Capitolo XVI: Le Cento Caverne
Capitolo XVI: Le Cento Caverne
Il sole si avvicinava velocemente all'orizzonte, lontano all'estremo ovest del mondo.
Veldhris, Nirvor e gli altri sei viandanti si trovavano ai piedi del famigerato Monte Ghiacceterni, la cui cima svettava a più di quattromila metri sulla pianura circostante. Sorgeva bruscamente, con un angolo quasi verticale, dal terreno pianeggiante del Deserto di Neve; la roccia nera e lucida che lo componeva, molto simile a quella dell'Ago Nero, non era toccata dalla neve, e solo la cima era ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio perenne, donde il nome.
"L'entrata è lassù, a circa metà del monte", disse Nirvor, indicando in alto. Si tenevano nascosti in una piccola caverna, appena una cucchiaiata scavata nella parete rocciosa, ed attendevano di deliberare il da farsi.
"Ci metteremo giorni per arrivarci!" esclamò Freydar, costernato. L'ingresso principale alle Cento Caverne era celato alla loro vista da uno sperone di roccia nera, ma dalla descrizione di Nirvor sapevano che si trattava di un' apparentemente comunissima galleria naturale che sprofondava nelle montagna.
"Non c'è un'altra entrata?" chiese Veldhris, scoraggiata.
Nirvor scosse la testa. "Nessun'altra entrata. Solamente uscite, che conosco solo in parte. Le Cento Caverne sono in vero labirinto, e io non ho avuto che un'unica opportunità per visitarle, molto tempo fa..."
I suoi luminosi occhi d'argento si velarono di remoti ricordi e gli altri non osarono fiatare, anche se avrebbero desiderato saperne di più su quell'antica incursione.
Nirvor si riscosse e tornò a rivolgersi ai propri compagni. "Non temete. Userò del mio potere per portarvi lassù, e poi provocherò Xos perché corra a cercarmi dall'altra parte del Deserto di Neve, prima che possa rendersi conto che in realtà sono vicinissima alla sua tana."
Veldhris ponderò la frase della sua protettrice per qualche istante. "Sta bene", decise. "Prima cominciamo, prima finiamo."
Il tono era abbastanza disinvolto, ma non riusciva a mascherare del tutto la tensione. Pure, era decisa a portare fino in fondo la sua cerca, a costo di qualunque cosa.
Nirvor assenti; invitò i viandanti ad uscire dalla piccola caverna e li radunò attorno a sé. Mosse poi velocemente la mano a spirale e dalle sue dite fluì una nebbiolina d'argento, che si condensò in una sfera dai contorni sfumati grande come un pallone da gioco. Lanciato in aria, il globo fluttuante venne colpito da due esili raggi bianchi scaturiti dalle pupille di Nirvor e la nebbia che lo componeva prese a turbinare disordinatamente, quindi si espanse fino ad inghiottire tutti ed otto i viandanti.
"State immobili", li avvertì Nirvor attraverso i veli argentei che la celavano alla vista dei compagni. Obbedirono tutti mentre osservavano la nebbia solidificarsi sotto e dietro di loro, diradandosi invece sulle loro teste.
"Mettetevi seduti", ordinò l'Argentea. Eseguirono il comando, ritrovandosi inaspettatamente accomodati su sedili invisibili. Quando la nebbia svanì, si accorsero di trovarsi seduti in circolo, all'interno di una semisfera dal diametro di circa due metri e profonda un'ottantina di centimetri, composta di un materiale dai riflessi madreperlacei. Era solido al tatto, ma i contorni erano vaghi e sfumati, come se si trovassero su di una nuvola d'argento. A più d'uno sfuggì un'esclamazione di meraviglia.
"Adesso saliremo", li avvertì Nirvor, anche lei seduta come gli altri. "Non abbiate alcun timore."
Senza che gli occupanti avvertissero il benché minimo movimento, la semisfera di nebbia si staccò dal terreno nevoso, sollevandosi a velocità costante verso l'alto crepaccio battuto dal vento in cui si apriva l'ingresso alle Cento Caverne. Vi arrivarono in un batter d'occhio, senza bisogno di alcuna manovra, come se lo stranissimo cocchio fosse guidato dalla semplice volontà di chi vi era trasportato. Non appena toccò terra, sfiorando la nera roccia priva di neve, la nebbia cominciò a dissolversi e gli occupanti fecero appena in tempo ad alzarsi per evitare di cadere, privi del sostegno dei sedili invisibili. I sette compagni di Nirvor avevano ancora gli occhi tondi dalla meraviglia.
"Se qualcuno mi raccontasse di aver viaggiato su di una nuvola di nebbia", borbottò Freydar, "gli darei del visionario."
"La maggior parte di quello che abbiamo visto finora ci meriterebbe la fama di visionari", fu d'accordo Roden.
Nirvor si era intanto allontanata di qualche passo e, incurante del vento gelido che la investiva, si era seduta sui talloni, le mani posate sulle cosce, il busto eretto, il capo chino. I suoi occhi assunsero un'espressione vacua, di profondissima concentrazione, e tutta la sua persona cominciò ad irradiare quella sua particolare aura d'argento. Diversamente dalle altre volte, però, i viandanti osservarono come ora la luminosità non fosse costante, bensì pulsasse regolarmente, cambiando d'intensità come al ritmo del battito di un cuore.
La Custode della Corona rimase così, immobile come una statua, per una decina di minuti, ma quando si mosse e si rialzò, l'impressione dei suoi compagni fu che fosse trascorso molto più tempo, sebbene il sole, che sfiorava appena l'orlo del mondo, testimoniasse del contrario.
"È fatta", annuncio Niror. "Xos il lupo è partito in caccia."
"Di già?" fece Veldhris, un po' stupita: s'era aspettata un qualche segno d'agitazione, del trambusto che annunciasse la partenza del despota del luogo, mentre al contrario nulla sembrava essere mutato, né in cielo, né in terra.
"Sì", confermò l'Argentea. "Ha usato una delle sue uscite segrete, e si è precipitato verso est. Da qui non si può vederlo, ma sta filando con tutta la velocità di cui è capace", un brivido la scosse, ma non poteva essere il freddo pungente della notte in arrivo a disturbarla. I suoi occhi si velarono per un breve istante. "Quanto odio ha per me!" mormorò, e c'era una punta di tristezza nella sua voce che meravigliò i suoi compagni. Non diede però loro il tempo di pensarci su, aggiungendo ad alta voce: "Dovrò purtroppo continuare a limitare l'uso della mia magia per non insospettire Xos e farlo tornare troppo presto."
Gli altri annuirono, comprendendo.
"Allora, vogliamo andare?" propose Freydar.
Veldhris esitò, poi decise di parlare. "Nirvor, è proprio necessario che veniamo tutti? Non voglio esporre i miei compagni a più rischi del necessario. Ne hanno corsi già tanti, per me..."
"Come sarebbe a dire?" insorse Roden. "Cosa ti piglia, Vel?"
"Mi piglia", replicò asciutta la cantante, "uno scrupolo che avrei dovuto farmi ancora molto tempo fa. Nessuno di voi ha qualcosa a che vedere con la Corona di Luce e pertanto nessuno di voi deve affrontare i pericoli che la sua ricerca comporta. Avrei dovuto impedirvi di seguirmi, fin dal principio."
"Che razza di discorso sarebbe questo?" protestò vivacemente Sekor, indignato.
"Vel, sei impazzita!" sentenziò Kejah, costernata.
"No, semmai sono rinsavita", ribatté la cantante. "Non posso permettervi di condividere una responsabilità che è solo mia."
"Lodevole intento da parte tua", concesse Freydar. "Tuttavia, se non sbaglio, qui siamo tutti volontari: abbiamo scelto noi di seguirti. Per quanto mi riguarda, i rischi finora corsi mi danno il diritto di accompagnarti, e credo di parlare anche a nome degli altri."
"Infatti", confermò Roden con un gesto deciso.
Gli altri furono d'accordo, ma Veldhris scosse il capo. "Niente da fare. Entreremo solo Nirvor e io."
"Un momento, Veldy", disse Kareth, prendendo la cugina adottiva per un gomito. "Appena qualche giorno fa mi hai ricordato che ho promesso di seguirti fino in fondo, ovunque tu vada. Gli altri hanno fatto lo stesso, esplicitamente o implicitamente. Freydar ha ragione: non hai il diritto di lasciarci da parte proprio all'ultimo momento."
"Hai accettato il nostro aiuto finora: perché questo improvviso mutamento d'opinione?" indagò Mikor, sospettosamente.
"Perché finora non mi ero resa conto di quanto vi chiedevo", spiegò Veldhris, con gravità. "Consideratevi liberi da qualunque legame: basterà Nirvor a guidarmi e a proteggermi."
"Non si discute neanche", dichiarò Freydar in tono bellicoso ed appassionato. "Tu sei l'Erede di Arcolen, e io sono un discendente dello scudiero Zarcon: non ti lascerò per nessuna ragione al mondo."
Sekor gli lanciò un'occhiata perplessa, poi tornò a guardare la cantante. "Apparteniamo allo stesso sangue, Veldhris", disse con quieta fermezza. "Neanch'io ti lascerò. Ho fatto un giuramento, ricordi?"
"Te lo rimetto."
"E io non l'accetto. Ci sono vincoli che non si possono cancellare."
Veldhris comprese che si riferiva ai suoi sentimenti per lei, perciò tacque, non sapendo come ribattere.
"Esatto", intervenne Roden. "Barod e Teewa ti hanno allevata come figlia e io ti ho accettata come sorella: se non altro, hai un debito di riconoscenza verso di me."
"Ma è proprio per questo!" gridò Veldhris, esasperata. "Voglio troppo bene a ciascuno di voi per permettervi di seguirmi!"
Arrossì al pensiero di essersi indirettamente dichiarata a Freydar, ma rimase ferma, dritta e fiera come la principessa imperiale che era in realtà.
"Per la stessa ragione non ti permetteremo di andare da sola", concluse Roden, trionfante.
Veldhris si morse un labbro, non sapendo più cosa dire o cosa fare per convincere i suoi compagni. Eppure, la paura era tanta e la loro presenza sarebbe stata un gran conforto per lei. Ciononostante, non voleva cedere: si rivolse a Nirvor, chiedendole aiuto con lo sguardo.
Con sua gran sorpresa, l'Argentea dissentì. "Credo che faresti meglio a rassegnarti, Erede di Arcolen", disse infatti, pacatamente. "La loro scelta è compiuta: se anche riuscissi a sfuggirli, essi ti seguirebbero, e alla fine i tuoi intenti, per quanto ammirevoli, sarebbero vani."
Veldhris sospirò lentamente, scuotendo ancora il capo. "E va bene", si arrese infine. "Ma so che me ne pentirò."
Era stato un oscuro presentimento ad indurla a parlare, la terribile certezza che sarebbe accaduto qualcosa di orrendo a qualcuno che amava, se avesse permesso che la seguissero ancora, ma ormai non poteva farci più nulla. Inoltre, la labile sensazione era già svanita, come nebbia al sole: chissà, forse era troppo suggestionabile ed aveva fatto tanto chiasso per niente. All'improvviso sorrise con gratitudine. "Vi ringrazio, amici miei. Senza di voi, sarei perduta. Dimenticate quanto ho detto prima."
"D'accordo, sorellina", Roden ricambiò il sorriso, prontamente.
"Nessun problema", confermò Kareth.
Gli altri assentirono, nascondendo la confusione per quel sorprendente doppio voltafaccia del loro capo.
"Bene", concluse Veldhris. "Allora andiamo."
In fila per due, Nirvor e la cantante in testa, gli otto viandanti varcarono l'oscura soglia delle temibili Cento Caverne. Nei tempi a venire, i sopravvissuti erano destinati a ricordare i giorni trascorsi in quel buio labirinto pieno di trappole mortali come un lungo incubo di terrori che si susseguivano a ritmo frenetico.
OOO
Era il mattino del giorno seguente. I viandanti non potevano certo vedere la luce del sole, dato che la sera prima si erano addentrati per un paio di chilometri nel corridoio che partiva dall'ingresso principale, ma l'infallibile senso del tempo di Nirvor li teneva incessantemente informati dell'ora. Adesso erano nuovamente in marcia, dopo una rapida colazione alla luce di alcune torce trovate lungo la galleria e prontamente requisite, ma non avevano ancora cominciato a scendere: il cunicolo si snodava con molte giravolte senza offrire passaggi laterali o scale che conducessero in basso, verso la Caverna Centrale.
"Mi sembra strano che non ci siano sentinelle", osservò Freydar, rivolto a Nirvor. "Se quello che abbiamo utilizzato è davvero l'ingresso principale, intendo."
"Lo è", confermò l'Argentea, "Xos non reputa necessario sorvegliarlo: si sente troppo al sicuro, nella sua tana. Del resto, hai visto tu stesso che l'ingresso è inaccessibile, a meno di non arrampicarsi come ragni o volare come uccelli."
Il capitano dovette darle ragione ed il gruppo avanzò in silenzio per un bel po'. Finalmente, circa un'ora dopo, Nirvor indicò davanti a loro una scalinata sospesa nel vuoto che sprofondava nelle tenebre; di fianco all'imboccatura si ergeva una statua a grandezza naturale, raffigurante una donna alta in usbergo con una spada ricurva tra le mani. Gli occhi di giaietto sembravano fissare malevoli gli otto intrusi, riflettendo il bagliore delle torce, e Veldhris sentì un brivido freddo serpeggiarle lungo la spina dorsale.
"Chi raffigura quella statua?" domandò sottovoce a Nirvor.
L'Argentea squadrò la figura di pietra, poi scosse la chioma di luna. "Non saprei. Non l'ho mai vista."
Roden aveva percepito l'inquietudine della sorella. "È solo una statua", le disse in tono rassicurante.
"Me lo auguro", borbottò lei, turbata. Nel passarle accanto, tenne gli occhi fissi sulla guerriera immobile, oscuramente timorosa di vederla muoversi da un momento all'altro.
Freydar, che procedeva in coda, passò per ultimo e cominciò a seguire gli altri giù per i gradini, tenendosi prudentemente al centro per evitare di gettare lo sguardo nei tenebrosi baratri ai lati della scalinata. Dopo una cinquantina di gradini, raggiunse i compagni su di un ampio pianerottolo senza parapetto come la scala e che sembrava quasi sospeso nel vuoto, sostenuto solo dalla fitta oscurità che li circondava. Gli altri si erano fermati perché dal pianerottolo si dipartivano due rampe di scale in direzioni opposte: entrambe continuavano la discesa, ma una portava alla destra, l'altra alla sinistra del tratto appena percorso. Nirvor stava cercando di richiamare alla mente il tragitto migliore da seguire per raggiungere la loro meta.
Proprio in quella, uno schianto terribile proveniente dall'alto frantumò il silenzio assoluto del luogo, spaventando a morte gli otto amici. Tutti schizzarono via dal pianerottolo, chi su una rampa, chi sull'altra, temendo di ricevere un macigno sulla testa. Non vedendo giungere nulla, si rilassarono un istante, ma subito udirono un altro rumore, altrettanto terrificante: passi pesanti, accompagnati da un sinistro scricchiolio come di roccia contro roccia. Freydar passò rapido la torcia a Veldhris, che si ritrovò a reggerne due, e snudò la spada; anche gli altri posero mano alle armi, tranne Veldhris e Nirvor che tennero le fiaccole. Nirvor anzi prese a risplendere con maggiore intensità, finché il pianerottolo e un tratto delle tre rampe di scale che da esso si dipartivano non vennero rischiarate a giorno, senza tuttavia riuscire ad illuminare la fonte del raccapricciante rumore.
Fino a quando questa non entrò nel cerchio di luce e si fermò.
Per un istante, i viandanti rimasero paralizzati a fissare il pericolo che li minacciava: era la statua della guerriera incontrata in cima alla scala, non più immobile, bensì viva. Viva di una vita artificiosa, gli occhi di giaietto dal bagliore micidiale puntati sugli intrusi.
Si mosse all'improvviso, sollevando di scatto la spada e piombando su Freydar, che era il più prossimo. Il capitano reagì con prontezza all'attacco incrociando la propria lama d'acciaio con quella di pietra della statua vivente. Il clangore scricchiolante fece aggricciare la pelle della schiena ai presenti, mentre una pioggia di scintille crepitanti cadeva a terra dal punto in cui le armi si erano scontrate. La guerriera di pietra si avventò nuovamente, costringendo Freydar ad arretrare di fronte al suo impeto e ad avvicinarsi pericolosamente all'orlo della piattaforma.
"Attento, Freydar!" non seppe trattenersi Veldhris, col cuore in gola, benché sapesse che il suo avvertimento era del tutto inutile.
Il principe del Fiordo sollevò la spada per parare il colpo dell'avversaria, che giunse così potente da strappargli l'arma di mano. La grande spada roteò per aria e finì i tintinnando sulla rampa che scendeva a destra. La statua si apprestò senz'altro a sferrare un altro colpo, ma Freydar la precedette d'un soffio slanciandosi di lato. La sua avversaria si voltò pesantemente per inseguirlo, ma intervenne Mikor, irrompendo tra la guerriera di pietra ed il capitano disarmato, brandendo la sua spada. La statua vivente esitò una frazione di secondo, sufficiente a Kareth, cui volgeva le spalle, perché potesse scoccare una freccia in direzione del collo privo di protezione: il dardo centrò il bersaglio, ma rimbalzò sulla pietra, spuntandosi malamente senza sortire alcun effetto. Kejah ci provò l'istante dopo, ma ormai era chiaro che le frecce erano inutili contro quell'avversaria formidabile.
La guerriera di pietra non si voltò, come se non avessi nemmeno sentito i dardi sul collo, e si lanciò invece su Mikor, che parò con abilità. La forza tremendamente superiore della creatura inumana, però, ridusse presto anche il Signore della Foresta del Vespro a mal partito: se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Roden, ci avrebbe certo rimesso la pelle.
Il boscaiolo, vedendo Mikor in difficoltà, non ci aveva pensato due volte e si era previpitato in suo aiuto; roteò la sua grande ascia sulla testa e l'abbatté sulle spalle della guerriera, che barcollò indietro mentre Mikor si ritirava in fretta. Con disappunto, Roden notò che l'ascia non aveva minimamente scalfito la pietra della statua, che pure era arretrata sotto la forza del colpo. Essa reagì però con rapidità, scagliandosi sul giovane che parò la spada di pietra con la grande scure. Il clangore dello scontro non produsse echi nelle tenebrose vastità in cui la scala era sospesa.
Freydar aveva intanto ripreso la spada, recuperata da Sekor, e si apprestava a dar man forte all'amico. Riuscì a distogliere la guerriera da Roden frapponendosi tra i due e tornando ad ingaggiare duello.
Roden si allontanò ansimando. "Ma è invulnerabile!" boccheggiò, constatando strabiliato che il filo della sua ascia si era rovinato per l'impatto contro la pietra durissima della statua vivente.
"Temo di sì", concordò Kejah, senza perdere d'occhio i duellanti.
"Un punto debole ce lo deve pur avere!" ringhiò Mikor, digrignando i denti. "È molto forte, ma non sembra agile."
Questo era vero, constatò Veldhris: la guerriera di pietra si muoveva pesantemente a causa della propria mole, e di conseguenza le sue reazioni erano lente in confronto all'agile balletto di guerra che Freydar intesseva intorno a lei. Purtroppo, però, quell'unico vantaggio non serviva a nulla, dato che niente la scalfiva. Come distruggerla allora, privi della magia di Nirvor?
L'Argentea parve leggerle nella mente. "Temo che sarò costretta a usare i miei poteri", bisbigliò infatti. Si preparava a passare le torce a Sekor quando Freydar, per sfuggire ad un terribile fendente della spada dell'avversaria, spiccò un formidabile balzo all'indietro, mancando Veldhris per un pelo; inciampò nei gradini di una delle scale discendenti e cadde, senza tuttavia perdere l'arma. La statua si avventò a passo di carica e Veldhris si mosse per arretrare verso Freydar, cercando istintivamente di distrarre la guerriera di pietra brandendo in alto le torce fiammeggianti. Con sua sorpresa, la statua si bloccò e parve fissare affascinata – ammesso che un volto di pietra possa esprimere una qualsiasi emozione – le fiamme guizzanti delle fiaccole. Non guardò Veldhris: solo le fiamme.
Perplessa, la cantante mosse lentamente le torce, prima da una parte, poi dell'altra. Gli occhi di giaietto della statua le seguirono nel movimento, come ipnotizzati. Ancora, Veldhris mosse le fiaccole, stavolta allontanandole l'una dall'altra ed abbassandole lateralmente. Muovendo alternativamente la testa per non perdere d'occhio l'una o l'altra fiamma, la statua continuò a fissarle. Lentamente, Veldhris arretrò verso il bordo del pianerottolo, dove il buio si apriva in un abisso senza fondo. "Nirvor!" chiamò piano, in tono d'urgenza.
Nirvor, cui la statua volgeva ora la schiena, consegnò le torce che reggeva a Sekor, completando il gesto iniziato un paio di minuti prima, e si spostò leggermente, in modo da rimanere alle spalle della guerriera di pietra e poter contemporaneamente vedere le torce rette da Veldhris. Un sottilissimo raggio di energia magica scaturì dall'indice che la Custode puntò verso di esse; Veldhris le lasciò andare ed esse rimasero sospese a mezz'aria mentre lei si allontanava lentamente. Quando fu a distanza di sicurezza, Nirvor mosse le dita e le torce si scagliarono sulla statua. Questa sollevò la spada per parare l'attacco, ma le fiaccole si arrestarono di colpo e presero ad agitarsi in una danza folle. La guerriera avanzò brandendo l'arma di pietra e le torce fluttuarono all'indietro, senza smettere di danzare vorticosamente. Balzarono ancora in avanti per provocare la reazione della statua, che caricò a testa bassa, la spada protesa in avanti... e precipitò oltre l'orlo del pianerottolo sospeso, piombando nel vuoto che si spalancò all'improvviso sotto i suoi piedi. Cadde senza un suono.
Col fiato sospeso, i viandanti attesero lo schianto, ma non udirono nulla: la voragine di tenebra doveva essere davvero senza fondo.
Veldhris guardava ancora in basso, nel punto in cui era scomparsa la formidabile guerriera di pietra, mentre Nirvor riprendeva le torce e lasciava scemare il proprio lucore. Il sollievo e l'incredulità erano dipinti sulle facce di tutti gli altri.
"Ma com'è stato possibile?" domandò Kareth, gli occhi verdi spalancati su Veldhris, che le girava le spalle.
"La luce l'ha attirata in trappola", commentò Roden.
"No, non la luce", specifico Veldhris, girandosi infine verso i compagni. "Il calore."
"Che vuoi dire?" indagò Freydar, che si era rimesso in piedi.
"E come l'hai capito?" domandò Mikor, riponendo la spada.
"Quando ha fissato le fiamme delle torce", rispose Veldhris, "ho notato che sembrava ipnotizzata. Così ho pensato di usare le fiaccole come armi per farla cadere nel vuoto. Senza l'aiuto di Nirvor, però, non sarebbe stato possibile."
"D'accordo", convenne Roden. "Ma come fai a affermare che è stato il calore a attrarla, e non la luce?"
"Perché il corpo umano non emana luce", rispose Freydar per lei. "Calore sì, però."
"Esatto", confermò Veldhris, segretamente compiaciuta della perspicacia del capitano. "A pensarci col senno di poi, osserverete che ha attaccato sempre la persona più vicina, lasciandola perdere solo se si frapponeva qualcuno più vicino ancora."
"Evidentemente", concluse Nirvor, "i suoi occhi captavano il calore senza distinguerne la fonte, un corpo o una fiamma, e tra l'uno o l'altro ha scelto la cosa che irradiava più calore."
"Se fosse stata attratta dalla luce", completò Sekor, annuendo, "avrebbe attaccato per prima Donna Nirvor, che è una lanterna vivente."
"Già, ammise Roden, guardando la sorella con ammirazione ed orgoglio. "Ancora una volta, sei stata grande, Vel."
"Sì, è vero", furono d'accordo gli altri, con entusiasmo.
La complimentarono vivacemente, perfino Mikor, mettendola in imbarazzo data la sua naturale modestia, fino a farla protestare. "Oh, andiamo, chiunque al posto mio avrebbe notato lo sguardo della statua!"
"Sì, ma di qui a intuire cosa veramente vedeva, ce ne corre!" ribatté Freydar, convinto. "Inutile che contesti il fatto."
Era vero, naturalmente: nonostante tutti i suoi dubbi, Veldhris si stava confermando sempre più un capo ideale, poiché sebbene le mancasse l'esperienza necessaria, possedeva però tutte le qualità fondamentali, tra le quali anche l'umiltà, la capacità di riconoscere i propri errori e di imparare da essi, e la continua ricerca del benessere di coloro che le si erano affidati. L'evoluzione da giovane donna spensierata e leggermente sconsiderata a donna cosciente di sé, delle proprie capacità e dei propri obblighi, si stava completando velocemente ed a sua stessa insaputa. Ben presto, solo i tratti basilari della sua personalità sarebbero rimasti a testimoniare dell'esistenza di quella giovane un po' avventata che credeva di essere una semplice cantante, vissuta mesi o anni prima in un luogo che non esisteva più.
OOO
Le ore passarono. Discesero l'interminabile scalinata indicata da Nirvor, quella alla destra della prima rampa, ed incominciarono a percorrere un dedalo di corridoi e gallerie, a volte illuminati da lampade o torce, più spesso completamente bui, scegliendo un itinerario contorto dai molti giri viziosi per evitare punti pericolosi, sia trappole predisposte per fermare gli intrusi, come lo era stata la guerriera di pietra, sia posti di guardia sorvegliati dalle sentinelle subumane di Xos.
Verso la fine del pomeriggio, ormai completamente disorientati dalle continue giravolte, i sette giovani e la loro guida s'imbatterono in un'inferriata che sbarrava il corridoio.
"La prima porta-trappola che non possiamo evitare", dichiarò la Custode. "Siamo costretti a passare di qua."
Fece cenno agli altri di arretrare, poi si avvicinò alla cancellata e cominciò a studiarla attentamente, iniziando dal grosso chiavistello arrugginito privo di lucchetto; non ci volle molto perché capisse il meccanismo del trabocchetto. "Il cancello", comunicò agli amici, tornando sui suoi passi, "è collegato a una botola nel pavimento: aprendo l'inferriata si spalanca di colpo. Naturalmente un modo per passare senza pericolo c'è senz'altro, ma non l'ho trovato. Direi che la soluzione più rapida sia di far scattare il trabocchetto e poi passare sopra la botola aperta usando una corda."
Gli altri assentirono e Roden si affrettò ad occuparsi della fune da utilizzare, legandola ad un grosso anello di ferro conficcato nella roccia della parete, probabilmente un reggitorcia privo di fiaccola. Intanto, Nirvor era tornata al cancello; armeggiò con il massiccio chiavistello rugginoso, che sfilò dagli anelli di sostegno facendolo cigolare lamentosamente, poi spinse forte il cancello, i cui cardini corrosi dall'ossidazione protestarono vigorosamente. Prima che i battenti avessero percorso metà dell'arco verso le pareti, una grande botola si spalancò di colpo sotto i piedi dell'Argentea, che oscillò appena e rimase sospesa nel vuoto. Involontariamente, sebbene preparati all'evento, i sette amici si lasciarono tutti sfuggire un suono chi di sorpresa, chi di spavento.
Nirvor fluttuò tranquillamente indietro; deposto il chiavistello, che aveva tenuto la in mano, prese la corda che Roden le porgeva.
"Datemi le vostre sacche", esortò poi i compagni. "Così non vi impicceranno nella traversata."
Se ne caricò tre in spalla e poi, con un unico balzo elegante del tutto privo di rincorsa ed impossibile da eguagliare anche dal più bravo saltatore umano, si proiettò al di là dell'enorme botola, buia come un pozzo infernale. Qui legò a sua volta l'estremità della corda ad un altro reggitorcia e tornò a prendere le rimanenti sacche. Freydar aveva nel frattempo tagliato alcuni pezzi dall'altro rotolo di fune per farne delle specie di imbracature di sicurezza, cosa che sollevò non poco il morale di Veldhris, che vedeva ripetersi l'incubo della cengia del Valico di Forrascura.
Uno ad uno, chi usando solo le mani, chi aggrappandosi anche con le gambe, i viandanti attraversarono il trabocchetto spalancato, da cui proveniva un alito gelido dall'effetto quasi paralizzante sulle membra indolenzite dalla stanchezza.
Quando infine tutti furono passati, Nirvor tornò indietro per recuperare la corda ed il chiavistello del cancello.
"È più prudente chiudere la trappola", osservò. "Se le sentinelle non si accorgono che è stata violata, non si metteranno in allarme."
Fluttuò quindi nuovamente verso l'inferriata ed uno dopo l'altro richiuse i battenti, mentre le ante della botola tenebrosa si sollevavano automaticamente per serrarsi e scomparire nelle venature e fenditure naturali della roccia del pavimento, in cui erano abilmente celate. Passando quindi il chiavistello tra due sbarre, Nirvor lo rimise a posto nei suoi anelli: fatto questo, nulla denunciava il loro passaggio.
"E uno", disse lugubremente Mikor.
OOO
Trascorsero la notte nel mezzo del corridoio, sorvegliati come sempre dall'insonne Nirvor. Nulla turbò il loro riposo, né apparizioni, né rumori, tuttavia l'Argentea si mantenne costantemente all'erta vigilando sui suoi compagni.
Quando il sole si levò sul resto del mondo, Nirvor li svegliò e, dopo una frugale colazione fredda, si misero in marcia. Percorso meno di un chilometro, abbandonarono il corridoio e quel livello a favore di un'altra interminabile scala che sprofondava ancor più nelle viscere della montagna, discendendo per una galleria molto inclinata dal cui fondo erano stati ricavati i gradini. Anche qui il buio regnava sovrano e solo le torce dei viandanti lo rischiaravano quel tanto che permetteva loro di avanzare senza inciampare continuamente. Nirvor stessa, che procedeva in testa, era un faro risplendente nell'oscurità.
La ripida discesa continuò a lungo nel più completo mutismo da parte dei viandanti. Quando infine il cunicolo-scala ebbe termine, sbucarono in una grande grotta dalle pareti sgocciolanti di umidità. Enormi stalagmiti e stalattiti, alcune unite in colonne, si protendevano dal pavimento e dal soffitto, ricoperte da cristalli di natura ignota che riflettevano in lampi di luce le fiamme delle torce. L'aria era così satura di umidità che quasi si soffocava, e l'odore di muffa era così acuto da stordirli.
Era quella la decima o undicesima caverna che attraversavano, ma nessuna era stata finora tanto fortemente caratterizzata come questa, né tanto grande.
"La Caverna dell'Acqua", riferì loro Nirvor. "Più avanti c'è un lago."
Avanzò di qualche passo, mentre i suoi compagni indugiavano titubanti ai piedi della scala. La sua luminescenza s'infranse sulla miriade di cristalli della roccia, facendoli rifulgere vivamente. Un lampo balenò da un cristallo all'altro fino a perdersi in lontananza.
Subito il lucore di Nirvor si offuscò e scomparve: lì era decisamente troppo vistosa, se avesse continuato ad irradiare luce. Il gruppo avrebbe dovuto accontentarsi delle fiaccole.
Veldhris e gli altri seguirono la loro guida attraverso la caverna; le fiamme delle torce stentavano a rimanere accese nella pesante umidezza del luogo, ma fortunatamente non si spensero.
Dopo alcune centinaia di passi, giunsero sulla riva di un lago sotterraneo non molto esteso. Qualcosa brillava di luce propria sul fondo, rendendo le acque di un verde traslucido, che si rifletteva sulle migliaia di sfaccettature dei cristalli che ricoprivano la roccia circostante creando un effetto luminoso molto suggestivo.
"È bellissimo!" non poté fare a meno di esclamare Veldhris, meravigliata. La sua voce parve soffocare nell'opprimente umidità.
"Sì", concordò Nirvor con voce triste. "Il tipo di bellezza prediletto dalle Potenze Oscure: la bellezza estrema che cela una minaccia estrema." Indicò con la lunga mano dalle dita affusolate la fonte della misteriosa luminosità sul fondo. "Quella luce è in realtà un mostro dalla crudeltà inimmaginabile, un autentico figlio del Potere Oscuro, regalo di Rakau a Xos per i servizi resi durante la Guerra dei Poteri. Fintantoché nessuno tocca l'acqua, quell'essere spaventoso non si scatena."
Freydar si sentì rabbrividire di ben altro che di freddo. "Non è che per caso dobbiamo attraversare il lago?" chiese nervosamente.
"No, per fortuna no", lo rassicurò Nirvor. "L'uscita che ci interessa, anche se dà su un percorso più lungo, è da questa parte del lago."
Il sollievo si dipinse sulle facce di tutti i presenti; notandolo, per poco Veldhris non venne colta da un attacco di ilarità – reazione nervosa alla tensione – ma riuscì a trattenersi.
Ripresero il cammino e poco dopo uscirono dalla Caverna dell'Acqua attraverso il passaggio indicato da Nirvor. Subito l'aria si fece più leggera ed asciutta e tutti respirano più liberamente.
Essendo mezzogiorno passato, i viandanti si fermarono a rifocillarsi; Nirvor andò in cerca di una fonte per riempire le fiasche e le borracce, sostituendo l'insipida neve sciolta con il liquido più saporito dell'acqua di rocca.
"Sbaglio, o fa veramente più caldo?" chiese Sekor ad un certo punto del pasto, guardando i compagni con aria interrogativa.
"Non sbagli", fu d'accordo Kejah. "Anche a me sembra sia più caldo."
"Ci stiamo avvicinando alle fornaci di Xos", spiego Nirvor. "Non le potremo evitare del tutto: dovremo attraversare un fiume di lava nella Caverna del Fuoco, C'è un ponte sospeso: forse, se è sorvegliato, dovremo combattere per passare."
La prospettiva piacque poco ai viandanti, ma del resto ormai erano in ballo e dovevano ballare meglio che potevano.
Ripresero il cammino seguendo il nuovo corridoio. Tutti si erano tolti i mantelli e le pesanti giacche, poiché Nirvor li aveva avvertiti che sarebbe stato sempre più caldo man mano che si avvicinavano alle fornaci. Svoltarono una sola volta in un passaggio laterale per evitare un tratto illuminato, segno che era abitato o sorvegliato. Attraversarono poi un'altra caverna, molto più piccola della Caverna dell'Acqua ma ugualmente di dimensioni ragguardevoli, che attraverso un pertugio immetteva direttamente in una seconda grotta. Alzando le torce per gettare un'occhiata circolare, videro che si trattava di una caverna dalle pareti striate di pietra verde-azzurra.
"La Caverna dei Turchesi", li informò Nirvor. "Stiamo attenti: in una grotta adiacente vivono i Serpenti Alati, un'altra razza di mostruosità ideata da Rakau. Cerchiamo di fare il minor rumore possibile."
Obbedirono, seguendo la Custode della Corona con passi felpati, per quanto fosse loro possibile con i piedi calzati dai pesanti stivali imbottiti. Riuscirono a muoversi abbastanza silenziosamente ed attraversarono la caverna in pochi minuti. Giunsero così all'uscita prescelta da Nirvor, che immetteva in un corridoio dalla volta ampia e piuttosto alta. Una decina di metri più in là, un cancello del tutto simile alla prima porta-trappola sbarrava il passaggio.
"Questo è il secondo trabocchetto che non possiamo evitare", annunciò Nirvor. "State qui."
Avanzò, per precauzione levitando leggermente al di sopra del pavimento, e cominciò ad esaminare la cancellata. Come la prima, era corrosa dalla ruggine, ma era priva di chiavistello e proprio questa mancanza l'aveva insospettita, inducendola a non toccare il pavimento con i piedi per non passarci sopra e far scattare la trappola che li attendeva. Poi si accorse che non era il pavimento a celare il pericolo, bensì il soffitto: accuratamente incastrata nella volta, c'era una grossa lastra di pietra che certamente era predisposta a piombare sulla testa degli incauti intrusi qualora avessero aperto il cancello. Si girò per comunicare la sua scoperta agli altri, quando qualcosa irruppe strillando nel passaggio, proveniente dalla Caverna dei Turchesi. Sollevando la torcia, Veldhris illuminò un grosso serpente, lungo almeno cinque metri, con grandi ali da pipistrello fornite di artigli alle estremità. "I Serpenti Alati! Attenti!!" gridò, arretrando precipitosamente davanti all'avventarsi della ripugnante creatura.
"Tamya!" urlò Sekor, gettandosi sul Serpente con la spada sguainata e menando un fendente; lacerò un lembo dell'ala destra del Serpente, che strillò orribilmente dal dolore.
Un battito di ciglia dopo, un intero stormo fece irruzione nel corridoio.
"Per Zarcon del Fiordo!"
Freydar gettò il suo grido di battaglia e si buttò nella mischia roteando la spada, prontamente imitato da Mikor e da Roden. Kareth e Kejah imbracciarono i loro archi, lanciando frecce a ripetizione e facendo strage dei Serpenti Alati.
Veldhris corse verso Nirvor. "Presto!" le gridò affannata. "Dobbiamo passare alla svelta! Sono troppi per noi!"
La Custode della Corona si voltò di scatto verso il cancello, il volto bellissimo atteggiato ad un'espressione preoccupata. "Se apriamo i battenti, quella lastra ci cadrà addosso, occludendo il passaggio", disse indicando il soffitto.
Veldhris guardò in alto e vide l'enorme masso incastrato nella roccia. "Possiamo aprire solo un po', tanto da passare uno alla volta", propose in fretta.
Nirvor assentì. "Sì, è l'unico modo, ma dovrò usare la magia per tener fermi i battenti: sono progettati per aprirsi completamente alla minima pressione e non basterebbe la mia sola forza fisica, per quanto grande, a mantenerli in posizione."
"Correremo il rischio", decise Veldhris. "Cercheremo di passare il più velocemente possibile."
"Bene", accondiscese l'Argentea. "Passerò per ultima, tu avverti gli altri."
Mentre la cantante eseguiva, Nirvor si avvicinò al cancello e tese davanti a sé il braccio sinistro, tenendo l'esile mano perpendicolare ad esso, a pochi centimetri dalle sbarre di ferro. Dal palmo scaturì un fascio di luce bianca, che andò a colpire il battente di sinistra. Nirvor piegò quindi il braccio destro, portando la mano all'altezza della spalla, il gomito stretto al fianco, ed un secondo fascio di luce si sprigionò dal palmo, colpendo l'altro battente. A questo punto, la Custode della Corona spinse in avanti la destra, lentamente, ritirando contemporaneamente la sinistra: il battente sinistro rimase immobile, mentre il destro cominciò ad aprirsi, mosso dalla magica energia. Quando Nirvor completò il gesto, tra l'uno e l'altro battente c'era un varco di una cinquantina di centimetri.
La prima a passare fu Kareth, spinta dalla gemella che la seguì a ruota, con Veldhris alle calcagna. Sfrecciarono al di sotto dei fasci di luce di Nirvor; poi, da dietro il cancello, le cacciatrici ripresero a scoccare frecce, mirando tra le sbarre.
Fu poi la volta di Sekor, che una volta passato abbandonò la spada a favore dell'arco, e mentre prendeva a tempestare le creature schiamazzanti con lunghe frecce piumate di nero arrivò di corsa anche Mikor.
Roden e Freydar arretrarono velocemente verso il cancello. Il boscaiolo roteava l'ascia all'impazzata, mozzando teste, ali e code in una degna ripetizione dello scontro con i Vampiri sulle colline del Regno del Fiordo.
"Muoviti, Roden!" lo incitò l'amico. "Ti seguo di volata!"
Un Serpente Alato piombò con una picchiata suicida su Roden, che urlò e, sollevata la grande scure, tranciò in due pezzi il mostro, il qui gelido icore giallastro ed acquoso gli imbrattò la giacca. Barcollando per l'urto subito, Roden arretrò ed infilò pesantemente il varco tra i battenti del cancello, schivando a fatica i fasci di energia bianca di Nirvor. Un istante dopo, Freydar si tuffò letteralmente attraverso la stretta apertura. Ormai, al di qua della porta-trappola rimaneva soltanto la Custode della Corona, sulla quale i Serpenti Alati si precipitarono strillando e strepitando.
Veldhris aprì la bocca per urlarle un avvertimento, ma Nirvor, muovendosi più velocemente di quanto lo sguardo potesse misurare, in un lampo di luce abbacinante saettò attraverso il cancello e lo richiuse con uno schianto. Le orrende creature alate sbatterono impotenti contro le sbarre, troppo strette per loro, e lanciarono strida acute e furibonde.
Freydar si asciugò la fronte madida di sudore diaccio e lanciò un'occhiata ai compagni. "State tutti bene?" domandò.
Prima che qualcuno potesse rispondere, Roden si abbandonò contro la parete e scivolò a terra con un gemito. Kejah, che era la più vicina, balzò subito accanto al cugino svenuto, chiamando gli altri.
"Che cos'ha?" domandò Veldhris, spaventata dal pallore del fratello. Kejah gli aveva già slacciato la giacca ed ora stava sbottonandogli la camicia. Scostò la stoffa dalla spalla, dove stava sanguinando, e scoprì la ferita: era inequivocabilmente il morso di un serpente, ma ben più grande del normale. Non appariva però eccessivamente grave, non essendo troppo profondo né sanguinando molto. Lo svenimento di Roden si spiegava soltanto in un modo. "Veleno!" esclamò Kejah, ritraendosi istintivamente.
"No!" gridò Veldhris, atterrita." Non mio fratello! Roden, Roden!!"
Si slanciò su di lui chiamandolo, fuori di sé, ma Nirvor la trattenne con la sua forza sovrumana. "Non disperare, Veldhris", le disse. "Il veleno dei Serpenti Alati è mortale, ma io posso guarirlo."
Al di là del cancello, le bestie alate continuavano a scrollare le sbarre abbattendosi invano contro di esse e stridendo ferocemente. Ignorandole, i viandanti si fecero attorno al ferito, mentre Nirvor s'inginocchiava accanto a lui scostando Kejah, che le lasciò il posto. La donna d'argento posò gli indici sulla ferita; poi, un lampo si sprigionò da essi, penetrando nel corpo di Roden. Per un attimo, su tutta la persona del giovane apparve l'intero reticolo delle vene e delle arterie percorse come da un fiume di luce, visibile persino attraverso gli abiti ed i capelli. L'istante dopo era tutto finito e Nirvor, ritirate le mani, mostrò ai presenti la ferita completamente rimarginata.
Veldhris buttò le braccia al collo della Custode della Corona, riconoscente. "Oh, grazie, Nirvor!" esclamò. "Come faremmo senza di te?"
L'Argentea si sciolse sorridendo dal suo abbraccio. "Adesso dormirà per qualche attimo, disse. "La taumaturgia lascia spesso il paziente alquanto spossato. Quando si sveglierà, si sarà completamente rimesso."
Veldhris assentì per indicare di aver capito, gli occhi lucidi di lacrime di gioia. Poi subito il suo sorriso si spense. "I Serpenti Alati non daranno l'allarme?" chiese, preoccupata.
Nirvor scosse la testa. "No, non riescono a comunicare con alcuna creatura se non Xos in persona, e lui è lontano. Appena ce ne andremo di qui, smetteranno di agitarsi e torneranno tranquillamente alle loro tane."
Tutti sospirarono di sollievo.
Proprio in quella, Roden aprì gli occhi. "Che mal di testa, gente!" borbottò.
Veldhris corse a gettargli le braccia al collo e scoppiò a ridere ed a piangere assieme, indicibilmente felice, mentre lo sbalorditissimo giovane la stringeva a sé.
"Ehi, ma cos'è successo?" brontolò, senza capire ma commosso dalla reazione della sorella. "Ricordo che una di quelle maledette bestiacce mi ha morso... e poi devo essere svenuto."
"Infatti", confermò Veldhris, asciugarsi le lacrime. "Poi Nirvor ti ha curato. Come ti senti?"
Freydar lanciò uno sguardo al cancello, contro di cui i Serpenti Alati continuavano incessantemente ad abbattersi con furia.
"Sarà meglio allontanarsi", disse, accostandosi all'amico. "Ce la fai a camminare?"
Roden annui e, aiutato dal capitano, si rimise in piedi. Non aveva però bisogno di sostegno e, dopo aver velocemente recuperato i bagagli, i viandanti si dipartirono dalla porta-trappola. Dietro di loro, le strida furibonde andarono spegnendosi.
"E due", disse Mikor a denti stretti.
OOO
Passarono un'altra notte nel labirinto sotterraneo di Xos, stavolta in una grotta delle dimensioni di un salone. Faceva caldo quasi come in primavera a Tamya, tanto che dovettero spogliarsi della maggior parte degli indumenti invernali.
"Siamo vicinissimi alle fornaci", disse Nirvor prima che si rimettessero in marcia. "Dobbiamo passare il ponte sospeso di cui vi ho accennato ieri."
Con una smorfia, i viandanti seguirono la loro guida già pronti al peggio.
Non passò molto tempo che sbucarono in una grande caverna, molto lunga e relativamente stretta, attraversata per il senso della lunghezza da una profonda spaccatura, larga una dozzina di metri, dalla quale saliva un sordo rombo. Il caldo investì gli otto amici con una ventata da togliere il fiato.
"La Caverna del Fuoco", li informò Nirvor. Il suo viso dai tratti cesellati si rannuvolò mentre guardava lungo il ciglio del burrone.
"Non vedo il ponte", disse Veldhris, prima di rendersi conto che era proprio questo a preoccupare l'Argentea che, senza parlare, si avvicinò ad un punto preciso dell'abisso, seguita dagli altri. Quando giunsero sull'orlo, guardarono giù e vennero presi dalla vertigine: sul fondo, a più di cinquanta metri, scorreva un ribollente fiume di lava incandescente, da cui provenivano soffocanti zaffate di zolfo. Il calore si sprigionava da lì, prossimo ai limiti della tollerabilità umana.
La cosa che più li atterrì, però, fu la constatazione che il ponte sospeso, formato da corde e tavole di legno, pendeva dal lato su cui si trovavano, trattenuto da due pilastri di pietra cui era stato fissato, ed oscillava lievemente nel rosseggiare del magma.
"Oh, maledizione!" sbottò Freydar, battendosi un pugno nella mano aperta. "E adesso?"
Sekor studiò la situazione, scuotendo poi il capo biondo. "Se la passerella fosse stata dall'altra parte", considerò, "avrei potuto forse lanciare una freccia con attaccata una corda e tirarla su. Ma così..."
"Un'ottima idea, Altezza", approvò Nirvor, distendendo la bella fronte aggrondata. "Se mi prestate arco e frecce, posso farlo io, dopo esser saltata di là."
Veldhris si deterse la nuca madida, sollevata. "Per fortuna che ci sei tu, Nirvor!" esclamò. "Altrimenti, cosa sarebbe di noi?"
"Ciascuno fa la sua parte", ribatté la Custode della Corona, prendendo il grande arco che Sekor le porgeva. "Possiamo farcela perché siamo tutti uniti, non solo perché io vi conduco."
Roden lanciò un'occhiata trionfante alla sorella. "E tu che volevi lasciarci indietro!"
Veldhris gli mostrò la lingua e gli altri risero sommessamente, dimentichi per un breve istante della tensione e della fatica a favore di quella scenetta estemporanea.
Anche Nirvor sorrise bonariamente e, dopo essersi appesa alla spalla un rotolo di corda, spiccò il balzo levitando elegantemente oltre l'abisso infuocato. Atterrò proprio fra i due pilastri di pietra di fronte a quelli da cui pendeva il ponte, dove legò velocemente un'estremità della fune ad una freccia e si pose l'altra estremità sotto i piedi per tenerla ferma. Incoccò poi il dardo e, presa accuratamente la mira, tirò: la freccia saettò verso il bersaglio, obliquamente, ed anche se sbilanciata dal peso della corda che andava srotolandosi ai piedi di Nirvor, si piantò nell'ultima tavola della passerella penzolante. La Custode della Corona saggiò la resistenza della freccia conficcata, poi, puntellandosi contro uno dei pilastri, cominciò a tirare. Pian piano, senza sforzo apparente, sollevò la passerella e la tese sull'abisso. Afferrata l'ultima tavola con una mano, Nirvor svelse la freccia con l'altra, spezzandola tra le dita per recuperare la fune, che passò poi attorno alla tavola e legò infine al pilastro più vicino. Ripeté l'operazione fissando il ponte anche all'altro pilastro e, per maggior sicurezza, legò pure le corde per il sostegno delle mani: ora la passerella oscillava ben tesa sulla voragine e Nirvor vi sfrecciò sopra, lasciando dietro di sé una scia di luce presto dissolta.
"Datemi i bagagli", esortò i compagni. Questi obbedirono, passandole le sacche, e lei effettuò due viaggi per portare di là tutto, comprese tre delle torce. Infine poterono iniziare la traversata, uno alla volta poiché non conoscevano la resistenza del vecchio ponte logoro.
Il primo fu Sekor, poi seguirono nell'ordine Mikor, Kejah e Kareth. Quando toccò a Veldhris, la cantante si sentì accapponare la pelle nonostante il gran caldo, ma affrontò la traversata con quella forza d'animo che sempre più si stava palesando in lei. Perfino quando scivolò su di una tavola traballante, mandò solo un breve grido e rimase sospesa oscillando, aggrappata alle corde laterali. La tavola sotto di lei si staccò, precipitando nell'abisso di lava ribollente.
Freydar emise un'esclamazione soffocata e fece per slanciarsi in soccorso di Veldhris, ma Roden lo trattenne, sebbene lui stesso provasse l'impulso di precipitarsi. "No!" esclamò. "Potreste cadere tutti e due!"
Accennò poi a Nirvor che, memore di quanto accaduto al Valico di Forrascura, si teneva pronta nell'eventualità di dover far uso dei suoi poteri magici per arrestare una malaugurata caduta: nessuno di loro correva un pericolo reale.
Intanto Veldhris si era afferrata con entrambe le mani a una delle corde ed aveva cominciato ad issarsi sulla tavola seguente. Freydar rilassò i muscoli tesi, pronti a scattare, ed osservò col cuore in gola la cantante compiere il resto del tragitto. Quando la vide al sicuro dall'altra parte della voragine, accolta con sollievo dagli altri, la sua espressione di gioia inequivocabile mise la proverbiale pulce nell'orecchio a Roden, che gli lanciò un'occhiata insospettita. L'altro però non gli lasciò tempo di meditare, rivolgendosi a lui con naturalezza. "Tocca a te, amico mio. Io verrò da buon ultimo."
Quel giorno infatti il capitano si era assunto la responsabilità della retroguardia, per cui Roden non poté protestare, come avrebbe invece voluto ricordando la disavventura con i Serpenti Alati, e si rassegnò quindi a passare il ponte traballante prima dell'amico. Camminò sulle tavole con molta prudenza, muovendosi lentamente e senza scosse: difatti, era di gran lunga il più pesante di tutti loro.
Conclusa felicemente la traversata di Roden, toccò infine a Freydar, che aveva da portare anche l'ultima torcia. Affrontò l'arduo passaggio con la calma determinazione che gli era tipica e, quando giunse al buco lasciato dalla trave caduta sotto i piedi di Veldhris, dove dovevo usare entrambe le mani, s'infilò la fiaccola tra i denti, passando al di là senza cambiare ritmo. Riprese quindi in mano la torcia e, senza degnare di uno sguardo lo spaventoso abisso sotto di sé, proseguì.
Mancavano ormai solo un paio di metri o poco più, quando qualcosa scrollò furiosamente il ponte; Freydar perse di equilibrio e, per afferrarsi con entrambe le mani, mollò la fiaccola, che cadde a capofitto nel baratro sottostante. I suoi compagni mandarono un grido di spavento: i loro occhi, calamitati dall'amico che arrancava sul precario ponte, non avevano scorto i punti luminosi e rosseggianti che si erano accesi sul lato opposto della spaccatura e che ora si rivelavano essere gli occhi tondi e malvagi di topi giganteschi.
Un violento brivido di raccapriccio scosse Veldhris, il cui sguardo terrorizzato volava dagli orrendi ratti a Freydar con una rapidità nervosa vicina all'isteria.
Il ponte tremò ancora, violentemente, come un cavallo imbizzarrito: i sorci stavano saggiandone la resistenza prima di azzardarsi a passare, dimostrando un'intelligenza innaturale e perciò raccapricciante, e nonostante i prudenti timori dei viandanti, travi e cordame parvero resistere bene. Freydar rimaneva caparbiamente aggrappato, i piedi penzoloni nel vuoto, e già i primi ratti avanzavano sulla passerella.
"Presto, Freydar!" lo incitò Veldhris a gran voce. "Muoviti!"
Era così agitata che pareva saltellare da un posto all'altro anziché camminare, e sebbene gli altri non fossero da meno, Roden notò il comportamento anomalo della sorella.
Freydar annaspò freneticamente; riuscì a puntellare un piede, poi l'altro, e mentre il ponte veniva bruscamente scosso dal passaggio tutt'altro che cauto dei giganteschi topi, cercò di avvicinarsi alla salvezza. Cadde quasi subito in ginocchio a causa dei sobbalzi, ma non pensò di rialzarsi e, abbandonate le funi, si aggrappò alle tavole e prese ad avanzare ventre a terra.
"Tagliate le corde laterali!" gridò Roden, dando un gran colpo d'ascia a quella di destra.
Mikor estrasse rapidamente la propria spada e troncò l'altra: il precario parapetto ricadde ai piedi della passerella, mentre Freydar raggiungeva le mani tese di Veldhris e Nirvor, che lo trascinarono in salvo.
In quel momento, uno dei sorci cadde strillando dal ponte, piombando a testa in giù nell'abisso infuocato. Non bastò però a fermare l'orda che si era raccolta sull'altro lato della spaccatura, e con incredibile audacia i ratti continuarono ad avanzare sulla passerella.
"Fate cadere il ponte!" gridò Veldhris, inorridita. "Svelti!!"
Roden e Mikor sollevarono assieme le loro armi e le abbatterono contemporaneamente sulle funi che trattenevano alle due estremità la tavola più vicina. Quasi con grazia, la passerella crollò ondeggiando nel baratro, trascinando nella caduta tutti i topi giganti che la stavano percorrendo, che scomparvero strillando orribilmente nel rosseggiare del magma ribollente. L'orda dei loro compagni fece eco alle loro grida di morte, facendo accapponare la pelle di tutti i viandanti.
"Andiamocene di qui", pregò Kejah, anche se erano ormai al sicuro. "Sono spaventosi!"
Gli altri non trovarono nulla da ridire e si allontanarono, inciampando per la fretta e lasciando dietro di loro un mare di occhi rossi e malvagi.
OOO
Le terrificanti avventure di quella giornata campale non erano però finite: nemmeno un'ora dopo la spaventosa apparizione nei topi giganti, s'imbatterono in enormi ragnatele vischiose che sbarravano loro la strada. Un lezzo atroce emanava da esse, soffocando i malcapitati.
"Non c'è altra via", li avvertì Nirvor. "Dobbiamo passare per forza di qua. I ragni sono grandi come vitelli, ma, sebbene carnivori, non sono coraggiosi. Solitamente, il baccano li tiene lontani, ma se vi capitasse di arrivare vicino a uno, state attenti a non toccarlo: sono ricoperti di una sostanza velenosa, forse mortale."
Badando quindi a fare un bel po' di rumore, al contrario di quanto avevano finora fatto, i viandanti presero a farsi strada con spade, asce e pugnali nell'intrico delle ragnatele puzzolenti, che si susseguivano una dopo l'altra lungo la galleria.
Come previsto da Nirvor, i giganteschi ragni si allontanarono precipitosamente all'approssimarsi dei viandanti, così che non ebbero difficoltà a passare. Giunsero sani e salvi alla fine della serie di ragnatele e con sollievo si volsero a guardare: i ragni stavano già cominciando a riparare le loro reti vischiose con la bava dal lezzo insopportabile che producevano.
"Non ho mai desiderato tanto un po' d'aria pulita", boccheggiò Kareth, cercando di reprimere un'ondata di nausea. Barcollò un po' all'indietro e finì contro la parete, dove si sostenne.
Kejah si avvicinò sollecita alla gemella, ma prima che avesse fatto tre passi. Kareth lanciò un urlo di raccapriccio e si ritrasse di scatto dalla parete, guardandosi con orrore le mani.
Tutti accorsero e, sollevando le torce, scoprirono un enorme ragno morto posato contro la parete rocciosa, dai cui peli sgocciolava ancora la sostanza venefica contro cui Nirvor li aveva messi in guardia. Il palmo delle mani di Kareth era impasticciato della stessa sostanza densa e traslucida.
"Oh, no!" grido Kejah, portandosi una mano alla bocca.
La sua gemella gettò un'occhiata di terrore alla compagnia che la fissava orripilata, poi si piegò in due e senza un suono stramazzò.
Con un balzo, precedendo tutti gli altri, Nirvor si portò accanto alla cacciatrice priva di sensi. "State lontani", li ammonì. Strappò rapidamente l'orlo della tunica d'argento che indossava, ricavandone una pezza con la quale pulì accuratamente le mani di Kareth. Poi richiese dell'acqua e ripeté l'operazione. "Ora potete toccarla senza pericolo", annunciò. "Portiamola via di qui."
Le sfilò lo zaino e la sollevò senza sforzo sulle braccia, incamminandosi poi velocemente. Il resto del gruppo la segui di corsa, Roden portando la sacca della cugina.
"La salverai, vero?" Veldhris interrogò Nirvor, in preda all'affanno. "Come hai fatto con mio fratello...?"
"Farò il possibile", rispose Nirvor. "Il mio potere taumaturgico ha purtroppo dei limiti: posso curare con assoluta efficacia solo le ferite, avvelenate o meno, anche mortali. Kareth non ha piaghe aperte, ma tenterò ogni mezzo a mia disposizione."
Veldhris si sentì agghiacciare, ma non poté far altro che galoppare dietro alla Custode della Corona con gli altri amici.
OOO
"Vai a dormire, Veldhris", la esortò Nirvor sottovoce. "Veglierò io su Kareth. Ormai è fuori pericolo."
Veldhris annui stancamente e, lanciata un'ultima occhiata al volto pallidissimo e madido di sudore della cugina adottiva, andò a coricarsi.
Dopo dieci minuti di corsa, con Kareth svenuta tra le braccia dell'Argentea, i viandanti erano giunti in una piccola grotta dall'aria più fresca e salubre di quella della galleria dei ragni piena del loro fetore. Qui, avevano disteso Kareth sulle sue coperte e Nirvor le aveva prodigato le sue cure: non aveva potuto rendere inefficace il veleno, tuttavia era riuscita a ridurne di molto la potenza. L'organismo della cacciatrice aveva reagito con una febbre violenta, che Nirvor aveva attutito con i propri poteri prima di permettere a Kejah di usare le sue erbe.
Ora, a notte fonda, Kareth era ancora priva di conoscenza, ma non più preda della febbre, anche se era ancora accaldata, e Veldhris, che finora non era riuscita a chiudere occhio, poteva finalmente riposare.
Qualche minuto dopo, Kareth aprì gli occhi.
Nirvor si chinò su di lei. "Come ti senti?" le domandò, sollecita.
La cacciatrice inghiottì a vuoto alcune volte. "Ho molta sete", riuscì infine a dire, rauca.
L'Argentea annuì ed andò a prendere la borraccia di Kareth, aiutandola poi a bere qualche sorso.
Riadagiandosi, Kareth bisbigliò. "Mi avete salvata voi, Donna Nirvor?"
"Sì, ho usato quant'era in mio potere per mitigare l'effetto del veleno", rispose la Custode della Corona. "Però hai dovuto lottare da sola per superare la crisi."
"Grazie", sussurrò la cacciatrice, tornando a chiudere gli occhi, ancora spossata dalla febbre. Sotto la coperta, la sua mano sfiorò il ventre, al che risollevò di colpo le palpebre. "E il bambino?" chiese, allarmata.
Nirvor abbassò lo sguardo, colmo di compassione, su di lei. ";i dispiace, disse piano. "Non c'è nessun bambino."
Kareth chiuse gli occhi ed il suo volto perse ogni espressione. Dunque, non era incinta. Non lo era mai stata. L'ultima speranza di un legame con Neys si era infranta. L'aveva perduto definitivamente. Non aveva più nulla che la mantenesse in vita. Perché quindi non morire?
Dopo attimi tormentosi, accolse con sollievo l'oblio, scivolando nel buio dell'incoscienza.
OOO
I viandanti rimasero nella piccola grotta per tutto il giorno seguente, per permettere a Kareth di riprendersi, cosa che la cacciatrice, nonostante il suo stato d'animo, fece rapidamente grazie alle cure di Kejah, all'energia magica trasmessale da Nirvor ed alla propria robusta costituzione. La pausa non pesò a nessuno, sebbene accrescesse il pericolo, perché l'Argentea aveva loro assicurato che la Caverna Centrale era ormai vicina. Saputolo, Kareth aveva tentato di convincere Veldhris e gli altri ad andarci per prendere la Corona di Luce, ma poiché dovevano superare un'ultima porta-trappola, Veldhris rifiutò con forza: non potevano passare indenni il trabocchetto senza l'aiuto di Nirvor, ma non era disposta a lasciare Kareth senza la protezione di quest'ultima, che difettava del dono dell'ubiquità. Pertanto, aveva concluso in tono che non ammetteva repliche, si sarebbero messi in marcia tutti assieme o nessuno.
I viveri cominciavano a scarseggiare in modo preoccupante. Freydar lo fece presente a Veldhris, che a sua volta lo aveva notato e stava per interpellare Nirvor.
"Non preoccupatevi", fu la rassicurante risposta. "Il livello al di sotto della Caverna Centrale è pieno di magazzini per le provviste. Ci passeremo proprio attraverso e potrete rifornirvi senza eccessivi problemi."
"Ma se sono sorvegliati?" chiese Veldhris, preoccupata.
"Oh, lo saranno senz'altro; ma con la Corona di Luce in tuo possesso, potrai usarne il potere senza difficoltà per sgominare chicchessia, e io stessa potrò ricorrere alla magia, giacché se anche Xos la percepisse e tornasse di gran carriera, non potrebbe farlo in meno di due giorni dal punto in cui l'ho spedito. E anche se giungesse prima, non avremo da temere nulla, perché tu avrai la Corona."
Rassicurata, ma anche stranamente inquieta, Veldhris si allontanò ed andò a sedersi in un angolo.
Fino a quel momento, non si era mai soffermata a pensare a come il potere che avrebbe acquisito con la Corona di Luce poteva influire concretamente sulla sua vita e su quella di chi le stava accanto, salvo in rapporto diretto con il duello che doveva sostenere contro Rakau. Invece, il semplice fatto di cingere la Corona l'avrebbe investita di un potere che lei non aveva idea di come gestire. Senza l'accenno di Nirvor al fatto che poteva usare la Corona per procurare a sé ed ai suoi il cibo, non avrebbe saputo come risolvere la questione delle sentinelle se non con un attacco diretto e pericoloso, cruento e dall'esito incerto. No, decisamente non era ancora pronta, e questo la spaventava, poiché il momento era ormai vicinissimo ed era impensabile che si tirasse indietro. Lanciando un'occhiata a Nirvor, però, si rassicurò: c'era sempre la Custode della Corona al suo fianco, che poteva consigliarla e suggerirle il modo migliore per governare l'immenso potere che stava per esserle idealmente consegnato dall'ultimo Imperatore di Shyte.
OOO
Il giorno dopo, Kareth poté riprendere la via, anche se ancora un po' debole. Per agevolarla, Roden prese su di sé la sacca della cugina, mentre Kejah si assunse il compito di sorreggerla qualora ve ne fosse stato bisogno.
Percorsero forse nemmeno due chilometri di tragitto tortuoso, sempre atto ad evitare punti sorvegliati o abitati, e lungo la strada cambiarono le torce, la cui pece si era ormai consumata; poi si imbatterono nell'ultima porta-trappola che non potevano evitare. Di questa Nirvor conosceva già gli effetti, poiché era la più antica e non era mai stata cambiata nel corso dei secoli, come poté verificare dopo un rapido esame. Raccomandò ai compagni di tenersi lontani e, spalancando i battenti, lasciò scattare la trappola: una foresta di lunghe lance metalliche schizzò dalle pareti verso il centro della galleria. Esclamazioni spaventate e sorprese si levarono dal gruppetto dei viandanti: con la velocità del fulmine, Nirvor si era infilata nel varco tra i due battenti prima ancora che le micidiali picche fuoriuscissero dalle pareti, lasciando dietro di sé la consueta scia di luce evanescente.
"Non mi ci abituerò mai", brontolo Veldhris, pallida. "La prossima volta avvertitemi di non guardare, va bene?"
"Passate tra le aste!" gridò loro Nirvor dall'altra parte. "Tenetevi lontani dalle punte!"
Uno dopo l'altro, i viandanti eseguirono, scavalcando o passando al di sotto delle lance a seconda di com'erano posizionate, e quando furono tutti al di là della selva metallica, Nirvor richiuse il cancello col suo potere: lentamente, le punte esiziali rientrarono nelle pareti, accolte dai fori ben camuffati dalle irregolarità della roccia.
"E tre", disse Mikor con voce sorda.
"Era l'ultima porta-trappola", gli ricordò Nirvor, udendolo. "A cinquecento metri in linea d'aria da qui c'è la Caverna Centrale. Non è sorvegliata, come sapete, perché Xos ha indotto nei suoi sudditi un sacro terrore per la Corona di Luce e nessuno oserebbe entrare in quella grotta."
"Cosa stiamo aspettando?" chiese Freydar, impaziente.
Come un sol uomo, i viandanti si mossero nella direzione indicata da Nirvor, tenendo alte le fiaccole per rischiarare un tratto più ampio di cammino e vedere così prima l'agognata meta.
Fu in quel momento che cominciarono a risuonare i tamburi degli abissi.
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