente accorsa ad esaminarlo, si preparò a tamponare l'emorragia, ma Nirvor li ammonì che non c'era tempo da perdere. "Dobbiamo raggiungere la Caverna Centrale: li saremo al sicuro. Non sono nemmeno duecento metri."
Freydar stava per avvicinarsi al cadavere del primo armigero caduto per recuperare lo stiletto di Veldhris, ma la cantante lo precedette e, con fermezza sorprendente almeno quanto la sua pronta reazione all'avvicinarsi dei nemici, lo strappò dalla gola squarciata del morto, lo pulì e lo ripose. Dopodiché, incalzati dal ritmo ossessionante dei tamburi che parevano essersi avvicinati, i sette compagni di Nirvor seguirono la loro guida, percorrendo di volata i duecento metri con che li separavano dalla meta, ignorando stanchezza, debolezza e ferite.
L'accesso alla Caverna Centrale, contrariamente alle aspettative, era stranamente piccolo, appena un pertugio scavato nella roccia. Tanto più grande fu quindi il loro stupore quando si avvidero dell'aspetto maestoso della grande grotta retrostante: un' incalcolabile quantità di lanterne, lampade ad olio e bracieri, tutti di materie preziose che andavano dall'oro al cristallo ed al bronzo, illuminavano la caverna ed i merletti che stalattiti e stalagmiti creavano, pendendo dal soffitto o sorgendo dal pavimento: erano così da secoli, private del costante, lento stillicidio dell'acqua che le avrebbe a poco a poco unite in colonne, come alcune tra le più antiche avevano già fatto prima dell'intervento di Xos. Gemme preziosissime – diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi, topazi, ametiste – erano state incastonate nella roccia, sparse un po' dovunque, ed ora rifulgevano di mille ed un colore nell'avvampare dei luminari. E non solo la vista era aggredita, ma anche l'udito: dopo l'ossessivo tuonare dei tamburi, il silenzio che regnava nella Caverna Centrale era assordante.
I viandanti erano tutti a bocca aperta per lo sbalordimento.
"È... è incredibile", balbettò Kejah, sopraffatta.
Veldhris osservava tutto con occhi spalancati, senza fiato per la meraviglia, ma fu la prima a riprendersi. "Tanta bellezza cela pericolo come il lago sotterraneo?" interrogò Nirvor, l'evidente ansia venata di amarezza.
L'Argentea, che aveva smesso di risplendere di luce propria, scosse la lunghissima chioma di luna. "No: la Caverna Centrale è la residenza personale di Xos e pertanto, dopo tutte le trappole disseminate lungo il cammino e le sentinelle che noi abbiamo evitato, ritiene di essere perfettamente al sicuro persino dai suoi stessi sudditi che, come vi ho detto, non osano mettere piede qui a causa della Corona di Luce, temuta come la peste da quelle creature immonde."
"Bene", disse Veldhris in tono deciso, scaricando lo zaino a terra. Gli altri la imitarono, liberandosi con sollievo del peso, e la seguirono nel ginepraio delle stalagmiti ricoperte di gioielli grezzi. Dato che non avevano ancora visto la Corona da nessuna parte, i suoi compagni si stupirono alquanto del suo incedere sicuro, come se sapesse esattamente dove andare, e Roden ricordò il giorno in cui li aveva guidati attraverso la distrutta Tamya, seguendo l'inaudibile richiamo di Rova, la Maga di Corte, ed anche quando aveva attraversato le deserte Brughiere Aride, convocata al Cerchio di Pietre da Nirvor la Custode.
Pochi minuti dopo, erano davanti ad una ripida scalinata scavata nella pietra viva. Ai lati, a intervalli irregolari, erano posti dei bracieri di bronzo in cui ardevano i fuochi. In cima, posato su di un basso blocco squadrato di marmo bianco coperto da un drappo di velluto azzurro cupo, giaceva qualcosa di brillante. Senza bisogno di vedere più da vicino, tutti seppero istintivamente che si trattava della Corona di Luce, infine raggiunta dopo tanti travagli. Gli occhi levati a fissare l'oggetto sfolgorante, si fermarono ai piedi della gradinata, tutti eccetto Veldhris che, quasi attirata suo malgrado, prese a salire, lentamente, affascinata come da una musica prodigiosa. I gradini erano molto alti, pensati per un essere dalle gambe ben più lunghe delle sue, e pur essendo soltanto dieci, scalavano un dislivello di tre metri. Veldhris saliva con cautela, irresistibilmente attratta dallo sfolgorio sul drappo azzurro scuro, e quando giunse davanti al blocco squadrato simile ad un altare, si fermò, fissando infine lo sguardo trasognato sulla mitica Corona di Luce.
Era bellissima, pensò, incantata dalla linea aggraziata del semplice cerchietto d'oro e dalle bianche Gemme Gemelle a forma di goccia, che pendevano dai due riccioli divergenti che ascendevano sul davanti. Erano queste che sfavillavano accecanti nella mobile luce dei fuochi nei bracieri.
Incapace di distogliere gli occhi dalla corona, Veldhris girò lentamente attorno al blocco di marmo per fermarsi dietro di esso. Durante un altro lungo momento rimase a contemplare rapita l'oggetto luccicante, mentre ai piedi della gradinata i suoi compagni la fissavano col fiato sospeso.
Veldhris sollevò un braccio e sciolse i nastri che trattenevano le trecce in cui aveva stretto i suoi capelli. La lunga capigliatura le ricadde sulle spalle e sulla schiena. Poi, col cuore che le batteva gran colpi sordi in petto, la cantante, l'Erede di Arcolen, allungò le mani, le posò sulla corona e la sollevò lentamente davanti a sé e poi sopra la propria testa, seguitando a tenere gli occhi fissi su di essa. Le Gemme Gemelle sfolgorarono di luce, trionfali, accecanti, bianchissime, mentre Veldhris le teneva sospese ancora un momento sul proprio capo. Sembravano possedere una vita propria, splendendo e raggiando la loro gioia per essere state infine ritrovate e rivendicate dal legittimo Portatore della Corona.
Era il diciottesimo giorno di marzo, il terzultimo dell'anno.
Completando infine il gesto, Veldhris abbassò il cerchietto d'oro e se ne cinse il capo. I bianchi gioielli, millenari depositari dell'essenza del Potere Luminoso, brillavano ora sulla sua fronte, evidenziati più che ombreggiati dai capelli che ricadevano ribelli. Agli occhi dei suoi sbalorditi amici, esclusa Nirvor che se lo aspettava, Veldhris parve crescere in statura, assumere un portamento fiero, dignità imperiale e solennità suprema. Pareva ora l'immagine vivente di gloriosi Imperatori ed Imperatrici del passato, erede non solo del sangue ma anche della nobiltà e della potenza dei suoi insigni antenati.
Ma, a chi volle guardare più in profondità, si palesò anche la sua umiltà, la sua naturale distinzione, la sua generosità, che ancor più la rendevano vera figlia di una dinastia destinata al comando.
"Ecco l'Erede di Arcolen, l'Imperatrice di Shyte", disse Nirvor a bassa voce, ma in quel silenzio assoluto la udirono tutti distintamente.
Freydar posò un ginocchio a terra, chinò il capo portandosi la destra alla fronte per poi risollevare lo sguardo e posare la mano aperta sul cuore, nell'omaggio riservato dal tempo dei tempi ai soli Imperatori di Shyte, la qui in memoria si era conservata a Zarcon tramite i discendenti del fido scudiero di Arcolen.
Nirvor imitò il capitano e, vedendoli, Roden, le gemelle, Mikor e Sekor fecero altrettanto, chi impacciato, chi più disinvolto.
Veldhris guardò i propri amici e compagni inchinarsi davanti a lei con indescrivibile emozione, ma anche con imbarazzo. "Alzatevi", li pregò con voce soffocata. "Non dovete..."
La frase si spense a metà. Sorpresi, Freydar e gli altri la videro mutare di repente espressione, ed il suo sguardo li atterrì: uno sguardo spaventoso, poiché non capivano, uno sguardo totalmente inconsapevole del mondo circostante, rivolto completamente all'interno, nei recessi più profondi ed inaccessibili dell'animo umano.
"Che succede?" esclamò Freydar, allarmato da quell'improvviso cambiamento.
Stava per slanciarsi su per i gradini, ma Nirvor lo trattenne. "Sta sperimentando il potere della Corona", spiegò. "Non dobbiamo disturbarla. Non le accadrà nulla di male."
Freydar si calmò ed anche gli altri si tranquillizzarono alle quiete parole della Custode.
OOO
Veldhris stava scendendo lungo un'ampia spirale di luce, giù, sempre più giù nelle profondità della sua anima. Non era spaventata, sono stupita dell'inaspettata esperienza. Man mano che scendeva, però, la luce andò scemando, fino a scomparire del tutto, lasciandola completamente sola con se stessa.
Tenebra.
A poco a poco, un grande turbamento pervase Veldhris.
Silenzio.
La serpe velenosa della paura prese ad agitarsi in un angolo della sua mente.
Tenebra.
Provò a muoversi, ma con terrore scoprì di non esserne capace.
Silenzio.
Provò a chiamare, ma dalla gola non le uscì alcun suono.
La serpe della paura crebbe, divenne gigantesca, l'avvolse nelle sue spire mortali, si trasformò in panico, soffocandola.
Freydar!
L'invocazione echeggiò ho nella sua mente sconvolta. Si aggrappò a quell'eco sfuggente, ma lui non giunse.
Nirvor...
Stavolta fu un piagnucolio quasi infantile, terrorizzato, ma lei non giunse.
Voci piene di scherno la irrisero per la sua paura.
Lei si ribellò, infuriata.
Come mazzate, le giunsero le accuse: vile! E l'altra, più dolorosa ancora: egoista!
No! gridò lei con la mente, cercando disperatamente di difendersi. Crudelmente, le vennero allora esposte le sue meschine paure, i suoi infantili timori, per cui cercava conforto dagli altri.
Perché era tanto tollerante ed accomodante con tutti? Per la vile ragione che trovava più comodo essere indulgente che sostenere il proprio punto di vista rischiando uno scontro fisico o verbale.
Non è vero! gridò lei, disperata ma decisa. Ognuno ha diritto alle sue idee, non è giusto costringere gli altri alle nostre solo perché si è convinti di essere nel giusto, può sempre darsi che siamo proprio noi a sbagliare.
E allora perché si era spesso imposta sui suoi compagni, perseguendo egoisticamente obiettivi fantomatici a rischio della vita altrui?
Non ho mai costretto nessuno a seguirmi, si difese lei, senza fiato per l'indignazione e con le lacrime agli occhi. Anzi ho cercato di fermarli.
Poteva però negare di aver provato un vile sollievo apprendendo che loro l'avrebbero seguita comunque?
Perché dovrei negarlo? ribatté lei, insorgendo ancora una volta. Sono conscia dei miei limiti e sapevo d'aver bisogno d'aiuto: questa non è viltà, è solo capacità di ammettere le proprie debolezze.
Ne era convinta, insinuarono le voci, oppure era solo un tentativo di mascherare il suo pensiero reale?
Ne sono convinta, dichiarò fermamente Veldhris. Esaminatemi e vedrete.
Le voci tacquero.
Si accese una luce.
Sei coraggiosa, dissero le voci, non più accusatrici. Ma avrai bisogno di tutto il tuo coraggio, adesso: stai per vedere il Potere Luminoso.
Un presentimento la mise in guardia, sussurrandole all'orecchio il suo avvertimento: fu quello a salvarla dalla pazzia, pur non riuscendo ad evitarle il trauma.
Si trovò all'interno di un'enorme galleria, o perlomeno di qualcosa che sembrava una galleria, della quale era impossibile vedere l'inizio o la fine. La sostanza che la componeva, sempre che fosse una sostanza, emetteva un bagliore accecante, costringendola a strizzare gli occhi ed ammiccare per scacciare le lacrime. Il gigantesco cunicolo pareva ruotarle attorno in un moto vertiginoso, anche se relativamente lento. Oppure era lei che, sospesa nel vuoto al centro dello spazio, ruotava su se stessa? Non le riuscì di stabilirlo. La misteriosa sostanza della galleria ribolliva, gettando alte fiammate di luce accecante come fulmini, che la sfioravano senza però mai toccarla, portando con sé una raffica di aria gelida. Era una visione terrificante, cui si aggiungeva un rumore che percuoteva dolorosamente i timpani, simile al cupo rimbombo di un terremoto frammisto allo strepito del vento sulle pianure in una notte di tempesta ed al profondo scroscio di una cascata di proporzioni incalcolabili. Veldhris però sapeva che il rumore aveva un'unica origine, per quanto questa rimanesse sconosciuta. Si sentì rizzare i capelli in testa ed il cuore prese a batterle furiosamente in petto, così forte e così irregolarmente che temette di vederlo schizzar via.
Quello era il Potere Luminoso che lei doveva governare? Si mise a tremare come una foglia, sull'orlo dello svenimento. Come poteva avere la forza necessaria per imbrigliare e dirigere una simile, terribile potenza, tanto grande da non potersi misurare? Una potenza primeva che esisteva anteriormente alla creazione del mondo e che sarebbe sopravvissuta oltre la sua fine... Chi era lei, per poterlo fare? Come poteva farlo?
OOO
Si ritrovò di colpo in cima alla gradinata, nella Caverna Centrale. Si stupì di non esser caduta a terra, priva di forze come si sentiva. Fissò senza vederli i propri compagni, che stavano ancora rialzandosi dopo il suo invito a farlo. In realtà, erano trascorsi solo pochissimi istanti dal momento in cui si era immersa in se stessa, guidata dalla Corona. Si portò una mano alla fronte, stordita, tremante, ancora terrorizzata, ma quando sfiorò le Gemme Gemelle si sentì rinfrancata.
Aveva superato la prova cui era stata sottoposta.
Il suo sangue non l'aveva tradita: apparteneva davvero alla Stirpe Eccelsa.
Ma aveva ancora molta paura.
"Stai bene, Veldy?" chiese Roden, preoccupato dal suo pallore.
Lei aprì bocca per rassicurarlo, ed assicurare a se stessa di star davvero bene, ma non poté farlo mai.
Con un ringhio assordante che rintronò tutti i presenti, minacciando di farne scoppiare i timpani, un essere che pareva vomitato dal più profondo degli inferi eruppe nella grotta come una forza della natura scatenata. Travolgendo tutto al suo passaggio, frantumando le stalattiti e stalagmiti ingioiellate come se fossero state di vetro, l'essere spaventoso si fece strada con una velocità incredibile, puntando direttamente su Veldhris e la Corona. Gli astanti sentirono i capelli rizzarsi sulla nuca e la pelle aggricciarsi per l'orrore senza nome che li aveva afferrati alle viscere, stritolandole in una morsa ferrea. Kejah senti le gambe mancarle e cadde in ginocchio, incapace di affrontare anche solo la vista della mostruosità dalla testa di lupo che avanzava, circondata da un'aura di malvagità tale da rendere ciechi e malati. Veldhris, gli occhi dilatati dal terrore, fissava l'essere infernale incapace di muovere un solo muscolo.
"Fermati, Xos!"
La voce perentoria di Nirvor echeggiò nella grande caverna, simile ad una vibrazione d'acciaio.
Incredibilmente, il mostro si bloccò, rimanendo però a quattro zampe, pronto a balzare. I suoi occhi gialli e malvagi, carichi di un odio millenario, si fissarono in quelli di Nirvor, che non batté ciglio.
"L'Erede di Arcolen ha ripreso possesso della Corona di Luce", proseguì l'Argentea, con la stessa nota raggelante nella voce.
Immediatamente, gli occhi di Xos il Lupo si spostarono da lei a Veldhris, ancora paralizzata dal terrore. La investì con il suo spaventevole sguardo dalla malvagità infinita e lei vacillò come sotto un colpo violentissimo.
Un terrificante ululato eruppe dalle fauci di Xos, che balzò in avanti, verso la scalinata.
Freydar estrasse fulmineo la spada, ma era troppo tardi: non aveva ancora completato il gesto che già Xos si avventava sui gradini.
Ma trovò un ostacolo.
Precedendo il mostro di qualche frazione di secondo appena, spinta forse da una premonizione, Kareth aveva spiccato un salto che l'aveva portata sulla scala ed ora, l'arco teso tra le mani, sbarrava la strada a Xos il Lupo.
"Togliti di là!!" urlò Nirvor, ma era troppo tardi: Kareth tirò una freccia, rapida e precisa, che sarebbe certamente giunta a bersaglio se il suo avversario fosse stato un essere umano.
Ma non lo era: senza neanche rallentare, Xos si chinò per evitare la freccia e sferrò una poderosa zampata con i suoi micidiali artigli, squarciando il ventre della coraggiosa cacciatrice.
Con un terribile urlo di dolore, Kareth precipitò dalla scala, trascinando nella caduta un braciere ardente. Con lei urlarono Roden e Freydar, ma prima che uno di loro potesse muovere un solo passo, Nirvor lanciò con entrambe le mani due strali di energia bianca, che investirono Xos in pieno con tale violenza da sbalzarlo lontano, ponendo Veldhris momentaneamente al sicuro. La velocità con cui il mostro si rialzò dimostrò chiaramente che non aveva riportato alcun danno, ma il diversivo aveva salvato Veldhris da morte certa. Quasi in deliquio per il terrore, la cantante era infatti incapace di reagire, completamente inerme.
Ringhiando orribilmente, Xos si buttò verso Nirvor, che gli sfuggì facilmente con uno dei suoi balzi prodigiosi. Allora il mostro le puntò contro un dito unghiuto ed un raggio di nera energia ne scaturì, saettando verso l'Argentea. Lei reagì creando fulmineamente uno scudo di energia bianca, che assorbì completamente lo strale nero prima di dissolversi. Un altro raggio nero si abbatté su di lei, che stavolta non poté difendersene e venne colpita, senza subire danni come Xos prima, sebbene la violenza del colpo inferto la facesse barcollare all'indietro.
Veldhris seguiva stravolta il duello tra i due esseri ultraterreni, l'uno rappresentante delle Potenze Oscure, l'altra delle Potenze Luminose, simboli dell'eterna contesa per il predominio sul mondo. Non riusciva ancora a muoversi: le sembrava di lottare strenuamente contro una forza invisibile che la paralizzava, togliendole persino la facoltà della ragione, privandola finanche del coraggio per cui era appena stata lodata dalle voci misteriose udite durante il suo viaggio interiore.
Freydar scelse quel momento per intervenire, seguito a ruota da Roden. Sekor si stava sforzando di trattenere Kejah, quasi impazzita dalla disperazione per Kareth, impedendole di avvicinarsi al corpo straziato della gemella caduta, mentre Mikor fissava con occhi stralunati il duello in corso tra Nirvor e Xos e pareva incapace di muoversi quanto Veldhris.
Brandendo lo spadone, Freydar piombò su Xos come una valanga, mulinando fendenti terribili da tutte le parti. Colpì il mostro in pieno petto, ma lo squarcio che vi aprì si cicatrizzò istantaneamente, paralizzando il guerriero per la sorpresa. Xos gli si rivoltò contro, ululando rabbiosamente, pronto a massacrarlo, ma Roden si precipitò tra i due, roteando la pesante ascia, e colpì Xos con tutte le sue forze, piantandogli l'arma nel ventre. Xos vibrò una zampata alle mani che impugnavano la scure, e Roden le salvò solo perché abbandonò repentinamente la presa. Il mostro si strappò via l'ascia, mentre sotto lo sguardo inorridito dei due amici la terribile lacerazione si chiudeva fulmineamente. Sollevando la scure con una mano sola, Xos si buttò addosso a Freydar e gli tranciò di netto la spada in due pezzi. Caricò di nuovo, col chiaro intento di spiccargli la testa dal busto, con una tale velocità che sarebbe stato impossibile persino a Nirvor fermarlo o sviarlo.
Spacciato, il capitano si coprì il volto con le braccia in un istintivo tentativo di sottrarsi alla vista della propria morte imminente.
In quella, accadde l'impossibile.
Un fascio di luce bianca investì Xos e lo sollevò da terra come un fuscello, scaraventandolo contro l'altissimo soffitto, polverizzando all'impatto un gruppo di stalattiti. Gli ululati del mostro riempirono la caverna come le urla di una schiera di demoni mentre l'ascia volava roteando nell'aria, sfuggita alla presa dei suoi artigli. Prima che potesse rappresentare un pericolo per i viandanti, Nirvor intercettò l'arma con un raggio d'energia e la recuperò, mentre Xos, o quel che ne rimaneva, piombava a terra. Spirali di fumo dall'odore nauseabondo si alzarono dai resti carbonizzati, mentre il cadavere finiva di ridursi ad un mucchietto di cenere nerastra.
Il fiato mozzo, Roden e Freydar fissarono le misere spoglie con occhi sbarrati, poi si girarono verso Veldhris, comprendendo che l'attacco non poteva essere venuto che da lei; ma la cantante ignorò tutto e tutti e si precipitò a rompicollo giù dalla ripida gradinata, slanciandosi verso Kareth, che giaceva al suolo in un lago di sangue. Incredibilmente, nonostante la ferita mortale, era ancora viva, come constatarono i compagni avvicinandosi.
Sekor lasciò andare Kejah, che si accasciò accanto alla sorella moribonda. "Kareth, Kareth!" singhiozzò.
Kareth sollevò a fatica le palpebre e fissò ciecamente lo sguardo davanti a sé, incapace di mettere a fuoco le immagini.
"Nirvor, salvala!" invocò Veldhris, disperata.
L'Argentea scosse la testa, addolorata. "Non posso: il Potere Oscuro è penetrato in lei. Non posso fermarlo. Non può farlo nemmeno la Corona."
Affranta, Veldhris chinò il capo, mentre le lacrime sgorgavano copiose dai suoi occhi. "Perdonami, Kareth, perdonami!" proruppe. "È colpa mia... Dovevo agire subito, ma avevo paura, paura... Perdonami, Kareth!"
Kareth, udendo quella voce cara disperata, sconvolta, trovò la forza di parlare. "Non c'è nulla da perdonare", mormorò in un soffio, gli occhi ciechi fissi davanti a sé. "Sono felice di andarmene, così... posso raggiungere il mio Neys. Lo desidero davvero... Non è colpa tua... cugina mia, sorella mia..."
La sua voce si spense in un sussurro, mentre gli occhi si facevano vitrei e la caligine scendeva su di essi. Nella mano di Veldhris, le dita di Kareth si contrassero e, sebbene le sue labbra non si fossero mosse, la cantante fu certa di aver udito un mormorio che diceva, serenamente: veglieremo assieme su di te...
OOO
Doveva essere svenuta per qualche minuto, perché quando riaprì gli occhi la scena era cambiata: giaceva lontano dalla gradinata, tra le braccia di Roden, che le sosteneva amorevolmente il busto. Riemergendo dalla nebbia, Veldhris ricordò con dolore gli ultimi avvenimenti e si rizzò di scatto a sedere, guardandosi ansiosamente attorno: Nirvor era china su Kejah, che sembrava dormire, avvolta in una coperta; Mikor e Sekor erano seduti in disparte, il primo irrequieto, il secondo immobile. Fuggevolmente, Veldhris notò che aveva la parte superiore della gamba destra fasciata, laddove era stato ferito. Tardò un attimo ad individuare Freydar, che era salito in cima alla gradinata, dove evidentemente aveva deposto Kareth sull'altare di marmo: la cacciatrice ora giaceva coperta dal drappo azzurro cupo, che metteva in risalto la sua chioma rossa ed il pallore cereo del suo volto immobile.
Il cuore di Veldhris si gonfiò e nuove lacrime le spuntarono negli occhi. Le scacciò a fatica, guardando da un'altra parte.
"Come ti senti, Veldy?" le chiese Roden a bassa voce.
Lei scrollò il capo, facendo ondeggiare sulla sua fronte le abbacinanti Gemme Gemelle. "Come il giorno in cui siamo tornati a Tamya," rispose, affranta. "Lo stesso senso di disperazione, di impotenza, l'incapacità di capire, di accettare l'accaduto..."
Cominciò a sollevarsi in piedi e qualcuno l'aiutò; alzando lo sguardo, vide che si trattava di Freydar, gli occhi chiari e dolenti fissi su di lei. Ricordo che anche lui era stato sul punto di venir ucciso, e sempre per colpa sua, della sua paura di usare l'enorme potere racchiuso nella Corona. Chissà dove aveva infine trovato la forza di farlo...? In ogni caso, troppo tardi per Kareth, e per poco anche per Freydar.
Smarrita, distolse lo sguardo e si diresse verso Nirvor. Con uno sforzo di volontà di cui non si sarebbe creduta capace, accantonò i suoi sentimenti e si concentrò sul suo dovere di leader, che doveva badare prima di tutto al benessere di chi gli si è affidato. "Come sta?" domandò a Nirvor, riferendosi a Kejah.
"Era sconvolta", rispose l'Argentea. "Ho dovuto addormentarla usando il mio potere taumaturgico. Svegliandosi, starà meglio."
Interrogativi, gli occhi della Custode della Corona si soffermarono in quelli dell'Erede di Arcolen.
"Io sto bene", si affrettò a dire la cantante. "Per quanto si possa star bene in un frangente come questo, naturalmente."
Si informò poi degli altri, apprendendo che Sekor aveva curato e bendato la propria ferita con l'aiuto del fratello e che Roden e Freydar erano entrambi incolumi.
"Siano lodati gli dei", mormorò Veldhris. "Almeno, nessun altro è..."
Si interruppe bruscamente, incapace di pronunciare la parola morto, e guardò in alto, verso Kareth.
Freydar seguì il suo sguardo e ne intuì il pensiero. "Dovremo pensare alle esequie", disse piano. "Temo che dovremo seppellirla, invece di cremarla."
Veldhris annuì, gli occhi annebbiati di lacrime: non c'era legna con cui erigere una pira funebre, e del resto era impensabile accendere un rogo in uno spazio che, per quanto ampio, era pur sempre chiuso.
"È giusto", disse con voce soffocata. "Nemmeno Neys è stato cremato," poi, sentendo crescere in sé l'angoscia fino a livelli intollerabili, si sedette sul gradino più basso della scala, il capo chino a nascondere una smorfia di sofferenza. Freydar le andò vicino e le cinse le spalle con un braccio, cercando di confortarla. Lei non lo respinse. "Non capisco", disse infine, quando poté dominare di nuovo la propria voce. "Perché anche Kareth, dopo Neys?"
Non era una domanda retorica: si chiedeva davvero perché fossero stati necessari due sacrifici così gravi, in quella cerca tanto sofferta. Le sembrava impossibile che la Corona di Luce, simbolo del Bene, avesse preteso due vite innocenti per essere riconquistata.
Nirvor sedette accanto a Veldhris. "La pietà degli dei", esordì pacatamente, con gravità, "si esplica in modi per noi spesso incomprensibili e sconcertanti. Non dobbiamo essere egoisti e pensare soltanto al dolore che la sua morte ci cagiona, ma pensare invece che lei ora è felice, libera dagli affanni del mondo, ricongiunta al suo sposo nel luogo ove le anime dei mortali si radunano dopo il trapasso."
Veldhris aveva sussultato alla parola egoisti. "Questo è vero", concesse, scuotendo la testa. "Ma se io non avessi avuto paura, se non avessi esitato a usare il potere che mi è stato dato, lei sarebbe ancora viva."
"Forse", fu la sorprendente risposta. "Forse, Veldhris. Non hai udito le sue ultime parole? Non hai osservato il suo viso?"
Perplessa, Veldhris sollevò gli occhi sulla sua interlocutrice, poi girò il capo per guardare Kareth: anche da quella distanza, era evidente che ogni traccia di sofferenza era scomparsa dal suo volto e che la sua espressione era di assoluta serenità. C'era perfino un accenno di sorriso sulle sue labbra ormai fredde.
Veldhris tornò a guardare Nirvor, incredula. "L'ha voluto lei?!" mormorò.
"Sì, anche se forse non se n'è resa pienamente conto", confermò l'Argentea con mestizia. "Credeva di attendere un figlio... ma non era vero. Quando l'ha saputo, deve essere maturato in lei un insopprimibile desiderio di morte."
Veldhris chiuse gli occhi e posò il capo sulla spalla di Freydar. Le sovvenne con chiarezza il ricordo della conversazione avuta con Kareth nella grotta sotto l'Ago Nero, dieci giorni prima, quando la cugina le aveva confidato la sua speranza di essere incinta... altrimenti non avrebbe più avuto ragione di vivere.
Riapri gli occhi e si alzò in piedi, tanto repentinamente da lasciare Freydar interdetto. La cantante gli lanciò un'occhiata di scusa per il brusco movimento, poi si rivolse ai compagni. "Rakau pagherà anche questo", disse a bassa voce, con livore, gli occhi oscuri come tempesta. "Lei è la vera colpevole di tutto il male che imperversa sullo Shyte e sulle nostre vite. Dobbiamo andare a Necrodia al più presto!" Tacque un istante, lasciando sbollire il tumulto dei suoi sentimenti. Si voltò nuovamente verso Kareth e sul suo cuore, come un balsamo, scese una quieta tristezza. "Prima, però, dobbiamo onorare la memoria della nostra compagna caduta", disse pacatamente.
Seppellirono Kareth in una buca poco profonda, che Veldhris scavò dietro al blocco di marmo usando l'energia della Corona. Lottò brevemente per stabilizzare l'intensità e la natura della forza da scatenare ed incise la pietra, poi asportò il materiale fino a creare una fossa rettangolare. Freydar e Roden, ripetendo il pietoso compito svolto al Valico di Forrascura, adagiarono il corpo nella buca; tra le mani di Kareth misero il pugnale da caccia ed ai suoi piedi posero l'arco. Kejah, svegliatasi, venne sorretta da Sekor fino in cima alla gradinata per dare l'ultimo addio alla gemella amatissima e, trattenendo a stento le lacrime, volle pettinarne i lunghi capelli d'oro rosso, sistemandoli sul mantello di bianca pelliccia ripiegato sotto il suo capo come cuscino. Lasciò quindi che la ricoprissero con il drappo di velluto azzurro scuro.
Veldhris attinse nuovamente alla Corona per far scivolare indietro il blocco marmoreo fino a ricoprire la buca, accorgendosi non senza stupore di far già meno fatica a controllarne l'energia irradiata.
Infine, Nirvor tracciò sul marmo, con una lama di luce, le lettere K ed L, le iniziali della caduta, in eleganti segni arcaici pieni di svolazzi ed appena riconoscibili agli occhi dei viandanti.
Veldhris non se la sentiva di pronunciare un discorso di commiato, come aveva tentato di fare per Neys al Valico di Forrascura, ma gli altri si aspettavano sicuramente qualche parola. Guardando fissamente l'altare, divenuto ora la pietra tombale di Kareth, disse pertanto: "Addio, Kareth, cugina, sorella e amica. Sei stata una buona compagna per noi tutti. Non ti dimenticheremo mai, né dimenticheremo il tuo contributo alla nostra causa, e il prezzo da te pagato per essa."
L'intensa commozione nel suo tono di voce rimediò ampiamente alla brevità del discorso, colpendo i presenti dritto al cuore. Per qualche istante, nessuno si mosse, poi Veldhris si girò e scese lentamente la scalinata, seguita dagli altri. Giunta ai piedi dei gradini, la cantante parve prendere una decisione improvvisa e, volgendosi verso Nirvor, parlottò velocemente con lei. Si diressero quindi insieme al pertugio da cui erano entrati, dove la Custode, studiata attentamente la conformazione della pietra rocciosa, lanciò degli strali di energia magica, provocando una frana controllata. Frammenti di pietra di varie dimensioni bloccarono completamente il passaggio e Veldhris sollecitò le Gemme Gemelle: sotto i lampi emessi dalla corona, la roccia si arrossò, si arroventò e si fuse. Quando la cantante finì, la superficie fumigante era perfettamente liscia e l'accesso cancellato.
Tornarono infine dai compagni e, ripresi i bagagli, tutti insieme si diressero all'altra uscita.
Mikor, alla retroguardia col fratello, si girò a guardare i fantastici merletti delle stalagmiti e delle stalattiti ingioiellate. "Quanta ricchezza sprecata", mormorò, una luce di bramosia in fondo allo sguardo.
Sekor lanciò un'occhiata alle grandi gemme grezze, ciascuna di valore incalcolabile, e scusò la venalità del fratello maggiore: in circostanze diverse, lui stesso sarebbe stato fortemente tentato. "Puoi provare a prenderne un po', se credi", disse, ma, nonostante gli sforzi, la sua voce conteneva una nota di biasimo che Mikor captò.
"No, no," si affrettò a dire, riprendendo il cammino. "Non è certo il caso."
Una volta che tutti furono usciti dalla Caverna Centrale, muniti ciascuno di una torcia presa dalla grotta, Veldhris e Nirvor bloccarono anche questo accesso, sigillando definitivamente il sito che per mille anni aveva custodito la Corona di Luce e che ora era divenuto la tomba di Kareth Lyaradil, colei che nei tempi a venire sarebbe stata ricordata come la Cacciatrice Rossa.
OOO
Per quel giorno dimenticarono tutti di pranzare e ci fu chi dimenticò o volle ignorare anche la cena, come Kejah che non sarebbe riuscita ad ingoiare nemmeno un boccone. Si accamparono in una caverna minore e Veldhris tenne la Corona anche per dormire, su consiglio di Nirvor, che le disse anzi di non toglierla mai fino a quando non fossero usciti dalle Cento Caverne.
"Da qui in poi non ci sono né trappole, né esseri mostruosi, che io sappia", spiegò l'Argentea. "Tuttavia, è sempre possibile fare qualche incontro imprevisto: meglio restare continuamente all'erta."
"Quanto impiegheremo a uscire?" s'informò Freydar.
"Due o tre giorni: non dovremo infatti compiere giri eccessivamente lunghi e intricati per evitare trappole e posti di sorveglianza, come dall'entrata fino alla Caverna Centrale. A parte i magazzini, non dovremmo attraversare aree abitate."
"Ma la notizia della morte di Xos non ci scatenerà contro tutta la popolazione delle Cento Caverne?" volle sapere Mikor, con ragione.
"Nessuno sa che Xos è morto", rispose Nirvor. "Conto sul fatto che non informava mai i suoi sudditi dei propri spostamenti: facilmente, crederanno che sia ancora in caccia. A ogni modo, anche scoprendo che il loro signore e padrone è morto, è probabile che si lascino prendere dal panico e, nel tentativo di predominare l'una sull'altra, le varie tribù comincino a combattere tra di loro, lasciandoci perdere." Nirvor fece un lieve sospiro. "Vorrei conoscere meglio i labirinti delle Cento Caverne per potervi portare fuori al più presto, ma solo Xos conosceva tutti i segreti del suo regno. E pensare che mi basterebbe sapere dove trovare, per esempio, il passaggio che ha utilizzato per uscire cinque giorni fa..." concluse con un gesto di impotenza.
"Già, a proposito", interloquì Sekor. "Come mai è tornato tanto presto, sorprendendoci? E per fortuna con la Corona già in possesso di Veldhris..."
Nirvor scosse la lunga chioma di luna, pensierosa. "L'unica spiegazione possibile, Principe del Vespro, è che io abbia in qualche punto utilizzato troppa energia e che lui ne abbia captato l'emissione. Forse quando ho curato Roden dal veleno del Serpente Alato", suppose.
Kejah rabbrividì. "Pensate: se Xos fosse giunto solo mezz'ora prima, o anche meno..."
Gli altri si agitarono, lanciandosi occhiate inorridite per quello che avevano rischiato.
"Nella sfortuna, siamo stati fortunati", considerò Roden, mestamente.
Dopo un po', i viandanti prepararono i giacigli per la notte e si coricarono. Veldhris attese che tutti fossero addormentati, poi si alzò ed andò ad accoccolarsi accanto a Nirvor, che come al solito vigilava.
"Qualcosa ti turba, Portatrice della Corona?" domandò l'Argentea, percependo l'inquietudine della sua protetta.
Veldhris non fece caso all'utilizzo del nuovo titolo che le spettava e sospirò piano. "Tu sapevi, Nirvor?", chiese direttamente. "Sapevi quello che sarebbe accaduto quando avessi indossato la Corona di Luce per la prima volta?"
Nirvor non esitò, come sempre totalmente sincera con lei. "Sì, lo sapevo. Tuttavia non potevo parlartene, avvertirti, perché ogni nuovo Portatore deve affrontare la prova completamente impreparato."
"Non comprendo lo scopo."
"Alcuni miei pari ti hanno esaminato e hanno appurato se eri adatta a divenire la nuova Portatrice."
"Lo sono?" domandò Veldhris, ancora incerta. "Voglio dire, ho esitato a intervenire perché ero terrorizzata da quello che avevo appena visto; qualcun altro, al mio posto, non si sarebbe lasciato prendere così dal panico."
Nirvor scrollò la testa con decisione. "Non devi preoccuparti: se hai superato l'esame, come dimostra il fatto che puoi far funzionare le Gemme Gemelle, allora sei adatta. Avresti semplicemente avuto bisogno di un po' più di tempo per riprenderti, e devo anzi dire che la tua reazione è stata più rapida e efficace di quanto mi aspettassi."
Il suo sguardo d'argento si velò di una strana espressione di rimpianto. Veldhris la scrutò, perplessa: ricordava la sua espressione il giorno prima di entrare nelle Cento Caverne, quando aveva parlato dell'odio di Xos verso di lei, la stessa espressione che ora offuscava il suo volto bellissimo.
"Perdonami la domanda", non poté trattenersi. "Ma cosa rappresentava Xos per te?"
Nirvor osservò attentamente la sua interlocutrice, come per stabilire se poteva o no confidarle il suo segreto, poi prese la sua decisione. "Xos io eravamo... gemelli", disse piano.
Veldhris si sentì mancare il fiato. "Ge...melli?" boccheggiò, gli occhi sgranati.
"Esatto", annuì la Custode. "Prima dell'inizio del Tempo non c'erano suddivisioni tra i miei pari – gli esseri ultraterreni – perché non esistevano ancora il Bene e il Male, la Luce e l'Oscurità. Poiché tutte le cose del mondo nascono dalla differenza di potenzialità tra due forze opposte, solo quando il Bene e il Male nacquero si poté creare lo Spazio, e con esso il Tempo. Xos e io eravamo gemelli, ma quando ci fu la scissione, lui scelse di servire le Potenze Oscure, mentre io preferii le Potenze Luminose." Tacque un lungo istante, come meditando, poi riprese. "Non devi credere che in Xos ci fosse solo Oscurità: c'era anche uno spiraglio di Luce. Esattamente come in me non c'è soltanto Luce, ma anche un frammento di Oscurità. Questa prevalenza dell'una o dell'altra, frutto di una libera scelta che abbiamo fatto, c'è anche in voi esseri terreni. Un particolare che ci accomuna, poiché dopotutto siamo tutti figli dell'Universo."
Veldhris la guardava stentando a capire. "Ma cos'è l'Universo?" domandò.
"Il prodotto della differenza tra le potenzialità che ti dicevo prima", rispose Nirvor pazientemente. "Forze opposte, ciascuna delle quali non esisterebbe senza il suo contrario: il bene e il male, la luce e l'oscurità, il basso e l'alto, il materiale e l'immateriale, il negativo e il positivo, il duro e il morbido, e via così. Ogni cosa, per essere completa in se stessa, deve contenere una piccola parte del proprio opposto, perché l'Assoluto non esiste se non nella completezza dell'Universo stesso."
Veldhris si sentiva girare la testa di fronte a questi concetti per lei sconosciuti e si portò una mano alla fronte come a calmare il tumulto dei suoi pensieri.
Nirvor s'accorse della confusione della sua protetta. "Non stare a pensarci troppo", la esortò, comprensiva. "In fondo, ciò che veramente conta è la vita in sé, e sapere come o da dove è venuta in essere non è poi così importante, non trovi?"
La cantante accolse con sollievo quell'invito. La notte, dormi profondamente a dispetto degli avvenimenti traumatici della giornata, o forse proprio a causa di essi: la sua mente elastica era capace di grandi adattamenti, qualità questa che ben presto, insospettatamente, si sarebbe rivelata fondamentali per le sorti dell'intero Shyte.
OOO
Il mattino seguente, tutti si prepararono a riprendere la marcia. Nirvor li avvertì che nel pomeriggio avrebbero raggiunto i magazzini, dove con ogni probabilità li attendeva uno scontro.
"Non c'è problema", sogghignò ferocemente Roden, accarezzando il manico della sua ascia.
"Sono d'accordo", disse Mikor, battendo il palmo della mano sull'elsa della sua spada.
Sekor e Kejah si assicurarono che i loro archi fossero in perfetto stato, mentre Freydar fece una smorfia di disappunto. "Non sarò di molto aiuto con questa", borbottò, mostrando lo spadone tranciato in due. "Dovrò arrangiarmi col pugnale."
"Potrei provare a saldare i pezzi..." cominciò Veldhris, preoccupata per l'incolumità del capitano.
Nirvor però, esaminati i monconi della spada frantumata, scosse il capo. "Troppo scheggiati: bisognerebbe riforgiare la lama a nuovo, ma non abbiamo acciaio e le fornaci sono ormai lontane."
La delusione, mista all'ansia, si dipinse sul viso espressivo di Veldhris.
Sekor le gettò un'occhiata in tralice, esitò, poi trasse il proprio pugnale dal fodero. "Tieni", disse allora, porgendolo a Freydar. "Meglio due di uno solo: a me non serve."
A riprova di quest'ultima affermazione, accenno all'arco e alla spada che portava.
Freydar guardò il lungo coltello da caccia di pregevole fattura che l'altro gli offriva e valutò velocemente i vantaggi per sé se lo accettava e gli svantaggi per Sekor nel privarsene.
"Grazie", disse infine, prendendo il pugnale del Principe del Vespro ed infilandolo nella cintura. "Ne avrò bisogno, in caso di combattimento."
Sekor assenti e si girò, tenendo gli occhi bassi per evitare di guardare Veldhris. Non intercettò così lo sguardo grato che lei gli lanciò, né quello tetro di Mikor che lo squadrava.
"In ogni caso", si fece sentire Veldhris, "non dimentichiamo che abbiamo Nirvor e la Corona."
"Meglio di un esercito", affermo Roden in tutta serietà.
Si avviarono quindi speditamente, avanzando con minor circospezione di prima pur restando sempre all'erta. A metà del pomeriggio, dopo aver disceso un'ulteriore scala dagli innumerevoli gradini, giunsero al livello dei magazzini. Sbucarono da un cunicolo quasi all'improvviso, ritrovandosi su di una balconata di legno che dominava la grande caverna su cui si aprivano i depositi: spegnendo in fretta le torce per non farsi notare, si misero a scrutare la grotta scarsamente illuminata da dietro la balaustra. Si trovavano a circa metà altezza tra il pavimento ed il soffitto; mentre quest'ultimo era irto di asperità, il pavimento era liscio, evidentemente livellato artificialmente. L'androne era molto ampio, poco meno della Caverna Centrale, e le molte lanterne, torce e lampade non riuscivano a fugare le ombre più lontane, essendo in effetti concentrate nell'area dove si scorgevano le massicce porte che davano accesso ai magazzini. Davanti a ciascun uscio, contrassegnato da una scritta dai caratteri aspri e spigolosi, vigilava una guardia armata di scimitarra, in tutto circa una cinquantina.
Un rapporto di quasi otto a uno, pensò Veldhris, rabbrividendo alquanto intimorita.
"E adesso, cosa proponete di fare?" chiese Mikor, senza rivolgersi a nessuno in particolare. "Mi sembrano un po' troppi per noi."
Seccata per il suo evidente sarcasmo, Veldhris usò involontariamente un tono perentorio. "Li spaventiamo a morte con un'apparizione terrificante. Se la squaglieranno a gambe levate."
"Ah sì? E come pensi di fare?" indago Mikor, ironico.
Lei non lo degnò di una risposta e si rivolse al Nirvor, confabulando brevemente con lei. Stabiliti i dettagli, istruì i compagni sul ruolo di ciascuno.
Sorpresa di se stessa per la decisione e la prontezza dimostrate, Veldhris si preparò dunque ad eseguire lo spettacolare piano che aveva ideato.
Con un piccolo sforzo di volontà, estese lo splendore delle Gemme Gemelle all'intera Corona, fino a farla brillare di luce propria, poi Nirvor le gettò addosso uno spruzzo d'argento che rese i suoi capelli e gli abiti luminescenti, brillantissimi, con un effetto che la rendeva simile a Nirvor quando rifulgeva.
Gli altri la fissavano stupefatti, ma lei non si lasciò distrarre dalla loro meraviglia; si girò verso la balaustra e, alzandosi in piedi, guardò in basso: già alcune facce dal grugno bestiale si erano voltate, attirate dall'inconsueto alone di luce sul balcone. Non appena la videro, spalancarono le fauci per ululare un avvertimento, ma proprio allora Veldhris, sorretta dalla magia di Nirvor e splendendo ancor più intensamente, levitò oltre il parapetto e cominciò a discendere diagonalmente, come scivolando. Un paio di metri dietro di lei, ai due lati, apparvero Freydar e Roden, l'uno con i pugnali sguainati, l'altro con l'ascia tra le mani. Più indietro levitavano Mikor, la lunga spada impugnata con entrambe le mani, e Kejah e Sekor con gli archi dalle frecce incoccate. Infine comparve Nirvor, sfolgorante di luce, la lunghissima chioma che si agitava e si contorceva, frustando l'aria come animata di vita propria. Un'espressione feroce era dipinta sui volti di tutti.
Le fauci delle sentinelle subumane rimasero spalancate per lo sbalordimento. Poi qualcuno emise uno strillo rauco, forse contenente parole in un idioma primitivo, ed indicò la Corona di Luce, sfavillante e terribile. Sui grugni delle guardie comparve qualcosa di simile alla costernazione, mentre alcune cominciavano già a sbandare e ad arretrare spaventate. Percependo il momento favorevole, Veldhris sollevò le braccia in un gesto teatrale di minaccia e scaricò un breve lampo di energia contro il soffitto della caverna. Una pioggia turbinante di schegge e pezzi di roccia cadde sulle guardie, colpendole da tutte le parti. Il panico dilagò all'istante, travolgendo tutti in un fuggi fuggi generale. Pochi ardimentosi rimasero tuttavia fermi ad affrontare gli intrusi; si raggrupparono snudando le scimitarre, poi si lanciarono all'attacco, urlando forsennatamente il nome di Xos, il loro padrone.
Istantaneamente, Sekor e Kejah tesero gli archi e presero la mira, ma prima che potessero scoccare le loro micidiali frecce, Veldhris gettò un grido selvaggio ed una raffica di brevi raggi gemelli si abbatté sugli attaccanti. Su cinque lampi, tre centrano il bersaglio, scaraventando all'indietro le sentinelle subumane colpite, buttandole lontane, fumiganti, spezzate, morte.
Non ci volle altro per convincere i superstiti ad abbandonare il campo: strillando, volsero le terga e si diedero ad una fuga disordinata.
Senza perdere tempo, i viandanti forzarono gli ingressi dei depositi più vicini in cerca di cibarie adatte all'alimentazione umana. Trovarono gallette, biscotti, frutta secca, carne salata e pesce affumicato. Infine si affrettarono a lasciare il sito, inoltrandosi velocemente per un passaggio che portava direttamente in basso verso un livello inferiore.
Come previsto da Nirvor, non ci furono inseguimenti per tutto il resto del giorno e nemmeno durante il giorno seguente: privi di ordine e di guida, i sudditi di Xos avevano con ogni probabilità dato il via a cruente lotte intestine che non sfioravano i viandanti, favorendone anzi la fuga.
Prima di sera raggiunsero l'uscita prescelta da Nirvor, una grotta di modeste dimensioni contenente una dozzina di slitte a vela; una grande saracinesca, ben mimetizzata all'esterno come poterono in seguito constare, manovrata da un ingegnoso sistema di verricelli e pulegge, si apriva direttamente sul Deserto di Neve.
Freydar esaminò incuriosito le slitte. "Il principio è lo stesso delle barche a vela", decretò, soddisfatto. "Sarà uno scherzo governarle."
"Per te, forse", lo rimbeccò Roden senza acrimonia. "Noi poveri topi di terraferma, per usare un'espressione di Zarcon, come ce la caveremo?"
"Ci basteranno due slitte", rispose Nirvor. "Una sarà manovrata da Freydar, l'altra da me."
Risolto il problema, i viandanti decisero di pernottare lì e di ripartire alle prime luci dell'alba, non giudicando pericolosa un'ulteriore sosta; per prudenza, però, bloccarono gli accessi al deposito. Scelsero poi due slitte e le caricarono con i loro bagagli, approntandole per il viaggio; poi distrussero le altre slitte, per scongiurare qualsiasi pericolo di essere inseguiti. Per finire, consumarono una frugale cena ed andarono a dormire.
Pur essendo molto stanca, Veldhris tardò a prendere sonno. Oltre al dolore per la morte di Kareth, si sentiva inquieta, turbata. Infine, con un sussulto realizzò la ragione del suo stato di malessere quasi fisico: era il ventesimo giorno di marzo, l'ultimo giorno dell'anno. Nella Foresta del Vespro, quello era sempre stato un momento di grandi e gioiose feste che celebravano l'avvento della primavera e del nuovo anno. Per tutta la vita, Veldhris aveva atteso quella festa come la più bella dell'anno, più bella ancora del suo incerto genetliaco. Si chiese perché non avesse pensato di domandare a Rova la data esatta della sua nascita. Adesso era troppo tardi, sia per questo, sia per gli allegri festeggiamenti di Tamya e della Foresta tutta. In quel preciso momento, mentre l'anno vecchio moriva e quello nuovo si apprestava a fare il suo debutto, lei era in capo al mondo, sepolta nelle viscere di un monte maledetto...
Che ne era dell'atmosfera piena di gioiosa aspettativa che quel giorno aveva sempre regnato attorno a lei? Che ne era dei bambini che intonavano divertenti canzoni, dei musici che suonavano melodie allegre, della folla festante che ballava danze scatenate per strada? Dov'era l'Albero Albino, superbo negli addobbi della ricorrenza, dov'erano le piazze gremite di gente spensierata, dov'erano i suoi genitori, adottivi ma non meno amati? Che fine aveva fatto il suo mondo?
Durante la prima parte dell'anno, la sua vita era trascorsa senza scosse, e l'unico episodio veramente fuori dall'ordinario era stato l'aggressione di Arton Flàsterden. Quanti sconvolgimenti invece nella seconda parte di quel giro del sole attorno al mondo!
Era sollevata di lasciarsi alle spalle quell'anno di cataclismi, ma l'anno che l'attendeva non si prospettava migliore, anzi, al contrario. La Corona era in suo possesso: le responsabilità aumentavano, il pericolo si aggravava, ma con esso crescevano anche le possibilità di successo. La partita era ancora tutta da giocare, si disse Veldhris, e lei aveva più di una probabilità di uscirne vittoriosa. Arcolen era stato un grande Imperatore, ma non conosceva abbastanza la nequizia di Rakau, e questo gli era stato fatale; lei invece, pur essendo molto più giovane ed inesperta, aveva al suo fianco Nirvor la Custode, che sapeva bene quel che dovevano aspettarsi dalla Signora dei Draghi Neri. Se non poteva affrontare l'anno nuovo con serenità, concluse la cantante, doveva farlo almeno con fermezza. Doveva coltivare la speranza, pur senza illudersi, un compito questo assai arduo; ma chissà, forse qualcuno, o qualcosa, l'avrebbe aiutata.
OOO
Il sole era nato al nuovo giorno ed al nuovo anno.
"Bene, possiamo partire senza indugio", li informò Freydar, che era stato in esplorazione all'esterno. "In cielo non c'è l'ombra di una nuvola e il vento soffia regolarmente."
"Tempo ideale per le slitte a vela", sentenziò Nirvor, compiaciuta. "Se non incappiamo in bonacce, saremo alle sorgenti del Fimda in tre giorni."
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top